Prof. Giuseppe Nibbi Lo sguardo di Erodoto 2005 26-27-28 ottobre 2005
LE IPOTESI SULLA “MORFOLOGIA” DE LE STORIE DI ERODOTO…
La scorsa settimana siamo sbarcati in Anatolia sulle coste della Turchia e abbiamo raggiunto una località che si chiama Bodrum (spero siate andati a curiosare sull’atlante) Questa località, 2500 anni fa, era un’importante polis greca fondata dai Dori e si chiamava Alicarnasso; in questa polis, ai confini tra due “mitiche” regioni – la Ionia a nord e la Caria a sud – nel 484 a.C. (circa) da una nobile e benestante famiglia è nato Erodoto. Da tre settimane ci stiamo domandando: chi è Erodoto? All’udire questa domanda Erodoto sorride, annuisce e “allude”, perché? Perché in realtà sa benissimo che noi – da bravi studenti – dobbiamo chiederci piuttosto: che cos’è Erodoto?
Infatti, oggi, come succede per tutti i cosiddetti “classici”, Erodoto, più che essere “qualcuno” (è stato anche “qualcuno” e cercheremo di capire chi), è “qualcosa”. Erodoto è un “apparato culturale”: egli s’identifica con Le Storie e la sua figura è legata alla “morfologia”, alla forma che ha assunto la sua opera. (La “materia”, la “sostanza” non ha un’identità senza la “forma”, c’insegna Platone).
Torniamo ad occuparci de Le Storie di Erodoto: che cosa sappiamo di quest’opera? La scorsa settimana – viaggiando tra l’Anatolia, la Provenza, il Monte Parnaso –abbiamo preso in considerazione i “primi riferimenti” sulla “morfologia” de Le Storie di Erodoto e abbiamo imparato che questo testo è diviso in nove libri, ognuno dei quali ha un nome proprio che corrisponde ad uno dei nomi delle nove Muse. Inoltre abbiamo imparato che a fare questa operazione “formale” sono stati i “grammatici alessandrini”. Poi abbiamo imparato che queste informazioni (vaghe e frammentarie) ci sono state date per la prima volta da due personaggi: Dionigi di Alicarnasso e Luciano di Samosata. Dionigi di Alicarnasso e Luciano di Samosata ci hanno comunicato, per iscritto, che sono stati i grammatici alessandrini a dare la “forma” al libro di Erodoto. Per forza Erodoto, in questo momento, se la ride, annuisce e “allude”: anche lui l’ha scoperto ora (come noi) che i “grammatici alessandrini” hanno dato una “forma particolare” al testo della sua opera, lui l’ha scritta tutta in fila, un lungo capitolo senza interruzioni e senza suddivisioni; ed è curioso di sapere come sono andate le cose. L’affermazione – vaga e frammentaria – che sono stati i “grammatici alessandrini” a dare una “forma” a Le Storie di Erodoto ci porta davanti a un nuovo vasto paesaggio intellettuale che rappresenta un grande tema di studio. Questo tema di studio ha dato origine ad uno scontro pacifico ma serrato, ad una contesa culturale, ad una questione intellettuale che dura da decenni tra gli studiosi delle Accademie, delle Università, degli Istituti di ricerca che, nel mondo, si occupano di problemi filologici.
Il termine “grammatici alessandrini” è molto generico: chi sono i grammatici alessandrini che hanno dato la “forma” a Le Storie di Erodoto? Dionigi di Alicarnasso nel I secolo a.C. e Luciano di Samosata nel II secolo rimangono sul vago, non fanno nomi e neppure si sbilanciano, tanto meno inventano una soluzione, nonostante siano dotati entrambi di una spiccata inventiva. Si possono fare dei nomi? Dobbiamo dire che, intorno a questo tema della “morfologia” de Le Storie di Erodoto (come lo chiamano gli studiosi), il dibattito è assai complesso e difficile da affrontare: ci sono molte correnti di pensiero che fanno capo a numerose Scuole e ognuna sostiene a spada tratta (a gladium ionico spianato) le proprie ragioni e i risultati delle proprie ricerche. Non credo, onestamente (come ho già detto la scorsa settimana), di essere in grado di condurre i nostri gruppi su questo accidentato sentiero collaterale. E penso che, in questo momento, non sia neppure vantaggioso avventurarsi su questo terreno per affrontare un tema così specialistico. Ritengo però sia utile e sia possibile – passando nella parte del territorio che riguarda il tema delle “forme” nell’opera di Erodoto – cogliere alcuni spunti, in funzione della didattica della lettura e della scrittura (secondo la “natura” del nostro Percorso), per arricchire le nostre conoscenze in modo da poter investire in intelligenza.
Noi dobbiamo affrontare il tema formulando la domanda in altri termini, usando il condizionale: chi potrebbero essere i grammatici alessandrini che hanno dato la “forma” a Le Storie di Erodoto? Visto che non ci sono prove certe per nessuno dei candidati proposti dalle varie Scuole (mi dispiace deludere Erodoto, ma non troveremo risposte certe, ma “risposte propedeutiche per lo studio e per la ricerca” e forse lui è più contento così); ebbene, si possono fare dei nomi senza entrare nelle complicate polemiche culturali per imporre l’uno o l’altro? Siccome noi non sappiamo neppure chi siano i “grammatici alessandrini”, neppure i più importanti di loro, ecco che a noi interessa soprattutto conoscere i “personaggi” che vengono chiamati in causa e considerati come possibili ordinatori de Le Storie di Erodoto. E allora anche questa sera dobbiamo metterci in viaggio (dando uno sguardo all’atlante): torniamo col caicco sull’isola di Kos, da qui c’imbarchiamo per Rodi, da Rodi salpiamo alla volta di Creta e da Creta navighiamo alla volta di Alessandria d’Egitto.
Mentre entriamo nel porto di Alessandria dobbiamo dire che il periodo alessandrino o ellenistico è l’ultimo grande periodo (dopo quello ionico e quello attico) della storia letteraria greca e va dal 323 a.C., che è l’anno della morte di Alessandro Magno (ricordiamo che nel 322 a.C. muore anche Aristotele) al 30 a.C., che è l’anno della caduta dell’Egitto sotto la dominazione romana. Naturalmente questo periodo culturale è caratterizzato dal dominio di una città collocata nella parte occidentale del delta del Nilo, Alessandria, la capitale egiziana del regno dei Tolomei, dove siamo appena sbarcati. Questa Scuola ci ha portato ad Alessandria altre volte, abbiamo anche frequentato (insieme a Plotino, a Origene e a Cassio Longino) alcune famose lezioni di Ammonio Sacca, che, commentando i Dialoghi di Platone, ci ha introdotto nel territorio del Neoplatonismo. (A questo proposito si può consultare il n. 8 Primavera-Estate 2003 de L’ANTIbagno che ha in copertina la “colomba di Folon”, il quale ci ha lasciato la scorsa settimana e che ricordiamo con affetto).
