Prof. Giuseppe Nibbi Lo sguardo di Erodoto 2005 12-13-14 ottobre 2005
LO SGUARDO SORRIDENTE DI ERODOTO
ILLUMINA L’ANNO SCHILLERIANO…
Ben tornati a Scuola e ben venuti a Scuola! Ben tornati a tutti coloro che sono in viaggio, in questi itinerari culturali, da uno due cinque dieci, vent’anni. E ben venuti a coloro che muovono i primi passi sui sentieri di questa esperienza didattica che dal 1° ottobre 1984 – da vent’anni – opera nell’ambito della Scuola pubblica degli adulti. Quando ha avuto inizio questa esperienza di alfabetizzazione culturale costituiva un’offerta formativa fuori dalle norme, che non erano ancora state scritte per poterne giustificare l’effettiva esistenza: la Scuola pubblica degli Adulti poteva organizzare solo corsi per rilasciare titoli di licenza elementare e di licenza media, non poteva promuovere “percorsi” in funzione dell’educazione permanente. Questo è avvenuto soltanto nel 1997 con l’O.M. 455 che è stata ispirata anche (siamo orgogliosi di dirlo) da questa esperienza. Ora però non abbiamo tempo per dedicarci ai ricordi: siamo sul punto di metterci in viaggio per un nuovo itinerario e dobbiamo celebrare – come la maggior parte di voi ormai sa – il tradizionale rituale della partenza.
Il rituale della partenza, che si ripete ogni anno – ma, lo sapete, i rituali sono ripetitivi – è un atto dovuto e consiste in una breve cerimonia in cui dobbiamo conoscere la natura e gli obiettivi di questo Percorso didattico. Che Percorso didattico è, questo, che, da vent’anni, funziona nella Scuola pubblica degli Adulti, e quali sono i suoi obiettivi formativi? La natura e gli obiettivi di questo Percorso scolastico non riguardano tanto i contenuti da apprendere (anche se i contenuti hanno la loro importanza!), ma riguardano soprattutto la forma dell’apprendimento. Che cosa significa?
Abbiamo sempre utilizzato una metafora poetica per spiegare questo concetto didattico: la metafora della “collana di perle” e, ancora una volta la ripetiamo. “Non sono le perle (pur preziose) che fanno la collana, è il filo (che di per sé vale pochissimo) a dare forma alla collana”. Che cosa comunica questa metafora che ha assunto un valore proverbiale? Che significato ha sul piano della didattica questa affermazione?
Nel nostro viaggio culturale, incontreremo – settimana dopo settimana – una serie di contenuti (di perle) legati alle discipline umanistiche, legati alla Storia del Pensiero Umano (Stopenum), alla geografia, alla storia degli avvenimenti, all’antropologia culturale, alla storia dell’arte, della letteratura, della filosofia, e collezioneremo senz’altro molti argomenti cioè molte perle, molti oggetti culturali di grande valore intellettuale. Però il compito istituzionale che la Scuola pubblica si deve assumere è quello di insegnarci a utilizzare il filo, a utilizzare la trafila dell’apprendimento. Come senza il filo non si costruisce la collana, così, se non s’impara ad utilizzare la trafila dell’apprendimento non si è in grado d’investire in intelligenza. Questo significa che il nostro Percorso utilizza i contenuti della Storia del Pensiero Umano (stiamo andando incontro a Le Storie di Erodoto) per raggiungere un obiettivo formativo. In particolare questo Percorso utilizza i contenuti della Storia del Pensiero Umano (Stopenum) in funzione della didattica della lettura e della scrittura, e in funzione del potenziamento dell’esercizio della riflessione personale.
In biblioteca troviamo Palomar, uno dei famosi personaggi letterari di Italo Calvino, dice Palomar: «Non possiamo conoscere nulla d’esterno a noi scavalcando noi stessi, l’universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi. Si apprende solo se s’impara a spaziare con lo sguardo dentro di sé». Troveremo questa citazione sul prossimo numero del L’Antibagno. Questa è la natura e questi sono gli obiettivi dell’itinerario scolastico che ci stiamo preparando a percorrere, e qui termina la prima parte della celebrazione del rituale della partenza, ma c’è anche una seconda parte.
L’esercizio della lettura, della scrittura e della riflessione personale sono tra gli strumenti fondamentali, tra gli elementi necessari, per investire in intelligenza. Quando leggiamo (vi ricordo che 77 cittadini su 100 non leggono mai) e quando scriviamo (vi ricordo che 86 cittadini su 100 non scrivono mai) noi potenziamo le nostre azioni cognitive. Vengono chiamate “azioni cognitive” quelle azioni (ad alto reddito) che fanno funzionare la nostra mente in modo che si possa attuare il processo di apprendimento e l’investimento in intelligenza. Al cittadino viene garantito, da parte dell’Istituzione scolastica, il diritto all’apprendimento quando lo si invita costantemente – e anche perentoriamente – a coltivare le azioni cognitive, le azioni per mezzo delle quali s’impara. E quali sono queste azioni? (Ormai molti di voi le conoscono a memoria).
Il nostro apprendimento (l’imparare) passa attraverso sei azioni privilegiate – così ci dicono gli esperti – e sono le azioni del conoscere, del capire, dell’applicarsi, dell’analizzare, del sintetizzare, del valutare. A queste sei azioni cognitive principali corrispondono altre quaranta azioni cognitive conseguenti, che contribuiscono a fare di ciascuno di noi, quel che si dice: un essere intelligente. E allora, in pratica, in che cosa consiste – per noi – l’esercizio dell’imparare? Vale a dire: che cosa veniamo a fare a Scuola? Ogni itinerario che settimanalmente percorriamo corrisponde a un ragionamento progressivo e articolato, nel quale c’esercitiamo attraverso le sei fasi, che corrispondono alle azioni del nostro apprendimento: conoscere, capire, applicarsi, analizzare, sintetizzare, valutare. Attraverso queste azioni s’impara ad imparare, s’impara a investire in intelligenza. Il cittadino che, come studente, rientra in formazione è chiamato, prima che a farsi interrogare, a interrogarsi costantemente.
