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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ UMANISTICA SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA CON LA DEFINIZIONE DELLA NATURA E DEGLI OBIETTIVI DEL VIAGGIO DI STUDIO ...

Lezione N.: 
1

Prof. Giuseppe Nibbi      La sapienza poetica e filosofica dell’età umanistica      7-8-9  ottobre  2015

Jean Giono

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ UMANISTICA

SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLa PARTENZA

CON LA DEFINIZIONE DELLA NATURA E DEGLI OBIETTIVI DEL VIAGGIO DI STUDIO ...

 

   Ben tornate e ben tornati a Scuola, ben venute e ben venuti a Scuola! Ben tornate alle persone che sono in viaggio sulla via dell’Apprendimento permanente da uno, due, cinque, dieci, venti, trent’anni.

   E ben venute e ben venuti a coloro che muovono i primi passi sui sentieri di questa esperienza didattica che dal 1° ottobre 1984, dalla seconda metà del secolo scorso, opera nell’ambito della Scuola pubblica degli Adulti, un settore marginale della Scuola di Stato [nessun mezzo d’informazione ne parla] anche se sarebbe un atto necessario ed urgente nel nostro Paese e in tutti gli Stati europei promuovere per decreto una “Campagna internazionale permanente di Alfabetizzazione funzionale e culturale”, perché “l’analfabetismo” - cioè la scarsa capacità di utilizzare le azioni dell’Apprendimento [in primo luogo per leggere, scrivere e far di conto] - è ovunque in aumento: in Italia - secondo la ricerca Eurostat effettuata in tutti i paesi dell’unione nel 2009 - l’analfabetismo, a tre gradi di livello, riguarda l’81% della popolazione attiva, nella fascia dai 18 ai 65 anni, e l’Italia sta agli ultimi posti nella graduatoria europea, ma non è che le altre Nazioni della Comunità stiano meglio. I danni provocati da questa piaga sociale sono evidenti e il sistema mediatico in tutti i Paesi li descrive senza risalire alla causa principale, quindi, senza mai identificare la vera natura del fenomeno: si dice genericamente che “manca la cultura” e questa risulta essere un’affermazione “vuota”.

   Voi che, da anni, arate e seminate nel campo dell’Educazione permanente conoscete la situazione e, quindi, non voglio indugiare in proposito: voi siete consapevoli di dover esercitare il vostro diritto-dovere di cittadinanza attiva e per questo siamo sul punto di intraprendere un nuovo viaggio di studio, sapendo che anche un viaggio intellettuale ha inizio con la partenza, e la partenza per un viaggio corrisponde sempre [semplificato o meno] ad un “rito”. E, quindi, per prima cosa, dobbiamo celebrare il tradizionale “rituale della partenza”.

   Il “rituale della partenza” si ripete ogni anno e come ben sapete i rituali sono ripetitivi, a volte noiosi ma insostituibili. Il “rituale della partenza” è un atto che, nel nostro caso, consiste in una cerimonia in cui dobbiamo conoscere [per rinfrescarci la memoria] la “natura didattica” e gli “obiettivi formativi” del Percorso che faremo: è sconsigliabile, per quanto riguarda un viaggio di studio, partire senza sapere dove andare.

   La conoscenza della “natura didattica” e degli “obiettivi formativi” di un Percorso scolastico non riguarda tanto “i contenuti”, le “cose da sapere”, anche se i contenuti hanno la loro importanza,  ma si riferisce soprattutto alla “forma” perché dobbiamo essere consapevoli di come si configura quello straordinario esercizio che è l’Apprendimento: dobbiamo imparare a conoscere il modo in cui impariamo, e il compito della Scuola è quello di occuparsi di “coltura”, da cui deriva il termine “cultura”. E, nel celebrare il rituale della partenza [e la celebrazione è iniziata], dobbiamo, come primo atto, riflettere sul fatto che la parola “cultura” - che, nel titolo di questo Percorso, affianca il termine “alfabetizzazione” - deriva dal verbo “coltivare” per cui l’essenza della cultura [della coltura], e il significato di questa parola, è legato all’acquisizione delle competenze utili ad imparare: la cultura è l’attività che rende proficuo l’esercizio dell’apprendimento. E, quindi, quando si parla di “attività culturali” si parla di cultura in senso lato perché leggere un libro, visitare un museo, vedere una mostra, andare a teatro, osservare i monumenti di una città e via dicendo, di per sé non è cultura: è cultura “il saper utilizzare in modo efficiente le azioni dell’Apprendimento per rendere efficaci queste attività tanto da tradurle in un investimento in intelligenza”, perché “la cultura [ci ricordano tutte le intellettuali e gli intellettuali del movimento della Scolastica medioevale che abbiamo incontrato nel viaggio che si è concluso ai primi di giugno] non è una cosa ma è un modo di fare le cose”.

   E, a questo proposito - a proposito del fatto che la Scuola deve, per sua natura, insegnare a imparare ad imparare - dobbiamo, come secondo atto del rituale della partenza,  riprendere una metafora che non utilizziamo da qualche anno: la metafora della “collana di perle”, un ragionamento allegorico proveniente dall’Età assiale della Storia che ci suggerisce Erodoto nelle sue Storie scritte duemilacinquecento anni fa: siamo nate e siamo nati 2500 anni fa quando abbiamo preso coscienza del fatto che c’era un “sapiens” nel nome della nostra specie. Scrive Erodoto: «Non sono le perle, pur preziose, che fanno la collana ma, anche se vale pochissimo, è il filo a dare la forma alla collana». Che significato ha sul piano della didattica questa affermazione che ha assunto un valore proverbiale?

