Prof. Giuseppe Nibbi La sapienza poetica e filosofica dell’età alto-medioevale 21-22-23 maggio 2014
Leonardo Sciascia
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ ALTO-MEDIOEVALE
NASCE IL SACRO ROMANO IMPERO E PRENDE FORMA IL SISTEMA FEUDALE …
Il ventiseiesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale” è il penultimo “tragitto-lungo” di questo viaggio: ci avviamo, infatti, verso la conclusione del nostro Percorso [abbiamo ancora da fare, compreso questo, due itinerari più uno breve in contesto conviviale]. La scorsa settimana abbiamo lasciato il “paesaggio intellettuale della Letteratura del Corano” e ci stiamo avvicinando ad un nuovo scenario attraverso il quale si entra nel cuore del Medioevo.
Sette giorni fa, strada facendo, ci siamo inevitabilmente imbattute ed imbattuti nel personaggio di Carlo Magno. Quest’anno siamo nell’ambito di una commemorazione perché milleduecento anni fa, esattamente il 28 gennaio dell’anno 814, moriva ad Aquisgrana Carlo Magno, il re dei Franchi che la notte di Natale dell’anno 800, a Roma, nella Basilica di San Pietro, era stato incoronato, da papa Leone III, imperatore del Sacro romano impero. Carlo Magno ha sconfitto i Sassoni e gli Àvari costringendoli a convertirsi al cristianesimo e nel 774 è diventato re anche dei Longobardi [abbiamo già studiato questi avvenimenti strada facendo]. Indubbiamente Carlo Magno è uno dei massimi protagonisti dell’Età alto-medioevale e nella sua azione si è voluto vedere, fino a qualche anno fa, uno dei padri dell’Europa ma oggi le studiose e gli studiosi di storia pensano che «se è vero che Carlo Magno ha unificato sul piano militare e amministrativo una vasta parte [quella centrale] del nostro continente» tuttavia sono d’accordo nel ritenere che il monarca carolingio «non avesse alcuna coscienza dell’Europa» e, quindi, bisogna distinguere la leggenda, che circonda il personaggio, dalla concreta realtà dei fatti storici. Nel IX secolo [in Età alto-medioevale] l’idea d’Europa, così come la conosciamo noi oggi, non esisteva: prenderà corpo solo più tardi [circa sei secoli dopo]. Facendosi incoronare dal Papa, Carlo Magno non guarda all’avvenire ma guarda al passato: il suo modello è l’Impero romano e, più che creare una civiltà futura, aspira a far rinascere l’antica civiltà romana, rianimandola grazie al cristianesimo che con le sue istituzioni è ormai radicato su tutto il territorio dell’Ecumene.
Sebbene Carlo Magno non possa essere considerato un padre dell’Europa tuttavia è stato un importante personaggio storico che, almeno in parte, è riuscito a realizzare grandi progetti: prima di tutto ha contribuito a fondere i Latini e i Germani facendo sì che la tradizione germanica s’integrasse definitivamente con quella romana e il termine “barbarie” cessa di definire “ciò che è straniero” ed assume un significato generico, quello di “ferocia” e di “inciviltà”, senza più avere un connotato di carattere “etnico”. La definitiva integrazione tra Latini e Germani – purtroppo la fusione, come nel caso dello sterminio dei Sassoni, – è stata spesso imposta in modo violento e sanguinario [Carlo Magno è un guerriero e i guerrieri gentili non esistono]: nel bene e nel male, l’integrazione tra Latini e Germani è alla base della fondazione della civiltà medioevale e la nascita del Sacro romano impero è stata considerata come un primo abbozzo dell’Europa [nella sua parte centrale perché nel Sacro romano impero manca l’Europa mediterranea]. Continuiamo la nostra riflessione sul personaggio di Carlo Magno.
Carlo Magno non aveva in mente l’idea di costruire l’Europa ma pensava di rifondare l’impero romano. L’ideale europeo nasce molto più tardi: prende forma nel XV secolo quando papa Pio II [Enea Silvio Piccolomini] scrive in latino [tra il 1458 e il 1464] il trattato De Europa nelle cui pagine l’idea dell’Europa unita – come costruzione armonica basata sull’integrazione delle virtù classiche con gli ideali del cristianesimo – s’impone come un auspicio.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Pio II vuole che il modello armonico descritto nel “De Europa” sia architettonicamente realizzato nella ristrutturazione del borgo di Corsignano, in provincia di Siena, dove lui è nato nel 1405 e che prenderà il nome di Pienza...
Utilizzando la guida della Toscana e la rete fate una visita a Pienza, che non è lontana da qui...
Carlo Magno, nell’800, ha in mente di rimettere in piedi l’impero romano che aveva come suo centro il bacino del Mediterraneo e, soprattutto, aveva un assetto intercontinentale perché comprendeva province asiatiche ed africane: l’impero romano andava oltre l’idea di Europa essendo fortemente sbilanciato verso Oriente e verso Sud.
Tuttavia l’aspetto più significativo dell’azione [involontaria] di Carlo Magno in funzione dell’idea di Europa [e, in particolare, di Europa occidentale] riguarda una questione legata al secondo Concilio di Nicea. Il secondo Concilio di Nicea viene indetto da papa Adriano I nel 787 [quando Carlo non è ancora imperatore] per combattere l’iconoclastia [“iconoclastia” significa “distruzione delle immagini sacre” e abbiamo già parlato di questo tema alla fine di gennaio, nel corso del dodicesimo itinerario] e con l’obiettivo di ripristinare il culto delle immagini che l’imperatore bizantino Costantino VI continuava a condannare [secondo l’Editto emanato sessant’anni prima, nel 726, dal suo predecessore Leone III l’Isaurico], mentre la madre di Costantino VI, Irene [che vorrebbe prendere il suo posto e ci riuscirà], era per il ripristino del culto delle immagini. Ebbene, Carlo Magno [sebbene non sia stato interpellato in proposito] invia due suoi legati al Concilio di Nicea per sostenere e farsi difensore della tesi del papa e di Irene e, quindi, in Occidente, impone l’uso delle immagini e si contrappone agli iconoclasti spingendo il cristianesimo a diffondere le immagini sacre, comprese quelle di Dio, e, con questo atteggiamento [per quanto autoritario], Carlo Magno ha dato alla cristianità un mezzo d’espressione di grandissimo valore e la Storia dell’Arte europea gli deve molto in proposito. È in questo contesto che, sul piano della cultura, si comincia a parlare di “rinascimento carolingio” anche se il temine [dicono oggi le studiose e gli studiosi di storia] non è propriamente corretto perché tutto l’Alto-medioevo europeo è scandito da una serie di “rinascimenti” che nascono sempre nella memoria della classicità greco-latina conservata da chi ha operato per la salvaguardia delle Opere dei Classici [e abbiamo, nella prima parte del nostro viaggio, proceduto a ridosso del paesaggio intellettuale della salvaguardia delle Opere della classicità, come ben ricordate]. Tra i movimenti di “salvaguardia” c’è anche il cosiddetto “rinascimento carolingio” che fa appello a tutte le forze culturali presenti nel Sacro romano impero.
Carlo sa benissimo quanto sia importante il valore della cultura [ha saputo, in proposito, circondarsi di validi consiglieri] e ha il merito di riconoscere i propri limiti intellettuali [sa appena fare la sua firma e, con molta fatica, ha imparato a leggere in latino] e per questo motivo riunisce attorno a sé molti grandi intellettuali dell’epoca dalle più diverse provenienze: irlandesi, franchi, germani, spagnoli e anche arabi. In quest’ambito, senza esserne consapevole, si è mosso in una prospettiva europea, e poi intorno a questo dato storico sono fiorite anche le leggende: per esempio, gli è stato attribuito un ruolo importante nella promozione delle Scuole pubbliche ma, in realtà, la sua azione ha interessato solo un gruppo sociale minoritario perché si è limitata a favorire la creazione di Scuole per i figli dei nobili [le Scuole palatine] in quanto voleva dare impulso a un’aristocrazia competente destinata all’amministrazione dell’impero e questo impegno a voler preparare “buoni e onesti amministratori” è, senza dubbio, un aspetto importante della sua opera. Carlo Magno ha dato valore al concetto di “amministrazione”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di queste parole - regola, direzione, cura, condotta, gestione, controllo - influisce di più su ciò che dovete amministrare?...
