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LE “FORME INTELLETTUALI” PRESENTI NELL’OPERA DI ERODOTO…

Lezione N.: 
4

Prof. Giuseppe Nibbi           Lo sguardo di Erodoto 2005             2-3-4 novembre  2005

LE “FORME INTELLETTUALI” PRESENTI NELL’OPERA DI ERODOTO…

   Da due settimane siamo approdati sulle coste della Ionia. La Ionia è la regione che si trova a nord della polis di Alicarnasso, e sappiamo che in questa città, intorno al 484 a.C., è nato Erodoto. Qui abbiamo potuto seguire da vicino alcune tappe significative dell’itinerario della “formazione culturale” di Erodoto. Conoscere i tratti della “formazione culturale” di Erodoto e comprendere attraverso quali modalità ha acquisito le sue competenze di “scrittore” è utile per capire le caratteristiche della sua opera intitolata Le Storie. Le Storie di Erodoto – ho visto che qualcuno ha già cominciato a leggerle –costituiscono una delle più importanti opere della Storia del Pensiero Umano e rappresentano la prima grande opera in prosa della letteratura greca. Ed Erodoto alla Ionia deve prima di tutto la lingua. La lingua che Erodoto usa per scrivere Le Storie è lo ionico moderno del V secolo a.C.: una lingua che possiamo definire “nuova” (la lingua del commercio, la lingua delle comunicazioni internazionali) rispetto allo ionico antico di Omero. Le Storie di Erodoto è un’opera che viene considerata il primo grande frutto della storiografia occidentale. Quest’opera ha affascinato gli antichi lettori, ma continua ad affascinare anche i lettori moderni per alcuni motivi fondamentali: per la sua vitalità, per la sua freschezza e per la sua varietà. Il libro di Erodoto – con vivacità e precisione descrittiva – racconta di genti e di costumi, di paesi e di fiumi, di assedi e di battaglie, di potenti re e di sagaci condottieri, Anche se il testo è disorganico,  trova la sua unità nel ritmo della narrazione, e nella costante ricerca delle connessioni che legano tra loro gli eventi storici. Inoltre si capisce  leggendo Le Storie che Erodoto partecipa con preoccupazione alle vicende degli esseri umani e li considera tanto protagonisti quanto vittime della Storia e le parole “dolore, sofferenza, inquietudine” – che nel greco di Erodoto corrispondono alla parola patos-páthos – ricorrono spesso nel testo de Le Storie: rifletteremo a suo tempo su queste parole per conoscere e per capire da quale canale della Storia del Pensiero arrivano.

   Il libro di Erodoto è polimorfo, è un libro dalle molte “forme intellettuali”: che cosa significa?

   La scorsa settimana ci siamo occupati soprattutto di come è fatto questo libro e abbiamo studiato che la “forma strutturale” gli è stata data, non da Erodoto, ma dai grammatici alessandrini che, come sappiamo, ne hanno curato la “morfologia” dividendo il testo in libri (nove libri, ognuno con il nome di una Musa) e dividendo i libri in brevi capitoli, il cui numero varia da libro a libro.

   Ora dobbiamo dedicarci ad esaminare un altro tema formale, in po’ più complicato, delle “forme intellettuali” di quest’opera: quali “schemi intellettuali”, quali “idee” ha seguito Erodoto per scrivere la sua opera? Le “forme intellettuali” che si possono individuare ne Le Storie dipendono dal modo in cui Erodoto pensa e scrive…e naturalmente – come ci ricordano gli studiosi – sono il frutto della sua formazione culturale. Erodoto, dal punto di vista intellettuale, è figlio della Ionia, attenzione però: non della Ionia in generale. La terra ionica è da considerarsi meravigliosa perché ha lasciato in eredità alla Storia del Pensiero Umano molti oggetti culturali: quali di questi hanno contribuito alla formazione intellettuale di Erodoto? Sappiamo già che nella Ionia fiorisce la prosa primordiale e immaginifica dei logografi, soprattutto di Ecateo di Mileto di cui la scorsa settimana abbiamo conosciuto le opere e che Erodoto cita più di una volta ne Le Storie dimostrando di conoscere bene questo scrittore. Sappiamo già che nella Ionia si sviluppa la poesia lirica elegiaca di Callino di Efeso e di Mimnermo di Colofone, di cui Erodoto ha letto certamente le opere, e, su questi due scrittori, la scorsa settimana, abbiamo puntato la nostra attenzione. Le opere di questi tre personaggi: di Ecateo di Mileto (scrittore di “storie”, di genealogie e geografo), di Callino di Efeso (poeta lirico elegiaco di carattere esortativo) e di Mimnermo di Colofone (poeta lirico elegiaco di carattere sentimentale ed “esistenzialista”) costituiscono una “fonte culturale” da cui Erodoto ha attinto.

   Erodoto – dal punto di vista intellettuale – è figlio della Ionia, però, abbiamo già detto non della Ionia in generale. Gli studiosi (gli antichisti) c’informano che Ecateo di Mileto, Callino di Efeso e Mimnermo di Colofone appartengono – ciascuno a suo modo – a quella corrente culturale che viene chiamata dell’antico “razionalismo ionico”. Siamo agli albori di questo significativo movimento: il razionalismo, che attraversa tutta la Storia del Pensiero Umano. Dobbiamo affermare – come ci ricordano gli studiosi – che, in questo momento storico, 2500 anni fa, entra in scena il concetto della “razionalità”, che diventa il filo conduttore di un’epoca che è stata chiamata Età assiale della storia di cui in questo Percorso sentiremo molto parlare; per ora ci fermiamo alla denominazione.

   Che cosa significa per questi “intellettuali ionici” (Ecateo, Callino, Mimnermo) coltivare la razionalità? Significa cominciare a praticare la logica, la coerenza, la lucidità, il rigore, la sistematicità, il metodo, la praticità, l’efficienza in modo da creare delle “competenze” con le quali interpretare “razionalmente” la realtà, ridimensionando il mito e circoscrivendo le credenze irrazionali. Queste competenze, mutuate dall’antico movimento del “razionalismo ionico”, le possiamo riconoscere – se facciamo attenzione – nel testo de Le Storie. Quindi Erodoto – dal punto di vista intellettuale – è figlio della Ionia: non della Ionia in generale, ma della Ionia del primo antico “razionalismo”, e le principali “forme intellettuali” che Erodoto usa per scrivere il suo libro derivano dalla sua adesione a questo movimento culturale.