   Nel nostro viaggio di studio collezioneremo, attraverso il REPERTORIO, il fascicolo che avete tra le mani, un certo numero di argomenti e scopriremo - settimana dopo settimana - molte “perle [molti contenuti]” che fanno riferimento alle discipline umanistiche, alla Storia del Pensiero Umano, alla Geografia, alla Storia degli avvenimenti, all’Antropologia culturale, alla Storia dell’Arte, della Letteratura, della Filosofia [l’insegnamento concepito in termini di Alfabetizzazione non può tagliare la realtà in pezzi separati ma dobbiamo procedere in nome dell’unità del sapere], e il compito istituzionale della Scuola è quello di insegnarci ad utilizzare il “contenitore dei contenuti”, “il filo”: dobbiamo, prima di tutto, imparare a seguire responsabilmente “la trafila del nostro Apprendimento”. Come senza il filo non si ha la collana, così, se non s’impara ad utilizzare le azioni dell’Apprendimento non si è in grado di “investire in intelligenza”.

   Questo significa che il nostro Percorso di studio utilizza, in particolare, i contenuti della “Storia del Pensiero Umano” [e stiamo per intraprendere un viaggio sul territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età umanistica” durante l’autunno del Medioevo] per raggiungere un obiettivo di carattere formativo: per “dare forma” ad una serie di strumenti che facilitano la nostra capacità di Apprendimento e, soprattutto, ci muoviamo in funzione della didattica della lettura e della scrittura e per il potenziamento dell’esercizio della riflessione personale, ed è appunto questa prassi che dà il titolo al viaggio che stiamo per intraprendere: “Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura”. E questo perché l’esercizio della lettura, della scrittura e della riflessione personale sono gli strumenti fondamentali, sono gli elementi necessari per poter compiere un investimento in intelligenza.

   Quando leggiamo e quando scriviamo noi potenziamo le azioni dell’Apprendimento [le azioni cognitive] e questo è il motivo fondamentale per cui dobbiamo esercitarci nel leggere e nello scrivere, poco ma costantemente. E quali sono le azioni ad alto reddito che permettono di imparare? Ormai molte e molti di voi le conoscono a memoria ma ripassare non nuoce bensì giova e poi il rituale della partenza, come tutti i rituali, è ripetitivo.

   L’Apprendimento [l’attività dell’imparare] si sviluppa attraverso sei azioni privilegiate - conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare - che non agiscono in ordinata successione [come, in modo funzionale, le abbiamo elencate] ma operano attraverso una serie di rapporti simultanei condizionati da vari fattori. Alle dipendenze di queste “sei azioni cognitive principali” ci sono, per corroborarne il funzionamento, altre quaranta azioni conseguenti che contribuiscono a fare di ciascuna e di ciascuno di noi una “persona intelligente”.

   Per quale motivo, quindi, dobbiamo, innanzi tutto, frequentare la Scuola? Veniamo a Scuola per esercitarci nell’attività dell’imparare e, di conseguenza, ogni itinerario settimanale [ogni Lezione] deve corrispondere ad un “ragionamento progressivo” mediante il quale ci si possa esercitare, consapevolmente, ad attivare le azioni cognitive: a conoscere, a capire, ad applicare, ad analizzare, a sintetizzare e a valutare.

   Quando si entra nel sistema [nell’officina] dell’Apprendimento permanente, prima che farsi interrogare, ci si deve interrogare per “valutare  la situazione [partiamo dall’ultima azione cognitiva che sta nell’elenco]”. E “valutare la situazione” significa prendere la buona abitudine di domandarsi: per investire in intelligenza che cosa devo “conoscere”, che cosa devo “capire”, come mi devo “applicare” e che cosa significa “analizzare”, “sintetizzare”, “valutare”?

   Per investire in intelligenza è necessario “conoscere” le parole-chiave della Storia del Pensiero Umano, e nel corso del viaggio che faremo costruiremo, strada facendo, un catalogo di parole-chiave, utili per l’esercizio della conoscenza .

   Per investire in intelligenza è necessario “capire” le idee-cardine della Storia del Pensiero Umano, e nel corso del viaggio che faremo incontreremo, strada facendo, una serie di idee-significative, utili per l’esercizio della comprensione.

   Per investire in intelligenza è necessario “applicarsi” costantemente nell’esercizio della lettura [quattro pagine al giorno] e della scrittura [quattro righe al giorno]: si legge e si scrive per dare fluidità al processo di apprendimento.

   Per investire in intelligenza è necessario “analizzare”, cioè catalogare, mettere in ordine i pensieri che si formano nella nostra mente quando entriamo in contatto con le parole-chiave e con le idee-cardine contenute nei “paesaggi intellettuali” che incontreremo strada facendo.

   Per investire in intelligenza è necessario “sintetizzare”, cioè scrivere uno dei pensieri che si sono formati nella nostra mente facendo l’analisi, quello che ci sembra più significativo: quattro righe scritte [per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare] rappresentano l’oggetto [le parole scritte sono cose] in cui si concretizza la nostra attività intellettuale.

   Per investire in intelligenza è necessario “valutare”, e valutare significa “essere consapevoli” di sovrintendere all’iter del nostro percorso di apprendimento.