Scrivetela ...
Si è spesso sottolineato l’impegno di Carlo Magno per la diffusione dell’insegnamento delle arti liberali del trivio e del quadrivio ma anche in questo caso sulle affermazioni che sono state fatte dobbiamo riflettere.
Si dice che il sistema delle arti liberali [le arti nobili, atte a nobilitare la persona] del trivio [grammatica, retorica e dialettica] e del quadrivio [aritmetica, geometria, astronomia e musica] – il sistema che favorirà la nascita delle Università alla fine del XII secolo – avrebbe trovato la sua diffusione per opera di Carlo Magno ma in realtà questo apparato intellettuale esisteva da molto tempo. Il trivio e il quadrivio erano presenti nelle Scuole delle abbazie fin dal VI secolo [dal tempo di Gregorio Magno] e Carlo ha certamente contribuito, considerando virtuoso lo stile di vita delle abbazie, alla loro diffusione così come la sua politica di unificazione [del territorio centrale europeo] ha fatto sì che si diffondesse una forma di scrittura nata nelle cancellerie dell’impero chiamata “minuscola carolingia”: una scrittura di facile lettura perché realizzata con un tratto di grande chiarezza ed uniformità. Questa forma, detta “minuscola carolingia”, viene in breve tempo utilizzata da tutti coloro che fanno uso della scrittura in tutti gli Stati del Sacro romano impero e questo strumento ha facilitato la diffusione della cultura.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Sono presenti nella vostra mente dei ricordi di quando avete imparato a scrivere?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Si è sempre pensato che l’azione di Carlo Magno sia stata importante per il consolidamento della cristianità ma ancora una volta [ci ricordano le studiose e gli studiosi di storia] siamo sul terreno del mito perché il cristianesimo la propria forza e la propria influenza [come ben sappiamo] se l’era già assicurata molto prima dell’impero carolingio e, infatti, il cristianesimo ha continuato ad esistere anche dopo Carlo Magno. La Chiesa di Roma ha utilizzato di buon grado – dai tempi di Pipino il Breve – l’alleanza con i Franchi i quali, per opportunità, hanno agito come “difensori” dello Stato della Chiesa e hanno contribuito a far sì che il “Patrimonio di San Pietro” si accrescesse [regalando al papa i territori tolti ai Longobardi].
Nell’opera intitola Vita Karoli [Vita e gesta di Carlo Magno] il sapiente cronista Eginardo [che abbiamo già incontrato la scorsa settimana quando ci ha informate ed informati su come sono andate veramente le cose a Roncisvalle, ricordate?] tende a mettere in evidenza come il papa Leone III, appena eletto [il 27 dicembre del 795], testimoni “fedeltà e obbedienza” a Carlo Magno che in Occidente la faceva ormai da padrone ed era quindi necessario tenerselo buono, anche se non tutti nella Curia romana erano d’accordo. Dobbiamo approfittare del fatto [in funzione della didattica della lettura e della scrittura] di avere a disposizione il testo della cronaca [della Vita Karoli] di Eginardo il quale – nonostante scriva al servizio dell’imperatore [di cui è il biografo ufficiale] – mantiene tuttavia sempre un ragguardevole equilibrio nel descrivere le situazioni, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra Carlo Magno e il papato.
Leggiamo che cosa ci racconta Eginardo a proposito della relazione tra Carlo Magno e [l’assai chiacchierato] papa Leone III [che verrà santificato da papa Clemente X - Emilio Altieri - nel 1673 quando inizia il conflitto tra la Santa Sede e la Francia, ma questa è un’altra storia della quale ci occuperemo quando attraverseremo il territorio dell’Età moderna…]. Nonostante Leone III sia nato in una povera famiglia è riuscito a fare carriera nell’amministrazione della curia pontificia fino ad essere eletto papa con l’appoggio del clero romano contro l’aristocrazia nobiliare. Leone III è il primo papa eletto dopo la caduta dei Longobardi e ha dovuto gestire il difficile compito di barcamenarsi tra l’impero di Bisanzio e il regno dei Franchi. Leone III si schiera apertamente con i Franchi e chiede a Carlo Magno di rinnovare l’impegno di “difensore” della Chiesa promettendogli “fedeltà e obbedienza” e questa sua scelta lo rende inviso ancor di più la nobiltà romana che era filo-bizantina, e lo scontro che ne deriva non è indolore.
Ma ora leggiamo che cosa ci racconta Eginardo in diretta dall’Alto-medioevo.
LEGERE MULTUM….
Eginardo, Vita Karoli
Il giorno dopo la morte di Adriano I fu eletto papa un prete romano, cardinale di S. Susanna, Leone, che fu consacrato il 27 dicembre del 795 e fu III con tale nome.
Appena eletto egli inviò a Carlo una Lettera per testimoniargli fedeltà e obbedienza, come indicavano gli allegati doni onorifici: le chiavi del sepolcro di S. Pietro e il vessillo della città di Roma. I doni stavano a significare che il papa riponeva in lui l’autorità propria del “defensor [il difensore]” della religione cristiana con l’uso delle armi, simboleggiata nel vessillo, ma anche quella del custode del sepolcro dell’apostolo con l’altare della Confessione sul quale Carlo nel 774 [dopo avere sconfitto i Longobardi] aveva fatto giuramento con una “promessa di donazioni [Carlo aveva donato al papa i territori longobardi per accrescere il Patrimonio di S. Pietro]”.
Leone III riponeva in Carlo le più ampie aspettative per l’affermazione del concetto di “Mater Ecclesia [la Chiesa è la Madre che assegna il potere]”, come simbolo per il rafforzamento del potere temporale del papato.
Il papa intendeva dare un’interpretazione alla distribuzione tra i due poteri, religioso e politico, ma con la loro unificazione nella Chiesa fondata da Cristo, e Leone III offrì questa visione nel mosaico che fece eseguire tra il 796 e l’800 sui due lati del catino di una grande sala del palazzo del Laterano, il “Triclinium”: su un lato si raffigura Cristo che, seduto, consegna a S. Pietro le chiavi, simbolo del potere religioso, e a Costantino il vessillo, insegna del potere politico; su un altro lato invece S. Pietro, seduto, consegna il pallio [la stola papale] a Leone III e a Carlo Magno il vessillo [in rete si può osservare l’immagine del “Triclinium Leoninum”]. A capo dei due gestori del potere c’è S. Pietro, in cui andava identificata la “Mater Ecclesia”, l’assegnatrice del “potere”, il volto stesso del “potere”.
Ma Leone III s’illudeva se pensava di aver trovato un fedele paladino: Carlomagno era all’apogeo della sua potenza e il fatto che avrebbe dovuto riconoscere un potere unico, quello di S. Pietro e della “Mater Ecclesia”, era lontano mille miglia dalla sua mente e, con tutto il rispetto per S. Pietro, il re tendeva ad unificare nella sua persona l’autorità sia nel campo politico sia in quello religioso e lo fece sapere al papa tramite l’abate Angilberto di St. Riquier in una Lettera in cui diceva: «È nostro compito difendere ovunque la Santa Chiesa di Cristo, con l’aiuto dell’amore divino e con le armi, contro gli attacchi dei pagani e le devastazioni degli infedeli provenienti dall’esterno, nonché rafforzare all’interno l’affermazione della fede cattolica. A voi, però, Santissimo Padre, spetta come a Mosè, di aiutare il nostro esercito con le mani alzate, affinché, con la benedizione di Dio, il popolo cristiano sia sempre e dovunque vittorioso e il nome del Signore Gesù Cristo sia magnificato in tutto il mondo».