Nel nostro Percorso le “interrogazioni” non sono previste (per ora), ma la Scuola più che “interrogare” deve lanciare un continuo richiamo al cittadino perché “s’interroghi”, e a questo proposito predispone strumenti affinché le persone possano imparare e possano prendere l’abitudine ad interrogarsi. Per predisporsi a crescere culturalmente, a sviluppare le proprie capacità intellettuali, a curare la propria interiorità, a formulare un proprio pensiero è necessario che il cittadino impari a farsi delle domande. Il cittadino, per “investire in intelligenza” – nel nostro caso: in funzione della didattica della lettura e della scrittura – deve domandarsi: che cosa devo conoscere? Che cosa devo capire? Su quali azioni devo applicarmi? Che cosa significa analizzare, sintetizzare, valutare?
* Per investire in intelligenza è necessario imparare a conoscere le parole-chiave della Storia del Pensiero Umano e in questo Percorso, strada facendo, costruiremo un catalogo di parole-chiave, utili per la nostra conoscenza.
* Per investire in intelligenza è necessario imparare a capire le idee-significative della Storia del Pensiero Umano e in questo Percorso, strada facendo, incontreremo una serie di idee-significative, utili per la nostra comprensione.
* Per investire in intelligenza è necessario imparare ad applicarsi costantemente nell’esercizio della lettura (quattro pagine al giorno) e della scrittura (quattro righe al giorno).
* Per investire in intelligenza è necessario imparare ad analizzare, cioè a catalogare, a fare la lista dei pensieri che ci vengono in mente a contatto con le parole-chiave e con le idee-significative contenute nei repertori che incontreremo strada facendo.
* Per investire in intelligenza è necessario imparare a sintetizzare, cioè a scrivere un pensiero che abbiamo catalogato, il pensiero che ci sembra più significativo: quattro righe scritte (per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare) sono la concretizzazione di una trama intellettuale, l’oggetto in cui si materializza il nostro apprendimento.
* Per investire in intelligenza è necessario imparare a valutare, e valutare significa “essere consapevoli” di governare questa trafila che stiamo presentando, significa “essere consapevoli” di sovrintendere all’iter del nostro apprendimento.
Noi, itinerario dopo itinerario, dobbiamo domandarci: quante parole-chiave ho conosciuto? Quante idee-significative ho capito? Quanti pensieri ho elaborato? Quanti ne ho catalogati? Quale testo ho scritto? Questi sei punti costituiscono le fasi fondamentali del metodo dell’affabulazione didattica, un procedimento, un sistema che abbiamo sperimentato in questi anni e che ha le sue radici molto lontano nel tempo. Il metodo didattico dell’affabulazione comincia a essere codificato, a partire dall’anno Mille, all’interno di quel grande movimento culturale che è stato chiamato: la Scolastica.
“Affabulare” significa far procedere l’itinerario della “lezione”, in modo ritmico, attraverso la sequenza delle azioni cognitive: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare.
“Affabulare” significa sollecitare il metodo della domanda, far allungare la catena dei “perché?” in modo da condurre i cittadini in formazione, non direttamente alle risposte, ma a porsi gli interrogativi necessari per poter cogliere, e rielaborare in proprio, i contenuti (le perle) e le forme (il filo) della cultura.
Il metodo didattico dell’affabulazione è stato codificato negli Statuti delle grandi Università medioevali con il contributo di intellettuali di cultura ebraica, cristiana e araba che s’incontrano tra l’anno 999 e l’anno 1003 nella famosa Scuola di Toledo. Il metodo dell’affabulazione costituisce quindi un elemento che funziona da punto di unione per l’Europa e per il bacino del Mediterraneo. Si legge nello Statuto della Facoltà delle Arti di Parigi, elaborato nella stesura finale anche da Tommaso d’Aquino (1247).
LEGERE MULTUM…
Statuto della Facoltà delle Arti di Parigi (1247)
Chi vuole apprendere deve verba perspicere (conoscere le parole-chiave), notiones intellegere (capire le idee-significative), ad studium se conferre (applicarsi nello studio), cogitationes explicare (analizzare i pensieri pensati), in epitomen perscribere (sintetizzare i pensieri scritti), mentis itinera probare (valutare l’itinerario dell’apprendimento).
Questa interessante citazione la troviamo nel n.11 della rivista L’ANTIbagno, autunno-inverno 2004. La Scuola, con i suoi mezzi elementari – proprio perché non possono mancare gli “elementi fondamentali” – propone quindi: parole-chiave e idee-significative. Le parole-chiave e le idee-significative – che andremo a scoprire, di settimana in settimana, attraverso i nostri itinerari – costituiscono la materia prima, utile, per leggere, per scrivere, per studiare, per suscitare in noi dei pensieri e, poi, per creare una rete di rapporti umani basati, più che sui convenevoli, sulla riflessione culturale.
E ora, dopo aver celebrato – brevemente – il tradizionale rituale della partenza, una liturgia necessaria per chiarire la natura e gli obiettivi del nostro Percorso, mettiamoci in cammino. (Tra parentesi: questa sera, nel prendere il passo, ci dedicheremo anche ad una seconda breve celebrazione…).
Dove siamo questa sera: qual è il nostro punto di partenza? Da dove prendiamo le mosse per il nostro primo viaggio culturale, e verso dove ci dirigiamo? Il nostro Percorso dell’anno 2005-2006 riprende il suo cammino da dove ci siamo fermati lo scorso anno scolastico. E dove ci siamo fermati a fine maggio, prima delle vacanze estive? Da due anni i nostri Percorsi stanno procedendo dentro a quel vasto territorio che viene chiamato convenzionalmente il territorio del “romanticismo”. Per quanto riguarda lo spazio intellettuale, quindi: siamo qui, siamo ancora nel territorio del “romanticismo”, e noi abbiamo studiato questo complesso “movimento culturale” – in funzione della lettura e della scrittura – nei suoi due filoni principali: il romanticismo titanico (che si sviluppa prevalentemente in Germania) e il romanticismo galante (che si sviluppa prevalentemente in Francia). Per quanto riguarda il tempo, ci troviamo tra gli ultimi decenni del 1700 e i primi decenni del 1800. Questo periodo è molto significativo per la storia della cultura. Perché? Per molti motivi. Uno dei motivi – che a noi interessa particolarmente, come lettori, come scrivani e come persone che vogliono coltivare i propri pensieri – riguarda la creazione di un catalogo di parole-chiave e di idee-significative che, proprio in questi decenni (dal 1790 al 1840 circa) prende forma.