Nella città di Alessandria, nel periodo ellenistico, nascono due grandi istituzioni: la famosa Biblioteca che raccoglie tutti i tesori letterari del passato (circa 700.000 volumi), e il Museo che era una specie di università (il “museo” nasce come una scuola fondata dalla poetessa Saffo) dove, intorno al tempio delle Muse, i letterati, i filosofi, gli scienziati si dedicavano, a spese dello Stato, allo studio, alla ricerca e all’insegnamento. Ad Alessandria queste due istituzioni, la Biblioteca e il Museo, favoriscono la fioritura degli studi di filologia e di grammatica, e i risultati di queste applicazioni rappresentano un capitolo molto importante della Storia del Pensiero Umano. Chi sono i rappresentanti più significativi della Scuola di Alessandria? Chi sono i famosi “grammatici alessandrini” che poco fa abbiamo evocato in relazione alla morfologia de Le Storie di Erodoto?
Abbiamo parlato, nelle scorse settimane, del ruolo rilevante che hanno (o che dovrebbero avere) le biblioteche nella società, e non ne abbiamo parlato a caso, ma con la consapevolezza che saremmo entrati, questa sera, nella più famosa biblioteca della Storia della cultura, la Biblioteca di Alessandria.
Il primo intellettuale alessandrino su cui dobbiamo concentrare la nostra attenzione è un personaggio importante perché si tratta del primo bibliotecario della Biblioteca di Alessandria (come dire l’archetipo, il prototipo di tutte le bibliotecarie e di tutti i bibliotecari): questo personaggio si chiama Zenodoto di Efeso (325-260 circa a.C.) che ha curato la prima edizione critica dei due poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, e li ha divisi in 24 libri ciascuno, come le lettere dell’alfabeto greco: naturalmente, tra gli studiosi c’è chi sostiene che Zenodoto di Efeso abbia anche curato la forma de Le Storie di Erodoto.
Il secondo personaggio che dobbiamo annoverare tra i grammatici alessandrini si chiama Eratostene di Cirene (275-195 circa a.C.). Anche Eratostene è stato bibliotecario della Biblioteca di Alessandria ed è stato il primo ad assumere, in contrapposizione con i filosofi, il titolo di “filologo” cioè di persona erudita in modo vario e molteplice che si adopera per raccogliere, catalogare, conservare e mettere a disposizione di chi studia i prodotti della cultura (l’identikit del “bibliotecario”). Eratostene è considerato il fondatore della “cronografia” perché ha composto una Cronaca nella quale sono raccolte le date, in ordine cronologico, degli avvenimenti più importanti (sociali, politici, culturali) dalla caduta di Troia alla morte di Alessandro. Naturalmente, tra gli studiosi, c’è chi sostiene che Eratostene di Cirene abbia anche curato la forma de Le Storie di Erodoto.
Il terzo personaggio che dobbiamo ricordare tra i grammatici alessandrini si chiama Aristofane di Bisanzio (245-165 circa a.C.) e anche lui è stato bibliotecario della Biblioteca di Alessandria. Aristofane ha curato la pubblicazione dei testi di molti autori (Omero, Esiodo, i poeti lirici e tragici); inoltre si è occupato di “linguistica” dando un grande impulso a questa scienza, studiando le “analogie” tra le varie lingue e ponendosi una domanda fondamentale: in origine c’era una lingua comune che poi si è trasformata, per cause da stabilirsi, in molteplici lingue? Oppure dalle origini ci sono molte lingue diverse che tendono a convergere in una lingua comune (una koiné) che s’impone per motivi economici, politici, sociali, culturali? Ancora oggi stiamo dibattendo su questo tema. Naturalmente tra gli studiosi, c’è chi sostiene che Aristofane di Bisanzio abbia anche curato la forma de Le Storie di Erodoto.
Il quarto personaggio che dobbiamo ascrivere tra i grammatici alessandrini si chiama Aristarco di Samotracia (205-131 a.C.) il quale è stato discepolo di Aristofane di Bisanzio e suo successore come bibliotecario della Biblioteca di Alessandria. Aristarco di Samotracia è considerato il più grande filologo dell’antichità, e ha curato la più importante edizione critica dei poemi di Omero e il suo nome è diventato sinonimo (essere un Aristarco) di critico rigoroso e severo. Naturalmente, tra gli studiosi, c’è chi sostiene che Aristarco di Samotracia abbia anche curato la forma de Le Storie di Erodoto…
Ebbene una risposta certa non l’abbiamo trovata, ma forse abbiamo trovato di più, abbiamo trovato una risposta propedeutica in funzione dello studio, della ricerca, della lettura e della scrittura. Ora sappiamo che (ed Erodoto se la ride sotto i baffi, “allude” al fatto che lui preferisce le risposte interlocutorie piuttosto che le risposte inconfutabili…) uno di questi “grammatici alessandrini” – o forse (e probabilmente) tutti e quattro a più riprese – si è occupato della morfologia de Le Storie di Erodoto. È chiaro che questi personaggi – Zenodoto di Efeso, Eratostene di Cirene, Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia – meriterebbero un’attenzione maggiore di quella che noi gli abbiamo dedicato questa sera, quindi: continuate voi la ricerca utilizzando la biblioteca (appunto), l’enciclopedia e la rete (ci sarà anche qualche sito dedicato ai “grammatici alessandrini”?).
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
E se questa ricerca stimola nella vostra mente un pensiero: è bene scriverlo, bastano quattro righe per esprimere un pensiero
Abbiamo incontrato i primi grandi bibliotecari della Storia della cultura e tutti possediamo (grande o piccola che sia) una biblioteca domestica: descrivete, raccontate la vostra biblioteca… Quali sono i libri della vostra biblioteca ai quali siete più affezionate, più affezionati ?… Perché – per quali motivi - quel libro è diventato importante ?