Appare chiaro che Carlomagno è convinto che l’influenza effettiva del papa debba limitarsi ad essere esclusivamente quella del metropolita più importante della Chiesa, ma è Carlo che, tutto preso dal concetto religioso del suo alto ufficio, si assume il compito di propagandare e difendere la fede cristiana.
Ormai è maturato in Carlo il concetto che, fermo restando il papa capo spirituale della Chiesa, il re deve essere, e lui solo, il difensore della cristianità.
A Roma la parte della nobiltà imparentata con il precedente papa Adriano I mal sopportava che il nuovo pontefice mostrasse un contegno così dimesso e debole nei confronti di Carlomagno. Il primicerio [il primo dei notai con funzioni di cancelliere] Pasquale e il sacellario [sovrintendente ai luoghi sacri] Càmpulo avevano cominciato a far circolare su Leone III accuse di falso giuramento e lascivia, certe voci giunsero fino alla corte di Carlo, ma l’arcivescovo Arno di Salisburgo assicurò Alcuino, il fido consigliere ecclesiastico del re, che si trattava di calunnie. Ritenendo che il re non avrebbe preso alcun provvedimento contro il papa, Pasquale e Càmpulo pensarono di ordire una congiura, che prevedeva l’eliminazione di Leone III e la conquista del potere. …
Da queste pagine della Vita Karoli di Eginardo [il cronista - scrivendo “Carlomagno” tutto attaccato - gli attribuisce un nuovo nome che ne esalta il valore] emerge l’idea di un’egemonia da parte di Carlomagno nei confronti del papa Leone III che, difatti, per questa sua posizione subalterna, trova nella curia romana una forte opposizione che sfocia in una congiura e questo tragico avvenimento [che tra poco ci facciamo raccontare da Eginardo in diretta dall’Alto-medioevo] finisce per rafforzare la posizione di Carlomagno e apre la strada alla sua incoronazione.
La posizione egemonica di Carlomagno, riportata dalla cronaca di Eginardo, ha costituito una sorta di modello per cui il re franco, destinato a diventare imperatore di un nuovo Stato “sacro” e “romano”, circa tre secoli dopo, all’epoca delle Crociate [dall’XI secolo], viene considerato “un eroe della cristianità in lotta contro gli infedeli” ma, anche in questo caso, dobbiamo fare chiarezza.
Carlo Magno non ha mai avuto l’intenzione di fare il “crociato” e con i Califfati arabi spagnoli preferisce trattare [quando va a fare la guerra in Spagna si muove come alleato di un califfo contro un altro califfo per avere in cambio la città di Saragozza, ma questa spedizione - come sappiamo - non è andata a buon fine e la “Chanson de Roland” stravolge in modo mitico la realtà] e inoltre Carlo riconosce ai governi arabi di Spagna una grande capacità amministrativa [tanto che tenta di imitarne, senza successo, il modello] e poi ammira il rispetto che gli Arabi hanno verso i Cristiani e gli Ebrei che hanno dei doveri ma anche dei diritti nella società islamica.
Per quanto riguarda le relazioni con l’Oriente Carlo Magno ha sempre cercato di mantenere buoni rapporti attraverso scambi simbolici con i potenti di questa parte del mondo [avvengono scambi di regali in occasione di determinati anniversari], in primo luogo con l’imperatrice bizantina Irene [la quale in modo cinico e crudele - approfittando della lotta all’iconoclastia - aveva fatto fuori suo figlio, l’imperatore Costantino VI, prendendogli il posto, e Carlo Magno avrebbe voluto sposare Irene per ripristinare l’unità dell’impero romano], e poi Carlo coltiva anche buoni rapporti [di carattere commerciale] con il califfo Harun al Rashid di Bagdad.
Non essendo una persona banale Carlo Magno è stato facilmente trasformato in una figura eccezionale grazie ai poemi epici ma, soprattutto, a costruire il suo mito ha contribuito una copiosa letteratura di carattere popolare che si è tramandata nei secoli in modo orale su tutto il territorio europeo sulla scia dei Poemi epico-cavallerischi i cui episodi sono stati ampliati con numerosissimi racconti collaterali. Un gran numero di racconti di impronta carolingia li troviamo raccolti in un’opera straordinaria, composta in Sicilia [alla metà del XIX secolo], la quale ha avuto – anche attraverso l’Opera dei pupi [di cui abbiamo parlato la scorsa settimana] – un grandissimo successo: si tratta di un romanzo di enormi proporzioni [più di tremila pagine] intitolato Storia dei Paladini di Francia composto da Giusto Lo Dico [o Giusto Lodico]. Giusto Lo Dico è nato a Misilmeri in provincia di Palermo nel 1826 ed è morto nel 1906, e ha insegnato per tutta la vita come maestro elementare nelle Scuole di Àlia e di Palermo. La raccolta di Giusto Lo Dico è stata pubblicata per la prima volta nel 1858 in quattro volumi dall’editore G.B. Gaudiano con il titolo di Storia dei Paladini di Francia cominciando da Milone, conte di Anglante, fino alla morte di Rinaldo. Dal 1860 quest’opera è stata costantemente ristampata in moltissime edizioni ed è diventata ben presto, e resta tuttora, la “Bibbia dei pupari”, il Libro [quest’opera viene chiamata anche semplicemente “il Libro”] che sistematizza le numerosissime storie che nei secoli erano state affidate esclusivamente alla tradizione orale dei cantastorie [più propriamente “cuntastorie” o “cuntisti”, persone, artisti a volte addirittura analfabeti, che senza alcun ausilio scenico, hanno saputo affascinare intere masse popolari] e questi testi hanno avuto tanto successo che ci si è dimenticati perfino dell’autore e così il maestro Giusto Lo Dico è diventato un illustre sconosciuto e il suo nome non lo si trova più sui libri che contengono le storie che ha scritto. Su Giusto Lo Dico abbiamo poche notizie: sappiamo che è nato a Misilmeri e, di conseguenza, dobbiamo fare una visita a questa cittadina [di circa venticinquemila abitanti] sulla strada che, in direzione nord, va verso Palermo e segue il fondovalle del fiume Eleutero in un’area dove si sono diffuse grandi coltivazioni di agrumi risalenti al tempo della dominazione araba della Sicilia e, infatti, il florido centro agricolo di Misilmeri è cresciuto attorno ad un vasto casale arabo e il nome Manzil al Amir [Misilmeri] significa il Casale dell’Emiro.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Consultando una guida della Sicilia e navigando in rete fate un’escursione a Misilmeri per scoprire quanti interessanti resti di monumenti ci siano in questa cittadina che conserva il ricordo di un glorioso passato [arabo-normanno] e non è casuale il fatto che abbia dato i natali allo scrittore Giusto Lo Dico il quale proprio qui ha trovato ispirazione per conservare, scrivendole, le straordinarie “Storie del Paladini di Francia” al servizio di “Carlo imperatore”…
Buon viaggio…
La Storia dei Paladini di Francia narra complicate e tortuose vicende, e ha inizio con la nascita e le primissime gesta di Carlo Magno e termina con la disfatta di Roncisvalle [con la morte di Rinaldo detto anche Orlando]. Fino agli anni ‘40 del secolo scorso i pupari rappresentavano la Storia dei Paladini di Francia sera dopo sera nell’arco di un intero anno e il pubblico – un pubblico per lo più costituito dagli strati più poveri della popolazione – la seguiva con straordinaria e passionale partecipazione ed era una sorta di rito collettivo: il narratore, nascosto dietro alle figure dei pupi, produceva una specie di miracolo e ogni persona in ascolto diventava lei stessa il narratore creando una catena emotiva fortissima.