Alla fine di maggio – prima delle vacanze – abbiamo puntato l’attenzione su due cataloghi di parole-chiave. Questi due cataloghi si sono formati, strada facendo, negli anni 2004-2005, mentre attraversavamo il vasto territorio del “romanticismo” seguendo i due sentieri di cui abbiamo fatto menzione, uno prevalentemente “germanico”, quello del “romanticismo titanico” e l’altro prevalentemente “francese”, quello del “romanticismo galante”. Alla fine di maggio, prima delle vacanze, abbiamo scelto, attraverso una consultazione, quale importanza dare a queste parole e, di conseguenza, alle idee contenute nelle parole stesse: vi ricordate? Abbiano utilizzato un semplice questionario contenente due gruppi di parole: un primo gruppo che fa riferimento al romanticismo galante, e un secondo gruppo che si riferisce al romanticismo titanico.
Dopo aver letto con attenzione abbiamo scelto non più di tre parole nel primo gruppo, quello del “romanticismo galante” che è più consistente (33 parole).
il fascino
il turbamento
l’onore
il museo l’affinità
la coscienza civile il mistero
la galanteria la magia l’artificio il diario
il ritratto la corrispondenza la relazione la sfida
la notte l’autoritratto l’opposizione l’ombra l’isolamento
il ridicolo la chiacchiera la patria
la benevolenza la gelosia il sospetto
la nazionalità l’indagine la compromissione il diabolico il catalogo
(l’incisione il rifiuto)
E poi abbiamo scelto una sola parola nel secondo gruppo, quello del “romanticismo titanico” (formato da 8 parole).
il sublime
l’emozione
la nostalgia
la storia
l’infinito
l’irrazionalità
la fede
Ebbene il risultato di questa consultazione – visualizzato, per renderlo più comprensibile – oggi ci permette, usando la potenza delle parole, di “dare un senso”, di “dare una forma” – nell’ottica dei nostri gruppi di studio – al territorio del romanticismo. Dalla consultazione e dalle scelte che abbiamo fatto si sono formati due paesaggi intellettuali, semplici da osservare.
Come potete vedere si sono chiaramente imposte due parole tradizionalmente poderose nella cultura del “romanticismo”: la parola “fascino” e la parola “sublime”. Forse ci sarebbero molti commenti da fare, e allora non abbiate paura di essere banali o ripetitivi: usate con tranquillità la penna (o la tastiera) e date forma ai vostri pensieri. Non è necessario scrivere dei trattati sul “fascino” o sul “sublime” (ne sono già stati scritti fin troppi e ne abbiamo anche letto delle pagine), usate soprattutto “l’autobiografia”: raccontarsi – attraverso la scrittura – fa bene alla salute, è un esercizio terapeutico, e la didattica della scrittura, che la Scuola pubblica degli Adulti propone, ha come obiettivo quello di aiutarci a “curare la nostra anima”. Il fatto che la parola “fascino” e la parola “sublime” siano state le più scelte conferma ancora una volta l’importanza di queste due parole, della loro storia (che abbiamo studiato) e l’importanza delle idee-significative che queste due parole contengono (su cui abbiamo riflettuto).
Una seconda considerazione che dobbiamo fare è che la maggior parte delle parole (39 su 41, quindi quasi tutte) è stata presa in considerazione da noi che abbiamo scelto. C’è stata un’ampia varietà di scelta, tanto che solo due parole, appartenenti al consistente gruppo del “romanticismo galante” non sono state scelte da nessuno: la parola “incisione” e la parola “rifiuto” (il significato di questa parola è stato seguito alla lettera).
I due paesaggi intellettuali che abbiamo di fronte costituiscono un interessante quadro che determina il nostro punto di vista sui due Percorsi precedenti, e il nostro punto di partenza del Percorso di quest’anno scolastico 2005-2006 che prende il via questa sera. Seguendo la forma di questi due paesaggi intellettuali, possiamo iniziare ad orientarci in modo da poter prendere il passo per metterci in cammino.
In che modo queste parole costituiscono per noi un punto di partenza? Prima di tutto l’osservazione del quadro, che si è determinato attraverso le nostre scelte, deve costituire un primo motivo di riflessione personale.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Osserva, rifletti e scrivi quattro righe di commento…
E adesso, visto che siamo partiti e che già ci stiamo allontanando dal punto di partenza, una riflessione la facciamo insieme. A dire il vero – e quelli che erano presenti lo possono confermare – il punto di partenza dell’itinerario di questa stagione, autunno-inverno 2005, lo abbiamo già individuato a conclusione del Percorso precedente.
E, a questo proposito, è doveroso fare una constatazione. Ero curioso di vedere che forma avrebbe preso il paesaggio del romanticismo titanico perché lì – tra le 8 parole del catalogo – c’è una parola da tenere d’occhio. Questa parola da tenere d’occhio è la parola “storia”. È curioso constatare che la parola “storia” assume, all’interno del paesaggio culturale che si è formato, proprio una posizione centrale. Voi mi direte: “È una constatazione un po’ pretestuosa la tua, tu tiri l’acqua al tuo mulino!”.
A proposito di “mulini” siamo ancora nell’anno di Cervantes in cui si celebrano i 400 anni di Don Chisciotte accompagnato da Sancio Panza, e sarà anche un pretesto didattico, sarà una necessità intellettuale oppure sarà anche un caso, però alla parola “storia” (indipendentemente da che cosa possa vedere Don Chisciotte nei mulini della Mancia) abbiamo dato – con le nostre scelte – una posizione centrale nel paesaggio del romanticismo titanico.
Sappiamo che dall’incontro tra le parole-chiave del “romanticismo titanico” con le parole-chiave del “romanticismo galante” prende forma uno straordinario genere letterario: quello che chiamiamo “il romanzo dell’800”. Ebbene una delle parole fondamentali che definiscono il “romanzo dell’800” è la parola “storia”. Gli “avvenimenti storici” e i “personaggi storici” irrompono nel genere letterario del “romanzo” e convivono, s’intrecciano, con gli “avvenimenti” e i “personaggi” inventati, immaginati dagli scrittori. Attenzione però: anche gli avvenimenti immaginati e i personaggi inventati conservano una grande aderenza con gli avvenimenti e i personaggi della “realtà” perché spesso rappresentano “l’autobiografia”, la “storia personale” degli autori.
