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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ ALTO-MEDIOEVALE NEL PAESAGGIO INTELLETTUALE DELLA LETTERATURA DEL CORANO CI SONO I TEMI DELLA FAMIGLIA DI ‘IMRAN, DEL VANGELO DELL’INFANZIA ARMENO, DEI GINN E DELL’ARMA DELLA PREGHIERA …

Lezione N.: 
21

Prof. Giuseppe Nibbi   La sapienza poetica e filosofica dell’età alto-medioevale   26-27-28  marzo  2014

Luigi Pirandello

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ ALTO-MEDIOEVALE

NEL PAESAGGIO INTELLETTUALE DELLA LETTERATURA DEL CORANO

CI SONO I TEMI DELLA FAMIGLIA DI ‘IMRAN, DEL VANGELO DELL’INFANZIA ARMENO,

DEI GINN E DELL’ARMA DELLA PREGHIERA

   Stiamo per intraprendere il ventunesimo itinerario di questo viaggio sul “territorio della sapieza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale”: ci troviamo di fronte al “paesaggio intellettuale della Letteratura del Corano” e il filo conduttore che ci lega a questo vasto e complesso argomento è rappresentato dalla trafila dei racconti con i quali la tradizione islamica illustra la vita di Muhammad, il protagonista [dopo Allāh] del Libro del Corano, un testo che prende forma alla metà del VII secolo, in Età Alto-medioevale. La settimana scorsa – utilizzando il testo della Sira, la vita-modello del Profeta e il testo del Corano – abbiamo riflettuto su una serie di episodi significativi: su come il testo sacro venga suggerito o dettato a Muhammad, sulle prime persecuzioni che il Profeta subisce, sul suo rifiuto di trattare con l’oligarchia che gestisce il Santuario politeista della Mecca, sulla fuga dei suoi primi discepoli in al-habasha [in Etiopia] sotto la protezione del negus e, infine, lo scorso itinerario si è concluso con l’episodio della prima conversione eccellente e ora, sulla scia di questo episodio, riprendiamo il cammino.

   Intorno all’anno 616 avviene il primo episodio importante per la storia della nascente comunità islamica: la conversione di ‘Omar ibn al-Khattab, un autorevole personaggio che appartiene all’oligarchia della Mecca e che, in un primo momento, è un accanito persecutore di Muhammad, ma poi si avvicina al messaggio delle Rivelazioni e diventa un seguace della nuova Fede e sarà, dopo la morte del Profeta, il secondo califfo [il successore] dal 634 al 644, il califfo ‘Omar. Intorno alla conversione di ‘Omar – che risulta un fatto strategico e politico molto importante per lo sviluppo dell’islàm – la tradizione narra un racconto leggendario in cui [come abbiamo già ricordato la scorsa settimana] si dà una risposta mitica sulla ragione della conversione di ‘Omar che sarebbe avvenuta grazie alla “magia della parola”. Secondo la tradizione il contenuto del messaggio del Corano non è solo attraente e affascinante ma, dentro alle parole da cui è formato, vi è anche una “dimensione estetica” [è poesia] di grande efficacia persuasiva dal punto di vista mistico. E si capisce perché gli avversari di Muhammad lo accusano di essere “un poeta [sha’ir]” e “un mago [sahir]” e di usare, a proprio vantaggio, la “magia della parola”. Il testo della Sira, la vita-modello del Profeta racconta la fase culminante della conversione di ‘Omar.

   ‘Omar è un dignitario che perseguita Muhammad e i suoi fedeli, e scopre che la sorella fa parte segretamente della comunità islamica e, quindi, va a casa sua per punirla ma lei, senza negare le accuse e senza giustificarsi, comincia a recitare la XX. La sura Tà-Hà. ‘Omar ascolta e viene attratto dalla magia di queste parole: «Nel nome di Dio, clemente misericordioso! Tà-Hà. Noi non abbiamo rivelato il Corano perché tu patisca, bensì soltanto come ammonimento a chi teme, rivelazione che viene da Colui che ha creato la terra e i cieli alti. Il Misericordioso s’è assiso in gloria sul Trono! Non c’è altro Dio che Lui, il Dio cui appartengono i nomi più belli». Dopo aver ascoltato questo brano ‘Omar dice: «Quanto è bello questo discorso, e quanto è nobile!» e vuole trascriverlo sul suo quaderno [sahifa]. E mentre la sorella comincia a dettare con devozione ‘Omar scrive e declama il testo affascinato dalla magia delle parole.

   In proposito è necessario fare una riflessione di carattere filologico: perché la XX sura si chiana Tà-Hà? Che significato hanno queste due lettere dell’alfabeto? La XX. La sura Tà-Hà è composta da 135 versetti ed è famosa per essere la “sura della conversione di ‘Omar” ma anche perché questo testo evoca il personaggio di Mosè. Il titolo di questa sura deriva dal primo versetto che è formato da due lettere dell’alfabeto: T e H. Sono ben ventinove le sure del Corano che iniziano con delle semplici lettere dell’alfabeto, con delle “lettere isolate [huruf al-muqatta’at]”, così vengono chiamate in arabo, e l’interpretazione di questo fatto ha dato molto da fare, nel corso dei secoli, alle studiose e agli studiosi di filologia. Sono in tutto quattordici le lettere dell’alfabeto arabo che compaiono sia sole, sia in gruppi da due a cinque, per dare il titolo a ventinove sure: qual è il loro significato? Ci sono diverse correnti di pensiero in proposito: c’è chi sostiene si tratti di sigle abbreviative di carattere numerico che abbiano un valore mistico-cabalistico [naturalmente anche l’islàm ha la sua “cabala”], c’è chi sostiene che siano parole sacre incomplete e incomprensibili oggi e che Dio svelerà il Giorno del giudizio, c’è chi sostiene che il Profeta fosse un po’ balbuziente e che non riuscisse bene ad articolare quelle parole nell’estasi mistica, c’è chi sostiene che si tratti di abbreviazioni dei nomi dei possessori dei codici del testo del Corano prima della sua raccolta definitiva e questa è l’ipotesi più accreditata. Oggi, nella recitazione, le lettere vengono lette staccate col loro nome per intero e la dicitura “Tà-Hà” della XX sura è diventata anche un nome proprio di persona.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quali sono le quattro lettere dell’alfabeto che, o per il loro suono o per la loro grafia, vi piacciono di più?

Scrivetele...    

   Nell’itinerario della scorsa settimana abbiamo lasciato in sospeso una questione relativa al personaggio di ‘Imran e, quindi, adesso dobbiamo rispondere alla domanda: chi è ‘Imran e come è composta la famiglia di ‘Imran? Sappiamo, infatti, che la III sura s’intitola: “della famiglia di ‘Imran”. La III. La sura della famiglia di ‘Imran è molto lunga: è la seconda sura più lunga [dopo la sura della Vacca] e conta 200 versetti. ‘Imran, nella Letteratura del Corano, è il padre di Maria, la madre di Gesù, ed è lo stesso personaggio che, nella tradizione cristiana dei Vangeli apocrifi, si chiama Gioacchino e sua moglie è Anna, la madre di Maria. Questa è la “famiglia di ‘Imran”: Gioacchino, Anna [che si festeggia il 26 luglio] e Maria. La tradizione giudaico-cristiana e la tradizione islamica si abbeverano alle stesse fonti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Le figure di Gioacchino e di Sant’Anna hanno un posto ragguardevole nella Storia dell’Arte: con un Catalogo da richiedere in biblioteca e navigando in rete potete osservare come li ha dipinti Giotto [intorno al 1306] questi due personaggi nella Cappella degli Scrovegni della chiesa dell’Arena a Padova ispirandosi ad un episodio tratto dal testo apocrifo del “Proto-Vangelo di Giacomo” riportato dalla “Leggenda aurea” di Jacopo da Varagine

Andate ad osservare quest’opera: che cosa stanno facendo Gioacchino ed Anna?

