Prof. Giuseppe Nibbi La sapienza poetica e filosofica dell’età tardo-antica 14-15-16 novembre 2012
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ TARDO-ANTICA
SI SVILUPPA L'IDEA CHE SOLO IL RINNOVAMENTO CULTURALE PROPIZIATO DAI CLASSICI
PUÒ CONTRASTARE LA MENTALITÀ PREDATORIA ...
Da cinque settimane siamo in viaggio, e stiamo percorrendo una via che ci ha permesso di avvicinarci al cuore del primo paesaggio intellettuale del territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età tardo-antica” che, come sapete, è una vasta area – un’area di confine – che si trova tra la civiltà antica e l’epoca del Medioevo.
La via che stiamo percorrendo – la quale nel primo tratto si chiama “via della Successione al Principato di Augusto” e nel secondo tratto [sul quale ci troviamo] prende il nome di “via dei Cinque Imperatori” – è una strada metaforicamente “lastricata” [proprio come le vie romane] con una serie di parole-chiave che abbiamo imparato a conoscere e che condizionano il nostro procedere nel senso della lentezza perché ci costringono [benevolmente, secondo la natura del nostro viaggio di studio] a riflettere in funzione della didattica della lettura e della scrittura: le parole che rivestono il selciato di questa via sono “l’esilio e la patria [la ricerca del luogo dove coltivare l’humanitas], il sonno e il sogno [il desiderio di rifugiarsi nell’illusione], l’amore e l’odio [il bisogno di identificare il prossimo], la malattia e il tormento [la riflessione sull’idea che solo l’anima ha la possibilità di guarire], la morte e la risurrezione [la tensione verso la speranza della salvezza]”. Questo catalogo di parole [come già sappiamo dal viaggio dello scorso anno scolastico] ha preso forma nelle opere dei Classici [Cicerone, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Ovidio: li abbiamo incontrati nella primavera scorsa] ed è servito soprattutto per favorire l’elaborazione di importanti idee-cardine di carattere esistenziale [il luogo dell’humanitas, il desiderio di illusione, l’identificazione del prossimo, il senso della guarigione, la speranza di salvezza], idee destinate a produrre significativi oggetti culturali [i prodotti dell’officina dei Classici] e questa virtuosa operazione dell’ingegno umano avviene nonostante si faccia sentire il peso della “paura”.
Lo stato d’animo della “paura” è il risultato più evidente della crisi prodotta dal sistema dell’imperialismo romano ma noi sappiamo che per i Classici il sentimento della “paura” diventa uno stimolo e il loro progetto culturale – che fa fiorire la prima importante “stagione del dissenso” della Storia del Pensiero Umano [la quale ci nutre ancora con i suoi prodotti culturali] – si realizza sebbene il peso della “paura” spinga al “silenzio” ma sappiamo che per i Classici il “silenzio [la raccolta dei silenzi]” imposto dalla “paura” è sinonimo di “scrittura” e la “scrittura” lascia una traccia indelebile [è l’urlo del silenzio] capace di fecondare gli intelletti perché è uno degli esercizi utili [c’è chi dice: il più utile] per mettere in moto le azioni dell’apprendimento: che la “scrittura” sia l’esercizio più utile per mettere in movimento le azioni dell’apprendimento ce lo hanno insegnato gli autori “Classici”, ed è utile studiare le opere dei Classici anche e soprattutto per interiorizzare questo ammonimento [“Se non scrivo come faccio a capire dove ho sbagliato?”, scrive Cicerone].
Ed è su questo presupposto che la Scuola invita a prendere la buona abitudine di scrivere quattro righe al giorno scacciando le inibizioni di non saperlo fare: questo Percorso scolastico di alfabetizzazione culturale e funzionale non ha come obiettivo quello di formare grandi scrittrici e scrittori da premio Nobel [per lo meno nell’immediato]. L’invito [il compito] a produrre “qualcosa di scritto” non vuol essere una proposta banale o riduttiva ma fa parte di un programma didattico che deve incentivare ciascuna e ciascuno di noi a creare quel materiale pulsante che nasce dalla semplicità e dall’immediatezza: l’esercizio della scrittura è prima di tutto un investimento in intelligenza cioè un atto propedeutico per imparare ad imparare.