La lettura della Storia dei Paladini di Francia è piuttosto difficoltosa perché il linguaggio di quest’opera ha ovviamente uno stile affabulatorio particolare e ridondante al quale non siamo più abituate ed abituati. E i contenuti dell’opera, specie per quanto attiene alle battaglie e ai duelli, risultano spesso ripetitivi e poi l’intrecciarsi delle vicende, la moltitudine impressionante di nomi, luoghi e personaggi, ne rendono difficile la memorizzazione sicché chi legge è più volte costretto a tornare indietro a ricercare nelle pagine precedenti gli elementi che gli consentano di riannodare i fili del discorso: la lettura [e l’ascolto] della Storia dei Paladini di Francia aveva [e avrebbe] la funzione di un esercizio utile per potenziare la capacità mnemonica della persona.
Un altro elemento significativo che caratterizza la Storia dei Paladini di Francia è quello della “ingenuità” e ne sono esempi lampanti la dimensione iperbolica [un eroe può affrontare e sconfiggere, da solo, centinaia di nemici] e quella soprannaturale [miracoli e incantesimi succedono di continuo]. Di storia in quest’opera ne resta ben poca e risulta essere un’interessante immersione in un mondo fantastico che favorisce lo sviluppo dell’immaginario di chi ascolta e di chi legge.
La Storia dei Paladini di Francia, tramite l’Opera dei pupi, resiste ancora allo scivolamento verso l’oblio al quale sembra essere destinata [La nostra Scuola partecipa a questa resistenza perché gli iperbolici Paladini di Francia non devono scivolare nell’oblio!]. Leggiamo un frammento dell’incipit della Storia dei Paladini di Francia: la lettura di queste poche righe serve, in primo luogo, per rimettere al suo posto l’autore, Giusto Lo Dico [davanti al titolo dell’opera che ha scritto], poi per assaggiare lo stile di questa scrittura, anche se ora a leggere [ad affabulare] ci vorrebbe un “cuntista” che desse le movenze e facesse parlare il “pupo narratore”, quello che ha il compito di presentare gli episodi e di tenerli legati nella complessa trama della storia.
LEGERE MULTUM….
Giusto Lo Dico, Storia dei Paladini di Francia
Correva l’anno 781 dell’era cristiana.
Regnava Carlo in Francia, successor di Pipino, da poco sposo della bella Galerana figlia di Galafrone di Toledo e della saggia Merlana.
A Parigi si fanno gran preparativi per festeggiare le nozze dei sovrani e i corrieri di Carlo vengono spediti per bandire il torneo in tutti i reami affinché accorrano alla giostra le migliori lance e sia presente ogni valoroso cavaliere che gran sete di vittoria brami. Nella famiglia di Carlo brilla la stella, fulgida senza quartiere, di sua sorella Berta, sposa promessa, con mossa forse troppo repentina, a Costantino il sommo imperatore di tutta la Grecia bizantina.
Ma Berta è innamorata di Milone conte d’Anglante il più bel paladino che sulla terra si possa trovare che però di diventar cognato di Carlo non osa giammai più sperare e allora decide, in stato di gran depressione, di porre fine ai suoi giorni col lasciarsi morire di fame che la vita senza la sua amata non può avere né un senso e neppure una buona ragione.
Presto è preparato il torneo e varî cavalieri hanno già spezzato molte lance per ottenere, come premio al loro valore, dalle mani della vezzosa Berta, l’agognata corona e anche un fremito del suo cuore, di quel cuore che però, in segreto, palpita solo per il bel Milone. …
Sul palpito del cuore della “vezzosa” Berta che freme per Milone [e questa storia d’amore, dopo varie peripezie e un duello risolutore, va a buon fine] ci fermiamo: interrompiamo la nostra brevissima incursione sul testo della Storia dei Paladini di Francia perché ci dobbiamo occupare del tema che riguarda l’istituzione del “Sacro romano impero”, un avvenimento che ha assunto un carattere epico che ha contribuito allo sviluppo del mito dell’imperatore carolingio e, ancora recentemente, l’elaborazione della leggenda di Carlo Magno ha conosciuto un altro momento importante dopo la Seconda guerra mondiale, quando, con il Trattato di Roma del 1957, ha cominciato a formarsi la Comunità Europea. I dirigenti di questa Europa che desiderava l’unificazione – il francese Schuman, il tedesco Adenauer e l’italiano De Gasperi – erano democristiani e, quindi, hanno scelto come patrono della nascente Europa proprio Carlo Magno che era considerato il simbolo del continente cristiano per eccellenza e questo ha contribuito anche a rafforzare il mito del Sacro romano impero.
Indipendentemente dal mito, alla nascita del “Sacro romano impero” contribuiscono le critiche condizioni in cui si trovavano l’Impero bizantino e il Papato: l’Impero bizantino era finito nelle mani dell’imperatrice Irene, ambiziosa e crudele, che si era impadronita del potere con una congiura ordita contro il proprio figlio, un atto spregevole che Carlo Magno approva perché avrebbe voluto sposare Irene per riunificare l’Impero romano [viene dissuaso da Alcuino]. A Roma poi succede che il papa Leone III viene aggredito e arrestato da una fazione di nobili che non approvano la sua condotta verso i Franchi, ma Carlo Magno lo rimette sul trono e, quindi, la notte di Natale dell’anno 800, dopo la messa celebrata nella Basilica Vaticana, il papa pone sul capo di Carlo inginocchiato una corona d’oro, benedicendolo, mentre i presenti lo acclamano imperatore: sembra che tutto si verifichi spontaneamente per grazia divina, come per miracolo mentre ogni mossa è il frutto di una trattativa.
Il fatto è che con questo atto la Chiesa si assicura l’aiuto della più alta autorità civile e, consacrandola in nome di Dio, può affermare la sua altissima funzione spirituale e questa idea è contenuta nel nome della stessa istituzione nascente: l’Impero è “sacro” perché ispirato e consacrato dall’autorità del pontefice ed è “romano” perché l’imperatore è considerato l’erede e il successore degli antichi “cesari”: il fatto è che, in realtà, questo Impero è soprattutto “germanico” perché la sua forza materiale risiede nell’Europa franco-germanica e l’Italia [e Roma] è in una posizione di dipendenza [è la periferia dell’Impero].
Nell’anno 812, con la firma di un accordo, la Corte bizantina riconosce ufficialmente il “Sacro romano impero d’Occidente” e in cambio Carlo Magno rinuncia ad ogni pretesa sui territori rimasti sotto il dominio bizantino [il Ducato di Spoleto, quello di Benevento] nell’Italia centro-meridionale [anche se ormai questi Ducati bizantini sono indipendenti da Costantinopoli] e Carlo accetta volentieri questa clausola perché la penisola italiana e il Mediterraneo stanno ai margini e non sono strategici per l’Impero.
Carlo Magno si sposta continuamente sul vasto territorio del nuovo Stato e come sua residenza ufficiale sceglie la città di Aquisgrana che assume il ruolo di capitale carolingia ed è un sito collocato a nord, a ovest del Reno, e che sposta decisamente a settentrione il baricentro del “Sacro romano impero”.
Compiere un viaggio ad Aquisgrana, una bella città [di circa 250 mila abitanti] situata nella regione della Renania Settentrionale - Westfalia, è un’esperienza molto interessante: intanto è stata fondata dai Romani [e questo Carlo Magno ci teneva a sottolinearlo] col nome di Aquae Granni [le Acque di Grannus] in onore del dio celtico della salute [Grannus], una salute che deriva proprio dalle acque perché ad Aquisgrana, da millenni, sgorgano, da 38 fonti, delle acque salutari [alla temperatura dai 37 ai 75 gradi] che, per la loro forte solforosità, sono indicate per la cura di molte malattie [digestive, nervose, reumatiche].