Naturalmente, i romanzieri dell’800 si sono posti alcune domande significative che hanno dato vita a un interessante dibattito che ha investito il mondo della cultura e la Storia del Pensiero Umano (la Stopenum) dalla metà dell’800 in avanti: chi fa la Storia? Chi sono i protagonisti della Storia? Sono i grandi uomini che, con le loro decisioni, determinano lo svolgersi della Storia? Oppure sono i piccoli gesti, che ogni anonima persona compie, a determinare lo svolgersi degli avvenimenti e della Storia? E poi: la Storia dipende da un “provvidenziale progetto soprannaturale”: è nelle mani degli dèi? Oppure gli avvenimenti storici sono in “balìa del caso”, del “destino”, del “Fato”? Oppure c’è una “necessità insita nell’esistenza stessa” che determina la Storia? Queste sono le prime grandi domande – che ne generano molte altre, a grappoli – alle quali gli scrittori, i filosofi e le donne e gli uomini del tempo cercheranno di dare delle risposte all’interno di correnti di Pensiero che dovremo studiare.
Uno degli esempi più classici che possiamo fare sull’irruzione della Storia nei romanzi è Guerra e pace di Leone Tolstòj. Lo scorso anno scolastico abbiamo citato costantemente questo libro con un obiettivo didattico ben preciso: quello favorirne la lettura: sappiamo che un numero molto basso di cittadini ha letto questo romanzo, sappiamo che una percentuale molto bassa di cittadini (lo 0,001 della popolazione adulta) ha letto qualche romanzo dell’800. Ebbene Guerra e pace termina con un lungo Epilogo diviso in due parti: la prima parte dell’Epilogo chiude il romanzo, la seconda parte dell’Epilogo contiene una complessa riflessione che inizia con queste parole:
LEGERE MULTUM…
Leone Tolstòj, Guerra e pace (Epilogo, seconda parte)
L’oggetto della storia è la vita dei popoli e dell’umanità. …
Poi, più avanti, Tolstòj afferma: … Guardare a lungo le ruote di una locomotiva o le gemme di una quercia non ci dice nulla sui motori o sul vento di primavera: bisogna cambiare punto di osservazione, inserire la storia. …
La Storia, attraverso il “romanticismo”, si presenta sulla scena culturale, non solo sul terreno della letteratura ma anche su quello della filosofia. Per introdurre questo argomento, per introdurre il tema della Storia di cui ci occuperemo nei nostri itinerari è obbligatorio incontrare ancora – perché molte volte lo abbiamo già incontrato – un personaggio significativo: lo scrittore, il drammaturgo Friedrich Schiller.
Nel 1789 Schiller ottiene la cattedra di Storia all’Università di Jena e le sue lezioni risultano entusiasmanti e di grande interesse per gli studenti. Il discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico 1789-1790 all’Università di Jena tenuto da Friedrich Schiller è diventato famoso ed è stato pubblicato con il titolo: Che cosa significa la storia universale e per quale scopo la si studia? Schiller, ispirandosi a Herder e a Kant, sostiene la tesi che la storia, non deve essere insegnata per inculcare uno spirito nazionalistico ma, deve essere insegnata come “rappresentazione del mondo morale”. La storia deve essere insegnata come esempio per l’educazione morale: dagli avvenimenti storici (dal passato, remoto e recente) dobbiamo imparare a prendere le decisioni del presente, tenendo conto che, oggi – scrive Schiller – una decisione presa qui, finisce per coinvolgere tutto il mondo!
La parola “globalizzazione” e la parola “mondializzazione” sono di là da venire ma Schiller già intuisce questi concetti. Una scelta in favore del bene fatta qui e ora, migliora, anche se impercettibilmente – scrive Schiller – le condizioni morali dell’umanità. Una scelta in favore del bene è sempre una “scelta storica”!
Di conseguenza – secondo Schiller – lo studio della storia deve: “esaltare le scelte in favore del bene, in favore della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità (siamo nel 1789)”. Lo studio della storia non deve quindi esaltare le “presunte grandezze” dei singoli staterelli, ma deve contribuire allo sviluppo umano dell’individuo e della società universale, quindi, dal punto di vista didattico – scrive Schiller – è necessario: studiare la “storia universale dei popoli”, considerando i meriti e gli errori come ammonimenti per l’educazione morale dei cittadini, non come elementi strategici per definire meglio le mosse in funzione della conquista del potere. La Storia va studiata in funzione dell’educazione morale dei cittadini.
A Jena, sulla base di queste idee, Schiller scrive alcuni saggi storici importanti, inoltre si dedica allo studio approfondito delle opere di Omero e di Euripide. Traduce, a scopo didattico, molti capolavori classici, tra cui la tragedia: Ifigenia in Aulide di Euripide, su cui – nel 1789 – tiene un corso, sul tema della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità (questo corso “infiamma gli studenti”!). Infine – e questo è il dato di fatto che c’interessa maggiormente questa sera – Schiller studia, traduce, e propone ai suoi studenti come esempio di analisi storica di carattere universale alcune parti di un testo pressoché sconosciuto al mondo della cultura intitolato: Le Storie di Erodoto. Quest’opera, Le Storie di Erodoto, è uno dei più significativi apparati culturali della Storia del Pensiero Umano. Chi è Erodoto, e in che cosa consiste la sua opera? Non si può rispondere a queste due domande senza compiere un viaggio intellettuale, senza intraprendere una serie di itinerari culturali, senza partecipare ad un percorso di studio.
Erodoto è vissuto circa 2500 anni fa e si sente profondamente un greco che viaggia, osserva, riflette e considera i fatti, gli avvenimenti, gli usi, i costumi, i pensieri e la morale altrui con grande rispetto, con grande curiosità. Schiller comincia a menzionare Erodoto come: “padre della storia” e comincia a considerare la sua opera come “la madre di tutte le opere storiche”. All’Università di Jena – per merito di Schiller – balza in primo piano tanto la disciplina storica quanto la figura di Erodoto di Alicarnasso o di Turi. All’Università di Jena, nel 1801, comincia a insegnare, occupandosi anche di storia, un certo Georg Hegel, che incontreremo, prossimamente, sul nostro cammino.