Scrivete quattro righe in proposito…
Chi vuole saperne di più sulla famosa biblioteca di Alessandria, la quale per un lungo periodo di tempo ha incarnato il sogno surreale che vi possa essere o sia esistito da qualche parte un luogo di raccolta di tutti i testi di tutto il mondo, può consultare (in biblioteca) un libro che s’intitola La biblioteca scomparsa del filologo-antichista Luciano Canfora (Sellerio editore, 1986).
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Perché si parla di biblioteca “scomparsa”? Se t’interessa indagare dentro a questi avvenimenti un po’ misteriosi (e affascinanti) della Storia della cultura non ti resta che leggere con costanza, con pazienza e con attenzione seguendo il metodo del “legere multum”…
Perché si parla di biblioteca “scomparsa”? Perché la biblioteca dei Tolomei fu devastata da un grande incendio (il fuoco è sempre stato il pericoloso consorte dei libri di ogni tempo). Sembra che questo incendio sia avvenuto durante la guerra (nel 47 a.C) tra Giulio Cesare e l’ultimo dei Tolomei (il fratello minore di Cleopatra), ma oggi si possono fare anche delle altre ipotesi, e a chi interessa indagare dentro a questi avvenimenti un po’ misteriosi (e affascinanti) della Storia della cultura non resta che leggere. La lettura di questo testo – La biblioteca scomparsa di Luciano Canfora – va affrontata con cautela: si tratta di un saggio scritto sotto forma di romanzo e prevede la paziente consultazione delle note che spiegano i molti e interessanti riferimenti culturali. È preferibile quindi (ma questo vale per tutti i libri) usare il metodo del “legere multum”: quattro pagine al giorno – bastano circa dieci minuti tutti i giorni – da esaminare con costanza e con attenzione (è un paradosso ma è leggendo poco che si legge molto, che si legge bene). L’abitudine acquisita ad utilizzare il metodo del “legere multum” consente poco per volta di allungare i tempi di lettura (ma non è così importante) e di aumentare la quantità di pagine lette (ma non è così rilevante). Ma soprattutto l’acquisizione dell’abitudine al “legere multum” consente via via di moltiplicare i momenti di lettura durante la giornata, dando ai libri un appuntamento quotidiano: possiamo leggere quattro pagine di un libro, che teniamo sul comodino in camera da letto, dieci minuti prima di dormire (poi possiamo arrenderci al sonno…), altre quattro pagine di un libro, che abbiamo collocato nel posto più adatto, le possiamo leggere, per dieci minuti, in cucina o nel tinello all’ora del tè (o al posto della merenda), altre quattro pagine di un libro, che potrebbe trovare posto in antibagno, le possiamo leggere in bagno, un luogo della casa nel quale dovremmo stare seduti (anche se non si tratta proprio di una poltroncina) almeno dieci minuti al giorno. Tre momenti di lettura al giorno per un totale di trenta minuti danno un frammento di dodici pagine, che costituisce un patrimonio di lettura di circa 4400 pagine in un anno. Il metodo del “legere multum” è efficace per qualità (“multum”) e per quantità (“legere multa”): è bene che i cittadini (il 77% degli italiani non legge) prendano questa abitudine cominciando da un frammento quotidiano.
E ora torniamo sul nostro percorso e ricapitoliamo: i grammatici alessandrini (ora sappiamo qualcosa di più preciso intorno a questo termine generico) hanno diviso il testo di Erodoto – che era disorganico e ininterrotto – in libri, e hanno dato ad ogni libro il nome di una Musa, le Muse sono nove e quindi l’opera di Erodoto è divisa in 9 libri. Inoltre il testo di Erodoto risulta diviso in due parti: i primi cinque libri costituiscono come una specie di ampia “prefazione”, in cui l’autore espone la “storia” – le ricerche che ha fatto sul campo – di quello che lui chiama “il mondo orientale” prima delle cosiddette “guerre persiane”. Erodoto nei primi cinque libri de Le Storie racconta una serie di avvenimenti, di consuetudini, di usi, di costumi, di curiosità che riguardano una serie di popoli a cominciare dal popolo che abita la Lidia descritto attraverso la figura del re Creso, poi racconta dei Persiani, degli Egiziani, dei Babilonesi e dello straordinario (nel senso di “fuori dal comune” per la mentalità greca) popolo degli Sciti. Gli altri quattro libri, dal sesto al nono, narrano le “guerre persiane” dalla rivolta contro i Persiani, in terra ionica, di Aristagora di Mileto (500 a.C.) fino all’espugnazione della città di Sesto (478 a.C.) da parte degli Ateniesi; poi il testo di Erodoto s’interrompe.
Tutti gli studiosi sono d’accordo nel dire che Erodoto – per il modo, per la “forma” con cui scrive – non appartiene più alla categoria del “logografi”: che significato ha questa affermazione? Erodoto, come scrittore, si distingue da quelli che vengono chiamati “logografi” (che letteralmente significa “scrittori di prosa”) i quali si perdono dietro a narrazioni leggendarie: più che raccontare la “storia”, i logografi, riferiscono “le storie” tratte dalla “mitosarchis” cioè dalla rete (in greco archis) dei mitici racconti delle origini, e questo argomento lo abbiamo studiato nell’anno 2003 viaggiando nel Percorso sulla Tragedia.
Con i “logografi” veniamo a trovarci davanti ad un nuovo paesaggio intellettuale sul quale non possiamo non gettare l’occhio, seppur brevemente. Chi sono questi primi prosatori della Storia del Pensiero dai quali Erodoto si distingue? In un Percorso di didattica della lettura e della scrittura dobbiamo arricchire le nostre conoscenze per poter investire meglio in intelligenza e quindi non possiamo non prendere in considerazione i due “logografi” più famosi.
E allora diamo un’occhiata al panorama culturale che ci presenta questi antichi “scrittori in prosa”.
Il più antico logografo è – secondo la tradizione – Cadmo di Mileto, vissuto nel VI secolo a.C., il quale è autore di un’opera che s’intitola la Fondazione di Mileto, e naturalmente, più che un racconto storico, quest’opera si presenta come una narrazione di avvenimenti leggendari.