   E allora quali sono le principali “forme intellettuali” che Erodoto usa per scrivere il suo libro? Per occuparci di questo tema dobbiamo fare una serie di osservazioni che risultano importanti anche in funzione della didattica della lettura e della scrittura. Sappiamo che la Ionia, prima di tutto, ci ha dato i canti di Omero. Omero lo conosciamo bene, lo abbiamo incontrato molte volte nei nostri Percorsi e naturalmente anche Erodoto conosce bene le opere di Omero e – come sappiamo – lo cita in sette capitoli de Le Storie. Queste citazioni sono interessanti, e il REPERTORIO E TRAMA della scorsa settimana ne ha indicato la collocazione e ne ha proposto la ricerca e la lettura. Non so quanti di voi abbiano eseguito questo compito: noi, questa sera, nel nostro itinerario, torniamo ad occuparci delle “citazioni omeriche” presenti ne Le Storie. Le “citazioni omeriche” presenti ne Le Storie sono considerate importanti perché servono come pretesto per una riflessione sul tema delle “forme intellettuali” che Erodoto usa per scrivere la sua opera. Erodoto parla di Omero senza porsi la “questione omerica”: ne parla come se Omero fosse un poeta epico realmente vissuto (ma non è detto che non avesse dei dubbi). Dobbiamo ricordare (visto che stiamo giocando con la lingua greca di Erodoto) che il temine Omero non è un nome proprio (e non è facile che la figura di Omero corrisponda a una persona) ma è una metafora: “O me oron”  O me oròn significa cieco, non vedente, ma significa anche – “oròn” è il “confine” – “colui il quale vede al di là del confine della realtà”, la parola “Omero” definisce una categoria, piuttosto che una persona: la categoria dei poeti. Erodoto  menziona Omero nel libro II nei capitoli 23, 53 e 116; poi nel libro IV in due capitoli il 29 e il 32; nel libro V nel capitolo 67 e nel libro VII nel capitolo 161.

   Il II libro de Le Storie riporta, tra le altre cose, una descrizione “geografico-scientifica” dell’Egitto, il paese che Erodoto definisce come il “dono del Nilo”; questa affermazione si è riprodotta nei secoli: noi l’abbiamo trovata nei nostri sussidiari delle elementari. Nel capitolo 23 – dove cita Omero per la prima volta – Erodoto confuta l’idea che l’Oceano sia un “fiume che scorre intorno alla terra” secondo una credenza consolidata nell’antichità. Ma il contenuto del capitolo 23 si trova inserito in un contesto in cui Erodoto, in visita all’Egitto, “ragiona” sulle famose “inondazioni programmate” del Nilo e se ne stupisce. Questo fenomeno delle “inondazioni programmate” è legato alla parola egizia Maat (ordine, giustizia) che ha un ruolo importante nella Storia del Pensiero Umano delle origini e la incontreremo ancora a suo tempo. Scorrendo il testo che stiamo per leggere ci rendiamo conto che Erodoto (sebbene cerchi d’informarsi) non viene messo al corrente sul significato di questa parola: come mai? La Maat  (e – strada facendo – studieremo meglio questo argomento perché molti non lo conoscono) rappresenta una forza di carattere metafisico, rappresenta un concetto religioso avvolto dal mistero e innominabile pubblicamente (non nominare il nome delle “cose sacre” che appartengono alla nostra tradizione perché potrebbero perdere la loro efficacia…), e allora perché nominare la Maat davanti ad uno straniero troppo curioso? Meglio rimanere nell’ambito “laico” della scienza e della ragione.

   E ora leggiamo…

LEGERE MULTUM….

Erodoto,  Le Storie  II  19  20  21  22  23  24  25

Ora il Nilo, quando si trova in piena, ricopre non soltanto il Delta, ma anche alcune zone del territorio che si dice Libico e di quello che si chiama Arabico, fino a una distanza di due giorni di cammino da ambo le parti e talvolta più ancora, talaltra meno.

Circa la natura del fiume, non mi fu possibile raccogliere alcuna notizia né dai sacerdoti né da alcun’altra persona.

Ero desideroso di sapere da loro perché mai il Nilo scende, tutto gonfio, per cento giorni a cominciare dal solstizio d’estate. Raggiunto poi questo numero di giorni, si ritira indietro, abbassando il livello della corrente di modo che dura tutto l’inverno povero d’acqua, fino al ritorno del solstizio d’estate.

Su questo argomento, dunque, non potei saper nulla da nessuno degli Egiziani, quando chiedevo loro quale forza mai avesse il Nilo per essere di natura contraria a quella degli altri fiumi.

Non solo queste che ho detto erano le questioni che io ponevo e che desideravo conoscere; ma anche perché dal Nilo, fra tutti i fiumi, non spirino brezze.

 

Sennonché alcuni Greci, volendo acquistarsi fama di sapienti, hanno proposto per questo comportamento dell’acqua tre spiegazioni, su due delle quali non ritengo opportuno fermare l’attenzione, se non in quanto voglio soltanto segnalarle.

La prima (era l’opinione espressa da Talete di Mileto) di esse sostiene che i venti Etesii (venti di tramontana, che spirano a metà dell'estate per circa 40 giorni da nord-ovest) sono la causa del rigonfiamento del fiume, perché impediscono al Nilo di riversarsi in mare, ma spesse volte tali venti non soffiano e il Nilo, invece, si comporta alla stessa maniera. Inoltre, se gli Etesii fossero la causa del fenomeno, anche gli altri fiumi, che scorrono in senso contrario alla direzione degli Etesii, si dovrebbero comportare allo stesso modo, e proprio come il Nilo; anzi, molto di più ancora in quanto, essendo più poveri di acqua, hanno meno impetuosa la corrente: orbene, molti sono i fiumi in Siria e molti pure in Libia i quali non presentano nulla di simile a quello che presenta il Nilo.

 

La seconda teoria (questa teoria sembra risalire ad Eutimene di Marsiglia, i cui viaggi ebbero forse luogo verso la fine del VI secolo a.C. Sulle coste dell’Africa occidentale aveva visto la foce d’un fiume che, alla stagione delle piogge, formava delle lagune d’acqua dolce, in cui vivevano coccodrilli e ippopotami, come nel Nilo, e ne aveva concluso che là era l’origine del Nilo. Le inondazioni avrebbero avuto come causa l’azione dei venti di nord-ovest che spingevano all’imboccatura del fiume l’acqua dell’oceano), se è meno scientifica di quella già accennata, a raccontarla, però ha un carattere più meraviglioso: sostiene che il Nilo dà origine a questi fenomeni perché deriva dall’Oceano, il quale scorrerebbe tutto intorno alla terra.

 

La terza (prospettata da Anassagora) che è di gran lunga la più appariscente, è anche la più falsa; poiché non significa nulla dire che il Nilo deriva dalla fusione di nevi, dato che viene dalla Libia, attraverso l’Etiopia, e sbocca in Egitto.

Come, dunque, potrebbe derivare dalle nevi se proviene dalle regioni più calde e va verso le più temperate? Molte sono le prove (solo che una persona sia in grado di ragionare su tali problemi) che non è possibile che il Nilo derivi dalle nevi.

La prima e più convincente ce la offrono i venti che spirano da quelle località e che sono caldi. La seconda prova è che quella regione è costantemente senza piogge e senza ghiacci. Orbene, dopo una nevicata, è pur necessario che abbia a piovere entro lo spazio di cinque giorni, di modo che, se in quei luoghi cadesse la neve, vi cadrebbe anche la pioggia. Terza prova, il colore degli uomini, i quali per il calore sono neri.

Inoltre, i nibbi e le rondini durante l’anno non cessano di soggiornare colà e le gru, fuggendo l’inverno della Scizia, si rifugiano in quei luoghi per svernarvi.

Se, dunque, scendesse anche solo un po’ di neve su questa regione attraverso la quale scorre il Nilo e dove il suo corso ha inizio, nulla di tutto questo avverrebbe, come è necessario convenire.