Sul tema della scrittura – come motore che favorisce il funzionamento delle azioni dell’apprendimento – un Percorso scolastico di alfabetizzazione culturale e funzionale deve invitare cittadine e cittadini a riflettere [lo diciamo da ventinove anni] su quella calamita, su quella bussola, su quella carta assorbente che è la “parola”: lasciamo che siano le “parole-chiave” a salire sul palcoscenico della nostra mente e facciamo in modo che le “parole incontrate” si rappresentino con semplicità e con immediatezza al ritmo di quattro righe alla volta, consapevoli che “lo scrivere” è un “silenzio” capace di “dar voce”, è un “silenzio” adatto ad allargarci la vita. Prendete, quindi, in considerazione l’ammonimento della Scuola che – pur rispettando le scelte di ciascuno – c’invita a fare il compito, un compito che comprende anche l’esercizio di “scrivere quattro righe al giorno”. Strada facendo in queste settimane abbiamo viaggiato per conoscere e per capire qual è il clima storico, sociale e politico con cui comincia a terminare l’Età antica: siamo all’inizio del I secolo quando la Repubblica romana assume [ambiguamente] la forma di un Principato e le scelte di governo del Principe [sempre ratificate dal Senato romano] ricadono su tutta l’Ecumene-ellenistica e ciò che succede nei Palazzi romani condiziona l’andamento [il destino] dell’intero mondo occidentale e di parte di quello orientale. Ci siamo occupate ed occupati [percorrendo la via della Successione al Principato di Augusto] degli avvenimenti che hanno contribuito a complicare il ricambio ai vertici dello Stato romano e poi [percorrendo la via dei Cinque Imperatori, la stiamo ancora percorrendo] abbiamo analizzato i principali fatti riguardanti i successori di Augusto: Tiberio, Caligola, Claudio.
La scorsa settimana il nostro itinerario si è interrotto dopo aver osservato come Claudio – dopo il disastroso Principato di Caligola – abbia cercato di riorganizzare l’amministrazione imperiale e come abbia tentato di rendere più efficaci gli strumenti che servono per governare lo Stato- Claudio – pur con tutti i suoi limiti perché non dimostrava una personalità molto affascinante – s’impegna con grande realismo nelle mansioni pubbliche e riesce a realizzare anche delle opere utili [e le abbiamo enumerate], purtroppo però è stato incapace a disimpegnarsi nelle faccende private e, difatti, ben presto, quest’uomo debole e sprovveduto cade vittima dei raggiri di due “prime donne” della domus imperiale, delle sue ultime due mogli. Sono molto evocativi i nomi delle ultime due mogli di Claudio: Valeria Messalina e Agrippina Minore, e questi due nomi fanno subito pensare a scenari violenti e lussuriosi.
L’incontro con Valeria Messalina e Agrippina Minore fa sì che si apra un lungo capitolo che riguarda soprattutto la didattica della lettura e della scrittura e questo fatto rallenta ancora la nostra marcia di avvicinamento verso il cuore pulsante del primo paesaggio intellettuale del territorio tardo-antico che, tuttavia, è molto vicino – Messalina e Agrippina fanno già parte dei contorni di questo paesaggio – e, quindi, per noi è obbligatorio fare conoscenza con queste figure che, insieme a quella di Giulia Maggiore, hanno assunto un carattere spiccatamente letterario. Dobbiamo anche affermare che il modo con cui questi personaggi sono stati rappresentati ha purtroppo arrecato anche un grave danno al già lentissimo processo dell’emancipazione femminile: perché? Perché queste donne, queste signore aristocratiche, vivono nello spazio in cui si svolge l’azione di governo e vorrebbero partecipare all’attività di governo ma non possono farlo direttamente perché si trovano, per legge, ad avere un ruolo subalterno e nella contesa per imporsi – per portare al potere i loro figli – agiscono con la stessa cattiveria dei maschi e, siccome si trovano in posizione gregaria, spesso sono costrette ad agire con un cinismo e con una spregiudicatezza superiore a quella dei maschi stessi.
Chi sono questi due personaggi: Valeria Messalina e Agrippina Minore e in che modo queste due figure – insieme a Giulia Maggiore – hanno contribuito ad influenzare la cultura e la Storia della Letteratura tardo-antica, medioevale, moderna e contemporanea? Di fronte a questo interrogativo [per rispondere in modo esaustivo ci vorrebbe un viaggio intero] prendiamo il passo sull’itinerario di questa sera cercando di procedere con ordine perché lo scenario che ci circonda è particolarmente complesso e macchinoso: sappiamo anche [in funzione della didattica della lettura e della scrittura] di aver lasciato in sospeso, la scorsa settimana, un intreccio filologico che ha visto coinvolta la figura storica e letteraria di Giulia Maggiore [che conosciamo] e lo scrittore August Strindberg [con il quale abbiamo fatto conoscenza e che ancora ci accompagna]: questo intreccio filologico riguarda il catalogo delle parole-chiave con le quali comincia a finire l’Età antica [la patria e l’esilio, il sonno e il sogno, l’amore e l’odio, la malattia e il tormento, il trionfo della Morte e la speranza di risurrezione], parole che [come potete capire] prolungano il loro influsso nello spazio della Storia del Pensiero Umano come se l’agonia della civiltà antica si estendesse inesorabilmente nel tempo senza avere mai fine [e pensate all’incidenza che hanno ancora oggi queste parole!].