Invece il più importante logografo della Storia della letteratura è Ecateo di Mileto (549-479 a.C.) autore delle Genealogie, un’opera formata da una serie di testi che narrano la storia, in gran parte leggendaria, dei Dori e degli Ioni. Poi Ecateo ha scritto un’opera dal titolo Periegesi che possiamo tradurre “Il giro della Terra” (è forse il modello più antico – per lo meno nel titolo – del romanzo Il giro del mondo in 80 giorni? Siete andati a rivisitare Jules Verne?). Quest’opera è divisa in due libri: Europa e Asia – per Ecateo e per i viaggiatori dell’antichità, Europa e Asia sono la Terra – e l’autore sostiene che il testo di quest’opera è il resoconto di un viaggio che lui ha fatto realmente. Ecateo di Mileto è un personaggio significativo nella Storia della cultura, prima di tutto perché è uno dei fondatori del cosiddetto “movimento razionalista ionico” e poi perché è il fondatore della “geografia”: è il primo ad usare questo termine per definire l’arte di “descrivere la Terra”. Ma la cosa più importante da dire – in funzione del nostro Percorso – su Ecateo di Mileto è che questo personaggio è da mettere in relazione con la formazione culturale di Erodoto. Erodoto ha letto – probabilmente con molto interesse – le opere di Ecateo di Mileto (Mileto è una delle più importanti polis della Ionia, è uno dei più significativi centri della cultura ionica). Come facciamo a sapere che le opere di Ecateo di Mileto fanno parte della formazione culturale di Erodoto? Lo sappiamo perché ce lo ha detto lo stesso Erodoto, il quale ne Le Storie menziona Ecateo di Mileto per quattro volte .
L’incontro con questo logografo – all’interno de Le Storie – ci permette di cominciare a riflettere su un altro tema importante: il tema riguardante i tratti della “formazione culturale” di Erodoto. Il termine “formazione” contiene la parola “forma” e noi, è di questa questione che ci stiamo occupando. Naturalmente esiste un nesso tra la Ionia – la regione che si trova a nord di Alicarnasso, la città dove Erodoto è nato nel 484 (circa) a.C. – e la “formazione culturale” dello scrittore. Le citazioni, ne Le Storie, di Ecateo di Mileto sono una “allusione” che Erodoto fa sulla propria formazione culturale. Erodoto non afferma, Erodoto “allude”…
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
La nostra “formazione culturale”, probabilmente, inizia sui libri della scuola elementare: ricordate i vostri primi libri scolastici (o anche non scolastici)?
Scrivete quattro righe in proposito…
L’incontro con il logografo Ecateo di Mileto ci permette – via via che procediamo a definire i caratteri strutturali e gli aspetti formali dell’opera di Erodoto – di cominciare a leggere il contenuto del testo de Le Storie. Per orientarsi nella lettura de Le Storie di Erodoto è necessario dare soltanto una semplice istruzione per l’uso: ogni libro è stato diviso dai “grammatici alessandrini” in capitoletti (sono corti) e questi capitoletti, successivamente, in età medioevale, sono stati numerati in cifre arabe (1 2 3 4 etc, etc.). Quindi, nel testo di Erodoto, oggi, con il numero romano (dal primo al nono) troviamo indicato il libro (che a sua volta porta il nome di una Musa) e in cifre arabe troviamo il numero del capitoletto. Il numero dei capitoletti varia da libro a libro, per esempio: il primo libro, di Clio, consta di 216 capitoletti; il secondo libro, di Euterpe, di 182 capitoletti, e via dicendo.
In questa prima fase (introduttiva) del nostro Percorso noi cominciamo a leggere il libro di Erodoto non seguendo l’ordine del testo (dall’inizio alla fine) ma intercettando dei frammenti, che fanno riferimento agli argomenti che si presentano sul nostro cammino. Quindi utilizziamo il metodo dei “chiosatori”, o dei “commentatori” o degli “annotatori”, per cui si propone la lettura di un frammento del testo svincolato dal contesto, allo scopo di fare delle “annotazioni in margine”, dei commenti a lato. In un secondo momento, quando avremo terminato di analizzare le strutture del testo e avremo predisposto degli strumenti per accedere più facilmente al testo, leggeremo in modo da seguire, dall’inizio alla fine la trafila de Le Storie.
Questa sera – utilizzando il primo pretesto significativo – leggiamo i primi brani tratti da Le Storie di Erodoto per “annotare in margine” la presenza di Ecateo di Mileto all’interno dell’opera e per commentare gli umori – le “allusioni” – di Erodoto nel narrare questa presenza. Erodoto cita Ecateo nei capitoli 36 e 125 del libro V, quello dedicato alla Musa Tersicore. Nel libro V de Le Storie si racconta la ribellione dei cittadini della polis di Mileto contro i Persiani che avevano imposto il loro dominio, e una tassazione sempre più pressante, su questa città che vantava di essere la più importante colonia greca della Ionia. A comandare la rivolta c’è Aristagora di Mileto il quale ci viene presentato da Le Storie di Erodoto non come un eroe: infatti non siamo più nei racconti mitici dei logografi dove i protagonisti se non sono degli dèi sono per lo meno degli Eroi. E allora cominciamo a leggere.
LEGERE MULTUM….
Erodoto, Le Storie V 124
Mentre queste città (della Grecia) venivano sottomesse (dai Persiani), Aristagora di Mileto, che non aveva un cuor da leone (come gli eventi dimostrarono), lui che aveva messo in subbuglio la Ionia e vi aveva provocato dei disordini gravi, faceva progetti di fuga: vedeva infatti come si svolgevano le cose e per di più gli risultava evidente che era impossibile aver la meglio sopra il re Dario.
Per questi motivi, dunque, radunati i suoi partigiani tenne consiglio sostenendo che era meglio per loro che ci fosse già pronto un luogo di rifugio, nel caso venissero scacciati da Mileto. Dal luogo dov’erano, egli li avrebbe condotti in Sardegna a fondarvi una colonia; oppure, a Mìrcino fra gli Edòni, la città che Istieo aveva fortificato, dopo averla avuta in dono da Dario.
Su questo, appunto, Aristagora chiedeva il loro parere.