 

Colui (si deve trattare di Ecateo, che ammetteva l'esistenza del fiume Oceano tutto intorno alla terra e riproponeva, forse, la spiegazione di Eutimene), al contrario, che ha parlato dell’Oceano, proiettando, il suo racconto nel campo dell’inconoscibile, non ammette possibilità di prova: poiché io, per conto mio, non so che esista un fiume Oceano e penso, invece, che Omero, o qualcuno degli antichi poeti, ne abbia inventato il nome e l’abbia poi introdotto nella poesia.

 

Ma se, dopo aver confutato le opinioni prospettate fino a ora, devo io pure esporre ciò che penso di questi fenomeni oscuri, dirò qual è, secondo me, la ragione per cui il Nilo sale in piena durante l’estate.

Nella stagione invernale il sole, sviato, a causa delle tempeste, dal suo corso normale, si porta nelle regioni dell’alta Libia. Per una spiegazione che s’attenga al minimo, s’è già detto tutto: poiché è naturale che il paese cui è vicinissimo questo dio, e sul quale trascorre, sia povero d’acque al massimo grado e vi si dissecchino i fiumi.

 

Ma per chiarire la cosa con maggiori particolari ecco com’è.

Attraversando la Libia superiore, il sole dà origine a questi fatti: siccome l’aria di questa regione è perpetuamente serena, sempre ardente il suolo e non ci sono venti freddi, il sole, attraversandola, fa quello appunto che suole fare da noi durante l’estate, quando passa nel mezzo del cielo, attira, cioè, il vapore acqueo a sé e lo spinge verso le regioni più a monte, dove i venti l’afferrano, lo disperdono e lo fanno liquefare.

Naturale, quindi, che i venti che spirano da quella regione, il Noto e il Libeccio (venti di sud e di sud-ovest), siano fra tutti di gran lunga i più carichi di pioggia.

Non credo, però, che ogni volta il sole rimandi tutta l’acqua del Nilo che ha assorbito durante l’anno. Ma penso che ne trattenga (secondo una teoria dei fisici antichi il sole e altri corpi ignei sarebbero alimentati da vapori d'acqua) una certa quantità intorno a sé.

Quando, poi, l’inverno va mitigandosi, il sole se ne torna indietro, verso il centro del cielo e da allora attira a sé, allo stesso modo, l’acqua da tutti i fiumi.

Sennonché questi, fino a tale momento, scorrono gonfi, perché vi si mescola molta acqua piovana, dato che le regioni sono bagnate dalla pioggia e percorse da torrenti: mentre d’estate, venendo meno le piogge e agendo la forza d’attrazione del sole, sono poveri d’acqua.       

II Nilo, invece, che non riceve piogge, ma è attratto dal sole, è l’unico fiume che in questa stagione sia, come naturale, di gran lunga al disotto del suo normale livello, più che non d’estate. Poiché in estate viene attratto dal sole alla pari degli altri fiumi, d’inverno, invece, è solo a subir tale azione. Così secondo l’opinione che mi sono fatta, la causa dei fenomeni di cui parliamo è il sole.

   La lettura di questi capitoli c’invita a continuare il nostro ragionamento sul tema della formazione culturale di Erodoto. Gli esperti (gli antichisti, gli antropologi) ci suggeriscono che lo studio del tema della formazione culturale di Erodoto è molto importante e va di pari passo con il tema della “morfologia”, della forma strutturale e intellettuale dell’opera di Erodoto. Per leggere un’opera complessa come Le Storie di Erodoto – per operare in funzione della didattica della lettura e della scrittura – è necessario conoscere e capire le “forme intellettuali” che emergono dal testo e che rappresentano le “chiavi di lettura” utili per aprire le porte della comprensione del testo stesso. Il problema che oggi ci poniamo – che si pongono gli esperti – nel leggere Le Storie di Erodoto non è tanto sapere se gli avvenimenti che racconta sono veri, se le teorie “scientifiche” che enumera sono corrette; la cosa più importante – dal punto di vista della didattica della lettura e della scrittura – è di carattere metodologico: si tratta di capire gli schemi intellettuali che Erodoto utilizza per scrivere, e di cogliere la loro derivazione culturale. Una competenza importante che il lettore deve possedere – una competenza che dobbiamo acquisire a Scuola – è quella di riconoscere le “forme intellettuali” impiegate dallo scrittore. Ebbene, la “forma intellettuale” che emerge dai capitoli che abbiamo letto costituisce (una chiave di lettura) un modello che troviamo regolarmente applicato (infatti ci sono decine e decine di esempi simili) nel testo de Le Storie di Erodoto. Questa “forma” – in cui Erodoto prima di dire la sua opinione mette sul tappeto tutti i contenuti che conosce – è stata chiamata della “ridefinizione ricorrente dei contenuti”, e contiene i tratti peculiari del razionalismo ionico: che cosa significa? Significa che l’acquisizione di una cultura non deve servire per spingere unicamente verso la costante imitazione dei modelli culturali dati, come se dovessero rimanere immutabili, e si dovessero riprodurre per sempre in quanto tali. Una feconda formazione intellettuale è quella che stimola l’individuo a superare i modelli culturali acquisiti – naturalmente dopo averne fatto tesoro – in modo che possa sviluppare un proprio pensiero. Lo sviluppo del pensiero deve portare a consolidare nella mente della persona dei “punti fermi” da assumere come valori. Come è possibile stabilire dei punti fermi (dei princìpi) quando tutto è fermo? I punti fermi possono essere fissati solo in una situazione culturale in movimento ed Erodoto è maestro nel definire il “dinamismo culturale”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Nel corso della vostra vita avete stabilito dei “punti fermi”? Sono cambiati nel corso degli anni questi “punti fermi”?  

Scrivete quattro righe in proposito…

   Erodoto oggi – attraverso la lettura de Le Storie – insegna che è necessario un forte impegno, da parte dei cittadini (della polis), a ridefinire costantemente i contenuti delle culture umane: se non costruiamo nella società un fiorente “movimento culturale”, non saremo mai capaci di definire dei punti fermi, dei valori, dei princìpi da condividere. Erodoto, in terra di Ionia, dopo aver imparato una serie di autorevoli e influenti contenuti, ha anche imparato ad imparare, ha anche imparato ad investire in intelligenza e a costruire un proprio metodo di lavoro. È chiaro che questo comporta, da parte di Erodoto, la messa in discussione e il superamento degli autorevoli contenuti, degli influenti apparati culturali (Talete, Eutimene, Anassagora, Ecateo, gli antichi poeti, persino Omero) sui quali si è “formato”. Erodoto – ci dicono gli esperti – ha conosciuto molti interessanti contenuti e alcuni importanti generi letterari (la narrazione in prosa, la lirica elegiaca, il dialogo filosofico dei sofisti) ma soprattutto ha acquisito un spirito di stampo “razionalista”. Erodoto, studiando le opere di Ecateo, di Callino, di Mimnermo, conosce il gusto di ridefinire le cose, capisce l’idea che tutto è in trasformazione e impara a mettere a punto un metodo di lavoro.Erodoto, attraverso l’applicazione di questo metodo di lavoro, ha maturato una forma mentale con la quale interpreta la realtà scoprendo che il mondo è vario, è strano, è imprevedibile, non è facilmente giudicabile e, su questa strada, Erodoto crea, per primo, lo stampo del “relativismo culturale”.