   Noi, itinerario dopo itinerario, dobbiamo domandarci: quante parole-chiave ho conosciuto, quante idee-significative ho capito, quanti pensieri ha catalogato la mia mente, quale testo ho scritto? Ebbene, i sei punti che abbiamo elencato e descritto costituiscono le fasi fondamentali di quello che si chiama “il metodo dell’affabulazione didattica”: un procedimento che abbiamo sperimentato in questi anni e che ha le sue radici lontano nel tempo.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In quale ordine di importanza - secondo le vostre esigenze - elenchereste questi obiettivi: conoscere le parole-chiave, capire le idee significative, applicarsi nella lettura, analizzare i propri pensieri, sintetizzare un testo scritto, valutare il proprio apprendimento?...

Non rinunciate a scrivere il vostro parere in proposito...

 

   Abbiamo detto che “il metodo dell’affabulazione didattica” ha le sue radici lontano nel tempo e comincia ad imporsi nelle Scuole subito dopo l’anno Mille, e “affabulare” - nell’ambito dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale - significa far procedere l’itinerario della “Lezione” in modo ritmico attraverso la sequenza delle azioni cognitive: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare: e così procederemo anche noi sul nostro cammino.

   “Affabulare” significa “sollecitare la domanda” per far allungare la catena degli interrogativi che sorgono nella mente delle persone che procedono sul Percorso di studio, e già Socrate, per mezzo della penna di Platone, ci fa riflettere come ben sapete sul fatto che “imparare” non significa arrivare direttamente alle risposte e c’invita a diffidare sempre delle “risposte prefabbricate” e utilizzate a fini propagandistici.

   “L’affabulazione didattica” si basa sulla consapevolezza che gli esseri umani sono obbligati all’interpretazione, sono costretti ad interpretare la realtà [senza questa competenza non c’è autonomia di pensiero, e questo è un tema di grande attualità nel momento in cui siamo sottoposte e sottoposti - a causa dell’ipertrofia tecnologica - ad un eccesso di informazioni che dobbiamo saper selezionare e trasformare in conoscenza], e le persone, quindi, devono prendere coscienza che hanno bisogno di sperimentare metodi affinché “le visioni del mondo” siano le più affidabili [bisogna saper dare un’essenza all’esistenza]. Seguire il ritmo della “affabulazione didattica” deve favorire la rigenerazione dell’Eros, e l’Eros - per Socrate per Platone per Aristotele - corrisponde “alla volontà di imparare” ed equivale “alla tensione verso la conoscenza” che si esprime con la curiosità e lo stupore. E ora - sempre in funzione del tradizionale “rituale della partenza” - diamo un contenuto alla nostra riflessione.

   Il metodo didattico dell’affabulazione è stato sperimentato, dall’anno Mille, nella Scuola di Toledo, che abbiamo frequentato assiduamente in questi ultimi due anni riflettendo - insieme ad intellettuali arabi, ebrei, cristiani, religiosi e laici - sui testi delle Opere di Platone e di Aristotele;  questo metodo si è rapidamente divulgato in tutte le Scuole [quelle della Scolastica arabo-islamica, cristiano-latina, ebraico-talmudica, laico-naturalistica] ed è poi entrato ufficialmente nella Storia della didattica da quando è stato codificato, ed istituzionalizzato, negli Statuti delle grandi Università medioevali.

   Nel 1247 è stato stilato lo Statuto della Facoltà delle Arti di Parigi che è un testo fondamentale, valido ancora oggi, per capire quale deve essere la natura della Scuola e quali sono i suoi obiettivi. Si legge nello Statuto della Facoltà delle Arti: «Insegnare è “insegnare a vivere” vale a dire “insegnare a far passare l’idea del Bene dalla potenza all’atto”, e l’apprendimento serve per affrontare problemi vitali come la comprensione umana e le incertezze di ogni esistenza» e queste affermazioni portano a definire con il termine di “umanesimo” il movimento che nasce e si sviluppa durante l’autunno del Medioevo [e le stagioni intellettuali usufruiscono di un periodo di tempo tutto loro: l’autunno del Medioevo dura più di due secoli, quasi due secoli e mezzo, e sarà il tempo di percorrenza del nostro viaggio, lo studio ci allarga la vita]. Alla stesura di questo documento, lo “Statuto della Facoltà delle Arti” di Parigi, ha partecipato [come molte e molti di voi sanno] anche Tommaso d’Aquino che abbiamo incontrato a fine maggio e che ci accompagna anche adesso nel corso del rituale della partenza di questo nuovo viaggio.

   Nello Statuto della Facoltà delle Arti l’elemento che vogliamo mettere in evidenza riguarda il modo in cui gli estensori di questo documento [Tommaso in primis, ispirato dal suo maestro Alberto Magno] hanno saputo definire, con grande funzionalità, la trafila del “metodo dell’affabulazione didattica. Si legge nello  Statuto della Facoltà delle Arti di Parigi: «Tanto il docente quando espone la Lezione quanto il discente quando presenta la dissertazione tengano conto  di esprimersi in forma di ragionamento progressivo trattando le azioni dell’apprendimento al ritmo dell’affabulazione: scandendo la frase come quando si divide il verso, pronunciando distintamente le parole e ben marcando il peso dei concetti». E poi si legge [e i punti-chiave li abbiamo lasciati nella versione originale latina]: «Chi vuole apprendere deve verba perspicere [conoscere le parole-chiave], notiones intellegere [capire le idee-significative], ad studium se conferre [sapere come applicarsi nello studio], cogitationes explicare [analizzare i pensieri pensati], in epitomen perscribere [sintetizzare per iscritto un ordinato pensiero], mentis itinera probare [valutare l’itinerario dell’apprendimento]».