Scrive Erodoto ironicamente che “Aristagora di Mileto non aveva un cuor da leone”, però possiede – secondo Le Storie – una caratteristica umana che ne fa non un eroe ma un cittadino “democratico”. Erodoto sorride e sembra sussurrare: “beata quella città che non ha bisogno di eroi”. Erodoto “allude” e non perde mai l’occasione di contrapporre, esaltandole, le istituzioni democratiche rispetto a quelle dell’Impero anche se il cittadino “democratico” non è immune da tutte le contraddizioni con cui l’essere umano si trova a fare i conti. Aristagora di Mileto chiede consiglio, chiede pareri sulle decisioni da prendere. Erodoto “allude” e mette in risalto il fatto che in democrazia, nella polis, deve valere l’opinione prima della decisione. Erodoto vuole evidenziare il metodo delle “opinioni a confronto”.
Ma continuiamo a leggere: ecco che entra in scena Ecateo di Mileto.
LEGERE MULTUM….
Erodoto, Le Storie V 125
L’opinione di Ecateo, figlio di Egesandro, scrittore di storie (logografos), era che egli (Aristagora) non andasse in nessuno dei due paesi; invece, costruita una fortezza nell’isola di Lero, se ne stesse là tranquillo, nel caso fosse stato bandito da Mileto. In seguito, movendo da quest’isola, sarebbe potuto rientrare a Mileto.
In questo brano entra in scena Ecateo, che Erodoto chiama “scrittore di storie”, nel testo greco “logografos”. Erodoto “allude” alla saggezza di Ecateo il quale consiglia ad Aristagora di essere cauto e previdente, di non fare l’eroe. E’ significativo il fatto che Erodoto “alluda” a questo concetto coinvolgendo un logografo: infatti i logografi mettono al centro delle loro narrazioni, come protagonisti, soprattutto gli dèi e gli eroi e la loro scrittura contiene un incitamento all’eroismo. Erodoto vuole, forse, rivalutare le opere di Ecateo, riconoscendo soprattutto il suo razionalismo? Erodoto, ha forse detto “qualcosa” nei confronti di Ecateo che può aver indignato il lettore e quindi deve farsi perdonare? Dobbiamo sapere che Erodoto ha già citato Ecateo precedentemente, nel II libro. E che cosa ha scritto Erodoto nei confronti di Ecateo nel II libro? Procediamo con la dovuta cautela. Qui, nel V libro, Erodoto “allude” alla saggezza di Ecateo il quale consiglia ad Aristagora di temporeggiare, di riflettere, di avere pazienza perché le ribellioni non s’improvvisano ma si preparano, sono necessarie risorse e intelligenza, ma i consigli di Ecateo non vengono ascoltati.
Leggiamo anche il capitoletto 126 che è l’ultimo del libro V che qui finisce.
LEGERE MULTUM….
Erodoto, Le Storie V 126
Questo consigliava Ecateo, ma il parere di Aristagora, più che mai saldo, era di condurli a Mircino.
Affidò, quindi, il governo di Mileto a Pitagora, un cittadino molto stimato, mentre egli, presi con sé tutti quelli che volevano, fece vela verso la Tracia e prese possesso del paese verso il quale si era diretto.
Ma in una spedizione che fece partendo di là, Aristagora con il suo esercito morì (nel 497 a.C.) per mano dei Traci, mentre stava assediando una città, da cui i Traci acconsentivano a uscire, secondo modalità concordate.
Erodoto, raccontando la morte di Aristagora – una morte che ha un po’ il sapore di una punizione e di ammonimento –, sembra “alludere” al fatto che in “democrazia” la richiesta di formulare un parere, la necessità di ascoltare un’opinione non può essere solo una formalità, un rito di circostanza: se s’interpellano i “saggi”, poi bisogna anche fare tesoro del loro parere, “allude” Erodoto.
Ma ora andiamo a verificare che cosa scrive Erodoto quando nel II libro de Le Storie cita per la prima volta Ecateo di Mileto: è una pagina complessa che ora dobbiamo leggere al di fuori del contesto generale solo per fare alcune annotazioni, alcune riflessioni. Diciamo che Erodoto, nel II libro de Le Storie, ci porta in Egitto, qui ci troviamo nel bel mezzo di un pacifico ma serrato dibattito sul tema delle “genealogie”. I sacerdoti di un tempio – narra Erodoto – contestano alcune affermazioni dello “storico” Ecateo: ricordiamoci che Ecateo di Mileto è autore di un’opera intitolata Genealogie che probabilmente Erodoto conosce molto bene.
LEGERE MULTUM….
Erodoto, Le Storie II 143
Tempo fa, con lo storico Ecateo, che in Tebe esponeva la sua genealogia e faceva risalire la sua famiglia a un dio come sedicesimo ascendente, i sacerdoti di Zeus si comportarono come fecero con me, che pure non esponevo genealogie che mi riguardassero.
Avendomi condotto nell’interno del tempio, che è molto vasto, mi mostrarono, enumerandole, le colossali statue di legno, che erano tante quante ho già detto; poiché ivi ogni sommo sacerdote fa innalzare, mentre è ancora in vita, la propria statua.
Mentre, dunque, illustrandole, me le numeravano, i sacerdoti mi fecero vedere che ciascun personaggio era figlio di un padre compreso nella serie; e cominciarono dalla statua di quello che era morto recentissimamente, passando dall’una all’altra, finché me le ebbero mostrate tutte.
Così, quando Ecateo espose la propria genealogia, facendo risalire la sua origine a un dio come sedicesimo progenitore, essi gli opposero nel computo quest’altra genealogia, non accettando, quant’egli diceva, che un uomo fosse nato da un dio. Gliela contrapposero in questo senso: sostenendo che ciascuna di quelle statue rappresentava un “piromi” nato da un altro “piromi”; finché non gli ebbero fatto vedere, attraverso 345 colossi, che si trattava di “piromi” generati da “piromi” senza ricollegarli a un dio o a un eroe.
A dirlo in greco, “piromi” sarebbe un “uomo perbene e valoroso (un galantuomo)”.
Erodoto ha letto con molto interesse le opere di Ecateo che hanno senza dubbio contribuito alla sua “formazione culturale”. Ma Erodoto in questo brano non rinuncia a “tirare una frecciata” ad Ecateo in particolare, e ai logografi in generale, riparandosi dietro alle affermazioni dei sacerdoti di Tebe. Erodoto sa che i logografi sono ancora molto popolari. Ecateo dà una lettura “mitica”, “leggendaria” della genealogia della sua famiglia sollevando un problema molto significativo che fa da spartiacque tra la leggenda (la logografia) e la storia: come può un uomo nascere da un dio?