Fate un’escursione ad Aquisgrana dove è di fondamentale importanza visitare la Cattedrale [Münster]: questo edificio [dichiarato il monumento più importante della Germania] è sorto su un sito dove in origine c’era un tempio romano su cui viene costruita, nel V secolo, una basilica paloecristiana a ridosso della quale è poi stata edificata [nell’VIII secolo] su ordine di Pipino il Breve la Cappella palatina di Santa Maria e, successivamente, Carlo Magno ha chiamato, a costruire l’attuale edificio, il Maestro Odo da Metz mettendogli a fianco il suo dotto biografo Eginardo che ne ha disegnato l’assetto prendendo spunto dalla Chiesa di San Vitale a Ravenna.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Andate ad osservare le forme eterogenee di questo edificio e a scoprire quanti tesori [in particolare di oreficeria] sono contenuti nella Cattedrale di Aquisgrana utilizzando una guida della Germania e navigando in rete… Buon viaggio...
Abbiamo citato Eginardo e non ci dobbiamo meravigliare se l’autore della Vita Karoli [Vita e gesta di Carlo Magno] oltre ad essere scrittore e storico si dedichi anche all’architettura facendo l’aiuto capomastro; il fatto è che Eginardo dimostra di essere un intellettuale che comincia ad avere le caratteristiche dell’umanista: uno studioso dal molteplice ingegno che si applica nelle più diverse discipline [del trivio e del quadrivio] traducendole in pratica, e ciò significa che siamo decisamente entrate ed entrati in Età medioevale sulla strada che porta verso la nascita del movimento dell’Umanesimo.
Torniamo ora ad utilizzare le competenze di Eginardo come “biografo” perché è doveroso [per essere più informate ed informati] andare alla fonte della narrazione storica ed ascoltare, in diretta dall’Alto-medioevo, la voce del cronista che rivela il contenuto delle “trattative segrete” e racconta, senza mitologia, come si sono svolti i fatti e, quindi, leggiamo ancora due pagine [strategiche] della Vita Karoli [Vita e gesta di Carlo Magno] di Eginardo e riprendiamo il filo della narrazione dalla congiura ordita [nell’aprile del 799] dai membri dell’aristocrazia romana filo-bizantina per uccidere papa Leone III [dopo averlo denunciato per comportamento immorale]: questa situazione gioca a vantaggio di Carlo Magno perché Leone riesce a salvare la pelle e si rifugia presso di lui. Eginardo, fedele all’ammonimento dei Classici [Cicerone, in particolare] per cui il cronista deve dire sempre la verità, smentisce che l’incoronazione di Carlo Magno [e la nascita del “Sacro romano impero”] sia da considerarsi un avvenimento “miracoloso” ispirato dalla volontà divina, e ritiene doveroso svelare [con una certa dose di ironia] il contenuto degli accordi “segreti” stipulati tra il re franco e il papa nella città di Paderborn dove il saggio Alcuino scrive il testo di un “copione” che ogni attore ha poi recitato sul palcoscenico della Storia come se tutto stesse avvenendo spontaneamente e per grazia di Dio.
Leggiamo la cronaca di Eginardo, biografo e architetto.
LEGERE MULTUM….
Eginardo, Vita Karoli
L’occasione per attuare la congiura contro Leone III si presentò durante la tradizionale processione compiuta dal pontefice il 25 aprile di quel 799, per la festività di San Marco, dal Laterano a San Lorenzo in Lucina. Il papa procedeva a cavallo e i congiurati lo assalirono all’altezza del convento di San Silvestro, lo sbalzarono di sella e tentarono di accecarlo e strappargli la lingua, ma nel trambusto riuscirono solo a trascinarlo nel chiostro affidandolo ai preti greci. Segno questo che la parte del clero filo-bizantina era d’accordo con i congiurati.
Sopraggiunta la notte lo trasferirono a Sant’Erasmo al Celio ma da qui il papa riuscì a fuggire grazie all’aiuto di alcuni suoi fedelissimi, tra cui il camerario Albino; lo calarono con una fune lungo il muro e lo portarono malridotto ma salvo a San Pietro.
Gran parte del clero e del popolo a questo punto si strinse intorno alla basilica e i congiurati non riuscirono ad entrare; ci fu poi l’intervento del duca Vinigi di Spoleto, che si trovava per caso a Roma; il giorno dopo condusse il papa al sicuro nella sua città. La notizia dell’aggressione intanto era arrivata a Carlo, che era impegnato contro i Sassoni; Leone volle andare da lui a Paderborn. Il re, appena seppe che il papa si stava rifugiando sotto la sua protezione, gli inviò incontro un’ambasceria con l’arcivescovo Ildibaldo di Colonia e suo figlio Pipino. Lo ricevette con i massimi onori; nello stesso tempo però giungeva da Roma un memoriale dei congiurati che illustrava la sostanza delle accuse e si chiedeva al re di giudicare il comportamento del papa. Carlo si rivolse al suo fedele Alcuino, al quale probabilmente erano pervenute notizie più attendibili da parte dell’arcivescovo Arno, che questa volta in parte confermava le accuse. Alcuino in una serie di Lettere però fece presente al re che nessuno poteva sottomettere a giudizio la sede di Roma e precisava che riteneva dannosa, per il bene della Chiesa, una deposizione del papa; significava screditarlo, là dove a Carlo stesso invece occorreva un pontefice accreditato. Infatti, tra l’altro, gli scriveva: «In voi è riposta la salvezza della cristianità. Bisogna pertanto che prima pensiate a guarire il capo [Roma] e dopo penserete a guarire i piedi [i Sassoni]». Erano parole che miravano lontano, Alcuino infatti, mentre alludeva agli avvenimenti di Costantinopoli, dove l’imperatrice Irene, esclusa dal governo per ordine del figlio Costantino VI, era riuscita a imporsi a sua volta a lui e, fattolo arrestare, accecare e rinchiudere in un convento, si era proclamata imperatrice, in pratica faceva notare a Carlo che il trono imperiale era stato usurpato e andava considerato sede vacante.
Certamente bisognava agire con molta prudenza e i negoziati di quell’autunno del 799 a Paderborn tra il papa e il re restarono segreti, ma il succo degli eventi è chiaro.
Leone III torna a Roma accompagnato da un folto seguito di vescovi franchi e Pari di Francia: la diplomazia franca si è mossa adeguatamente tra clero, nobili e popolo della città, mettendo in minoranza gli accusatori del papa e contro di lui non si emette nessuna sentenza, ma deciderà Carlomagno quando verrà a Roma.
E Carlo, risolti i problemi con i Sassoni, arriva nel novembre dell’800 e il 23 novembre il papa gli va incontro a Nomento, a dodici miglia da Roma, con il clero, il popolo e la milizia, poi rientra in città: il giorno dopo Carlo entra solennemente in San Pietro tra una folla di prelati plaudenti. Carlo prende la parola precisando di essere venuto a Roma per restaurare l’ordine nella Chiesa, avrebbe ascoltato le proteste dei cittadini contro il papa e quindi avrebbe deciso sull’innocenza o meno di Leone III. Il suo giudizio era indiscutibile e il papa sarebbe comparso al tribunale del re suo giudice come un suddito qualunque, e questo era stato stabilito negli accordi segreti. Nel corso dei dibattiti che si susseguirono, mentre da un lato gli accusatori non riuscivano a portare prove concrete al re e d’altra parte la persona stessa del papa non appariva poi così limpida, prese consistenza la posizione caldeggiata dai vescovi franchi influenzati da Alcuino che aveva preferito restare nel suo convento di Tours.