   Il dispositivo della “affabulazione didattica” mette bene in evidenza quali sono gli “elementi fondamentali” su cui deve basarsi un Percorso di Alfabetizzazione funzionale e culturale, e bisogna [bisognerebbe] tenerne conto.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Nello “Statuto della Facoltà delle Arti ”si legge che «La Scuola deve servire per affrontare problemi vitali come la comprensione umana e le incertezze di ogni esistenza»... Da quale di queste incertezze esistenziali – insicurezza, indecisione, preoccupazione, ansia, esitazione, o da quale altra – vi sentite, oggi, più insidiate e più insidiati?... 

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   Ci sta accompagnando [abbiamo detto] Tommaso d’Aquino che, attraverso le sue Opere, in particolare la Summa theologica della quale, a fine maggio, abbiamo studiato la struttura, si mantiene spiritualmente vivo e vegeto anche se ora dobbiamo - in funzione della celebrazione del “rituale della partenza” - concentrare la nostra attenzione sulle sue ultime parole dette in punto di morte, ma, come scrive Francesco d’Assisi: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare»], “la morte corporale”, per i personaggi della Storia del Pensiero Umano, i quali possono vantare una sorta di immortalità intellettuale [come tutte e tutti noi], è un semplice dettaglio: tuttavia i dettagli hanno la loro importanza.

   Sappiamo [dalla prima settimana del giugno scorso] che Tommaso d’Aquino, mentre è in viaggio verso Lione, dove deve partecipare al concilio ecumenico, è costretto, a causa delle sue pessime condizioni di salute, a fermarsi nell’infermeria dell’abbazia di Fossanova, nel Comune di Priverno in provincia di Latina, dove muore il 7 marzo del 1274 all’età di 49 anni. Si racconta che poco prima di morire Tommaso abbia detto al suo amico e segretario, il monaco Reginaldo da Piperno: «Non me la sento proprio di rileggere quello che ho scritto. Avrei l’impressione di aver detto solo cose imprecise e finirei col buttare tutto nel fuoco [tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia]». Reginaldo [e la risposta di Reginaldo, a giugno, l’abbiamo citata ma l’abbiamo lasciata in sospeso per rimandarla a questa sera] risponde a Tommaso dicendogli: «Caro Tommaso, le parole che hai scritto nelle tue Opere non sono paglia ma sono come dei semi che, dopo essere germogliati, sono diventati alberi e questi alberi hanno formato una grande foresta, e tu avresti il cuore di dar fuoco ad una foresta? Non sei tu che una volta mi hai detto: “Leggi molto, Reginaldo, ma cammina anche molto nei boschi perché lì troverai tante cose quante ne trovi nei libri”?».

   È significativa questa immagine di Reginaldo che sostiene come Tommaso abbia saputo piantare e far germogliare scrivendo le sue Opere i semi [i temi] che sono stati raccolti da tutte le pensatrici e i pensatori che hanno operato dal IX al XIII secolo durante l’inverno, la primavera e l’estate della Scolastica: Tommaso con la sua attività intellettuale [intrecciando il filo blu della Ragione con quello verde della Natura e con quello rosso della Rivelazione] e attraverso i suoi scritti ha fatto in modo che, allegoricamente, si formasse come una grande foresta, e una foresta è un bene prezioso tanto come reale organismo naturale e materiale quanto come metaforica immagine di un sistema intellettuale e spirituale.

   A questo proposito dobbiamo ricordare che Dante Alighieri - nella Divina Commedia, mediante un uso accorto della “sapienza poetica” - viaggia dalla “selva oscura selvaggia aspra e forte” che rappresenta la condizione data dalla sua “infernale ignoranza [perché è l’ignoranza che fa perdere la retta via]” fino a salire alla “foresta luminescente e paradisiaca” che la “sapienza filosofica” di Tommaso ha saputo far crescere come fonte di salvezza e che il poeta mette in versi. Quindi, prima Reginaldo, nel 1274, e poi Dante Alighieri, nei primi anni del 1300, pensano a Tommaso d’Aquino come ad un “uomo che pianta alberi”.

   La celebrazione del “rituale della partenza”, per tradizione, prevede la lettura di un libro che possa corroborare l’azione del prendere il passo tutte e tutti assieme, ebbene, il titolo del libro utile a questo scopo ce lo ha suggerito Reginaldo paragonando Tommaso a “l’uomo che piantava gli alberi”. E L’uomo che piantava gli alberi è il titolo del libro, del breve romanzo che questa sera leggeremo per intero. L’autore di questo romanzo si chiama Jean Giono e lo abbiamo incontrato più di una volta in questi anni ma la memoria ha sempre bisogno di essere ravvivata soprattutto nei confronti di uno scrittore che non ama apparire.

   Il massimo di visibilità [ma lui non era già più di questo mondo] lo scrittore Jean Giono, che ha sempre amato vivere sotto traccia, l’ha avuta nel 1995 quando il regista Jean-Paul Rappeneau ha girato un film dal titolo L’ussaro sul tetto tratto dall’omonimo romanzo scritto da Jean Giono nel 1951: questo film - prodotto a cento anni dalla nascita dello scrittore [Giono è nato nel 1895] e a venticinque anni dalla sua morte, avvenuta nel 1970 - merita di essere visto, ma soprattutto merita di essere letto il romanzo da cui è tratto. Ma Jean Giono si era già messo in luce come scrittore nel 1929 con il romanzo intitolato Collina dove emerge il tema della Natura, una Natura che continua a essere governata dal dio Pan: anche questo romanzo merita di essere letto non solo per il contenuto ma soprattutto per il linguaggio “poetico” molto significativo [sperimentale] con cui è scritto.