   La sura della famiglia di ‘Imran è talmente ricca di spunti e di motivi culturali che non basterebbe un viaggio intero per affrontarli tutti. Nel testo di questa sura emerge il fatto che la Letteratura del Corano attinge alle stesse fonti della tradizione giudaico-cristiana. Il tema più significativo, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, che dobbiamo affrontare avvicinandoci al testo della III. La sura della famiglia di ‘Imran comporta una riflessione [che più volte nei nostri viaggi abbiamo compiuto] sulla Letteratura dei Vangeli apocrifi che risulta essere un paesaggio intellettuale dove la cultura giudaico-cristiana e la cultura islamica s’incontrano e si riconoscono. Per procedere dobbiamo, quindi, ripassare [brevemente] gli elementi che caratterizzano la Letteratura dei Vangeli “apocrifi”.

   I quattro Vangeli “canonici [secondo Marco, Matteo, Luca, Giovanni]” rappresentano la “regola di carattere generale” perché la parola “canon” [in greco] significa “righello per misurare” e stabilisce una misura valida per tutti, mentre i Vangeli “apocrifi” sono riservati a un singolo gruppo perché il termine “apocrifo” [in greco] significa “appartato, riservato” [ad un gruppo di persone]. Il catalogo della Letteratura dei Vangeli apocrifi contiene 35 testi [li trovate e li potete richiedere in biblioteca] divisi a seconda delle loro diverse caratteristiche. Questi testi sono stati scritti dopo i Vangeli canonici tra il II e il IV secolo e gli autori sono anonimi: queste opere sono una delle testimonianze più vive del cristianesimo delle origini e in questi testi i primi gruppi di cristiani riversano il loro bisogno, anche un po’ ingenuo, di rivelare tutto ciò che i Vangeli canonici non hanno detto di Gesù. I Vangeli “apocrifi” raccolgono tutta la tradizione leggendaria sull’infanzia di Gesù, sulla storia dei suoi genitori, sui prodigi che accompagnano la sua vita, sui misteri che seguono la sua morte, mettendo in gioco – e sviluppandola in modo mitico – la storia di molti personaggi collaterali: Giuseppe il falegname, Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea, c’è anche un ciclo di scritti [otto testi] su Ponzio Pilato.

   I testi dei Vangeli “apocrifi” sono eccezionali dal punto di vista letterario, perché sono stati elaborati con una grande fantasia, ricca di tutta la cultura orientale ed ellenistica, e poi sono permeati dall’idea che “qualcosa di nuovo” sta accadendo, qualcosa di nuovo sta sorgendo sulla decadenza del mondo antico [come se l’implosione in atto avesse un risvolto positivo] ed è soprattutto per questo motivo che la Letteratura dei Vangeli “apocrifi” ha un grande successo in Età alto-medioevale, e la bellezza artistica, poetica, di questi testi, si mescola alla forza creativa che deriva dalla volontà del cambiamento.

   Per capire questo concetto è utile puntare l’attenzione sul testo del Protovangelo di Giacomo, un testo bellissimo che lo si trova sempre collocato al primo posto nelle raccolte dei Vangeli “apocrifi”. Il Protovangelo di Giacomo è un’opera formata da tre testi diversi ricuciti insieme: la prima parte contiene una leggenda sulla vita di Maria di Nazareth [Gioacchino e Anna, i genitori di Maria, sono i primi protagonisti di questo testo], la seconda parte è formata da un racconto in cui Giuseppe cerca una levatrice e questa persona, competente, constata la verginità di Maria, la terza parte racconta la strage degli innocenti e l’uccisione del sacerdote Zaccaria [il padre di Giovanni il Battezzatore]. Il testo del Protovangelo di Giacomo è stato scoperto in un codice medioevale ed è stato intitolato così, in età moderna, da un umanista che si chiama Guillaume Postel che lo ha tradotto in latino dal greco e lo ha pubblicato a Basilea nel 1552.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete fate una ricerca su Guillaume Postel [1510-1581] che è un personaggio molto interessante...

   Poiché l’autore del codice dice di chiamarsi Giacomo, Postel utilizza questo dato per attribuire idealmente questo scritto a Giacomo il Minore, il fratello del Signore [secondo la Lettera ai Galati di Paolo di Tarso] e siccome Giacomo, secondo la Tradizione, è morto a Gerusalemme prima dell’anno 62, Postel chiama questo scritto “proto-vangelo” perché dovrebbe essere precedente a tutti gli altri scritti della Letteratura dei Vangeli: naturalmente l’analisi linguistica dice che questo testo è stato scritto nel IV secolo. Il testo del Protovangelo di Giacomo ha una forte valenza poetica [di sapienza poetica ellenistica] i cui racconti, ricchi di particolari leggendari, sono entrati nella Tradizione cristiana perché i Vangeli “canonici” sono avari di particolari e le persone credenti sentivano il bisogno di dare sfogo alla loro immaginazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La Scuola consiglia la lettura o la rilettura del testo del “Protovangelo di Giacomo” che ha ispirato molte altre opere: figurative, letterarie, teatrali, cinematografiche, canore…

   La Letteratura dei Vangeli “apocrifi” – in particolare quelli cosiddetti dell’infanzia – è ben conosciuta da Muhammad e dai compilatori della tradizione islamica: questa Letteratura viene apprezzata per le caratteristiche che abbiamo illustrato, ed è utilizzata dalla cultura islamica con grande devozione.

   Come fa Muhammad a conoscere questi testi? Li conosce per il semplice motivo che un certo numero di queste opere letterarie sono scritte in arabo. E adesso noi prendiamo in considerazione i testi di due Vangeli “apocrifi” che circolano scritti in arabo e in siriaco: il Vangelo dell’infanzia arabo-siriaco, e il Vangelo dell’infanzia armeno.

   E puntiamo ora l’attenzione sul Vangelo dell’infanzia armeno perché quest’opera contiene una serie di modelli culturali [di parole, di idee] che servono per favorire la comprensione della III. La sura della famiglia di ‘Imran. La III. La sura della famiglia di ‘Imran e il Vangelo dell’infanzia armeno [ci dicono le studiose e gli studiosi di filologia] vanno letti in modo “sinottico [uno di fronte all’altro]”: “fare la sinossi” significa mettere due oggetti a confronto per trovare le concordanze e le differenze. Che caratteristiche ha il Vangelo dell’infanzia armeno? I codici più antichi di questo Vangelo apocrifo sono stati distrutti, sono stati bruciati perché considerati eretici, ma qualcuno li ha ricopiati e li ha conservati. Come mai questo testo è stato considerato “eretico”, e chi lo ha salvato? Per rispondere a queste domande dobbiamo imbastire una riflessione comprendente una serie di situazioni interlocutorie [alcune già conosciute] che dobbiamo allineare sul nostro percorso.

   I manoscritti del testo del Vangelo dell’infanzia armeno sono oggi conservati nella biblioteca dei “monaci mechitaristi armeni” nel monastero dell’isola di San Lazzaro a Venezia. Chi sono i  “monaci mechitaristi”, e come ci sono capitati a Venezia dall’Armenia? Adesso noi non possiamo dedicarci a studiare la storia, lunga e complicata, dell’Armenia – che [come sapete] è uno Stato che si trova a nord-est della Turchia – così come non possiamo studiare ora tutta la Storia della Chiesa armena, detta Gregoriana perché fondata, nel IV secolo, dal monaco Gregorio l’Illuminatore.