Leone III doveva sottoporsi al giuramento di purgazione come aveva fatto papa Pelagio I di fronte a Narsete [il generale di Giustiniano] e anche questa mossa era stata prevista nelle trattative segrete. E così il 23 dicembre il papa, alla presenza di Carlo e dei suoi Pari, davanti a una folla immensa di clero e popolo, con il Vangelo in mano chiamò a testimone Dio “davanti al cui giudizio tutti devono comparire” che non aveva eseguito né fatto eseguire i crimini di cui era accusato.
Il giuramento di purificazione fu considerato sufficiente a dimostrare l’innocenza di Leone III e i suoi avversari, di conseguenza, vengono riconosciuti colpevoli del reato di lesa maestà e finirono in esilio in terra franca.
Due giorni dopo, la notte di Natale, si celebra l’ultimo atto previsto dall’accordo segreto: Carlo, presente alle funzioni in San Pietro, aveva appena finito di pregare e stava per levarsi in piedi, quando Leone III gli pone sul capo una splendida corona d’oro e il popolo presente lancia la triplice acclamazione che solitamente accompagna le incoronazioni imperiali: «A Carlo, il piissimo Augusto incoronato da Dio, al grande imperatore apportatore di pace, vita e vittoria!». Certamente quella folla non è stata “ispirata da Dio e dal beato Pietro, il Portiere del Cielo” come afferma il Liber pontificalis e neanche il papa aveva preso improvvisamente quella decisione storica e tanto meno si può pensare che Carlo fosse impreparato a ricevere la corona. Non regge l’idea dell’improvvisazione con un papa umiliato, che prende la sua rivincita sul re strapotente in una dimostrazione della supremazia della Chiesa sulla potenza politica, suggello del maggior prestigio del potere spirituale su quello temporale. E non convince la voce anonima che parla di un Carlo addirittura contrariato dall’atto compiuto a sua insaputa dal papa, tanto che, se ne avesse avuto un vago sentore, quella notte non sarebbe neanche entrato in San Pietro, in realtà il copione dell’incoronazione era stato scritto a Paderborn dal saggio stratega Alcuino e tanto il papa quanto il re hanno ben recitato la loro parte in commedia. …
La cronaca di Eginardo è molto interessante anche per il sarcasmo con cui rompe la “segretezza” degli accordi [tutti sapevano che Carlo e Leone si erano accordati e avrebbero recitato la loro parte in commedia], il fatto è che il cronista vuole soprattutto esaltare il regista di tutta l’operazione: il principale consigliere di Carlo Magno, il monaco inglese Alcuino di York che è il maestro di Eginardo. Se si è potuto parlare in seguito di “rinascita carolingia” lo si deve soprattutto a questo importante personaggio: chi è Alcuino di York? Prima di tutto possiamo dire che con Alcuino di York entriamo in contatto con il terzo grande “quadro culturale” che compone la scenografia del nostro viaggio: il “paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini”, e la Scolastica [un tema di cui ci occuperemo nello specifico nel prossimo viaggio] è stato il primo serio tentativo di combattere l’ignoranza [foriera di molti mali] sul territorio dell’Ecumene: chi è Alcuino di York?
Alcuino è nato a York, importante città nell’Inghilterra settentrionale nel 735. La città di York è l’antica Eborarum fondata dai Romani nel 71 d.C..
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Utilizzando la guida della Gran Bretagna e navigando in rete fate una visita a York [oggi città di circa 180.000 abitanti ad alta vocazione turistica] dove si può ammirare la cerchia delle mura medioevali [5 km circa] che è la meglio conservata d’Europa e poi la Cattedrale gotica di San Pietro, uno dei monumenti più imponenti e solenni di tutta la Gran Bretagna…
Alcuino studia nella Scuola di York che ha la sua sede nell’abbazia agostiniana dove diventa monaco e anche maestro e poi direttore della Scuola stessa. Nel corso di un viaggio in Italia Alcuino incontra a Parma, nel 781, Carlo Magno che lo interpella e lui gli fa capire quanto sia importante fondare le Scuole e investire in cultura se si vuole combattere il degrado morale e sociale nel quale l’Europa versa. Carlo Magno fa di Alcuino il suo più importante collaboratore e gli affida l’organizzazione e la direzione delle “Scholae palatinae” che sorgono nelle più importanti città di Francia, di Germania e d’Italia; inoltre, Alcuino si dedica con grande alacrità a visitare tutte le abbazie presenti sul territorio dell’impero carolingio per propiziare la rinascita delle Scuole abbaziali e per incrementare in esse l’attività di studio e di scrittura in modo da incentivare [con sostegni economici] l’opera di ricopiatura di tutte le Opere classiche che sono state conservate nelle biblioteche dei monasteri favorendo la nascita di una nuova generazione di copisti [di amanuensi] secondo la tradizione instaurata dal Vivarium di Cassiodoro [a Squillace] e dalla Scuola etimologica di Isidoro di Siviglia.
Alcuino per sottolineare l’importanza della cultura classica – le cui Opere dovevano tornare ad essere studiate nelle Scuole – prende il nome latino [lo pseudonimo] di Albinus Flaccus con il quale firma i molti manuali scolastici che scrive in funzione dell’insegnamento [De orthographia, Grammatica, Dialectica] e i manuali filosofici di commento al pensiero di Sant’Agostino [De fide trinitatis, De animae ratione].
Nel 799 Alcuino è a Paderborn dove convince Carlo Magno a non continuare ad usare violenza contro i Sassoni per farli convertire con la forza al cristianesimo ed è proprio in questo momento che Leone III, dopo essere scampato miracolosamente all’agguato tesogli dagli aristocratici romani, si rifugia presso il re franco che lo accoglie ben volentieri e Alcuino diventa [come sappiamo] il regista delle trattative segrete tra regno franco e papato, e detta la linea politica da seguire per giustificare la proclamazione del “Sacro romano impero”.
Tutto questo avviene a Paderborn una città particolarmente amata da Carlo Magno, una storica città della Westfalia che sorge sulle duecento sorgenti del fiume Pader [anche in questa zona ci sono acque termali curative]. Il monumento più significativo di Paderborn è la Cattedrale [Dom] che si trova sul sito più alto della città ed è un complesso edificio romanico-gotico che rivela tre distinte epoche costruttive.
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Con la guida della Germania e navigando in rete fate una visita a Paderborn e alla sua Cattedrale, buon viaggio…
Dopodiché Alcuino – piuttosto disgustato per il comportamento poco “evangelico” del papato – si ritira nell’abbazia di San Martino a Tours, nella valle della Loira, dove aveva già preso la residenza dal 796 e aveva fondato una Scuola: lì muore nell’804.
E a questo punto si consiglia ancora un’escursione, ma prima dobbiamo dire che Alcuino ha voluto lanciare un messaggio [in questo momento tra la Chiesa delle abbazie e la Santa Sede non c’è identità di pensiero su come vada vissuto il cristianesimo] e la scelta di Alcuino di ritirarsi nell’abbazia di San Martino a Tours ha un preciso significato su quello che dovrebbe essere il ruolo pastorale della Chiesa nel mondo e il ruolo politico del Sacro romano impero: San Martino è un legionario romano che si converte al cristianesimo condividendo il proprio mantello con il povero mendicante, ed è su questa allegoria [su questo dettato evangelico] che deve fondarsi – secondo Alcuino [che è piuttosto pessimista in proposito] – l’operato del papato e dell’impero.
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Con la guida della Francia e navigando in rete risalite la Loira fino a Tours e andate a visitare i resti molto suggestivi della poderosa abbazia benedettina di Marmoutier fondata da San Martino nel 372: un monumento che ha una storia molto interessante, buon viaggio…
Alcuino muore prima che il “Sacro romano impero” possa avere un assetto e la mancanza di questo saggio consigliere si fa sentire.