   Nel capitolo 53 del II libro, sempre citando Omero (e anche Esiodo, autore della famosa Teogonia), Erodoto tesse un ragionamento su uno dei temi che ha infiammato la Storia della cultura: il tema degli dèi. Per capire meglio il filo del ragionamento di Erodoto è necessario leggere anche il capitolo precedente: il 52

LEGERE MULTUM….

Erodoto,  Le Storie  II  52 53

Un tempo, come io so per averlo sentito in Dodona (famoso santuario), i Pelasgi celebravano ogni sacrificio invocando semplicemente gli dèi, senza attribuire ad alcuno di loro degli appellativi o dei nomi, poiché non avevano ancora sentito una cosa simile; ma li chiamarono “dèi” (Erodoto fa risalire ingenuamente la parola theòs/dio alla radice del verbo greco tithemi/porre in ordine, come se i Pelasgi parlassero la lingua greca, mentre egli stesso ha dichiarato, nel Libro I cap. 57, che usavano altra lingua) perché, avendo posto ordine all’universo, avevano anche il potere su tutte le ripartizioni delle cose.

Poi, passato un lungo periodo, vennero a conoscere, giunte dall’Egitto, le caratteristiche particolari degli altri dèi, tranne Dioniso che conobbero molto più tardi: anzi, dopo un certo tempo, interrogarono, su queste designazioni personali, l’oracolo di Dodona, poiché è considerato il più antico degli oracoli che vi siano in Grecia e in quel tempo era unico.

Quando, dunque, i Pelasgi domandarono a Dodona se dovessero accogliere le designazioni particolari, che erano venute dai paesi stranieri, il dio rispose di adottare pure quell’uso.

Da quel momento, quando facevano sacrifici, si valevano dei vari appellativi degli dèi; più tardi dai Pelasgi li ricevettero i Greci.

 

Di chi fosse figlio ciascuno degli dèi, o se tutti fossero eternamente esistiti, quale aspetto avessero, nulla sapevano i Greci fino a poco fa, fino a ieri, si può dire.

Poiché Esiodo e Omero io ritengo che siano vissuti, quanto a età, 400 anni prima di me, non più; e furono essi a fissare per i Greci una teogonia, ad assegnare agli dèi i vari attributi, ripartendo prerogative e competenze e determinandone i tratti fisionomici, mentre quei poeti (Orfeo, Museo, Lino, Olimpo) che si dice siano vissuti prima di questi due, a mio giudizio, vennero dopo.

Di quanto sopra è detto, la prima parte è quel che raccontano le sacerdotesse di Dodona; la seconda, che si riferisce ad Esiodo e ad Omero, è quanto sostengo io.

   Nonostante alcune ingenuità, che abbiamo rilevato nel testo: che cosa ci dicono questi due brani che abbiamo letto? La lettura di questi due frammenti ci fa prendere atto della convinzione che Erodoto ha di dover dare un ordine logico alla storia della cultura, di dover dare un ordine logico alla formazione dei miti. Questa idea si ripete in tutta l’opera di Erodoto. Duemilacinquecento anni fa l’assetto mentale delle persone (anche di Erodoto) era fondamentalmente “mitico”; è quindi un’esperienza (di lettura) emozionante constatare come Erodoto ricerchi sempre, dentro alle affermazioni mitiche, una risposta che possa soddisfare la ragione e la logica umana. E questa è un’altra “forma (un’altra “chiave di lettura”) che emerge da Le Storie di Erodoto e che è stata chiamata dagli studiosi: la forma dell’analisi logica dell’assetto mitico.

   Erodoto tende ad inquadrare i “racconti mitici”, le “storie degli dèi”, nell’ambito della ragione e, facendo l’analisi logica del mito, “allude” al fatto che gli dèi esistono in funzione dei santuari, in funzione dei riti, in funzione delle cerimonie. Gli dèi – “allude” Erodoto – nascono e sono tenuti in vita dai “racconti”. Ciò che oggi deve attirare di più il lettore de Le Storie sta negli inviti (allusivi) a guardarsi intorno (la “globalizzazione” – sembra sostenere Erodoto – ha effetti positivi quando esalta la varietà): Erodoto è attirato da ciò che d’interessante, di curioso, di misterioso, d’antico, di remoto, di arcaico, di originario c’è da osservare sul territorio. I santuari, per esempio, sono, per Erodoto, dei veri e propri laboratori di ricerca dove poter eseguire l’analisi logica dell’assetto mitico.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

C’è un “santuario” – primordiale, greco, romano, ebreo, cristiano, mussulmano, naturale, immaginario … - che attira la vostra attenzione?  

Scrivete quattro righe in proposito…

   Questa sera, incontriamo un santuario che Erodoto ha posto sotto la nostra attenzione. Intanto dobbiamo dire che i santuari di cui Erodoto parla sono lì – anche per lui  – già da centinaia e centinaia di anni, e di conseguenza costituiscono uno straordinario deposito di “racconti orali” che vanno conservati (per iscritto) perché tutto è in “trasformazione (in greco: metamorfosein metamorfosein)”, anche il modo con cui viene conservata la memoria. Per il lettore contemporaneo è affascinante pensare che oggi si possono “visitare” dei siti (sul territorio…), dei luoghi che anche Erodoto ha visitato 2500 anni fa, e ha osservato con spirito smaliziato e “allusivo”, dei siti che già per lui erano misteriosi, antichi, remoti, arcaici, originari. Oggi la lettura di Erodoto è “allusiva” perché, di fronte a determinati “oggetti culturali”, sentiamo la sua voce che, mescolata al vento (ànemos) della Ionia ci sussurra, in modo interrogativo: esiste ancora il santuario di Dodóna con il suo Oracolo?

   Cosa volete, la diatriba se Erodoto credesse o no al responso degli oracoli – con tanto di correnti “mistiche” da una parte che si scontrano con correnti “laiche” dall’altra – oggi ha perso la sua importanza. Erodoto sembra comportarsi con gli oracoli come ci comportiamo noi con l’oroscopo quando affermiamo: “non è vero ma lo leggo perché sarebbe comunque bello crederci” (il testo degli “oroscopi” riesce sempre ad addolcire la vita).

   Oggi gli “oracoli” – di varie tipologie – esistono ancora, e hanno trovato la loro collocazione soprattutto in un santuario globale (a proposito di santuari): la televisione (come sostiene il filosofo Karl Popper nel breve saggio intitolato Cattiva maestra televisione); e i cittadini, oggi, devono, più che mai, imparare a fare l’analisi logica dell’assetto mitico. 