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Voi però [in settimana] potete dedicarvi a fare una ricerca sulla Storia dell’Armenia e della Chiesa armena utilizzando l’enciclopedia e la rete...

   I monaci “mechitaristi” appartengono ad una congregazione armena di regola benedettina [secondo la regola “ora, studea, labora et cura”]; ebbene, un abate di questa congregazione benedettina armena, Manuk detto il Consolatore, primate dell’abbazia di Pera, vicino a Istanbul, dà inizio, nel 1701, ad una riforma della regola per poter meglio salvaguardare la cultura armena perché non si estinguesse di fronte ad un pericolo incombente. Dobbiamo dire che il termine di “Consolatore”, che accompagna il nome dell’abate Manuk, in lingua armena si traduce Mekitar [in armeno Mekitar significa Consolatore] ed è da questa parola che deriva il nome di “mechitaristi” attribuito ai monaci armeni dell’isola di San Lazzaro a Venezia.

   Come mai sono approdati a Venezia questi monaci? Nel 1717 la Serenissima Repubblica di Venezia è in guerra con i Turchi: sembra una guerra di religione ma ha solo delle motivazioni economiche [si combatte per i “sghei”, i soldi, gli affari]. I Veneziani, d’accordo con il papa Clemente XI [Gian Francesco Albani originario di Urbino], concedono “l’assegnazione in perpetuo” dell’isola di San Lazzaro alla congregazione benedettina mechitarista armena la quale rischiava di pagare le conseguenze di questa guerra alla quale era estranea, ma i Veneziani, che stavano attaccando, approfittando di un momento di debolezza dell’impero turco, avevano occupato i monasteri cristiani armeni facendoli diventare delle “basi militari” e i benedettini mechitaristi, che abitavano in un punto strategico, loro malgrado – perché si allontanavano malvolentieri dall’oriente e con i Turchi avevano sempre convissuto in pace –, per non subire rappresaglie [da entrambe le parti] dovettero accettare l’offerta dell’esilio. Ed è così che insieme a questi monaci in una cassa piena di tanti altri preziosi documenti, nel 1717, è arrivato a Venezia anche il codice manoscritto del Vangelo dell’infanzia armeno.

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Con una guida di Venezia, e navigando in rete, potete andare a scoprire l’isola di San Lazzaro degli Armeni in modo da raccogliere delle notizie utili per progettare un’escursione visto che la laguna veneta non è lontana e questo luogo ci appartiene culturalmente …

   I monaci mechitaristi hanno sempre conservato il testo del Vangelo dell’infanzia armeno convinti che non contenesse alcuna interpretazione contraria alla fede cristiana: essendo un “apocrifo” sono consapevoli che quest’opera è scritta con uno stile che descrive in modo “leggendario, mitico e anche un po’ bizzarro” gli avvenimenti della vita di Gesù e dei personaggi che ruotano intorno a lui. Ma non è questo il motivo [il modo non ortodosso con cui viene narrata la vita di Gesù] per cui il Vangelo dell’infanzia armeno ha rischiato di essere soppresso: questo Vangelo ha rischiato di scomparire perché è un’opera che contiene idee e parole-chiave di tendenza “nestoriana”, e la tendenza “nestoriana” è una corrente di pensiero che fa riferimento ad un personaggio che si chiama Nestorio, e chi è Nestorio? Nestorio [380 circa-451] è un monaco siriano che si è formato culturalmente alla Scuola del teologo Teodoro di Mapsuestia, una città non lontano da Antiochia. L’antica Mapsuestia [di origine ittita, conquistata dai Romani, dai Bizantini, dagli Arabi, dai Crociati, governata dai Genovesi, annessa all’impero ottomano] oggi si trova sulla costa mediterranea della Turchia [al centro del golfo di Antiochia] e corrisponde alla cittadina di Yakapinar.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida della Turchia, che potete richiedere in biblioteca, e navigando in rete fate un’escursione a Yakapinar, l’antica Mapsuestia: è un luogo che ci appartiene culturalmente

   Nestorio vive a lungo nel deserto [nei pressi dell’oasi egiziana di El-Kharga] e, nel 428, viene chiamato, per la sua eloquenza e la sua competenza dottrinale e pastorale, a ricoprire la carica di vescovo di Costantinopoli. Nestorio è un esegeta che è stato, nel V secolo, uno dei protagonisti del grande dibattito [del grande scontro] sul tema della definizione della natura di Gesù Cristo. Questo scontro [come sapete] avviene nel corso dei primi concilî ecumenici: di Nicea [nel 325], di Costantinopoli [nel 381], nei due concilî di Efeso [nel 431 e nel 449] e in quello di Calcedonia [nel 451], tanto ci vuole [circa un secolo e mezzo, e quante volte l’abbiamo studiata questa questione] per mettere a punto quello che oggi chiamiamo “il Credo”, il documento che determina l’ortodossia della Chiesa universale [cattolica romana].

   Nella grande polemica ideologica in corso sul tema della definizione della natura di Gesù Cristo: quali sono le idee di Nestorio [qual è la tesi nestoriana]? Nestorio si schiera contro il “monofisismo [phisis natura, monos una sola]” una tendenza creata dal monaco Eutiche, il quale sostiene che Gesù Cristo ha una “sola natura, quella divina”: questa idea prende campo nella Chiesa orientale ma viene condannata nel primo concilio di Efeso [nel 431]. Nestorio invece [al primo concilio di Efeso] sostiene la “duplice natura”, umana e divina, di Gesù ma nega per Maria l’attributo di “madre di Dio [theotokos theotokos]” sostenendo quello di “madre di Cristo” per giustificare il fatto che Gesù è un “essere umano” a pieno titolo. Gesù non è [sostiene Nestorio] l’incarnazione della Parola di Dio [del Logos] ma è un “essere umano” con cui la “parola di Dio” si è congiunta nel momento in cui Dio ha deciso di adottarlo. Quindi il Logos, la Parola divina, “è scesa” in Gesù ad un certo punto della sua vita di uomo quando il Padre ha deciso di glorificarlo adottandolo e fornendolo di una “identità divina [questo è avvenuto con il battesimo di Giovanni]”, quindi Gesù [sostiene Nestorio] non è fatto di “sostanza” divina ma è stato dotato di un “carattere [tropos tropos] divino”. Questa tesi “nestoriana” collima con quella islamica della “discesa del Corano” nella persona di Muhammad, il quale però rimane fondamentalmente un uomo [Muhammad non ha una carta d’identità divina].