Erodoto “allude” sorridendo e, tra le righe del suo racconto lo sentiamo sussurrare “qualcosa” che proviamo a tradurre: «Ecateo è un bravo scrittore – sussurra Erodoto – ma è un logografo, è ancora tenacemente legato alle credenze mitiche, è ancora ancorato alla rete leggendaria dei racconti delle origini dove gli dèi si trasformano e si mescolano agli uomini per ingravidare – bontà loro – le donne mortali e intrufolarsi, per motivi di potere, nelle genealogie umane. Ecateo è un bravo scrittore – prosegue Erodoto alludendo – e ho imparato molto dalle sue opere, ma tra noi c’è una differenza “formale”, lui è un logografo (racconta storie mitiche come se fossero vere) e rappresenta la metodologia del passato, io – sussurra Erodoto – sono “istoriés apodeikos” uno che ha fatto delle ricerche e poi le ha esposte per iscritto, rappresento la metodologia del presente e del futuro». Oggi, di fronte a noi, Erodoto, con soddisfazione, può recuperare una parola che ha contribuito ad inventare, la parola “storico”.
E nell’opera di Erodoto (ci suggeriscono gli esperti, gli antichisti) nel momento in cui si cita Ecateo di Mileto avviene, per la prima volta, una scissione “formale” nel modo di raccontare: qui – ne Le Storie di Erodoto – troviamo lo spartiacque tra la logografia (i miti e le leggende usate per interpretare la realtà) e la storia (la realtà, la ragione, usata per interpretare i miti e le leggende).
Ecateo di Mileto viene citato per la quarta volta da Erodoto nel VI libro: siamo nel bel mezzo delle “guerre persiane” e il protagonista della narrazione è lo stratega Milziade. Nel capitolo 137 del libro VI Erodoto mette sul tappeto l’annosa questione di quando gli Ateniesi hanno scacciato dall’Attica i Pelasgi, cioè gli antichi abitanti di questa regione centrale dell’Ellade. Ma ora leggiamo questa pagina che ci permette di fare ancora una importante riflessione di metodo.
LEGERE MULTUM….
Erodoto, Le Storie VI 137
I Pelasgi erano stati scacciati dall’Attica a opera degli Ateniesi: se con ragione o meno, io non ho modo di poterlo affermare. Non posso che riferire ciò che si racconta, cioè quello che dice Ecateo, figlio di Egesandro, nelle sue storie, affermando che fu un’ingiustizia.
Infatti, secondo lui, quando gli Ateniesi videro quel tratto di terra che avevano loro concesso di abitare alle falde dell’Imetto (colle che si eleva a sud-est di Atene: ricco di timo e di fiori, fu famoso in tutta l'antichità per il miele che si ricavava dai suoi alveari), come compenso per le mura che un tempo avevano costruito intorno all’acropoli e constatarono che quella zona era stata coltivata molto bene mentre prima era sterile e di nessun valore, furono presi da invidia e dal desiderio di riaverla: fu così che gli Ateniesi scacciarono i Pelasgi, senza poter addurre alcun altro motivo.
Invece, secondo quanto dicono gli Ateniesi stessi, li avrebbero espulsi a buon diritto, poiché questi Pelasgi, stabilitisi alle pendici dell’Imetto, movevano di là per commettere atti di spregio di tal fatta.
Le figlie degli Ateniesi solevano recarsi sempre ad attingere acqua alla sorgente “Enneacruno” (Il nome significa "nove fonti" e fu cosi chiamata al tempo dei Pisistratidi, che vi eseguirono dei lavori speciali di assestamento e di ordine; prima era chiamata Calliroe cioè "dalla bella corrente": si trovava presso l'Ilisso, a sud-est della città, a uno stadio fuori dalle mura), a quel tempo, infatti, non esistevano ancora gli schiavi, né presso di loro, né presso gli altri Greci; e ogni volta che vi si recavano i Pelasgi le colmavano di insolenze e di scherni. Tuttavia non bastò ad essi commettere queste prodezze; ma alla fine furono còlti sul fatto mentre stavano macchinando un’insidia contro di loro.
Gli Ateniesi, quindi, a sentir loro, si sarebbero comportati tanto più nobilmente dei Pelasgi, in quanto, mentre avrebbero potuto sterminarli, per averli colti proprio mentre tramavano ai loro danni, non avevano voluto, ma avevano loro semplicemente imposto di andarsene via dal paese.
Ed essi, sgombrata l’Attica, erano andati a occupare altre località, fra le quali Lemno.
Quello, dunque, è il racconto di Ecateo. Questo è quanto dicono gli Ateniesi.
Questa pagina – abbiamo detto – ci permette di fare un’importante considerazione di metodo. Dobbiamo notare subito le “espressioni formali” che Erodoto usa per mettere in evidenza la cautela con cui il “narratore di storia” deve avvicinarsi agli avvenimenti. Il “narratore di storia” – contrariamente al “narratore di storie”, il quale fa spesso appello ai miti e alle leggende come se fossero situazioni realmente accadute – deve conoscere i limiti dell’esposizione degli avvenimenti e deve citare le fonti delle narrazioni.
“I Pelasgi – scrive Erodoto – erano stati scacciati dall’Attica a opera degli Ateniesi: se con ragione o meno, io non ho modo di poterlo affermare. Posso solo riferire quello che si racconta, cioè quello che dice Ecateo…”. E alla fine di questo capitolo Erodoto fa l’inventario delle opinioni e sospende il giudizio, affermando: “Quello, dunque, è il racconto di Ecateo. Questo è quanto dicono gli Ateniesi”. Queste “formalità” introducono Erodoto nell’anticamera (o se volete ne L’Antibagno) della disciplina storica: lo “storico” raccoglie le citazioni, fa l’inventario delle fonti, sospende il giudizio se non conosce lo svolgersi degli avvenimenti. Attraverso l’osservazione di questi elementi formali (ne vedremo altri nel corso del nostro cammino) noi capiamo che Erodoto ha un suo “metodo di lavoro” che viene considerato il primo “metodo scientifico” – per quanto elementare possa essere – nel campo della disciplina storica. Erodoto distingue le cose da lui narrate con tre termini particolari.
- Autopsìa (noi, oggi, utilizziamo questa parola per indicare un atto di carattere medico-giuridico) con cui definisce le cose vedute con i propri occhi.
- Istorìa, con cui definisce le cose che sono frutto della sua indagine personale, prodotto delle sue ricerche.