   Jean Giono è autore di molti romanzi, ora citiamo i titoli di alcuni: Il canto del mondo, Il ragazzo celeste, Due cavalieri nella tempesta, Il serpente di stelle, Lettera ai contadini sulla libertà e sulla pace [1938], Viaggio in Italia, La menzogna di Ulisse. La terra che fa da sfondo a quasi tutti i romanzi di Jean Giono è la Provenza, una terra di grande bellezza nel sud della Francia [nel maggio scorso abbiamo viaggiato su “le strade dei Catari”, e anche Jean Giono è un cataro redivivo]; la Provenza è una terra sospesa tra le montagne e il mare, di cui lo scrittore ha saputo evocare il fascino, la forza e il mistero, e non ha mai smesso di percorrere in lungo e in largo questa terra «su cui [scrive] sono venute a franare le Alpi», e l’ha amata, l’ha difesa, l’ha raccontata, e l’ha vissuta perché nel 1930 Jean Giono ha lasciato il posto in banca per ritirarsi a Manosque, il paese in cui è nato, e dal quale non si è mai allontanato [se non per brevi viaggi], ma Giono ha sempre cercato di sottrarsi al cliché dello scrittore regionale che canta le lodi della sua terra d’origine. Jean Giono, che ama il paradosso, ripeteva: «Non sono un provenzale, sono nato in Provenza per caso», difatti suo padre, un calzolaio anarchico ed emigrante, era di origine piemontese e sua madre, una lavandaia, era originaria della Piccardia, regione del nord della Francia, e queste due persone [ricordava Giono] solo per caso si sono incontrate a Manosque, unendo felicemente [la felicità si costruisce] i loro destini. Giono affermava di non essere uno scrittore provenzale anche se è stato capace come nessun altro di descrivere la natura e gli abitanti di questa regione ma tuttavia scrive: «La Provenza di cui parlo è inventata, e i paesaggi che descrivo nascono soprattutto da una geografia privata e sentimentale».

   Resta il fatto che una visita alla Provenza, soprattutto all’Alta Provenza, dopo aver letto i testi di Jean Giono, risulta molto più significativa. Quella di Giono sarà anche una Provenza “immaginaria” ma si nutre sempre della geografia reale, e lo scrittore - a chi legge i suoi romanzi - fa scoprire l’emblematico paese di Manosque sulle rive della Durance, un bel fiume affluente del Rodano, al centro di un paesaggio di colline, dove i campi di lavanda e gli oliveti si alternano ai campi di grano, ai campi di girasoli e alle vigne. A nord di Manosque, la terra lavorata dall’agricoltura, lascia il posto ai boschi di lecci e di querce, ed è frequentando queste foreste che a Jean Giono è venuta in mente l’idea di scrivere il testo del racconto che stiamo per leggere e che s’intitola L’uomo che piantava gli alberi, pubblicato nel 1953.

   Giono esplora la sua terra, sentiero dopo sentiero, durante interminabili passeggiate in cui impara ad apprezzare la vita faticosa e severa delle persone che la lavorano, e durante una di queste passeggiate, nel 1913, dice [ma si tratta di una visione di natura allegorica] di aver incontrato Elzéard Bouffier, il protagonista de L’uomo che piantava gli alberi. Questo vecchio contadino, solitario e taciturno, aveva passato metà della sua vita a piantare migliaia e migliaia di querce, di faggi, di betulle, facendo nascere una grande foresta dove prima c’erano soltanto aride montagne e lavanda selvatica.

   Jean Giono riflette [e fa riflettere] sulla figura di “un uomo straordinario” per ribadire quali sono le persone che fanno veramente la Storia [la Storia non la fanno i grandi uomini, i condottieri, ma - insegna Tolstoj in “Guerra e pace” - le persone apparentemente insignificanti e prive di visibilità] e la storia di Elzéard Bouffier è una storia di tenacia e di generosità che Giono trasforma in un inno alla terra e in un invito a vivere in armonia con la natura. Questo breve romanzo [si tratta di una parabola, di un apologo] è da considerarsi un classico della Storia del Pensiero Umano che ha avuto una grande diffusione sotto traccia.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A questo punto avete le coordinate per fare, con l’atlante e la guida della Francia, ancora un’escursione in Alta Provenza… Se navigate in rete potete entrare nei siti [sono più di 800] dedicati a Jean Giono, soprattutto nel sito del “Centro Jean Giono di Manosque” che ogni anno organizza le “Giornate di studio” dedicate allo scrittore, buon viaggio…

 

   E ora, celebrando il tradizionale “rituale della partenza”, iniziamo a leggere L’uomo che piantava gli alberi dicendo che Tommaso d’Aquino - un personaggio che, come riportano le cronache, era solitario, taciturno, scontroso, “sicuro di sé e confidente nella sua sicurezza” - si è subito identificato con l’emblematico personaggio di Elzéard Bouffier e questa comparazione di carattere letterario [di natura immaginaria, ma l’immaginazione è una bella prerogativa umana] emerge sulla scia dei misteriosi canali dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale.

 

LEGERE MULTUM….

Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi

Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile.

Una quarantina circa di anni fa, stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza.

Questa regione è delimitata a sud-est e a sud dal corso medio della Durance, tra Sisteron e Mirabeau; a nord dal corso superiore della Drôme, dalla sorgente sino a Die; a ovest dalle pianure del Comtat Venaissin e i contrafforti del Monte Ventoux.

Essa comprende tutta la parte settentrionale del dipartimento delle Basse Alpi, il sud della Drôme e una piccola enclave della Valchiusa.