   Il secondo concilio di Efeso, convocato nel 449 dall’imperatore “monofisita” Teodosio II, condanna la tesi di Nestorio [Gesù Cristo è vero Uomo a cui Dio, per adozione, ha impresso un’identità divina] ma è un concilio viziato da un “colpo di mano dei monofisiti” che impongono con la forza la loro tesi [già condannata, come abbiamo detto dal concilio precedente] che sostiene l’unica natura divina di Gesù Cristo. Il papa Leone I [lo conosciamo Leone Magno da Volterra, papa dal 440 al 461, che ha fermato gli Unni di Attila e si è accordato con i Vandali di Genserico per il sacco di Roma] è assai meravigliato da questa convocazione dell’imperatore bizantino per ridiscutere [ancora una volta?] sulla “natura di Gesù” e manda i suoi delegati a Efeso con una sua Lettera dogmatica detta Tomus [dissertazione inviata a Flaviano] in cui ribadisce la tesi di Nicea: “Gesù Cristo ha una duplice natura, è vero Dio e vero Uomo, è l’incarnazione della Parola di Dio [del Logos] e la sua umanità è piena”. Ma, a Efeso, la delegazione papale viene presa in ostaggio e costretta con la forza ad approvare la tesi “monofisita” di Eutiche. Ricevuta la notizia di questo “colpo di mano” Leone reagisce subito con determinazione contro questo atto intimidatorio che chiama “latrocinio efesino” e, dopo avere rimproverato severamente l’imperatore Teodosio II intimandogli di rinnegare il “monofisismo”, convoca un altro concilio a Calcedonia dove, nel 451, la Chiesa di Roma impone la sua visione sulla natura di Gesù Cristo, ribadendo il dettato del simbolo Niceno [il Credo]. La Chiesa di Roma, a Calcedonia, definisce per decreto la natura di Gesù Cristo, tuttavia, lo stesso Leone I è consapevole che non si tratta del trionfo della Fede ma del prevalere di una formula di carattere filosofico su altre formule tutte, per giunta,  giustificabili alla luce della Letteratura dei Vangeli e, difatti, il dibattito sulla “natura di Gesù Cristo” è ancora in corso e a questo dibattito partecipa [e ha sempre partecipato] tutto il mondo della cultura [sia religioso che laico].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il dibattito sulla “natura” di Gesù Cristo è ancora in corso...  Voi quale tesi preferite: quella adozionista che considera Gesù un uomo adottato e glorificato da Dio secondo la Chiesa nestoriana, oppure la tesi monofisita che considera Gesù Cristo provvisto dell’unica natura divina secondo la Chiesa copta, oppure la tesi secondo cui Gesù Cristo è vero Dio e vero Uomo secondo la Chiesa cattolica di Roma?... 

Basta una riga scritta per rispondere...

   Il concilio di Calcedonia si conclude con una [famosa] dichiarazione: il testo di questa dichiarazione è formato da sole sette righe ma il suo contenuto ha condizionato nei secoli la Storia del Pensiero, soprattutto di quello Occidentale. E allora leggiamola la Dichiarazione conciliare di Calcedonia.

LEGERE MULTUM….

Dichiarazione conciliare di Calcedonia

Noi insegniamo a una sola voce un solo e medesimo Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, perfetto in divinità e insieme perfetto in umanità, veramente Dio e veramente Uomo, fatto di un’anima razionale e di un corpo della stessa sostanza del Padre secondo la divinità, della stessa sostanza nostra secondo l’umanità, simile a noi fuori che nel peccato, generato dal Padre prima di tutti i secoli quanto alla sua divinità, ma negli ultimi giorni per noi e per la nostra salvezza generato da Maria Vergine, Madre di Dio quanto alla sua umanità.

   Oggi l’antica Calcedonia è una località che si chiama Kadiköy e si trova negli immediati dintorni di Istanbul: fa parte dei suoi sobborghi sud-orientali lungo la costa asiatica del Mar di Marmara, all’ingresso del Bosforo. L’antica Calcedonia è stata fondata prima di Bisanzio dai Fenici [nel II millennio a.C.] e poi colonizzata dai Megaresi [verso il 685 a.C.], in seguito è stata conquistata dagli Ateniesi [nel 409 a.C.], poi dai Persiani, poi da Costantino nel 324, mentre Giustiniano nel IV secolo l’ha abbellita e fortificata. Oggi l’antica Calcedonia [Kadiköy] è un’affascinante cittadina dall’aspetto tipicamente turco con le sue vecchie case di legno [convertite in hotel e in caffè] che sia affacciano sulla baia antistante.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida della Turchia e navigando in rete fate un’escursione a Kadiköy, l’antica Calcedonia: è un luogo che ci appartiene culturalmente   

   Quindi nel 451, a Calcedonia,  i Padri conciliari condannano, a maggioranza, tanto il “monofisismo” di Eutiche quanto “le tesi” di Nestorio. I “monofisiti” [per evitare persecuzioni] fuggono in Egitto dove si sviluppa la Chiesa copta [quft, egiziana] che conserva tuttora un carattere “monofisita”. Nestorio muore nell’oasi egiziana di El-Kharga nel 451 subito dopo la fine del concilio di Calcedonia, e i suoi seguaci non accettano la condanna e fondano la “Chiesa nestoriana cattolica apostolica d’Oriente” e, di conseguenza, sono costretti a rifugiarsi fuori dal territorio dell’Impero bizantino e migrano in Armenia, in Arabia, in Persia: in tutti questi luoghi la dottrina “nestoriana” ha avuto una grandissima diffusione. La Chiesa nestoriana ha avuto il grande merito di conservare nelle sue biblioteche numerose opere di filosofia e di scienza della Grecia classica [in primo luogo le Opere  di Platone e di Aristotele] tradotte in siriaco e in arabo: quegli stessi testi che, intorno all’anno Mille,  attraverso gli Arabi, faranno la loro ricomparsa in Occidente.

   E ora, dopo questa ampia riflessione che abbiamo fatto, possiamo prendere in considerazione il testo del Vangelo dell’infanzia armeno, ma era necessario percorrere questa strada per capire le caratteristiche di questo testo che dobbiamo mettere in relazione con la Letteratura del Corano.

   Il testo del Vangelo dell’infanzia armeno, conservato e protetto dai monaci benedettini mechitaristi, contiene un’interpretazione di tendenza nestoriana della fede: in che cosa si concretizza, in quest’opera, la “tendenza nestoriana”? Prima di tutto la “tendenza nestoriana” si realizza nella volontà di mettere in risalto l’aspetto umano di Gesù: la “natura umana [secondo Nestorio e secondo il testo del Vangelo dell’infanzia armeno]” rappresenta la caratteristica fondamentale di Gesù, e il “Gesù armeno” partecipa in modo amorevole e pietoso alle vicende di questo mondo. L’umanità di Gesù risalta negli straordinari racconti della sua infanzia dove il suo “essere bambino e adolescente” emerge con tutte le caratteristiche tipiche di queste età e, difatti, i capitoli che raccontano gli episodi della fanciullezza di Gesù nel testo del Vangelo dell’infanzia armeno sono veramente curiosi e divertenti, e meritano di essere letti. Ci si trova di fronte ad un bambino assai vivace, assai birichino, anche un po’ sadico [come sono i bambini] che approfitta dei suoi poteri facendo degli scherzi [a volte] non molto simpatici.

   Il fanciullo Gesù spesso “fa danni” con un certo gusto della monelleria ma li procura per poi poterli riparare con un miracolo. Ai suoi compagni di giochi ne fa un po’ di tutti i colori: li fa diventare rossi con una tintura indelebile, li fa punzecchiare da vespe e zanzare, li fa diventare ciechi, gli sloga le ginocchia per non farli più camminare, ma poi, naturalmente, rimette tutto a posto. Quando inizia a lavorare nella bottega di un tintore Gesù gioca al suo datore di lavoro un bello scherzo [ora non c’è tempo per raccontare questo curioso episodio]: andate a leggere il Vangelo dell’infanzia armeno e vi divertirete perché è un’opera [una sorta di breve proto-romanzo di sessanta pagine] che, con la sua forza creativa, anticipa il genere letterario del “romanzo medioevale”.

   Colpisce il fatto che Gesù [come spesso fanno gli adolescenti un po’arroganti] “tratta spesso assai male sua madre Maria” che subisce remissiva e, naturalmente, il vecchio padre Giuseppe conta pochissimo. Le “monellerie” di Gesù sono però sempre inserite in un contesto di interventi amorevoli e generosi: guarigioni di ammalati, riconciliazione di persone che litigano, dono di saggi consigli e di sapienti indicazioni, anche se c’è, quasi sempre, un atteggiamento provocatorio da parte di Gesù che, sulle prime, fa sempre irritare fortemente i suoi interlocutori per farli riflettere.