   Ora noi, percorrendo l’itinerario di questa sera, vogliamo rispondere alla domanda di Erodoto: il santuario di Dodóna, quello che si cita nei capitoli che abbiamo letto, esiste ancora? Il santuario di Dodóna esiste ancora e merita di essere visitato.Per raggiungere e per individuare con precisione il santuario di Dodóna noi dobbiamo – utilizzando l’atlante, lo stradario e la guida della Grecia – prendere come punto di riferimento la città di Ioánina. E, intanto, anche la città di Ioánina, merita una visita. Ioánina è il capoluogo della regione dell’Epiro e si affaccia su un bel lago (il lago di Ioánina) posto nel bel paesaggio dei monti del Pindo. Ioánina è uno storico crocevia di genti – Bizantini, Normanni, Greci, Slavi, Albanesi, Ebrei, Turchi – e conserva i segni di queste culture diverse che hanno anche saputo convivere. Il cuore di Ioánina è la “cittadella turca” che oggi è un bel sito monumentale formato da un dedalo di vie molto strette dall’aspetto orientale sul quale si erge, con il suo minareto, la moschea di Áslan Aga (che oggi ospita un museo sulle tradizioni culturali e multiculturali dell’Epiro), accanto alla moschea c’è la sinagoga degli Ebrei e il palazzo Reale bizantino. Dalla balconata della moschea di Áslan Aga c’è una bella vista sul lago (il lago non è di vaste dimensioni, è 15 km. quadrati) e si può vedere, in mezzo al lago, l’isola. L’isola del lago di Ioánina (oggi è il posto più turistico della città) è ricca di vegetazione e ospita un caratteristico villaggio epirota con la tradizionale architettura in pietra grigia e con i balconi in legno, inoltre sull’isola ci sono ben cinque monasteri ortodossi molto interessanti dal punto di vista storico e artistico.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Un personaggio storico famoso legato alla città di Ioánina è Alì Pasha che ha governato questa regione dal 1788 al 1822 rendendola particolarmente florida…  Chi è Alì Pasha ?

Facciamo una ricerca (come avrebbe fatto Erodoto) su questo personaggio, utilizzando l’enciclopedia o navigando su internet (ci sarà anche la città di Ioánina in rete ? Ci sarà anche Alì Pasha ?).

Se nel corso di questa ricerca qualcosa vi colpisce particolarmente scrivete quattro righe in proposito…

(Facendo la mia ricerca qualcosa mi ha colpito e ho scritto qui – sul testo della lezione mentre la costruivo, porta la data del 25 luglio – le mie due righe in proposito: nel 1807, Lord Byron, – che abbiamo incontrato l’anno scorso da queste parti – fu ospite, a Ioánina, alla corte del pasha…).

   Ma noi, ora, dobbiamo seguire l’indicazione di Erodoto e raggiungere – a 20 km. da Ioánina – il santuario di Dodóna. Per arrivare al sito archeologico di Dodóna si percorre una bella strada panoramica, in salita, che ci porta a circa 650 metri di altitudine. Il santuario di Dodóna era la sede di un oracolo di Zeus, ed è molto più antico del santuario di Apollo a Delfi: risale infatti al II millennio a.C.; questo significa che, al tempo di Erodoto, questo luogo di culto aveva già 1500 anni. Oggi del santuario rimangono i resti delle grandi costruzioni, in parte ristrutturate: lo stadio, il mercato, gli edifici sacri, la casa dell’oracolo, i tre templi affiancati da una basilica paleocristiana del V secolo d.C.. Ebbene – diversamente da noi – Erodoto (eccetto la basilica paleocristiana) ha potuto vedere in piedi tutti questi edifici. Rimangono ben visibili le poderose mura di cinta e poi il teatro, che – più volte restaurato, la prima volta dai Romani – è uno dei più ampi e meglio conservati della Grecia. Ma la cosa più importante da vedere a Dodóna – accanto alla cosiddetta casa dell’oracolo – è la “quercia sacra” che, attraverso lo stormire delle foglie e delle fronde, rivelava alle sacerdotesse i messaggi della divinità. La grande quercia che si può vedere oggi a Dodóna si trova nello stesso posto della “quercia sacra” della tradizione; naturalmente non è più la stessa quercia di 2500 anni fa, ma lo stormire delle foglie e delle fronde agitate dal vento, ànemos, è stesso che ha visto e che ha ascoltato Erodoto.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Che cosa vi fa venire in mente la parola “quercia”?

Scrivete, raccontate: bastano quattro righe per esprimere un pensiero…

   Sappiamo che gli alberi, in tutte le culture, hanno sempre rappresentato un “oggetto di culto”, infatti prima che fossero costruiti i templi e i santuari, gli alberi sono stati dei punti di riferimento liturgico. Questa sera abbiamo conosciuto, sul sentiero dello sguardo di Erodoto, la “quercia di Zeus”, dopo le vacanze incontreremo il “fico di Benares” e in passato – un passato recente, il 2003 – abbiamo conosciuto il “platano di Elena”, e quando si nomina Elena di Sparta c’è sempre qualche riflessione culturale da fare.  Erodoto “allude”: e, sentendo citare Elena, la “traditrice (secondo la tradizione)” moglie di Menelao re di Sparta, sorride compiaciuto. Infatti, anche lui – sulla scia di Omero – si è sentito in dovere di citarla e di riflettere sulle sue disavventure, e nel II libro de Le Storie nei capitoli dal 113 al 120, intervistando i sacerdoti del tempio egizio di Menfi, ci racconta le vicende della fuga di Elena da Sparta insieme al troiano Paride che Erodoto identifica in Alessandro figlio di Priamo e così lo chiama. In particolare, nei confronti di Elena di Sparta, Erodoto fa una “allusione” molto significativa di cui ci siamo già occupati attraversando il territorio della Tragedia, nell’anno 2003. 

   Ma prima di dedicare attenzione alla tragedia di Elena di Sparta nel modo, molto originale, in cui ce la racconta Erodoto, è interessante occuparci di un altro breve capitolo de Le Storie in cui viene citato Omero. Si tratta del capitolo 29 del IV libro (forse qualcuno lo ha già letto facendo l’esercizio consigliato dal REPERTORIO della scorsa settimana). Abbiamo detto che lo sguardo di Erodoto è uno sguardo sorridente e dobbiamo dire che, leggendo la sua opera, molto spesso, anche il nostro sguardo di lettori diventa sorridente: spesso le digressioni di Erodoto rasentano la comicità soprattutto quando formula delle teorie di carattere “scientifico”. Di solito parte deciso ad enunciare una sua scoperta “scientifica”, ma subito dopo viene colto – quasi sempre – dai dubbi o dallo stupore che mettono in primo piano una caratteristica fondamentale che la “scienza” deve possedere: la cautela (swfrosune-sofrosine). In questo capitoletto Erodoto fa una considerazione di carattere “scientifico” (le considerazioni di carattere “scientifico” – ci dicono gli studiosi – costituiscono un altro tipo di “forma intellettuale” che Erodoto usa comunemente nel testo de Le Storie); questa “forma” erodotiana viene chiamata dagli esperti: della cautela nelle considerazioni di carattere scientifico. Nel capitolo 29 del IV libro Erodoto fa una considerazione di carattere “scientifico” sulle corna, sulla crescita delle corna degli animali (il passaggio da Elena all’argomento delle corna è puramente casuale, ma sappiamo che questo stereotipo si riproduce come una persecuzione senza fine tanto per Elena quanto per Menelao)-

LEGERE MULTUM….