... continua la lettura ...

 

   Durante il viaggio dello scorso anno scolastico abbiamo attraversato il territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale dal IX al XIII secolo”, un percorso di cinque secoli dall’800 al 1200, e questo periodo, se si usa la metafora delle stagioni, corrisponde alla primavera e all’estate del Medioevo [durante l’inverno del Medioevo, o Alto Medioevo, abbiamo viaggiato due anni fa] e, per quanto riguarda la Storia del Pensiero Umano, quest’epoca [la primavera e l’estate del Medioevo] corrisponde alla nascita e allo sviluppo della cosiddetta Scolastica medioevale: un grande movimento culturale assai eterogeneo [religioso, mistico, devozionale, filosofico, scientifico, naturalistico, letterario: sono tanti gli attributi che lo caratterizzano], un movimento intellettuale che influenza fortemente le Arti figurative e l’Architettura [pensate alla struttura che assume la Città e alla costruzione delle Cattedrali].

   Tutte le correnti di pensiero presenti sul territorio dell’Ecumene [la cristiano-latina, la greco-bizantina, l’arabo-islamica, l’ebraico-talmudica, la laico-razionalista, la scientifico-naturalistica] hanno saputo dare, come abbiamo studiato durante il viaggio dello scorso anno scolastico, un contributo significativo allo sviluppo del movimento della Scolastica che rappresenta il primo serio tentativo attuato dal IX secolo, sul territorio dell’Ecumene, per contrastare l’ignoranza generalizzata [un virus portatore - allora come oggi - di molti mali, costosi per l’intera società]. La diffusione delle Scuole, nonostante sia un evento inizialmente molto limitato, costituisce tuttavia l’inizio di una nuova epoca nello sviluppo della Storia del Pensiero Umano perché si forma una classe intellettuale - esigua ma molto attiva - che semina [pianta alberi] facendo in modo che si divulghi l’idea che “lo studio è un valore [in latino la parola “studium” è sinonimo di “cura”, e la cura rimanda alla salute che è, pur sempre, il bene maggiore da desiderare]”.

   Durante il viaggio dello scorso anno scolastico, nel corso della primavera e dell’estate del Medioevo, abbiamo incontrato tutti i personaggi più importanti [uomini e donne] che hanno operato intellettualmente fondando e animando Scuole, e tutte queste figure, pur appartenendo a correnti differenziate e spesso contrapposte, ritengono che l’obiettivo primario dell’istruzione non sia l’acquisizione del titolo ma ribadiscono che il fine della Scuola deve essere quello di insegnare ad investire in intelligenza [a far funzionare correttamente - logicamente, esteticamente ed eticamente - le azioni dell’Apprendimento], ed è con questo intendimento che le intellettuali e gli intellettuali della Scolastica hanno dato corso ad attività di studio [hanno seminato].

   Le intellettuali e gli intellettuali della Scolastica hanno dato corso ad attività di studio [hanno seminato, hanno fondato Scuole, le Scuole che abbiamo frequentato durante il viaggio dello scorso anno scolastico] per far germogliare l’idea [la motivazione esistenziale] che per il bene della società era necessario che ogni persona imparasse ad investire in intelligenza [a piantare alberi]. E, attraverso questo intendimento [insegnare ad investire in intelligenza], ha preso forma un paesaggio intellettuale che contiene un significativo catalogo di parole-chiave [è cresciuta una foresta di grandi alberi]. Da questo catalogo - che sintetizza i concetti-cardine del pensiero scolastico medioevale [che contiene il patrimonio intellettuale della primavera e dell’estate del Medioevo] - risulta che: bisogna investire in intelligenza per ricercare “le cause” dei fenomeni che avvengono nella natura [all’esterno, nel Mondo creato] e nell’intelletto [all’interno della persona]; bisogna investire in intelligenza per sperimentare uno stile di vita basato su regole che possano permettere di stare “in armonia” con l’Universo che si pensa creato da Dio; bisogna investire in intelligenza per investigare sui meccanismi che creano il movimento per farsi una ragione del continuo “divenire [del trasformarsi]” delle cose; bisogna investire in intelligenza per osservare gli oggetti sia naturali che antropici e il corso della vita delle persone per poter dare un senso all’evidenza che tutto ciò che è materiale è “contingente [è destinato a finire]” e per riflettere su quale significato si debba attribuire all’aspirazione che gli elementi spirituali [come l’anima, come le idee] possano durare in eterno; bisogna investire in intelligenza per mantenere la maggior “coerenza” possibile con il proprio pensiero e con i propri ideali.

   Sulla scia di questi elementi - la causa, l’armonia, la trasformazione, la contingenza, la coerenza - che danno una motivazione all’investimento in intelligenza, prende forma e si sviluppa il tema centrale della Scolastica quello del rapporto tra la Fede e la Ragione.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di questi cinque termini-chiave che in Età scolastica danno una motivazione all’investimento in intelligenza - la causa, l’armonia, la trasformazione, la contingenza, la coerenza – avete messo per primo   facendo i compiti delle vacanze    ?...

Scrivetelo...

 

   La prossima settimana vedremo quale forma avete dato - rispondendo al tradizionale questionario di fine anno - a questo tema. E adesso proseguiamo nella lettura del romanzo L’uomo che piantava gli alberi perché anche Elzéard Bouffier, con la sua azione, investe in intelligenza secondo una motivazione che è sorretta dai termini: causa, armonia, trasformazione, contingenza, e coerenza [le parole-chiave della Scolastica tradizionale che hanno caratterizzato il viaggio che abbiamo compiuto durante lo scorso anno scolastico, durante la primavera e l’estate del Medioevo].