   La persona che ha scritto il testo del Vangelo dell’infanzia armeno conosce bene il metodo della “maieutica socratica”: vuole far ragionare le lettrici e i lettori in modo che si rendano conto delle loro debolezze e delle loro ipocrisie. Questo insistere, da parte di chi scrive, sul comportamento “umano” di Gesù è un modo per polemizzare contro la “dottrina monofisita” che vede in Gesù solo una “bella figura divina” che non ha nessun contatto con la “natura umana”.

   La dottrina nestoriana non nega però la trascendenza di Gesù ma proclama che Gesù ha anche una “identità divina” e il capitolo finale, il XXVIII, del Vangelo dell’infanzia armeno contiene un dialogo platonico tra Gesù e un soldato, il quale gli chiede: «Ma tu, di chi sei figlio?». A questa domanda Gesù risponde con una formula molto significativa sulla sua duplice identità.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Se voi [o per gioco o per necessità] foste obbligate ed obbligati a cambiare identità quale nome e cognome, quale luogo e quale data di nascita, quale professione e quale stato sociale scegliereste?...   Falsificate [con intento letterario] la vostra carta d’identità: bastano quattro righe di scrittura in proposito...   

   E ora, dal testo del Vangelo dell’infanzia armeno, leggiamo il brano in cui l’autore di quest’opera, di tendenza nestoriana, disegna la carta d’identità di Gesù.

LEGERE MULTUM….

Vangelo dell’infanzia armeno  XXVIII  2-3

Il soldato domandò ancora: «E dov’è tuo padre?». «è in cielo, al di sopra della terra, rispose Gesù.  «E tu come puoi andare presso di lui?», chiese il soldato.

Gesù rispose: «Io ci sono stato, e anche ora sono con lui».  Disse il soldato: «Non riesco a capire quello che tu dici!»«è inesplicabile e inesprimibile», ammise Gesù.  «Allora chi lo può capire?», disse il soldato. Rispose Gesù: «Se tu me lo chiedi, io te lo spiegherò».  Il soldato disse: «Ti prego, dimmelo!».  Gesù disse: «Io ho soltanto il padre in cielo e nessuna madre, soltanto la madre in terra e nessun padre».  Il soldato disse: «Ma come sei nato, e come sei stato allevato? Sei forse un’ombra?».

   Il dialogo continua e potete proseguire la lettura per conto vostro: il testo del Vangelo dell’infanzia armeno si legge come un breve romanzo [ma non abbiamo ancora finito di parlare della forma e del contenuto di questo testo]. L’autore del Vangelo dell’infanzia armeno diventa un “provocatore letterario” quando fa domandare dal soldato a Gesù: «Sei forse un’ombra?». Con questo interrogativo l’autore di quest’opera provoca nella nostra mente un intreccio filologico e c’invita a dipanarlo.

   Dovendo progettare in chiave letteraria la “falsificazione della nostra identità” il pensiero corre inevitabilmente al romanzo Il fu Mattia Pascal  di Luigi Pirandello. Abbiamo spesso incontrato Luigi Pirandello [1867-1936, premio Nobel per la Letteratura nel 1934] nel corso dei nostri viaggi: avete letto Il fu Mattia Pascal? Questo romanzo, pubblicato nel 1904, è diventato un classico tradotto in tutte le lingue [ridotto per il teatro e per il cinema]. Questo è il momento di leggerlo o di rileggerlo questo romanzo. L’autore del Vangelo dell’infanzia armeno inserisce, nel brano che abbiamo appena letto, il “tema dell’ombra” che s’intreccia sempre con il “tema dell’identità”. Sapete che Mattia Pascal muore due volte: la prima volta per errore e lui ne approfitta per sparire dal suo paese e per fuggire dalla moglie e dalla suocera, mentre le circostanze della sua seconda morte [la morte del personaggio di cui ha preso l’identità: Adriano Meis che, alla fin fine, risulta essere solo un’ombra] è interessante farsele raccontare da lui.

   Noi adesso leggiamo due frammenti da Il fu Mattia Pascal solo per esercitarci a dipanare l’intreccio filologico che lega il tema dell’ombra con quello dell’identità.

LEGERE MULTUM….

Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal

Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de’ miei amici o conoscenti dimostrava d’aver perduto il senno fino al punto di venire da me per qualche consiglio, o suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo: - Io mi chiamo Mattia Pascal. 

 

 

   Ora noi dobbiamo domandarci: come entra la Letteratura del Corano in relazione con il testo del Vangelo dell’infanzia armeno? Diciamo subito che, come sapete, Gesù è uno dei protagonisti della Letteratura del Corano, e la figura [l’icona] del Gesù del Corano è tipicamente “nestoriana” perché Muhammad è entrato in contatto con l’immagine di Gesù, prima di tutto, attraverso il testo del Vangelo dell’infanzia armeno.

   Il testo del Vangelo dell’infanzia armeno è ricco di particolari inediti che arricchiscono la Letteratura dei Vangeli nel suo complesso e forniscono degli input alla Letteratura del Corano: il testo di questo  Vangelo racconta che Giuseppe e Maria vivono [sono residenti] a Gerusalemme e non a Nazareth, racconta che Gesù è nato il 6 gennaio [data poi assunta dalle Chiese ortodosse orientali per celebrare il Natale], racconta il lungo colloquio, sotto forma di dialogo platonico, tra Maria, assai titubante e sospettosa, e l’angelo dell’annunciazione, racconta il modo e il giorno e l’ora in cui Maria è rimasta incinta, racconta la visita di Eva alla grotta dopo la nascita di Gesù e il suo compiacimento per essere stata “riscattata” dalla colpa del peccato originale per merito di Maria.

   Ma il racconto tra i più significativi, in funzione del tema che stiamo trattando, riguarda i Magi. Nel testo del Vangelo dell’infanzia armeno i Magi sono tre re-fratelli che rappresentano i tre colori dell’umanità – il bianco, il nero e il giallo – ed è l’unico testo evangelico in cui il numero dei Magi è ridotto a tre e sono indicati come il re della Persia, il re dell’India e il re dell’Arabia, ed è questo racconto che ha generato la tradizione dei Re-magi nel presepio e nelle raffigurazioni della Storia dell’Arte [nel testo canonico del Vangelo secondo Matteo si parla dei Magi ma senza fissarne il numero]. Il testo del Vangelo dell’infanzia armeno racconta [e questo è un dato molto interessante] che i tre re Magi, insieme a molti altri doni, regalano a Gesù un “preziosissimo Libro” che contiene un messaggio sotto forma di lettera, scritto da Dio Padre mentre coltiva l’idea di generare un Figlio [Gesù], e questo Libro [questo messaggio] era stato consegnato ad Adamo all’inizio della creazione ed è arrivato in eredità alla famiglia dei Magi: questo Libro viene ora affidato al Figlio adottivo. Questo dato è fondamentale per la formazione culturale e mistica di Muhammad, il quale comincia a riflettere sul fatto che ci sia un “Libro scritto direttamente da Dio” che contiene proprio l’autentico “messaggio divino”.