Erodoto, Le Storie IV 29

Secondo me, è questa la ragione per cui colà, tra l’altro, non crescono le corna a quella razza di buoi che appunto ne sono privi; e il mio parere è confermato anche da un verso di Omero che, nell’Odissea (è il verso 85 del libro IV) si esprime così: E la Libia, dove gli agnelli ben presto mettono le corna, dove è detto secondo verità che nei paesi caldi le corna crescono rapidamente, mentre dove il freddo è intenso gli animali o non mettono affatto corna, o se queste crescono, crescono a stento.

   Più il clima di una regione è freddo e meno crescono le corna degli animali: così sostiene Erodoto (citando anche Omero) nel capitolo 29 del IV libro al de Le Storie,dove si parla degli usi e dei costumi dei “favolosi” Sciti.  Erodoto non conosce né le renne, né gli alci, né i buoi muschiati, ma la sua ipotesi arriva dopo un complesso ragionamento sulla “potenza del sole” che fa nei capitoli precedenti (che dovrebbero essere letti). Attenzione però: nel capitolo seguente – il capitolo 30 del IV libro – con un’altra digressione (questa volta sui muli dell’Elide), Erodoto si fa prendere dallo stupore e, anche se non direttamente, è come se rimettesse in discussione quello che ha precedentemente affermato (sotto l’alto patrocinio di Omero): il mondo è vario, è strano, è imprevedibile – ci fa sapere Erodoto – e nei “giudizi” è sempre necessaria la cautela. 

LEGERE MULTUM….

Erodoto, Le Storie IV 30

In quella regione, dunque, questi fenomeni si spiegano per il freddo; ma io mi domando stupito (dato che la mia storia fin da principio ha richiesto delle digressioni) perché mai in tutta l’Elide non possano nascere dei muli nonostante il clima del paese non sia rigido e non vi sia altra causa manifesta: gli Elei stessi dicono che è per effetto d’una maledizione (secondo Plutarco, la maledizione sarebbe stata scagliata da Enomao, re dell’Elide, il quale, appassionato allevatore di cavalli, voleva fosse bandita una pratica che era nociva allo sviluppo della razza equina) che essi non possono avere dei muli. Sicché, quando s’avvicina la stagione adatta alla fecondazione delle cavalle, essi le spingono fuori dell’Elide presso i popoli confinanti e là, nel paese vicino, le fanno montare dagli asini, fino a che le cavalle non abbiano concepito: allora le riportano indietro.

   Lo stupore e i dubbi che lo scrittore esprime mettono in evidenza – come abbiamo detto – un altro tipo di “forma intellettuale” che si manifesta comunemente nel testo de Le Storie di Erodoto, una “forma” che gli esperti chiamano: della cautela nelle considerazioni di carattere scientifico. Più il clima di una regione è freddo e meno crescono le corna degli animali? È una tesi da prendere in considerazione con molta cautela. Gli animali con le corna sono molto importanti nella cultura Ionica, primo tra tutti il tragòs, il caprone che dà il nome alla tragedia, tragòs-oidos, il canto del caprone; e gli animali con le corna sono molto importanti nella cultura umana in genere.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Qual è l’animale con le corna che preferite?

Scrivete quattro righe in proposito …

   La tragedia di Elena di Sparta – uno dei personaggi mitici più significativi della storia della cultura – viene raccontata, per la prima volta in prosa, anche da Erodoto. Erodoto – sulla scia di Omero – si è sentito in dovere di citare Elena e di riflettere sulle sue disavventure come se fosse un personaggio “storico”, realmente vissuto. Nel II libro de Le Storie, nei capitoli dal 113 al 120 – intervistando i sacerdoti del tempio egizio di Menfi – Erodoto riprende il famoso episodio della fuga di Elena da Sparta. Tutti sappiamo che Elena – nei grandi racconti mitici delle origini (la mitosarchis) è la moglie di Menelao, il re di Sparta: Menelao è il fratello di Agamennone che, a sua volta, ha sposato Clitennestra, sorella di Elena. Tutti sappiamo che Elena viene sedotta da un principe troiano (in visita alla città) che Erodoto non chiama Paride ma bensì: Alessandro figlio di Priamo. Erodoto tratta tutti questi personaggi mitici come se fossero realmente vissuti e noi non sappiamo se lui ci creda veramente: nel capitolo 118 del libro II – lo leggiamo fra poco per intero – scrive: “ho chiesto ai sacerdoti se erano sciocchezze quelle che i Greci raccontavano sui fatti di Ilio (di Troia), essi risposero affermando che avevano saputo come si erano svolti i fatti da Menelao in persona…”. Erodoto crede che siano fatti realmente accaduti, o storie inventate di carattere letterario? Erodoto – ci dicono gli esperti – più che a stabilire delle verità è interessato ad “alludere”. Nei capitoli in cui emerge la figura di Elena di Sparta, Erodoto fa una “allusione” molto significativa di cui ci siamo già occupati attraversando il territorio della Tragedia, nell’anno 2003. Gli otto capitoli in cui Erodoto racconta gli avvenimenti legati alla fuga di Elena da Sparta vanno dal 113 al 120 e occupano solo cinque pagine nel libro II de Le Storie.

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Ora non abbiamo il tempo di leggerli tutti (ne leggiamo solo uno), ma ciascuno di noi può leggere queste poche pagine per conto proprio in modo da rendersi conto di ciò a cui Erodoto vuole “alludere”…

   Erodoto non “allude” nei confronti di Elena (forse lui dubita che Elena sia un personaggio reale), l’allusione è nei confronti di Omero e si concretizza in una domanda provocatoria: perché Omero nelle sue opere non racconta – a proposito di Elena e della sua fuga da Sparta – la versione dei fatti più accreditata? La lettura di questi capitoli ci permette di riflettere ancora sulle “forme intellettuali” che Erodoto utilizza per comporre il suo testo. Abbiamo usato molto spesso – in queste prime settimane di viaggio – il termine “allusione”, ebbene la “forma allusiva” è quella che gli studiosi considerano come la più significativa nel testo dell’opera di Erodoto.