Il “Sacro romano impero” di Carlo Magno si presenta in modo ben diverso dall’antico Impero romano che era uno Stato vero e proprio retto dalle leggi varate dal Senato, il “Sacro romano impero” è un agglomerato di popoli diversi ciascuno dei quali vuole conservare le proprie leggi e le proprie tradizioni, ed è per questo che Carlo, insieme ai suoi consiglieri militari, cerca di imporre un ordinamento amministrativo uguale per tutti.
Il territorio del “Sacro romano impero” viene diviso in “contee” con a capo un conte – la parola “conte” deriva dal termine latino “comes” che significa “amico affidabile”, quindi i conti [comites e poi comptes] sono [o dovrebbero essere] i paladini fidati dell’imperatore – e il territorio coltivabile della contea prende il nome di “contado” e gli agricoltori che lavorano questa terra cominciano ad essere chiamati “contadini”. Mentre nelle zone di confine vengono create le “marche” – la parola “marka” è un termine franco che significa “segno [linea di confine]” – e le marche vengono governate dai “marchesi”, e la parola “marchese” deriva dal verbo franco “marquer” che significa “marcare [contrassegnare]” quindi il marchese è “colui che marca, che presidia il confine”, e due sono le “marche” più importanti: la Marca ispanica [tra i Pirenei e l’Ebro] al confine con i Califfati arabi della penisola Iberica e la Marca Avarica [l’odierno territorio austriaco] al confine con gli Slavi.
A loro volta i conti e i marchesi dividono il territorio, che è stato loro assegnato dall’imperatore, in porzioni chiamate “feudi [dal termine tardo-latino “feudus” che significa “pezzo di terra da far fruttare”]”: i feudi vengono affidati dai conti e dai marchesi ai loro “vassalli” di fiducia [il termine “vassallo” deriva dal celtico “vassus” che è entrato nella tarda lingua latina e significa “servitore”], e i vassalli, a loro volta, dividono il loro feudo in porzioni più piccole e le affidano ai loro “valvassori [valvassore, vassus vassorum, significa “vassallo dei vassalli”]” e anche i “valvassori” dividono il loro feudo in porzioni più piccole [i poderi] e le affidano ai loro “valvassini [i servitori dei valvassori o factores]”; infine alla base della piramide, sulla terra del contado [della quale è padrone l’imperatore], ci sono i “contadini” che svolgono le mansioni agricole con il sistema della “corvèe [parola di origine etrusca che significa “fornire una prestazione lavorativa in cambio del vitto e della protezione”]”, quindi i contadini vengono ripagati con una quota di prodotto [con il grano] necessario al loro sostentamento.
I contadini in teoria non sono schiavi [a parole lo schiavismo è abolito] ma in realtà non sono liberi [sono vincolati alla terra del feudo], e i feudatari utilizzano la loro “manodopera non retribuita” per tutti i lavori necessari: per il regime idraulico nei campi, per la manutenzione della viabilità, dei boschi, dei pascoli, delle vigne, delle strutture per l’allevamento degli animali, e per edificare il castello [la dimora del feudatario] e le mura dei borghi, per cui con questo sistema economico semi-schiavistico [difatti si parla di “servi della gleba” e “glebs” è parola germanica che significa “zolla di terra”] i feudatari si appropriano di tutta la produzione agricola che è in più rispetto alle necessità alimentari della popolazione e inoltre si appropriano di tutta la forza lavoro che non è strettamente necessaria alla sopravvivenza di ogni singolo lavoratore. I conti e i marchesi raccolgono il grano dai vari feudi e ne trattengono una parte per le loro esigenze e mandano il resto ai granai imperiali, reclutano i soldati tra i contadini per l’esercito imperiale, e amministrano la giustizia.
L’imperatore controlla i conti e i marchesi mandando periodicamente coppie di ispettori a visitare le contee detti “missi dominici [inviati del signore]”, dei quali uno è laico e l’altro ecclesiastico [il potere dei vescovi aumenta e sono chiamati a svolgere molte mansioni civili oltre che religiose]: costoro dovrebbero ascoltare le lamentele delle popolazioni, informarsi dei loro bisogni e togliere gli eventuali abusi, ma il fatto è che i contadini non godono di alcun diritto né di alcuna protezione sociale.
L’imperatore detta per tutto l’impero delle Leggi generali dette Capitolari che vengono approvate in assemblee, chiamate Campi di maggio, alle quali avrebbero dovuto partecipare tutti gli uomini liberi.
Il “feudalesimo” si rivela nei fatti un sistema profondamente ingiusto che non fornisce servizi e non tutela le persone [nel viaggio del prossimo anno capiremo meglio i meccanismi di questo sistema poco dinamico e vedremo che saranno gli Ordini monastici a provvedere allo stato sociale], tuttavia l’organizzazione del lavoro feudale [o curtense] – che pesa tutto sulle spalle dei contadini [degli eredi di Bertoldo, che pagano un prezzo altissimo] e possono solo contare sull’opportunità di mangiare quotidianamente – favorisce una generale rinascita economica e torna anche a fiorire l’artigianato per la produzione di oggetti di uso domestico e si sviluppa lo scambio delle merci che vengono barattate in fiere e mercati [di denaro non ne circola nel sistema feudale].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quanti baratti avete fatto nel corso della vostra vita e che cosa avete barattato ?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Il baratto consiste in uno scambio di oggetti, consiste nel “fare cambio” e noi ora utilizziamo questa idea per attuare un cambio di direzione [dall’alto-medioevo all’età illuministica] in funzione della didattica della lettura e della scrittura. E per attuare questo [temporaneo] cambio di direzione dobbiamo completare la digressione che abbiamo appena fatto dicendo che il “sistema dell’economia feudale” è rigido, è senza dinamismo, ed è basato sull’ingiusto concetto che l’istituzione imperiale ha solo dei “diritti” sui sudditi che sono chiamati unicamente ad ubbidire e a servire.
Il “sistema economico dei califfati ispanici [al quale Carlo Magno guardava con interesse]” si basa sul principio [secondo la Letteratura del Corano] che “il proprietario della terra è Dio” il quale incalza l’essere umano perché “collabori alla creazione”, e Dio prescrive che l’istituzione fornisca i mezzi all’individuo perché possa perfezionare il Mondo creato [si legge nella LXXVIII. La sura dell’annuncio: «Che il responsabile fornisca i mezzi per dare perfezione al Creato»] e, quindi, l’istituzione deve provvedere [diremmo oggi] a incentivare l’imprenditorialità: il territorio dei califfati viene diviso in emirati e l’emiro [“emiro” significa “responsabile dell’organizzazione” e successivamente gli emiri diventeranno figure più importanti] è un funzionario che, utilizzando le risorse pubbliche ricavate dalla riscossione delle “decime”, deve provvedere a fornire strumenti [le strade, l’acqua, i mezzi di trasporto, il mercato, la moneta] ai contadini ai quali viene assegnata la terra [per sorteggio] perché la lavorino e vendano i loro prodotti sul mercato; quindi, questo sistema [basato sul dovere dell’istituzione di fornire servizi per favorire una migliore produzione] è molto più dinamico rispetto al sistema statico del “diritto feudale” [difatti, in breve tempo, la penisola Iberica diventa la zona più ricca e progredita dell’Ecumene]. Dove arrivano a governare gli Arabi vengono aboliti i “diritti feudali” e la terra viene assegnata a chi la lavora e questo fatto ha sempre costituito un punto di riferimento per chi guardava ad una società più [più libera] aperta.