   Ma il dato più curioso [intimo e delicato] che contiene il testo del Vangelo dell’infanzia armeno riguarda il modo in cui è stata fecondata Maria. Questo testo afferma che Maria è stata fecondata secondo la dottrina sostenuta, nel IV secolo [e questo riferimento serve anche per datare il testo del Vangelo dell’infanzia armeno], dal monaco Efrem. Chi è questo personaggio? [Se guardate sul Calendario scoprite che il 9 giugno si celebra Sant’Efrem]. Efrem [306 circa - 373] è uno scrittore siriano che vive a Edessa, oggi l’antica Edessa si chiama Urfa [Şanliurfa] ed è una moderna città che si trova nella regione della Turchia Orientale vicino al confine siriano. Questa città è molto antica e ha una storia particolarmente significativa: capitale di uno stato hurrita, poi di un principato ittita, poi provincia Macedone col nome di Edessa, poi città romana e centro di diffusione del Cristianesimo in Siria e in Persia, poi città bizantina, poi araba, poi nel 1098 viene occupata dai crociati, poi rioccupata dai mussulmani e infine [nel 1637] entra a far parte dell’Impero ottomano. A nord della città di Urfa c’è la cittadella costruita dai crociati, ai piedi della quale sgorga una sorgente [la Sorgente di Rohas] che alimenta un vasto bacino [Birket Ibraìm] legato alla figura di Abramo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Per sapere che rapporto c’è – secondo la leggenda mussulmana – tra Abramo e il bacino alimentato dalla Sorgente di Rohas che sgorga ai piedi della cittadella di Urfa, e anche per conoscere che cosa c’è di sacro in questo bacino, fate una ricerca utilizzando la guida della Turchia e collegandovi alla rete: l’antica Edessa è una città che ci appartiene culturalmente...

   Il monaco Efrem di Edessa è autore di una vastissima produzione di opere mistiche, esegetiche e polemiche: il suo testo più celebre è intitolato Annunciazione a Maria e tratta il tema della fecondazione della Vergine. Efrem sostiene che deve essere messo in evidenza dalla dottrina il fatto che Maria è stata fecondata “per via auricolare” e scrive: «La Parola di Dio pronunciata dall’angelo penetra nell’orecchio di Maria scende nel ventre e la feconda garantendone la verginità». Questi due elementi – “la via auricolare” e la “verginità” – incidono sulla formazione culturale e mistica di Muhammad e trovano riscontro nella Letteratura del Corano perché l’idea che “la Parola divina passa per l’orecchio, scende e si deposita in modo fecondo nella persona umana” è contestuale alla tradizione dell’islam: anche il Libro del Corano è “sceso in Muhammad per via auricolare”, e la figura di Maria nel testo del Corano viene esaltata per la sua “verginità”, molto di più di quanto faccia la Letteratura dei Vangeli.

   E adesso, dopo questa lunga riflessione, possiamo leggere, in proposito, un brano [otto versetti] della III. La sura della famiglia di ‘Imran – è da lì che abbiamo preso il passo – dove l’esaltazione delle figure di Maria e di Gesù ci fanno capire che  il dialogo tra ebraismo, cristianesimo ed islam è inevitabile [non lo scontro].

LEGERE MULTUM….

III. La sura della famiglia di ‘Imran    42-50

Nel nome di Dio, clemente misericordioso!

Quando gli angeli dissero O Maria, Iddio ti ha prescelto, ti ha reso pura e ti ha preferito su tutte le donne del mondo. O Maria, obbedisci al tuo Signore, inchinati insieme a quelli che s’inchinano. O Maria, Iddio ti annuncia il Suo Verbo, il cui nome sarà il Messia, Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell’altro, uno di quelli che sta vicino a Dio. Parlerà agli umani nella culla e da adulto, e sarà uno dei buoni. Disse Maria: Signore, io avrò un figlio, e nessun uomo mi ha toccato?.

Rispose l’angelo: In questo modo Dio crea quel che vuole; decisa una cosa, dice sii ed essa è. Dio insegnerà a Gesù il Libro e la Sapienza, la Toràh e il Vangelo, egli sarà suo inviato ai figli d’Israele. Sono venuto a voi, dirà, con un segno da parte del vostro Signore Guarirò il cieco e il lebbroso, risusciterò i morti, col permesso di Dio vi dirò che cosa dovete mangiare e che cosa accumulare nelle vostre case; tutto questo sarà un segno per voi, se siete credenti.

E adesso leggiamo il versetto 9 del capitolo V del Vangelo dell’infanzia armeno dove ci viene comunicato il modo e il momento preciso [il giorno e l’ora] in cui ha inizio la gravidanza di Maria.

LEGERE MULTUM….

Vangelo dell’infanzia armeno   9

- Se è così [dice Maria all’angelo] come tu dici, avvenga di me secondo la tua parola!

Nel medesimo istante che la santa vergine diceva queste parole e si umiliava, la Parola di Dio penetrò in lei attraverso l’orecchio, e la natura intima del suo corpo venne santificata in tutti i suoi organi e i suoi sensi e purificata come l’oro dentro il crogiuolo. Ella divenne un tempio sacro, immacolato, dimora della divinità. In quel momento cominciò la gravidanza della santa vergine. Quando l’angelo aveva portato la buona notizia a Maria era il 15 di nisàn [il 6 aprile], un mercoledì, alla terza ora.

   E ora riprendiamo il passo facendo il punto sul tema della “cronologia storica” di Muhammad: noi ci stiamo avvicinando alla Letteratura del Corano seguendo il filo conduttore degli avvenimenti della vita del Profeta.

   Abbiamo iniziato l’itinerario di questa sera ribadendo il fatto che, nel 616, un importante personaggio della Mecca aderisce al “messaggio monoteista” di Muhammad: è ‘Omar ibn al-Khattab che, dopo la morte del Profeta, sarà alla guida della comunità islamica: il califfo ‘Omar. Quindi la conversione di ‘Omar, l’appoggio del potente zio di Muhammad, Abu Talib e di Khadijia, sua moglie, che è stata la prima a credere nelle sue “Rivelazioni”, ed è [come sappiamo] una ricca mercantessa, è una donna di potere alla Mecca, ebbene, questi personaggi si fanno difensori e protettori di Muhammad, lo difendono dall’esclusione e “garantiscono per lui” e costituiscono un piccolo punto di forza, sufficiente tuttavia, perché Muhammad possa evitare l’annientamento fisico e l’affossamento del suo messaggio.

   Ma l’anno 619 è per Muhammad un anno veramente drammatico: è l’anno della morte dello zio e della moglie. La morte dello zio Abu Talib e quella della moglie Khadijia, nell’anno 619, costituisce una vera disgrazia per Muhammad. La pressione dei suoi nemici aumenta e, quindi, Muhammad matura l’idea di allontanarsi dalla Mecca, e decide di ritirarsi nella città-oasi di al-Ta’if, a circa 70 chilometri a sud-ovest dalla Mecca, dove cerca protezione e comprensione presso la tribù dei Thaqif. Ad al-Ta’if Muhammad tenta di predicare il suo “messaggio” ma anche i Thaqif lo respingono ed è costretto a tornare indietro, alla Mecca.

   Che cosa ci raccontano la tradizione islamica e la Letteratura del Corano a proposito di questi avvenimenti? Naturalmente abbiamo il resoconto della Sira, la vita-modello del Profeta che ci mette al corrente di quello che accade a Muhammad quando ritorna sui suoi passi alla Mecca dopo la breve e drammatica permanenza ad al-Ta’if. Il testo della Sira racconta che nonostante la perdita di persone terrene a lui fedeli [lo zio e la moglie], nonostante il fallimento della sua predicazione e la fuga da al-Ta’if, nonostante la disperazione per la solitudine, qualcosa di bene succede perché Muhammad ha il coraggio di affidarsi, di abbandonarsi [islàm] alla volontà di Dio e di usare “un’arma”, che è l’unica che Muhammad considera “legittimata da Dio”.