   E allora che cosa si narra, nella rete dei racconti mitici, a proposito della fuga di Elena e di Alessandro (colui che nella tradizione poetica viene chiamato Paride)? Elena e Alessandro fuggono da Sparta (che si trova nel sud del Peloponneso e se non ricordate la posizione geografica di Sparta potete dare un’occhiata all’atlante) su carri a cavallo, si dirigono in fretta verso sud, verso la costa, dove su una piccola isola passano la loro prima notte, poi via mare, navigano verso est. I venti burrascosi fanno approdare i due fuggitivi sulla spiaggia di Sidone (sulla costa libanese), proprio dove la fanciulla Europa è stata rapita da Zeus che si era trasformato in un bellissimo toro bianco per sedurla. E lì Elena, la luminosa, la bianca figlia di Leda, e il suo amante troiano, cercano rifugio. La tragedia racconta che, lì, a Sidone, Alessandro abbia fatto fare un ritratto di Elena, un simulacro, ricamato su un velo, dalle donne del posto che sono abili in quest’arte raffinata. Ma lì, per due amanti in fuga, non è cosa facile trovare delle complicità, e così, da Sidone – che allora era sulla costa della Siria – veleggiano sino all’Egitto, sino alla bocca canopica del Nilo, contando sulla civiltà (sulla liberalità) dei governanti di quel popolo. Erodoto, nel II libro de Le Storie, racconta che, su quella spiaggia egizia, nel delta del Nilo, dove sbarcano, c’è un santuario dedicato a Eracle (a Ercole): lì, i due fuggiaschi avrebbero potuto trovare rifugio. Erodoto (II 113) scrive: “C’era su quella spiaggia, come c’è tuttora, un santuario di Eracle: se un qualsiasi servo vi si rifugia e si imprime i sacri segni consacrandosi al dio, non è lecito toccarlo…”Lì, i due amanti, si sono sentiti al sicuro. Ma – a questo mondo non ci si può fidare di nessuno (e ora non possiamo raccontare per filo e per segno tutta la trama: i particolari si possono leggere sul testo del II libro de Le Storie) – ci sono figure che vengono sempre a sapere tutto, e guardano impassibili: i sacerdoti egizi. I sacerdoti egizi di Menfi, comandati da un certo Toni, molto conservatori ma soprattutto molto ipocriti, informano prontamente il re Proteo e lo mettono al corrente sulla vera storia dei due amanti in fuga, in balìa di se stessi. Proteo manda a prendere i due, li accoglie e interroga Alessandro dimostrandosi paziente, fiducioso e accondiscendente. Alessandro divaga nel dare notizie di sé e della signora con cui si accompagna, ma tuttavia fa delle ammissioni sulla natura del loro rapporto adulterino. Alla fine, Proteo, che non era uno stinco di santo, avvalendosi della sua autorità regale, pronuncia il suo giudizio: Alessandro, secondo lui, è un criminale da condannare a morte. Ma non può farlo uccidere, come avrebbe voluto, perché Alessandro è straniero e per di più proviene da un’illustre città, è figlio del re Priamo e quindi è intoccabile, è sacro: Alessandro se ne può andare da dove è venuto. Proteo – vecchia volpe – avrebbe trattenuto Elena e le sue ricchezze e l’avrebbe restituita al suo legittimo consorte, a Menelao se fosse venuto a riprendersela. Alessandro può tornare a Troia, e può portare con sé soltanto una cosa: il ritratto di lei. E così avviene: Alessandro torna a Troia, non con Elena, ma soltanto con il simulacro di lei, con quel velo, ricamato a Sidone, raffigurante l’immagine di quel volto, desiderato, amato e perduto per sempre. Dunque a Troia giunge solo un simulacro di Elena! Secondo la tradizione tragica la storia è andata così ed Erodoto così la riporta. Secondo Erodoto, Omero (Erodoto pensa che Omero sia un poeta, un aedo realmente vissuto?) conosceva benissimo, come tutti, questa parte della storia di Elena, e ce lo fa capire, perché, mentre dice una bugia (che Alessandro aveva portato a Troia la nobile Elena), si lascia sfuggire un particolare troppo preciso per essere casuale. Omero – scrive Erodoto (II, 116 ) – conosce benissimo questa parte della storia di Elena, e si lascia sfuggire un particolare parlando dei «veli ricamati dalle donne di Sidone che Alessandro stesso, simile a un dio, aveva portato da Sidone, traversando il vasto mare, in quel viaggio in cui aveva riportato la nobile Elena» (Iliade VI, 289-292). Ma perché – si domanda Erodoto – Omero ha taciuto quella parte della storia? I Troiani sanno di non avere Elena fra le loro mura, ma soltanto il suo simulacro e quindi assistiamo ad un paradosso: per dieci anni, la guerra infuria intorno a una donna assente, che i Troiani sarebbero stati ben felici di consegnare agli Achei, se l’avessero avuta in mano.

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Erodoto, Le Storie II  118  119, 2

Quando io chiesi ai sacerdoti se erano sciocchezze, o meno, quelle che i Greci raccontavano sui fatti di Ilio, essi mi risposero quanto segue, affermando di averlo saputo da Menelao in persona.

Dopo il rapimento di Elena, effettivamente un grande esercito di Greci s’era recato nel territorio troiano, per appoggiare l’azione di Menelao.

Sbarcato sul continente e accampatosi, l’esercito mandò dei messi a Troia, e con essi vi si recò pure Menelao.

Quando questi furono dentro la piazzaforte, chiesero la restituzione di Elena e dei tesori che Alessandro aveva sottratto quando se n’era andato, ed esigevano soddisfazione per i torti ricevuti.

I Troiani, però, tennero allora lo stesso discorso che fecero poi anche in seguito, con e senza giuramenti, che essi non avevano tra loro né Elena né le pretese ricchezze: tutte queste si trovavano in Egitto, e non era giusto che rendessero conto essi di quanto aveva Proteo, re d’Egitto.

Tuttavia i Greci, convinti che volessero prendersi gioco di loro, strinsero d’assedio la città, finché la presero.

Siccome, però, anche dopo averla presa, Elena non compariva e sentivano ripetersi lo stesso racconto di prima, finalmente lasciatisi persuadere, i Greci mandarono Menelao stesso alla reggia di Proteo.

 

Egli, giunto che fu in Egitto e, quindi, salito lungo il fiume fino a Menfi, com’ebbe esposto con verità la situazione, non solo ricevette ricchi doni ospitali e riebbe Elena, che non aveva sofferto alcun male ma, per di più, rientrò in possesso anche di tutti i suoi tesori.

Tuttavia, pur avendo ottenuto un simile trattamento, Menelao

   Perché mai Omero ha taciuto quel prodigioso antefatto della guerra di Troia? Erodoto dà una risposta: questa storia non è adatta alla composizione epica. Erodoto non crede alle accuse che vengono fatte ad Omero di essere un artefice di inganni. Erodoto pensa che Omero abbia ignorato quella parte della tragedia di Elena per una ragione puramente poetica: non è adatta ad essere messa in poesia questa storia. Secondo Erodoto, quindi, per una ragione eminentemente letteraria, Omero ha taciuto lo scandalo supremo della guerra di Troia: tutto quel sangue – e qui Erodoto “allude” – è stato versato per un corpo di donna che non c’era, per un impalpabile fantasma. E così per centinaia e centinaia di anni si sarebbe continuato a ripetere quella storia, prolungando senza fine l'inganno degli eroi morti sotto le mura di Troia.

   Per quale perfidia – e qui siamo noi che, sulla scia di Erodoto, “alludiamo” – gli scrivani dell’Iliade, hanno voluto così? Erodoto, nel V secolo a.C, dà una spiegazione letteraria, ma dopo di lui, si comincerà a ragionare in modo più smaliziato. La figura di Elena viene vista, giudicata, utilizzata e strumentalizzata nell’economia degli avvenimenti storici incombenti, soprattutto per giustificare le guerre che si susseguono senza tregua nella storia del genere umano e sul territorio dell’Ellade. Elena assume così – Erodoto ha ragione ad “alludere” – una caratteristica che mette in ombra tutte le altre caratteristiche simboliche che conosciamo: Elena di Sparta diventa un bel pretesto. In pratica, era necessario un pretesto per combattere quella guerra. Quando mai, per combattere una bella (si fa per dire…) guerra, non si cerca un pretesto, che possa far diventare, quella guerra: possibile, fattibile, giusta? Le guerre – c’insegna la storia (ed ecco Tucidide, il primo della classe) – quasi sempre, nascono da pretesti prefabbricati: documenti improbabili, clamorosi bluff, evidenti provocazioni, questo vale per il mondo moderno e contemporaneo ma valeva già per l’antichità: c’è una tragica continuità.