- Gnóme, con cui definisce le cose apprese da altri.
Nel capitolo 137 del libro VI, che abbiamo appena letto, ci troviamo di fronte ad un esempio di gnóme perché riferisce “cose apprese da altri”, ma contemporaneamente ci troviamo anche di fronte ad un esempio di istorìa perché il “catalogo delle opinioni”, la “raccolta dei vari pareri” è il risultato della sua indagine personale.
A queste considerazioni dobbiamo aggiungere che Erodoto è anche figlio del suo tempo e quindi la sua narrazione è ancora spesso suggestionata dal “misticismo” perché la sua mentalità è influenzata da elementi di “superstizione”. Famosa è, ne Le Storie di Erodoto, la presenza del concetto di “invidia divina” secondo cui gli dèi puniscono chiunque voglia superare, voglia trascendere i limiti fissati dalla natura umana. Ma questo concetto è presente in tutti gli scrittori dell’epoca, soprattutto in Eschilo (524-456 a.C.), il primo grande autore di tragedie, di cui Erodoto conosce senz’altro le opere: in particolare si presume che Erodoto conosca la tragedia Prometeo incatenato nel cui testo il concetto di “invidia divina” è espresso pienamente. In Erodoto però – a differenza di Eschilo che è pienamente “mistico” – il concetto di “invidia divina” ha un risvolto filosofico in senso “esistenzialista”: l’incombere della minaccia degli dèi conduce Erodoto ad assumere un atteggiamento di pensosa partecipazione per le vicende degli esseri umani, Erodoto considera gli esseri umani contemporaneamente protagonisti e vittime della Storia ed è il primo a teorizzare questo concetto.
Questa sua posizione intellettuale matura, certamente, per l’influenza della cultura Ionica sulla sua formazione. Erodoto culturalmente è figlio della Ionia (la regione che si estende a nord di Alicarnasso), e la terra ionica costituisce un meraviglioso paesaggio intellettuale. Di questo paesaggio intellettuale, adesso, dobbiamo osservare alcune particolarità che riguardano il filone della poesia, della poesia lirica, della poesia lirica elegiaca, e dobbiamo conoscere alcuni personaggi che, con le loro opere hanno contribuito alla formazione intellettuale di Erodoto.
Infatti la terra ionica è da considerarsi meravigliosa anche perché ci ha dato la poesia di Callino di Efeso. Chi è Callino? Callino è un poeta vissuto nella prima metà del VII secolo a.C. e di lui possediamo poche notizie, ma sappiamo – ci dicono gli studiosi – che Erodoto ne conosce bene l’opera. Che cosa ha appreso Erodoto da Callino? Sembra che Erodoto abbia maturato l’idea di raccontare la lotta dei Greci contro gli invasori Persiani proprio leggendo l’opera di Callino, perché? Purtroppo, oggi, di Callino ci rimane un solo frammento poetico – si tratta di poesia lirica elegiaca di carattere esortativo – e in questo frammento il poeta esorta gli abitanti della Ionia a combattere contro gli invasori, e per invasori Callino intende le popolazioni (barbaroi, li chiama) dei Cimmeri e dei Treri che avevano invaso l’Asia Minore. Dal frammento che possediamo si può capire che lo stile di Callino di Efeso è influenzato dall’Iliade, e si può capire che l’opera di Callino ha contribuito alla formazione culturale di Erodoto
Inoltre la terra ionica è da considerarsi meravigliosa anche perché ci ha dato l’opera poetica di Mimnermo di Colofone. Chi è Mimnermo? Mimnermo è un poeta ionico vissuto nella seconda metà del VII secolo a.C. Anche della vita di Mimnermo non abbiamo molte notizie, sappiamo che, avendo vissuto in mezzo alla raffinata cultura delle polis ioniche, maturò un temperamento sentimentale ed erotico. Sappiamo che fu amico di Solone di Atene, il celebre legislatore, e che scambiò con lui una serie di versi sul tema della vecchiaia. Gli studiosi c’informano che Erodoto conosce bene l’opera di Mimnermo e ci mettono al corrente del fatto che ne ha subìto l’influenza: che cosa ha appreso Erodoto da Mimnermo? Sembra che Erodoto, proprio leggendo Mimnermo, abbia maturato uno spirito poetico, e infatti gli studiosi sostengono che la prosa greca di Erodoto ha delle caratteristiche poetiche radicate nell’elegia, che è appunto il primo genere di poesia lirica che si afferma nella Ionia per merito di Callino (elegia esortativa) e di Mimnermo (elegia sentimentale). La prosa di Erodoto – dal punto di vista “formale” – è una prosa poetica di carattere elegiaco. Mimnermo ha scritto due libri di Elegie e la sua poesia ha soprattutto la caratteristica di essere malinconica. Mimnermo nelle Elegie racconta il suo amore per una certa Nannò, suonatrice di flauto (la lirica elegiaca è accompagnata dal flauto), e poi racconta le sue malinconie sulla brevità della giovinezza e sulla caducità delle cose. Anche Erodoto, spesso, si lascia prendere dalla malinconia, si lascia cullare dalla nostalgia.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
La terra ionica è da considerarsi meravigliosa anche perché ci ha dato le opere dei poeti Callino di Efeso e Mimnermo di Colofone che hanno contribuito alla formazione culturale di Erodoto… Questi due personaggi meritano di essere oggetto di una ricerca: in biblioteca o sull’enciclopedia o sulla rete (saranno ricordati in qualche sito internet ?) possiamo verificare la loro presenza nella storia della cultura…
E se questa ricerca stimola nella vostra mente un pensiero (una riflessione, un ricordo autobiografico): è bene scriverlo, bastano quattro righe per esprimere un pensiero…
Ma la terra ionica è da considerarsi meravigliosa perché prima di tutto ci ha dato i canti di Omero. Omero – e la sua poesia epica – lo conosciamo bene, lo abbiamo incontrato molte volte nei nostri Percorsi, e naturalmente i poemi di Omero fanno parte della formazione culturale di Erodoto. Che cosa può aver appreso – a livello formale – Erodoto dai poemi di Omero, dall’Iliade e dall’Odissea? Ci dicono gli esperti che Erodoto ha mutuato dai poemi di Omero l’idea de “l’unità nella molteplicità”. Così come nell’Iliade tutti gli episodi riconducono alla “menis, all’ira di Achille” e nell’Odissea tutte le avventure rimandano al “nostos, al viaggio di ritorno a casa di Ulisse”, così ne Le Storie, in mezzo ad un groviglio complicatissimo di fatti, di aneddoti, di episodi, di leggende e di racconti che nascono dentro ad altri racconti, Erodoto riesce a ricondurre tutto all’idea fondamentale della lotta tra i Greci e i Persiani. Erodoto, ne Le Storie, non cita mai né Callino né Mimnermo perché probabilmente, su di loro, non ha alcun appunto da fare sul terreno del “racconto storico”. Erodoto cita invece Omero in sette capitoli (capitoletti) e queste citazioni sono famose e sono molto interessanti e vale la pena leggerle. La prossima settimana torneremo naturalmente ad occuparci di questo argomento e c’impegneremo a riflettere sulle famose sette citazioni di Omero ne Le Storie di Erodoto e voi, se volete, potete leggerle in anteprima.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Erodoto cita Omero in sette capitoli (capitoletti) e queste citazioni sono molto interessanti e vale la pena leggerle: le troviate nel libro II 23, 53, 116, nel libro IV 29, 32, nel libro V 67 e nel libro VII 161.