   Le armi della guerra guerreggiata [un argomento di cui parleremo] sono considerate dalla Letteratura del Corano un “miserabile espediente terreno” per difendere la propria incolumità: questo è un argomento non secondario perché Muhammad ha dovuto combattere delle guerre guerreggiate [e studieremo le “campagne militari” che ha dovuto sostenere] ma il “combattere per aprire la via di Dio [come recita la Letteratura del Corano]” ha una chiara motivazione storica legata solo e comunque alla sopravvivenza perché l’annientamento dei credenti [muslim] porta all’affossamento del “messaggio di salvezza di Dio” e, quindi, bisogna anche combattere [ma solo] quando è a rischio la propria sopravvivenza e solo per poter continuare ad “aprire la via di Dio”, ma non è assolutamente prescritto, anzi è vietato, combattere per “imporre la via di Dio” perché solo Dio è capace di imporsi e, se vuole, lo fa per conto suo. Dio, quindi, concede unicamente la possibilità di “difesa” per salvare la pelle e continuare ad “aprire la via di Dio” con le armi legittimate da Dio, e le armi legittimate da Dio sono: la preghiera, il digiuno, l’elemosina, il pellegrinaggio, è solo con queste armi che il credente [muslim] dichiara la propria fede.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Queste “armi” le utilizzate anche voi?... Quali di queste quattro parole – la preghiera, il digiuno, l’elemosina, il pellegrinaggio – mettereste per prima?...

Scrivete due righe in proposito ...

   Tutte le parole della Letteratura del Corano [e ce ne sono un certo numero] che riguardano la “guerra guerreggiata” si riferiscono ad un preciso avvenimento storico: una guerra di resistenza e di liberazione legata ad un periodo ben circoscritto e ben identificato. Chi ha utilizzato poi, successivamente, le parole di Muhammad che incitano alla “guerra guerreggiata come forma di resistenza” e le ha utilizzate fuori da questo contesto storico per “imporre la via di Dio” ha praticato una lettura di tipo “imperialista” della Letteratura del Corano perché la principale “arma legittimata” da Dio per “aprire la via che porta a Lui” è la “preghiera” sotto forma di recitazione [qur’an] del testo del Corano. La preghiera è “fātiha [aprente]”, “apre la via di Dio” agli esseri umani e anche agli esseri soprannaturali.

   Ma leggiamo che cosa ci racconta la Sira, in queste poche righe, sul viaggio di ritorno di Muhammad da al-Ta’if  alla Mecca.

LEGERE MULTUM….

Ibn Ishaq-Ibn Hisam,  Sira - La vita-modello del Profeta

Lungo la via del ritorno da al-Ta’if alla Mecca, il Profeta, passava la notte in preghiera. La terza notte, un certo numero di demòni [ginn] ascoltò di nascosto la sua preghiera e si convertì. Per via della potenza della Parola pronunciata dal Profeta anche i demòni non si possono sottrarre a questa Recitazione [qur’an] e si sottomettono all’Unico Dio.

   Il testo della Sira vuole – non in senso storico ma catechetico [pastorale] – mettere in evidenza che “la forza della preghiera” e “l’autoconvinzione a praticare il Bene” [questi sono i due cardini del messaggio coranico] sottomette anche i demòni, e i “demòni”, anche per la cultura islamica, sono: le passioni, gli egoismi, la chiusura alla solidarietà, l’ignoranza, la sottomissione all’indottrinamento. E due settimane fa, su questo tema abbiamo già riflettuto puntando l’attenzione sul romanzo intitolato I demonî di Dostoevskij.

   Il brano della Sira che abbiamo letto poco fa collega l’episodio della conversione dei demòni [dei ginn] a due brani simili del Corano che hanno lo stesso intento “pastorale” quello di esaltare la “forza della preghiera” che consiste nel “recitare il Corano”: la preghiera è un esercizio che trasforma ciò che è male in bene. Questa è la principale “arma” legittimata da Dio e bisogna pregare per “riflettere” sulla condizione umana in modo da autoconvincersi a praticare il Bene. Leggiamo due versetti tratti dalla LXXII. La sura dei ginn il cui testo ribadisce questo concetto.

LEGERE MULTUM….

LXXII. La sura dei ginn  1-2

Nel nome di Dio, clemente misericordioso!

Dì: Mi è stato rivelato che un gruppo di ginn ascoltò il Corano, poi dissero: Davvero predicazione udimmo meravigliosa, che guida alla Retta Via; vi crediamo dunque e nulla [nessun idolo] più assoceremo al Signore!

   Ma chi sono, o meglio, che cosa sono i “ginn”? In italiano il termine “ginn” lo possiamo tradurre con la parola “genio” e noi conosciamo, attraverso la Storia della Letteratura, un “famoso genio”: un favoloso personaggio che si mette al nostro servizio ed esaudisce tutti [non più di tre] i nostri desideri. I ginn sono figure fantastiche che provengono dal mondo immaginario pre-islamico, e in tutte le tradizioni troviamo personaggi simili: folletti, gnomi, elfi, troll, spiritelli, diavoletti. Nell’immaginario pre-islamico i ginn possono essere invisibili o assumere l’aspetto di scorpioni, di serpenti, o del vento o di una persona. Nell’immaginario popolare arabo i ginn vengono fatti abitare soprattutto nei bagni pubblici della città.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Nella vostra infanzia quali figure fantastiche - folletti, gnomi, elfi, troll, spiritelli [o quali altri personaggi] - popolavano il vostro spazio reale e la vostra fantasia?

Scrivete quattro righe in proposito

   È talmente radicata la tradizione che i ginn trovano un posto anche nella Letteratura del Corano e, quindi, nella Rivelazione divina. Nella Letteratura del Corano [come abbiamo appena letto] i ginn hanno una collocazione intermedia: stanno tra gli esseri umani e gli angeli, e possono essere cattivi e quindi dannarsi, oppure essere, o diventare, buoni e quindi convertirsi e andare in Paradiso. Ma nella Letteratura del Corano i ginn hanno anche la peculiarità di poter “possedere” le persone, e questa caratteristica viene usata dai “nemici di Muhammad” i quali si scagliano contro di lui e lo apostrofano sempre con questa affermazione: «È posseduto dai ginn [dal demonio]». E, a questo proposito, leggiamo un brano esemplare tratto dalla XXXIV. La sura dei Saba’.

LEGERE MULTUM….

XXXIV. La sura dei Saba’   6-8

Nel nome di Dio, clemente misericordioso!

Ora quelli cui fu data la Scienza vedono che quel che a te fu rivelato dal Signore è la Verità, e guida alla via del Possente, del Degno di Lode. E dicono quelli che rifiutano la Fede: Dovremo noi guidarvi ad un uomo, il quale vi predirà che, quando le vostre membra saranno fatte a brandelli e disperse, rinascerete a creazione novella? Ha inventato menzogne contro Dio, o è invaso dai ginn?.

No! Ché anzi chi rifiuta fede nell’Oltre, sarà nel Tormento e in erranza lontana.

   E, a questo punto, facciamo una riflessione per interpretare il fatto che la Letteratura del Corano utilizza in modo spregiudicato le figure dei “ginn”: poiché i suoi nemici accusano Muhammad di essere “posseduto dai ginn [di essere indemoniato]” e utilizzano ampiamente questa formula per screditarlo ecco che, nel bel mezzo della persecuzione della comunità mussulmana delle origini da parte dei notabili della Mecca, la Letteratura del Corano propone la “conversione dei ginn al monoteismo” e, di conseguenza, i ginn vengono riconosciuti dal testo del Corano come creature di Dio profondamente radicate in una tradizione popolare che Muhammad non vuole ignorare ma vuole inglobare nella sua “recitazione”.