A questo punto – per capire meglio quale valore ha assunto la “storia” nella cultura, nella letteratura e nella filosofia dell’800 e del ‘900 – dobbiamo seguire il consiglio di Schiller e ci dobbiamo occupare de Le Storie di Erodoto, dobbiamo incrociare lo sguardo di Erodoto, e lo sguardo di Erodoto è uno sguardo sorridente. Lo sguardo sorridente de La Gioconda di Leonardo – che l’anno scorso abbiamo utilizzato come pretesto per attraversare il territorio del “romanticismo galante” – è uno sguardo ben raffigurato e concretamente presente (onnipresente) davanti ai nostri occhi. Ebbene, contrariamente a quello de La Gioconda, dello sguardo sorridente di Erodoto non possediamo un’immagine concreta: lo sguardo sorridente di Erodoto ce lo possiamo solo immaginare. Ma perché ce lo immaginiamo sorridente lo sguardo di Erodoto? Ed è vero che, come quello de La Gioconda, risulta essere uno sguardo che turba e che inquieta?
Per rispondere a queste domande dobbiamo chiederci: quali modelli, quali parole-chiave, quali idee significative ci sono – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – dentro lo sguardo di Erodoto? Se la disciplina storica comincia di lì, ebbene, prima di affrontare i temi legati al concetto moderno di storia e soprattutto prima di studiare il tema hegeliano della “filosofia della storia”, dobbiamo riflettere sull’origine della parola “storia”. Dobbiamo riflettere sulla differenza che c’è la le “storie” e la Storia. E dobbiamo domandarci: quando le storie (con la “s” minuscola) diventano la Storia (con la “S” maiuscola)?
Ma prima di entrare nel territorio illuminato dallo sguardo sorridente di Erodoto dobbiamo, questa sera, occuparci ancora di Friedrich Schiller. Perché dobbiamo occuparci ancora di Schiller? Perché il 2005 non è solo l’anno dei 400 anni (1605-2005) del Don Chisciotte di Cervantes, e, di questo avvenimento, in questi mesi, ogni tanto, abbiamo avuto qualche sentore, se non altro perché il Don Chisciotte di Cervantes è il libro che, dopo la Bibbia, ha avuto il più alto numero di edizioni nel mondo. Ma il 2005 è anche l’anno di Schiller. Per quale motivo il 2005 è anche l’anno di Schiller? È l’anno di Schiller perché questo importante personaggio della storia della cultura europea è morto il 9 maggio 1805 e quest’anno si celebrano i 200 anni di questo avvenimento.
Entriamo in contatto con Schiller leggendo alcune pagine tratte da un libro scritto da Rudiger Safranski e appena pubblicato. Rudiger Safranski – famoso biografo di Nietzsche – per celebrare i 200 anni della morte di Schiller ha scritto un’avvincente biografia intitolata Schiller ovvero l'invenzione dell'idealismo tedesco. Peccato che le 560 pagine di questo prezioso volume non siano ancora state tradotte e pubblicate in italiano: le pagine che leggiamo le ho trovate già tradotte in italiano. Quindi coloro i quali hanno la fortuna di conoscere il tedesco sono favoriti, gli altri rimangono in attesa che gli intellettuali e l’editoria facciano il loro lavoro: noi, studenti della Scuola pubblica degli Adulti, cittadini che animano i Percorsi di didattica della lettura e della scrittura, li sollecitiamo in proposito. E allora, intanto, leggiamo, un frammento in cui emergono soprattutto i meriti culturali di Schiller.
LEGERE MULTUM…
Rudiger Safranski, Schiller ovvero l'invenzione dell'idealismo tedesco (2005)
Schiller è inventore del «giallo» con il racconto Il criminale dalla dignità perduta imperniato su un celebre capobanda della Svevia realmente vissuto.
Schiller è autore di un suggestivo romanzo «fantapolitico», Il visionario, pubblicato a puntate sulla rivista Thalìa tra il 1786 e il 1789; questo romanzo ambientato a Venezia, dove un principe tedesco viene circuito da una misteriosa associazione segreta, diventa un best seller dell’epoca.
Schiller è medico, curioso degli influssi dello spirito sul corpo e viceversa.
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L’Europa sembra scoprire oggi, a duecento anni dalla morte (1805-2005), la straordinaria modernità del pensiero e dello stile di vita di Friedrich Schiller. Ma quanti cittadini (in Europa) si sono accorti che questo è un “anno schilleriano”? La Scuola (intesa come comunità educante) ha il dovere di celebrare questo avvenimento proponendolo come un piccolo ma significativo “investimento in intelligenza”. I rituali celebrativi toccano i sentimenti ma, perché abbiano un senso (perché non siano “alienanti”), devono stimolare l’intelligenza e orientare verso la ricerca culturale. Voi vi domanderete: come mai non abbiamo celebrato questo avvenimento lo scorso maggio, alla sua scadenza precisa? Prima di tutto perché questo avvenimento ha la sua collocazione didattica su questo sentiero, e lo scorso maggio non avevamo il tempo necessario per soffermarci a commemorare Schiller con una “riflessione articolata” e poi, in verità, lo scorso maggio, noi eravamo alle prese con la celebrazione di un’altra morte, la morte di un personaggio che voleva l’attenzione tutta per sé: Aleksandr Pùškin, se ben ricordate, eravamo molto impegnati, eravamo completamente invischiati in quegli avvenimenti.
L’esistenza di Schiller – noi abbiamo ricostruito la biografia di Schiller nelle sue linee generali due anni fa, nel Percorso del “romanticismo titanico” – è stata irta di ostacoli, la sua è stata una vita vissuta spesso sopra le righe, tutta splendori e niente miserie. Soprattutto, Schiller non badò mai alla miseria materiale intesa nel senso della mancanza di soldi, e considerò i momenti di indigenza (che erano pressoché continui) come momenti di splendore (quindi anche i momenti di “splendore” erano pressoché continui) perché sempre confortati da una grande creatività artistica (zoedion). Il modo migliore per commemorare Friedrich Schiller è quello di occuparsene sul terreno della conoscenza e della comprensione, e, per questo motivo è utile applicarsi per arricchire il bagaglio dei nostri saperi.