   Erodoto “allude” e noi dobbiamo riflettere perché le “allusioni” devono servire a stimolare la riflessione…

   Questa sera abbiamo riflettuto su un argomento complesso, su un terreno di indagine per gli specialisti: il tema delle “forme intellettuali” che emergono da Le Storie di Erodoto. E gli studiosi ci dicono che le citazioni di Omero ne Le Storie di Erodoto – per questo sono importanti – esemplificano bene le “forme intellettuali” che lo scrittore utilizza per comporre la sua opera. E per questo motivo, da bravi studenti, abbiamo puntato la nostra attenzione sulla “presenza omerica” nel testo di Erodoto.

   Le principali “forme intellettuali” che sono state identificate nell’opera di Erodoto sono quattro. Il riconoscimento di queste “forme” a noi deve servire per identificare le “chiavi di lettura” in modo da poter affrontare, con maggiore consapevolezza, questo testo al quale – con prudenza – ci stiamo avvicinando, e che si presenta come un’opera articolata, composita, eterogenea, variegata.

   La prima forma intellettuale, che Erodoto utilizza per scrivere il suo libro, è stata chiamata della ridefinizione ricorrente dei contenuti, e questa forma rimanda alla parola-chiave: “ricerca”.

   La seconda forma intellettuale, che Erodoto utilizza per scrivere il suo libro, è stata chiamata dell’analisi logica dell’assetto mitico, e questa forma rimanda alla parola-chiave: “analisi”.

   La terza forma intellettuale, che Erodoto utilizza per scrivere il suo libro, è stata chiamata della cautela nelle considerazioni di carattere scientifico, e questa forma rimanda alla parola-chiave: “giudizio”.

   Le parole: “ricerca, analisi, giudizio” sono le prime parole a coniugarsi con la parola “storia”, ma non sono le sole.

   Nel momento in cui ci stiamo preparando a leggere un certo numero di pagine de Le Storie dobbiamo tenere conto che il pensiero di Erodoto passa attraverso l’esigenza continua di “mettersi alla ricerca” degli oggetti, dei personaggi, dei fatti, degli avvenimenti, dei racconti che possano svelare la realtà del mondo in cui lui vive.

   Nel momento in cui ci stiamo preparando a leggere un certo numero di pagine de Le Storie dobbiamo tenere conto che il pensiero di Erodoto passa attraverso la necessità continua di “fare l’analisi logica” degli oggetti, dei personaggi, dei fatti, degli avvenimenti, dei racconti che pretendono di descrivere la realtà del mondo in cui lui vive.  

   Nel momento in cui ci stiamo preparando a leggere un certo numero di pagine de Le Storie dobbiamo tenere conto che il pensiero di Erodoto passa attraverso il continuo riconoscimento della difficoltà nel “dare un giudizio” su ciò che è avvenuto e che avviene nel mondo.

   La quarta forma intellettuale, che Erodoto utilizza per scrivere il suo libro, è stata chiamata “allusiva”, e questa forma rimanda, naturalmente, alla parola-chiave: “allusione” che abbiamo incontrato spesso sul nostro cammino e sulla quale torneremo ancora a riflettere strada facendo.

   Oltre alle “forme intellettuali” il testo di Erodoto esprime una serie di “idee significative” utili in funzione della didattica della lettura e della scrittura: queste “idee significative”, quindi, devono essere prese in considerazione. Di quante e di quali idee si tratta? Il primo concetto significativo che emerge da Le Storie è l’idea stessa che Erodoto ha del mondo: per Erodoto – lo abbiamo già detto più di una volta – il mondo è vario, è strano, è imprevedibile, non è facilmente giudicabile. Perché succede questo secondo Erodoto? Quali considerazioni fa Erodoto per giustificare questa sua affermazione? La prossima settimana cercheremo di dare una risposta a questa domanda in modo da acquisire ulteriori “chiavi” per leggere, per riflettere, per scrivere. La prossima settimana, nel cercare di dare una risposta a questa domanda, ci accorgeremo che molti nuovi interrogativi ci si presentano davanti, sotto lo sguardo sorridente e di Erodoto.

   Nello sguardo sorridente di Erodoto ora possiamo leggere le quattro principali “forme intellettuali” che caratterizzano la sua mente. Queste “forme” – abbiamo detto – combaciano con quattro parole-chiave: ricerca, analisi, giudizio e allusione. Queste parole sono le prime che si affiancano alla parola “storia”, e indicano la direzione che dobbiamo prendere. Il tema delle “forme intellettuali” che emergono dal testo de Le Storie di Erodoto di cui ci siamo occupati in questo itinerario fa parte di una complicata ma affascinante questione culturale. Questo tema ci fa riflettere sul fatto che tutti noi – non solo Erodoto, (Erodoto siamo noi) – possediamo nella mente una serie di “forme intellettuali”, vale a dire di concetti, di dottrine, di parole-chiave, di idee significative, derivanti soprattutto dalla “formazione culturale” che abbiamo ricevuto. Di alcune di queste “forme intellettuali”, di questi “stampi ideali”, noi siamo consapevoli, ma della maggior parte di questi modelli noi non siamo consapevoli (vale anche per Erodoto questo discorso): queste “forme intellettuali” le abbiamo interiorizzate passivamente attraverso l’ambiente in cui abbiamo vissuto, attraverso le esperienze che ci sono state proposte, o che abbiamo scelto di fare, o che abbiamo subito. Dobbiamo prendere atto del fatto che – nell’evolversi della storia dell’Umanità – gli individui sono anche gli anelli di una catena culturale, e spesso lo sono in modo inconsapevole. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, le “forme intellettuali” di base, le “idee-significative” originarie, le “parole-chiave” costitutive, sono sepolte nella nostra mente, sotto la coltre dell’inconsapevolezza, dell’ignoranza indotta soprattutto da un sistema di informazione culturale che non si preoccupa né di fare chiarezza né tanto meno di favorire l’apprendimento dei cittadini, anzi…

   Le Storie di Erodoto – ci dicono gli antropologi – sono il primo grande contenitore dove possiamo rinvenire le “forme intellettuali” di base, le “parole-chiave” costitutive, le “idee-significative” originarie della Storia del Pensiero Umano. Le Storie di Erodoto sono un grande territorio sul quale possiamo affrontare – nelle sue linee generali – la questione dell’archeologia del sapere. E, in archeologia, lo sapete, per trovare bisogna scavare, con pazienza e con determinazione.

   Erodoto sorride e annuisce per lui il mondo è vario, è strano, è imprevedibile, non è facilmente giudicabile.

   Sulla scia di questa idea: il viaggio continua.

   Che cosa significa affermare che il mondo è vario, è strano, è imprevedibile, non è facilmente giudicabile? Questa domanda merita una riflessione e questa riflessione ci porta davanti ad un nuovo significativo paesaggio intellettuale: di che paesaggio si tratta?

   Accorrete, la Scuola è qui…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 4, 2005