   Abbiamo detto poco fa che tutte e tutti noi conosciamo, attraverso la Storia della Letteratura, un famoso “genio”: un favoloso personaggio che si mette al nostro servizio ed esaudisce i nostri desideri. Questo “benefico genio” – che, in Età contemporanea, è diventato un protagonista della Letteratura per l’infanzia e del cinema d’animazione – abita in una celebre raccolta di novelle che narrano storie d’amore e d’avventura, fiabe di magia, favole, aneddoti di origine araba, indiana e persiana: questa raccolta di novelle [sulla quale abbiamo già puntato l’attenzione sei itinerari fa, a metà febbraio, per incontrare Sinbad il marinaio sulla scia di Moby Dick] s’intitola Mille e una notte. E questi bellissimi racconti sono racchiusi in una cornice che li contiene, e che ha come protagonista una fanciulla affabulatrice [che racconta] di nome Shahrazad.

   Il primo codice che porta questo titolo, Mille e una notte, risale al X secolo [all’Età alto-medioevale] ma in Europa questa raccolta si diffonde grazie alla compilazione e alla traduzione effettuata da Antoine Galland [dal 1704 al 1717] e da allora, questa raccolta, ha esercitato una costante influenza sull’immaginario artistico occidentale perché possiede una forte carica affabulatoria che tiene sempre desta l’attenzione e l’interesse della lettrice e del lettore. Ma il “significato” di quest’opera sta nella sua cornice: Shahrazad, la vera protagonista di Mille e una notte, è [come sapete] la giovane sposa di un crudele sultano il quale, tradito dalla regina, dopo averla uccisa, decide, per vendetta contro le donne, di risposarsi ogni giorno e di sacrificare, il mattino seguente, la novella moglie per non rischiare di essere tradito ancora. Ma Shahrazad sarà capace di incastrare, una notte dopo l’altra, il sanguinario vendicatore per mezzo dei suoi “racconti” e, quindi, di neutralizzarlo. Questa cornice, sotto forma di metafora, ci fa riflettere su un’idea  fondamentale: il “raccontare” salva la vita, il “raccontare” ci tiene in vita perché la “vita è un racconto che trasfigura sempre ciò che abbiamo realmente vissuto”.

   Se giochiamo con le parole-chiave [facendo un po’ di filologia anche senza sapere la lingua araba] scopriamo che in arabo il verbo “raccontare” si traduce con il termine “haka”, e se puntiamo l’attenzione sulla parola “vita” scopriamo che in arabo corrisponde al termine “hayat” e non è casuale il fatto che queste due parole in arabo hanno una radice in comune che le unisce e dà loro la possibilità di produrre un concetto significato: la vita è un “racconto”, e il “raccontare” tiene in “vita”, l’esercizio della narrazione salva la vita.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Ecco il motivo principale per leggere e per rileggere le novelle della raccolta “Mille e una notte [Alf layla wa-layla]”…

   Della raccolta Mille e una notte abbiamo in mente di sicuro la novella che s’intitola Storia di Aladino o della lampada meravigliosa. In questa fiaba di magia incontriamo il famoso genio della lampada, erede dei ginn.

   Per concludere questo itinerario leggiamo un frammento del testo di questa novella che ci permette di fare alcune importanti considerazioni esegetiche. Muhammad prega e i ginn si convertono al bene. Aladino prega e un genio del bene lo salva, lo tira fuori dai guai.

   Le parole-chiave e le idee-significative si rincorrono nella Storia della cultura: quale riflessione possiamo fare in proposito? Voi capite che per gustare la lettura di Mille e una notte, per cogliere le sfumature del testo e per provare il piacere del testo, è necessario essere consapevoli delle forme e dei contenuti della Letteratura del Corano. Bisogna fare attenzione al fatto che Aladino risulta un personaggio letterario molto popolare proprio perché la sua storia ha delle caratteristiche simili, delle caratteristiche in comune con la storia della vita del Profeta. Aladino scopre un tesoro fantastico, è un perseguitato, uno zio lo tradisce, precipita in un baratro, i ginn lo aiutano, risorge alla luce. Questo racconto è propedeutico, è educativo, c’è un forte intento pedagogico: se si ha fiducia in Dio e si prega con cuore sincero, tutto finisce bene.

   E ora, per concludere, leggiamo questo brano dalla novella Storia di Aladino o della lampada meravigliosa tratta dalla raccolta Mille e una notte.

LEGERE MULTUM….

Antoine Galland,  Mille e una notte

Storia di Aladino o della lampada meravigliosa

Quando si vide sepolto vivo, Aladino chiamò mille volte lo zio, gridando che era pronto a dargli la lampada; ma le sue grida erano inutili, e non c’era più modo di essere inteso; perciò rimase nelle tenebre e nell’oscurità. Infine, dopo aver dato un po’ di tregua alle sue lacrime, scese fino in fondo alla scala del sotterraneo per andare a cercare la luce del giardino che aveva già attraversato; ma il muro, che si era aperto per incantesimo, si era chiuso e ricongiunto per un altro incantesimo. Va un poco innanzi a tentoni a destra e a sinistra, per parecchie volte, e non trova più la porta: raddoppia le sue grida e i suoi pianti, e si siede sopra un gradino del sotterraneo, disperando di mai rivedere la luce, anzi con la triste certezza di passare dalle tenebre in cui era in quelle di una prossima morte.

Aladino restò due giorni in questo stato, senza mangiare né bere: il terzo giorno, infine, considerando la morte inevitabile, congiunse le mani levandole al cielo e, con una completa rassegnazione alla volontà di Dio, esclamò: «Non c’è forza e potenza se non in Dio, l’Alto, il Grande!». Nell’atto di congiungere le mani, fregò senza badarvi, l’anello che il mago africano gli aveva messo al dito e di cui non conosceva ancora la virtù. Subito un genio, dalla figura enorme e dallo sguardo spaventoso, si levò davanti a lui, come se venisse da sotto terra, fino a raggiungere la volta con la testa, e disse ad Aladino queste parole: «Che vuoi? Sono pronto a ubbidirti, come tuo schiavo e schiavo di tutti coloro che hanno l’anello al dito, io e gli altri schiavi dell’anello».

In tutt’altro momento e in tutt’altra occasione, Aladino, che non era abituato a simili visioni, sarebbe stato preso dal terrore e avrebbe potuto perdere la parola alla vista di una figura così straordinaria, ma, preoccupato unicamente del pericolo presente in cui si trovava, rispose senza esitare: «Chiunque tu sia, fammi uscire da questo luogo, se ne hai il potere».

Appena ebbe pronunciato queste parole la terra si spalancò ed egli si trovò fuori dal sotterraneo, proprio nel posto in cui il mago l’aveva condotto. Non bisogna stupirsi se Aladino, che era rimasto tanto a lungo nelle tenebre più fitte, in un primo momento stentasse a sopportare la piena luce. A poco a poco i suoi occhi si abituarono e, guardandosi intorno, fu molto stupito di non vedere nessuna apertura nella terra.

   Un’altra leggenda popolare di carattere mistico e di grande fascino narrativo riguarda l’ultima fase dell’attività di Muhammad alla Mecca. Questo racconto contiene il tema della cosiddetta “ascensione del Profeta” che consiste in un “viaggio notturno” e voi capite quali implicazioni culturali porta con sé questo tema. Come si svolge, e che significato ha questo straordinario viaggio notturno? E sapete a bordo di che cosa, Muhammad, compie questo favoloso viaggio? Vola su un Buraq. Se non avete mai volato su un Buraq: volete forse perdere questa occasione? Sapete che tipo di velivolo è un Buraq?

   Per rispondere a questa domanda – e a molte altre – bisogna continuare a percorrere la via dell’Alfabetizzazione culturale e funzionale che è un bene comune [come l’esercizio del raccontare]. È importante non perdere mai la volontà di imparare, e per promuovere l’Apprendimento permanente la Scuola è qui…

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Marzo 28, 2014