 

LEGERE MULTUM….

Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi

L’anno seguente, ci fu la guerra del ‘14, che mi impegnò per cinque anni. Un soldato di fanteria non poteva pensare agli alberi. A dir la verità, la cosa non mi era nemmeno rimasta impressa; l’avevo considerata come un passatempo, una collezione di francobolli, e dimenticata.

Finita la guerra, mi trovai con un’indennità di congedo minuscola ma con il grande desiderio di respirare un poco d’aria pura. Senza idee preconcette, quindi, tranne quella, ripresi la strada di quelle contrade deserte.

Il paese non era cambiato. Tuttavia, oltre il villaggio abbandonato, scorsi in lontananza una specie di nebbia grigia che ricopriva le cime come un tappeto. Dalla vigilia, m’ero rimesso a pensare a quel pastore che piantava gli alberi. Diecimila querce mi dicevo, occupano davvero un grande spazio.

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   Il viaggio che abbiamo compiuto nello scorso anno scolastico si è concluso all’apice della Scolastica [con la comparsa di una grande foresta cresciuta con la complicità di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino, una foresta nella quale dobbiamo avventurarci]. Con l’apice della Scolastica viene a determinarsi un clima culturale che è stato chiamato “il trionfo di Aristotele”.

   In virtù degli ultimi viaggi che abbiamo compiuto, sappiamo  che la penetrazione in Occidente del pensiero di Aristotele è avvenuta per vie diverse ma è stato soprattutto il Gran Commento fatto da Averroè - che ha messo in evidenza l’autentica laicità del pensiero di Aristotele - a creare all’inizio del XIII secolo una animata discussione sull’accettabilità o meno della Filosofia aristotelica nell’ambito della cristianità.

   Questo dibattito ha assunto anche un carattere politico [relativo alla gestione del potere] perché Aristotele, soprattutto nel trattato intitolato “Politika”, riflette sul funzionamento della società [della polis] che dà buoni risultati quando è fondato su una “costituzione”, su “una struttura [taxis] che stabilisca il compito di ogni carica di governo così da dare equilibrio alla sovranità”, ma in un mondo quello feudale in cui vige la regola dei “poteri assoluti per grazia di Dio” il pensiero politico di Aristotele suona come eversivo e chi lo apprezza come Tommaso d’Aquino viene visto come un pericoloso sovversivo.

   Il movimento della Scolastica [e noi nel viaggio dello scorso anno scolastico abbiamo frequentato tutte le Scuole più importanti] ha introdotto nei programmi di studio il pensiero aristotelico che ha favorito: “la nascita delle spirito critico della persona”, “l’aumento dell’importanza [proprio con tutti i suoi limiti] della Ragione umana” e “la richiesta dell’autonomia di pensiero [l’abolizione dei tribunali dell’Inquisizione]”.

   Aristotele, come molte e molti di voi sanno, è penetrato in Occidente sotto l’ala di Platone [soprattutto attraverso l’Isagoge di Porfirio e il Dionigi Areopagita, due opere che abbiamo studiato], perché Platone, per quanto anteriore a Gesù Cristo, è stato fatto diventare un vero e proprio teologo dai Padri della Chiesa, già dal IV secolo, come se fosse un profeta e, quindi, la cristianità [e anche la Scolastica arabo-islamica di Avicenna] non lo sente affatto come “altro da sé” ma lo percepisce come garante della Fede e, quindi, il pensiero di Aristotele - ritenuto da tutti gli scolastici molto interessante e utile per capire il Mondo creato - è entrato comunque in circolo [come sappiamo] imparentato con il pensiero di Platone.

   Ma con il Gran Commento di Averroè,  tradotto in latino nel 1230, il velo platonico cade, e l’autentico pensiero “laico” di Aristotele viene svelato e, nonostante questo fatto spaventi le autorità preposte a tutelare l’ortodossia [Aristotele in quanto persona non-religiosa era considerato diabolico], succede che, nel 1255, l’Università di Parigi [a cominciare dalla facoltà delle Arti, il più importante laboratorio di ricerca filosofica creato da Alberto Magno] adotta ufficialmente tutte le Opere di Aristotele come Libri di testo [compreso il Gran Commento di Averroè].

   E, come molte e molti di voi sanno, questo non sarebbe potuto avvenire se tra i domenicani non ci fosse stato un personaggio come Alberto Magno e come il suo allievo Tommaso d’Aquino. Alberto Magno e soprattutto Tommaso d’Aquino, come abbiamo studiato nel maggio scorso, hanno operato in modo da creare un particolare clima culturale che ha determinato l’avvento [il fiorire] di una nuova stagione [il trionfo dell’aristotelismo e della Scolastica aristotelica] caratterizzata da alcuni presupposti fondamentali che danno forma ad uno spazio che costituisce il nostro ideale punto di partenza.