Questo esercizio – se lo volete fare – può servire prima di tutto come “pretesto”, infatti può essere utile per cominciare a prendere confidenza, ciascuno per conto vostro, con il testo de Le Storie, con la sua “forma”. Questo esercizio lo potete eseguire a casa – è probabile che nella vostra biblioteca domestica ci sia il testo de Le Storie di Erodoto – oppure se non lo possedete potete ricorrere alla biblioteca pubblica. Se decidete di dedicarvi a leggere i famosi capitoli di Erodoto su Omero, potete anche “schedare” alcune frasi che vi colpiscono maggiormente, poi potete ricopiarle in modo da inventariarle per la biblioteca itinerante. Inoltre gli argomenti di Erodoto – in questo caso gli argomenti su Omero – possono di sicuro far venire in mente spunti autobiografici, episodi della nostra vita, ricordi legati alle nostre esperienze. Erodoto scrive su cose “materiali” che stimola senz’altro la nostra “memoria”.
Come si comporta Erodoto quando scrive?
Se decidete di leggere questi capitoli fate attenzione al fatto che spesso, nel bel mezzo di un racconto, Erodoto inizia a rincorrere un altro pensiero, e allora interrompe la narrazione, scrive il pensiero (o l’episodio o il fatto o il ricordo o l’aneddoto) che si è presentato nella sua mente, e poi – dopo averlo fissato sulla carta (sulla tavoletta, sul papiro, sul rotolo, teucos in greco) – ritorna sul racconto della “storia” con cui aveva esordito e prosegue la narrazione. Ogni pensiero (ogni riflessione, ogni ricordo) che si presenta nella nostra mente – e che noi riconosciamo come significativo, per quanto semplice ed elementare possa essere, – è una “risorsa intellettuale” che non va dispersa: la scrittura è uno strumento straordinario (non ci viene ricordato mai abbastanza), utile per conservare le “risorse intellettuali”.
Erodoto, di fronte a questo discorso, “allude” e sorride: lui, l’importanza di questo concetto, ce la sta trasmettendo da 2500 anni, circa.
Mentre Erodoto sorride, il vento – ànemos (abbiamo imparato questa parola: usiamola!) – della Ionia continua a soffiare. E il vento della Ionia – ànemos – lo sentiremo soffiare ancora la prossima settimana, mentre constateremo che, citando Omero, Erodoto fa alcune “allusioni” molto significative.
Ma ora per concludere facciamo ancora un riferimento in funzione della didattica della lettura e della scrittura. Abbiamo, questa sera, incontrato la famosa Biblioteca “scomparsa” di Alessandria con i suoi bibliotecari, e abbiamo parlato di biblioteche domestiche. Nella Storia della letteratura contemporanea c’è una biblioteca, ormai celebre, che possiamo trovare in un romanzo scritto nel 1935 dallo scrittore Elias Canetti, premio Nobel nel 1981. Questo romanzo s’intitola Auto da fé (il titolo originale dal tedesco – la lingua in cui Canetti ha scritto – è L’abbagliamento, Die Blendung) e risulta uno dei testi più significativi del ’900. L’espressione Auto da fé deriva dal vocabolario dell’Inquisizione spagnola ed è la cerimonia pubblica nella quale l’Inquisizione pronunciava le sentenze conclusive dei processi per empietà o per eresia. Il condannato, o la condannata, veniva invitato/invitata ad abiurare, a confessare, in pratica ad auto-condannarsi, e, in questo caso, otteneva – attraverso questo estremo atto di fede – l’assoluzione e poteva essere bruciato/bruciata sul rogo con la speranza di salvarsi l’anima. Quando è stato pubblicato (sebbene gradito a Thomas Mann e a Musil) questo romanzo è passato inosservato: è stato ripubblicato nel 1963 ed è stato riscoperto come se fosse un “nuovo romanzo”.
Ora non diciamo altro, per il semplice motivo che torneremo, fra qualche settimana, a parlare di Canetti e della sua opera. Facciamo solo una battuta, riprendendo il pensiero dello scrittore e dicendo che: non ci si può rifugiare, barricare nella propria biblioteca per paura della vita, se “la testa è senza mondo” ci si vota alla morte. La biblioteca invece è uno strumento che corrobora la ragione della persona, affinché la persona possa vivere nel brulicare del mondo, possa avere un positivo rapporto con il desiderio, con la seduzione.
LEGERE MULTUM….
Elias Canetti, Auto da fè (1935)
«Che fai qui, bambino?».
«Niente».
«E allora perché ci stai?».
«Così…».
«Sai già leggere?».
«Oh sì».
... continua la lettura ...
Su questa acuta considerazione di Canetti dobbiamo fermarci, ma si consiglia a tutti di continuare e di leggere o di rileggere Auto da fé. E il vento della Ionia – ànemos – a quest’ora aumenta d’intensità.
La prossima settimana lo sentiremo soffiare ancora il vento della Ionia mentre constateremo che, citando Omero, Erodoto fa alcune “allusioni” molto significative: quali “allusioni” fa Erodoto su Omero e perché dobbiamo prendere in considerazione queste “allusioni”? Di fronte a questi due interrogativi lo sguardo sorridente di Erodoto è inequivocabile, è come se dicesse: accorrete, la Scuola è qui...