Questa considerazione ci permette di incontrare sul nostro Percorso un interessante romanzo [del quale qualche anno fa abbiamo già parlato in un altro contesto] intitolato Il Consiglio d’Egitto scritto da un autore [siciliano di portata europea] che tutte e tutti voi conoscete: Leonardo Sciascia [1921-1989]. Anche se ora possiamo leggere insieme solo poche pagine di quest’opera tuttavia è importante presentarla anche perché avete tutto il tempo per completarne la lettura durante la vacanza estiva. Questo romanzo è stato pubblicato nel 1963 ed è il primo dei cosiddetti “romanzi-apologhi” in cui Sciascia utilizza un avvenimento storico particolare [di solito siciliano] per farlo diventare una metafora esistenziale che assume le proporzioni di un’allegoria di carattere universale.
Il fatto realmente avvenuto al quale Leonardo Sciascia si rifà per scrivere il suo “romanzo-apologo” intitolato Il Consiglio d’Egitto [1963] è legato ad un personaggio che si chiama Giuseppe Vella [il quale ha attirato l’attenzione di molte scrittrici e scrittori]. Giuseppe Vella, nato a Malta nel 1749 [morto a Mezzomonreale nel maggio 1814], è uno studioso di materie umanistiche, di filologia e di teologia: è un monaco benedettino molto erudito che dal 1782 è stato cappellano nel monastero di San Martino delle Scale di Monreale [siamo a pochi chilometri da Palermo]. Il suo lavoro di erudito è noto – e per questo Giuseppe Vella è diventato famoso – per un’importante opera di falsificazione che lui ha compiuto. Questo fatto ha dato una svolta alla sua vita e lo ha portato alla ribalta internazionale europea: che cosa è avvenuto?
L’avvenimento che porta don Giuseppe Vella alla ribalta intellettuale europea accade il 17 dicembre 1782 quando Abdallah Mohamed ben Olman, ambasciatore del Marocco a Napoli [siamo nel Regno delle Due Sicilie], viene accolto a Palermo perché la nave su cui viaggia, a causa di una tempesta, ha fatto naufragio sulle coste della Sicilia settentrionale. Don Giuseppe Vella viene incaricato dal viceré di mostrare all’ambasciatore le bellezze di Palermo soprattutto quelle lasciate dagli Arabi in Età alto-medioevale e l’abate, solo con qualche conoscenza di lingua araba, s’improvvisa interprete dell’illustre ospite e lo accompagna anche a visitare il monastero cassinese di San Martino delle Scale [il suo monastero] dove al diplomatico vengono mostrati una serie di Codici arabi conservati nella ricca biblioteca.
È a questo punto che nella mente dell’abate Vella – visto che in città nessuno capisce l’arabo – balena l’idea di costruire un falso, di architettare un’impostura intellettuale, e questo artistico imbroglio filologico-letterario sarebbe servito, nella Palermo del 1783, a sostenere la causa dei viceré riformatori contro il potere feudale dei baroni: si ipotizzava che gli Arabi avessero abolito in Sicilia i “diritti feudali” ma non c’era alcun documento che avvalorasse giuridicamente questo fatto. Una volta partito l’ambasciatore, all’inizio del 1783 inizia a trapelare in città la notizia dell’esistenza di un manoscritto in caratteri cufici che viene chiamato Codex Martinianus dal nome del monastero di San Martino alle Scale: i manoscritti conservati nel convento di San Martino provenivano dalla collezione privata di Martino La Farina, marchese di Madonìa, ex bibliotecario dell’Escorial. L’abate Vella comincia con l’affermare che uno di quei codici contiene il registro della Cancelleria araba in Sicilia, e finge anche di tradurne alcuni passi che suscitano subito l’entusiasmo e il sostegno di alcuni intellettuali palermitani tra i quali l’arcivescovo Alfonso Airoldi, mecenate degli studi orientalistici, dal quale Vella ottiene anche il patrocinio per il suo [segreto] lavoro di falsificazione. Nasce così l’opera Il Consiglio d’Egitto, e si trattava di una colossale impostura, dal momento che Giuseppe Vella fa finta di tradurre un Carteggio degli emiri di Sicilia con i principi arabi dell’Africa settentrionale da un codice che, in realtà, contiene una biografia di Maometto [una Sira].
Naturalmente la presunta scoperta ha fatto immediato scalpore in tutta Europa dal momento che colmava una lacuna storiografica sull’epoca della Sicilia islamica. Non solo ma Il Consiglio d’Egitto si presenta come un testo politico che permetteva l’abolizione di tutti i privilegi feudali per cui questo documento avrebbe potuto far scoccare la scintilla per una insurrezione rivoluzionaria [c’è la Rivoluzione francese in corso e ci sono i simpatizzanti giacobini anche in Sicilia]. La falsificazione – molto ben realizzata – ha retto per vari anni, e viene scoperta grazie all’opera congiunta di vari studiosi.
Questo che abbiamo raccontato – senza scendere nei particolari – è l’antefatto che ci permette di leggere con cognizione di causa il “romanzo-apologo” Il Consiglio d’Egitto che, secondo l’intenzione di Leonardo Sciascia, guarda al passato per parlare della Sicilia, dell’Italia, dell’Europa, del Mondo d’oggi e che ora, per l’affinità dei temi trattati, non può che trovarsi sul nostro cammino.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il romanzo “Il Consiglio d’Egitto” di Leonardo Sciascia lo trovate in biblioteca, leggetelo… Dal romanzo “Il Consiglio d’Egitto” [come è successo anche per gli altri “romanzi-apologhi di Leonardo Sciascia”] nel 2002 il regista Emidio Greco ha tratto un omonimo film di cui si consiglia la visione...
E ora leggiamo due pagine de Il Consiglio d’Egitto dicendo che don Giuseppe Vella, per arrotondare il piccolo stipendio da fracappellano, svolge l’attività del “numerista”: interpreta i sogni e dà i numeri da giocare al lotto e in lui c’è una fantasiosa predisposizione alla falsificazione [alla trasformazione artistica] della realtà.
LEGERE MULTUM….
Leonardo Sciascia, Il Consiglio d’Egitto
… Sua eccellenza Abdallah Mohamed ben Olman voltò il foglio, ancora si attardò nell’esame. Mormorò qualcosa. Voltò altri fogli velocemente scorrendoli con la lente, sull’ultimo che guizzava di piccoli vermi d’argento si soffermò.
Si sollevò, voltò le spalle al codice: lo sguardo gli si era di nuovo spento.
«Una vita del profeta,» disse «niente di siciliano: una vita del profeta, ce ne sono tante». Don Giuseppe Vella si voltò con faccia radiosa verso monsignor Airoldi: «Sua eccellenza dice che si tratta di un prezioso codice: non ne esistono di simili nemmeno nei suoi paesi. Vi si racconta la conquista della Sicilia, i fatti della dominazione …».
... continua la lettura ...
La prossima settimana leggeremo ancora qualche pagina di questo interessante romanzo anche perché, sollecitato dalla parola “impostura”, don Giuseppe Vella ha deciso di rispondere – con quattro righe in proposito – ad uno dei quesiti posti dal REPERTORIO... dell’itinerario della prossima settimana [ora non possiamo dire altro].
L’Impero sorto con Carlo Magno la notte di Natale dell’800 dura soltanto ottantasette anni: quando, come e perché si dissolve il “Sacro romano impero”? E come nasce il movimento della Scolastica? Per rispondere a queste domande bisogna percorrere la via dell’Alfabetizzazione culturale e funzionale che è un bene comune [come la fantasia dei “numeristi”, provate a giocarli al lotto i numeri dati dall’abate Vella, chissà che non escano!].
Per promuovere l’Apprendimento permanente la Scuola è qui perché [come avete capito] più importante che sapere è non perdere mai la volontà di imparare e il compito della Scuola è quello di insegnare a “imparare ad imparare”.
Non mancate all’ultimo “itinerario lungo” di questo viaggio…