Abbiamo letto che Rudiger Safranski cita una serie di opere di Schiller: il racconto Il criminale dalla dignità perduta, il romanzo Il visionario, la Storia dell'insurrezione dei Paesi Bassi, il dramma I Masnadieri.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Possiamo incontrare Schiller in biblioteca, consultando le sue opere, possiamo incontrarlo sull’enciclopedia (uno strumento che tutti abbiamo in casa) e poi – per i più attrezzati – è possibile effettuare una navigazione su internet per vedere che cosa propone la rete sull’argomento “Friedrich Schiller”…Buona ricerca… e se la ricerca stimola un pensiero: è bene scriverlo, bastano quattro righe per esprimere un pensiero…
Ma al di là dei rituali commemorativi Friedrich Schiller per noi è importante perché segnala un Percorso, indica il sentiero culturale (assai impervio) che stiamo per imboccare.
Per riflettere sulla parola “storia”, che nei paesaggi intellettuali dell’800 e del ‘900 va ad assumere un’importanza fondamentale, dobbiamo – come ci ha insegnato Schiller all’Università di Jena nel 1789 – risalire ad Erodoto e alla sua opera. Con Schiller entra in scena anche Erodoto nella Storia contemporanea del Pensiero Umano.
Chi è Erodoto, o meglio che cos’è Erodoto: quali paesaggi culturali rappresenta? Erodoto – in funzione di un Percorso di didattica della lettura e della scrittura – è un ottimo compagno di viaggio e, in questi 2500 anni, è stato il primo compagno di viaggio ideale, eccellente, desiderabile per molti intellettuali in ricerca. Erodoto è sempre stato considerato dagli studiosi il primo in tutto, ma questa situazione si presenta anche come una contraddizione, come un’aporia per usare il termine greco: sta di fatto che, in greco, il termine “aporia” definisce una contraddizione feconda. Questa circostanza viene chiamata “il paradosso di Erodoto” (Che è anche il titolo di uno dei tantissimi – sono migliaia – “saggi” scritti su questo personaggio).
In che cosa consiste “il paradosso di Erodoto”? Erodoto viene considerato il primo storico moderno, il primo ad essere chiamato “padre della storia”, il primo a scrivere in prosa, il primo etnologo, il primo antropologo. Erodoto è stato il primo a mettere per iscritto di sentirsi orgoglioso di essere greco ma senza pregiudizi per i “diversi”, senza preconcetti nei confronti degli stranieri, in greco “barbaroi”, e il tema degli “stranieri” è di attualità da circa 2500 anni e sicuramente Erodoto è stato il primo ad affrontare questo tema in modo interlocutorio. Erodoto è stato il primo a manifestare una “sincera curiosità” per l’altrove, per il mondo che sta fuori dalle mura della polis ellenica. È stato il primo giornalista, il primo “inviato speciale”. Erodoto è stato il primo a chiamare la sua opera “Istoriai” che in greco significa inchieste sul campo. Erodoto è stato quindi il primo a battezzare questa disciplina che chiamiamo la “storia”. Erodoto è stato il primo a raccontare a braccio nell’agorà (nella piazza della polis), sotto forma di conferenza organizzata, le “storie” che aveva raccolto in giro per il mondo.
Dove sta il paradosso? Dov’è la contraddizione in ciò che abbiamo detto? Fatto sta che Erodoto è anche il primo a non essere il primo su una faccenda fondamentale: Erodoto è – nonostante questi requisiti – il primo a non essere il primo della classe. Che cosa significa? Innanzitutto questo significa che la Storia del Pensiero Umano, la Storia della cultura non si sviluppa necessariamente attraverso i primi della classe. Se il primo della classe nella disciplina storica non è Erodoto, chi è allora?
Il primo della classe è Tucidide. Avete mai sentito nominare Tucidide? Vi ricordo che nei nostri Percorsi lo abbiamo già incontrato qualche volta…ed ora è proprio Erodoto, con il suo sguardo sorridente, a suggerirci, per primo, che dobbiamo occuparci di Tucidide e della sua opera. Erodoto, in questo caso, è molto magnanimo: sa che i primi della classe sono importanti ma sa anche che, spesso, suscitano delle antipatie. I primi della classe sono quasi sempre dei pessimi compagni di viaggio.
Sono i libri di Storia della Letteratura greca a dirci che Tucidide (460-400 circa a.C.) è contemporaneo di Erodoto (anche se Tucidide è più giovane di circa 25 anni), e sono i libri di Storia della Letteratura greca a proclamare che “Tucidide è il più grande storico dell’antichità”. L’opera che ha reso grande Tucidide s’intitola Storia della guerra del Peloponneso. È un’opera in 8 libri, pubblicata postuma (forse da Senofonte, un altro personaggio interessante che, probabilmente, incontreremo). La “guerra” coincide con la “storia” fin dall’inizio? Tucidide è bravo a far sì che il lettore della sua opera si ponga questa domanda. La guerra del Peloponneso è un conflitto terribile (quale conflitto non lo è), è un conflitto lunghissimo (si crede, o si vuol far credere, che le guerre siano sempre un “lampo”), la guerra del Peloponneso è un conflitto estenuante, tragico. Questo conflitto (doveva durare 27 settimane) è durato ventisette anni (dal 431 a.C. al 404 a.C.) e ha visto come protagoniste due grandi città Atene e Sparta: in lotta per il predominio. Queste due ricche città hanno combattuto per la supremazia tanto da dilaniarsi entrambe fino alla decadenza.
Tucidide, nella sua opera, narra gli avvenimenti in ordine cronologico, per estati e per inverni: avete mai preso in mano quest’opera, Storia della guerra del Peloponneso, l’avete mai osservata? È così che si comincia ad entrare in contatto (cum tactus) con i libri: attraverso certi particolari. Questa distinzione cronologica – che è la prima cosa da osservare sul testo di Tucidide – in avvenimenti d’estate e avvenimenti d’inverno è determinata dal fatto che d’inverno gli antichi non guerreggiavano (non potevano guerreggiare), era d’estate che avevano luogo le azioni di guerra (era una variante delle vacanze estive?), d’inverno c’erano le consulte, le trattative diplomatiche, i preparativi.