   Lo spazio intellettuale che costituisce il nostro ideale punto di partenza [dove ci siamo radunate e radunati in questo momento] contiene una serie di principi fondamentali [una serie di concetti che noi sistemiamo nel nostro zainetto] codificati da Alberto Magno e formalizzati da Tommaso d’Aquino il quale crea nelle sue Opere [in particolare nella Summa theologica] i fondamenti che caratterizzano la nuova stagione della Scolastica, un periodo [quello dell’autunno del Medioevo] che, nel suo svilupparsi, prenderà il nome di “Umanesimo”. I presupposti che determinano una nuova mentalità sono: la netta distinzione tra l’ambito della Fede e quello della Ragione; la precisa ripartizione tra ciò che è dimostrabile e ciò che non lo è; il fatto che il Pensiero, proprio perché è in grado di conoscere i suoi limiti, prende coscienza del suo valore, dei suoi diritti e dei suoi doveri; il fatto che le ragioni di Dio sono inaccessibili all’essere umano e l’essere umano deve, di conseguenza, imparare a cavarsela da sé mediante lo studio, rivendicando l’autonomia dello studio, la necessità dello studio, il diritto-dovere allo studio [questa è la grande conquista che ci ha lasciato in eredità la Scolastica medioevale: il movimento che rivendica il diritto-dovere allo studio per ciascuna persona]. Questa nuova mentalità porta le intellettuali e gli intellettuali della Scolastica a tentare nuove grandi sfide [di cui faremo l’inventario nel corso di questo nuovo viaggio che stiamo per intraprendere].

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Avete lanciato, ultimamente, una sfida?...

Scrivete quattro righe in proposito, sfidate la pagina bianca...

 

   Elzéard Bouffier è un personaggio al quale il suo autore ha fatto lanciare una grande sfida: le grandi sfide si lanciano soprattutto sotto traccia. E ora finiamo di leggere L’uomo che piantava gli alberi.

 

LEGERE MULTUM….

Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi

Ho visto Elzéard Bouffier per l’ultima volta nel giugno del 1945. Aveva ottantasette anni. Aveva ripreso la strada del deserto, ma adesso, nonostante la rovina in cui la guerra aveva lasciato il paese, c’era una corriera che faceva servizio tra la valle della Durance e la montagna. Misi sul conto di quel mezzo di trasporto relativamente rapido il fatto che non riconoscessi più i luoghi delle mie prime passeggiate. Mi parve anche che l’itinerario mi facesse passare in posti nuovi. Ebbi bisogno del nome di un villaggio per concludere che invece mi trovavo proprio in quella zona un tempo in rovina e desolata. La corriera mi depositò a Vergons.

Nel 1913, quella frazione di una dozzina di case contava tre abitanti. Erano dei selvaggi, si odiavano, vivevano di caccia con le trappole; più o meno erano nello stato fisico e morale degli uomini preistorici. Le ortiche divoravano attorno a loro le case abbandonate.

... continua la lettura ...

 

   Questo racconto, di straordinaria attualità, indica la via che dobbiamo prendere per incamminarci verso il territorio dell’Umanesimo, e credo sia valsa la pena venire a Scuola questa sera anche solo per leggere questo breve romanzo: rileggetelo con calma per inventariare le parole-chiave che ne sostengono la struttura.

   Siamo quasi pronte e pronti per prendere il passo, mentre del tradizionale “rituale della partenza” dobbiamo ancora compiere [nell’itinerario della prossima settimana] alcuni atti fondamentali e, tra questi dobbiamo conoscere i dati del questionario che avete compilato al termine del viaggio scorso: i risultati acquisiti sono serviti per dare una forma al territorio che abbiamo attraversato .

   Reginaldo da Piperno, quando Tommaso d’Aquino in punto di morte manifesta l’intenzione di bruciare le sue Opere, gli risponde dicendogli che era stato capace di piantare i semi raccolti e custoditi da tutte e tutti coloro che hanno operato durante l’inverno, la primavera e l’estate della Scolastica, in modo che, allegoricamente, era andata formandosi una grande foresta, e a una foresta - che sia fatta di alberi o che sia composta di parole-chiave e di idee-cardine - non si può dar fuoco perché è, in entrambi i casi, un bene prezioso.

    Ora noi, in procinto di prendere il passo, siamo di fonte a questa “ipotetica foresta [e un’ipotesi possiede sempre una sua concretezza]” e, mentre si sta approssimando l’autunno del Medioevo, ci dobbiamo porre - così come se le sono poste le studiose e gli studiosi dell’Umanesimo - alcune domande: quanto c’è di “natura” e quanto c’è di “cultura” nell’essere umano? E in quale relazione devono stare, perché la persona possa considerarsi “umana”, le sue azioni intellettuali [il leggere, lo scrivere, il riflettere] con le azione materiali [il piantare alberi]? E soprattutto ci dobbiamo domandare: quali temi di studio emergono da questi interrogativi? Da questi interrogativi emergono molti temi di studio: quali temi?

   Per dare una risposta [che, tuttavia, continuerà ad essere interlocutoria], bisogna fare un lungo viaggio, quello che ci accingiamo a compiere con l’intenzione [secondo l’incipit della “Metafisica” di Aristotele] di non perdere mai la volontà d’imparare.

   Chi vuole andare veloce corre da solo, chi vuole andare lontano cammina insieme agli altri [e anche il solitario Elzéard Bouffier - attraverso quello straordinario esercizio che è la lettura - ha camminato insieme a noi questa sera], e il primo passo - nel celebrare il tradizionale rituale della partenza - è stato quello di leggere per intero un bel libro, un apologo che è stato scelto anche perché, non a caso, ha una struttura che si regge sulle più significative parole-chiave della Scolastica medioevale - la causa, l’armonia, la trasformazione, la contingenza, la coerenza -, temi di grande attualità, tanto che viene da domandarsi: ma è ancora quello del Medioevo l’autunno che stiamo vivendo?

   Bella domanda! Alla quale solo con lo studio [facendo spazio all’Alfabetizzazione funzionale e culturale] si può tentare di dare una risposta, ed per questo che la Scuola è qui, e noi siamo in partenza per andare lontano, quindi, accorrete numerosi…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 9, 2015