I libri di Storia della Letteratura greca c’informano che Tucidide è il primo della classe perché è il primo vero storico: la sua opera non è viziata da elementi mitici e da superstizioni. Tucidide fa uso di un metodo rigorosamente scientifico che consiste nella diligente ricerca dei fatti e delle cause dei medesimi fatti. Quando Tucidide ci racconta le cause della guerra del Peloponneso distingue tra la causa vera e i pretesti e descrive l’una e gli altri.
La causa vera della guerra del Peloponneso – scrive Tucidide – è che Sparta, grande potenza alla testa di una Confederazione di città, mal sopporta il potere dell’impero ateniese: vuole il controllo (politico, economico, sociale) su tutta la Grecia. Atene, con grande abilità politica, conoscendo la reale forza militare di Sparta, temporeggia nelle trattative. Sparta – che si vanta di aver combattuto solo guerre giuste (e chi non si vanta di aver combattuto solo guerre giuste?), scrive Tucidide – doveva trovare i pretesti, sia dentro Atene che fuori di Atene, per giustificare una giusta dichiarazione di guerra. Ad Atene governava Pericle (era un periodo – scrive Tucidide – più di demagogia, di populismo, che di democrazia). Ebbene, giocando sulla figura di Pericle al governo, gli spartani giocano anche la loro carta, per costruire un pretesto. Pericle discendeva – ci racconta Tucidide – dagli Alcmeonidi, una antica famiglia aristocratica che, un secolo e mezzo prima, era stata coinvolta in un cruento assassinio in cui erano morti anche dei cittadini di Sparta, mai vendicati. Quindi, di riflesso – secondo gli Spartani – Pericle si era macchiato (un secolo e mezzo prima) di quel delitto che nessuno aveva mai punito, per questo Sparta si sente in dovere di dichiarare guerra ad Atene, anche per liberare le polis che Atene aveva sottomesso e che considerava come schiave (cambiando padrone sarebbero state più libere?). E così, trovato il pretesto, guerra fu.
Tucidide è stato discepolo del filosofo Anassagora e ha subìto l’influsso del più antico movimento razionalista della storia della cultura (ne sentiremo parlare sul sentiero che dobbiamo percorrere). La storia – secondo Tucidide – è un continuo ripetersi di fatti, e quindi se ne possono fissare razionalmente le leggi. Tucidide cerca di stabilire le leggi che determinano i fatti storici.
I libri di Storia della Letteratura greca ci mettono anche al corrente del fatto che però Tucidide non è altrettanto grande come scrittore e come artista. E qui Erodoto annuisce e sorride con ancor più convinzione. Lo stile di Tucidide è stringato, coinciso, certamente è uno stile vigoroso, soprattutto nei cosiddetti “discorsi”: dissertazioni pronunciate in forma diretta dai personaggi più rappresentativi allo scopo di rendere più vive le “storie” (qui Tucidide risente dell’influenza del teatro tragico), ma la sua esposizione risulta complessivamente piuttosto arida, spoglia, fredda e soprattutto noiosa per chi deve leggere.
Per arricchire le nostre conoscenze (anche se non sappiamo il “greco”) dobbiamo dire che Tucidide scrive in “lingua attica”, ed è il primo a scrivere in prosa in questa lingua: questa considerazione ci fa capire che non esiste “il greco” ma esistono diversi modi di esprimersi in questa lingua, una delle nostre lingue madri.
Però Tucidide – anche se è ben tradotto in lingua italiana – dal punto di vista della lettura, rimane un pessimo compagno di viaggio: per leggere Tucidide bisogna armarsi (può anche essere usato in senso “pacifico” questo verbo) di pazienza e di autodisciplina. Gli studenti di qualche generazione fa hanno inventato una filastrocca (in una Scuola che dava molta importanza alle nozioni s’inventavano molte filastrocche per “aiutare la memoria”). Questa filastrocca serve per ricordare i più importanti scrittori di Tragedie e dice: Eschilo Eschilo che qui si Sofocle attenti alle scale che sono Euripide e se cadi Tucidide.
Che cosa c’entra Tucidide, che è uno storico, con i poeti tragici? Forse – oltre al fatto che il nome di Tucidide si presta a questo gioco di parole –significa (se vogliamo fare gli esegeti) che sono soprattutto le Tragedie (in questo caso le guerre con tutto il loro apparato) a diventare Storia. Tucidide è controllato, documentato, scientifico: è il primo della classe. Tucidide dice: “Erodoto è un cantastorie, ama troppo i miti, le favole, le leggende”. Tucidide è certamente il primo della classe come storico, ma come compagno di viaggio (sul piano della lettura) si fa fatica a frequentarlo anche se come persona non risulta antipatico e la sua vita (per quello che sappiamo di lui) appare molto interessante e avventurosa.
Chi è Tucidide? Tucidide è nato in Attica, è un ateniese, è un nobile aristocratico, sua madre era una principessa tracia, e nella regione della Tracia aveva molti possedimenti: estesi appezzamenti di terreno e miniere d’oro. Tucidide partecipa, come ateniese, alla guerra del Peloponneso contro Sparta; ha anche un ruolo di comando nella flotta, ma, quando racconterà la storia di questa guerra, cercherà di descriverla con il massimo dell’imparzialità: per questo motivo oggi dobbiamo considerare Tucidide un grande storico il quale cerca di raccontare questo conflitto con la spiccata tendenza a voler stabilire la verità per quanto sia possibile. Per questo motivo dobbiamo considerarlo attendibile anche quando parla del nemico, tenendo conto che, ad un certo punto, anche i suoi stessi concittadini furono i suoi nemici.
Il racconto storico sulla guerra del Peloponneso di Tucidide s’interrompe bruscamente nell’anno 408 a.C. Come ammiraglio, comandante della flotta, non riuscì a contenere gli spartani che si impadronirono dell’importante centro strategico di Anfipoli, per questo fu destituito, fu processato e fu condannato a morte dai suoi concittadini, per questo dovette fuggire in Sicilia e poi in Tracia, dove rimase nascosto per qualche anno. Dopo la guerra tornò ad Atene dove morì in un attentato, ma le notizie che abbiamo sono frammentarie, sappiamo che morì di morte violenta ma non sappiamo se morì ad Atene o in Tracia. Paradossalmente, di quello che viene considerato il più grande storico dell’antichità, noi non conosciamo bene la storia.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
La figura di Tucidide (460-400 a.C.) – simpatica o antipatica che sia – è interessante e merita una ricerca…
Possiamo consultare la sua opera, Storia della guerra del Peloponneso, in biblioteca (magari, per fare una prova, possiamo leggerne una pagina… è anche così che ci si misura con l’atto della lettura… e se ci rendessimo conto che non è poi così noiosa la scrittura di Tucidide proprio per il fatto che “la guerra del Peloponneso” sembra ancora in corso ?…); e poi possiamo utilizzare l’enciclopedia (che tutti abbiamo in casa) per verificare che cosa ci racconta di questo personaggio, magari scopriamo che di lui, sulla nostra enciclopedia, si dice qualcosa in più (o in meno) di quello che è stato detto a Scuola e questo esercizio ci serve anche per valutare la nostra capacità di attenzione; oppure possiamo interrogare la rete (ci sarà qualche sito internet dedicato a Tucidide? Per scoprire questo bisogna navigare)…
Se poi la ricerca stimola un pensiero: è bene scriverlo, bastano quattro righe per esprimere un pensiero da depositare nella Biblioteca itinerante…
Ma noi siamo qui per incontrare Erodoto, ed Erodoto sorride, non si arrabbia di quello che di lui dice Tucidide perché, senza essere il primo della classe, si fregia di molti primati. Erodoto ride sotto i baffi perché ha scoperto che il mondo è vario, è strano, è imprevedibile, non è facilmente giudicabile: davvero si possono stabilire delle leggi che determinano razionalmente i fatti storici, sembra domandarsi Erodoto?
Erodoto crea per primo lo stampo del “relativismo culturale”. Il tema del “relativismo culturale” è sulla cresta dell’onda in questo momento, o per lo meno, lo era! I dibattiti, al giorno d’oggi, hanno la stessa durata di uno spot: possiamo chiamarli ancora dibattiti culturali? Per alcune settimane – soprattutto per merito del nuovo papa (il quale per essere pienamente considerato un degno successore di Pietro e di Paolo, sa che deve collaborare alla riuscita dei nostri Percorsi…) – si è scatenato (la scorsa primavera) l’interventismo molti autorevoli personaggi della vita istituzionale, politica culturale del nostro Paese. Nessuno però – per quanto mi risulta (e sì che ho cercato di stare attento) – ha citato Erodoto il quale considera il “relativismo culturale” uno strumento efficace per riflettere sui valori che possono facilitare la convivenza tra le nazioni, tra i popoli, tra le persone.
Erodoto è stato anche il primo a riflettere sul concetto della “tolleranza” nel bene e nel male perché l’idea di “tolleranza” può portare con sé tanto un significato e un valore di apertura (l’ampiezza di vedute), come può portare con sé un significato e un valore di chiusura (non a caso si parla di recinti, di spazi, di case di tolleranza).
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
La parola “tolleranza” invita alla riflessione: quale altra parola (quale oggetto, quale persona) vi fa venire in mente?
Scrivetela …
Erodoto ha uno sguardo sorridente, e questo non è un modo di dire. Si pubblicano continuamente libri su Erodoto in tutte le lingue, e qualche anno fa (nella seconda metà degli anni ’80) è stato pubblicato un saggio su Erodoto che s’intitola proprio The smile of Herodotus, Il sorriso di Erodoto, non so se sia stato tradotto e pubblicato in italiano. Erodoto ha uno sguardo sorridente: ride sotto i baffi. Gli studiosi rispondono dicendo che Erodoto ha uno sguardo sorridente perché “allude”. Le “allusioni” sono quasi sempre accompagnate dal sorriso. Ma a che cosa “allude” Erodoto?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo camminare a lungo su un sentiero culturale; e questo sentiero lo dobbiamo imboccare nella Ionia, nella zona asiatica della Grecia antica: lì nel 484 a.C. (circa) è nato Erodoto. Ed è proprio dalla regione della Ionia che il nostro Percorso, la prossima settimana, prenderà le mosse.
Noi sappiamo che Schiller ha molto amato la Grecia antica, lo “splendore” (in greco dios, dios) della Grecia classica. Ed è doveroso concludere questo primo itinerario – in cui abbiamo cominciato a prendere il passo – ricordando ancora i 200 anni della morte di Schiller (1805-2005) e lo facciamo nello stile di un Percorso di didattica della lettura e della scrittura leggendo ancora una pagina, un frammento tratto da:
LEGERE MULTUM…
Rudiger Safranski, Schiller ovvero l'invenzione dell'idealismo tedesco (2005)
Quando il medico personale del Duca di Weimar fece l’autopsia del cadavere di Schiller, che si era appena spento tra atroci sofferenze, non voleva credere ai suoi occhi: non c’era nulla di sano, di intatto, in quel corpo, cuore e polmoni praticamente distrutti, milza, colecisti e reni ingrossati in modo abnorme.
Clinicamente il paziente sarebbe dovuto morire ben prima di arrivare a quello sconquasso totale.
Invece Friedrich Schiller, l’autore di opere immortali come I masnadieri, il Don Carlos, Wallenstein, Maria Stuarda, era sopravvissuto per anni agli attacchi di un male a cui non si era mai arreso.
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Schiller ci ha indicato un itinerario, e la prossima settimana c’incontriamo nella Ionia per iniziare questo viaggio sulla scia dello sguardo sorridente e “allusivo” di Erodoto. Ma chi è Erodoto e perché lo sguardo di Erodoto è “allusivo”? Per rispondere a queste domande dobbiamo viaggiare dentro a quel vasto territorio che s’identifica con l’opera di Erodoto, intitolata Le Storie.
Quali forme soprattutto, quali contenuti e quali paesaggi intellettuali ci aspettano per essere osservati, ammirati, studiati – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – su questo territorio considerato “meraviglioso - deinòs (in greco)” e molto impervio e assai faticoso da percorrere? Per cominciare a saperlo non resta che accorrere – sulle coste della Ionia – la prossima settimana: accorrete.
La Scuola è qui…