Perché questo catalogo di parole – che è diventato una vera e propria struttura filologica significativa e sostanziale – si ripropone, e lo ritroviamo, nelle opere letterarie moderne e contemporanee? Si ripropone perché un catalogo di parole, quando diventa una vera e propria struttura filologica significativa e sostanziale, è come se fosse una bussola: è uno strumento che permette alle autrici e agli autori di lanciare un efficace messaggio testuale e alla lettrice e al lettore di orientarsi nella comprensione e nell’interpretazione del pensiero veicolato dal testo. La natura del nostro Percorso – ci muoviamo in funzione della didattica della lettura e della scrittura [e la via che stiamo percorrendo presenta scenari straordinari a questo proposito] – c’invita a conoscere e a capire quale sia l’incidenza che hanno le parole-chiave della Storia del Pensiero Umano nella Storia della Letteratura: certi cataloghi significativi di parole, come il catalogo che determina l’inizio della fine dell’Età antica, vengono riproposti [non sempre con consapevolezza ma sempre con intuito filologico] nelle opere letterarie di ogni epoca quando è necessario dare un significato all’agonia di una civiltà e quando è indispensabile dare un senso alla speranza di cambiamento della società e degli stili di vita che la condizionano. L’intreccio filologico che abbiamo lasciato in sospeso la scorsa settimana – che ora continueremo a dipanare – si presenta per noi come l’oggetto di una esercitazione che ci deve permettere di conoscere in che modo si concretizza la cosiddetta “presenza classica” nelle opere letterarie [e artistiche in generale] soprattutto contemporanee per farci capire che la “presenza classica” è un invito a “dissentire [a dare un senso alla speranza di cambiamento della società]” lanciato da chi scrive per ammonire le lettrici e i lettori che il processo di “rinnovamento” inizia con lo studio dei Classici. Nell’intreccio filologico che abbiamo lasciato in sospeso, oltre alla figura di Giulia Maggiore e a quella dello scrittore August Strindberg [due personaggi che continuano ad accompagnarci] è coinvolto anche il personaggio di Valeria Messalina: quindi procediamo gradatamente chiedendoci, per prima cosa, chi è Valeria Messalina?
Valeria Messalina è nata nell’anno 25 ed è la figlia di Valerio Messalla Barbato e di Domizia Lepida e, quindi, appartiene alla celebre famiglia Valeria ed è una pronipote di Augusto da parte di madre: è giovanissima quando sposa Claudio – che non era ancora diventato il Principe – al quale dà due figli: Ottavia e Britannico. Valeria Messalina è passata alla storia per essere stata una donna ambiziosa e dissoluta che ha indubbiamente esercitato un’influenza negativa sul governo di Claudio, ma sulle malefatte di questa persona gli storici hanno anche esagerato.
Dobbiamo dire che questa donna è una di quelle figure che diventano personaggi il cui mito è più reale della loro esistenza effettiva e gli storici Tacito e Svetonio sono diventati nei suoi riguardi degli inconsapevoli romanzieri che hanno contribuito a trasfigurare ancora di più questo personaggio facendolo diventare il simbolo di una sfrenata femminilità, il modello di chi conquista il potere utilizzando l’arma del femminino [del fascino femminile utilizzato in modo perverso]. Negli Annali di Tacito e ne Le vite dei dodici Cesari di Svetonio – due opere significative scritte alla fine del I secolo – Valeria Messalina viene rappresentata come una donna che vive solo nel sesso e per il sesso: in questo c’è anche del vero ma, in definitiva, è una rappresentazione esagerata. Vengono attribuiti a Valeria Messalina molti delitti ma certamente molti di più di quanti ne abbia organizzato, di sicuro sappiamo che nel 48, approfittando dell’assenza di Claudio che era in Britannia, con spregiudicata imprudenza decide di sposare pubblicamente il suo amante Caio Silio e in seguito a questo atto, che probabilmente era collegato a una cospirazione contro Claudio, viene uccisa dal liberto Narciso. Questi avvenimenti, che sono già predisposti per il genere letterario del dramma, della tragedia, del romanzo, potevano, nel corso dei secoli – nel periodo Barocco, del Romanticismo, del Post-romanticismo, del Verismo, del Surrealismo –, passare inosservati alle scrittrici e agli scrittori? Per curiosità noi dobbiamo sapere che Valeria Messalina è diventata la protagonista di molte opere a cominciare dal melodramma: c’è una Messalina del compositore Carlo Pallavicini rappresentata a Venezia nel 1680, e una Messalina composta da Isidore De Lara [1858-1935].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Chissà che non vengano messe in scena e rappresentate prima o poi !…
Anche in Russia verso la fine dell’800 sono apparsi due interessanti drammi che vedono Messalina come protagonista: il primo s’intitola La morte di Messalina di Dimitrij Averkiev [1836-1905] e il secondo s’intitola Messalina del conte Zasminov [pseudonimo di Viktor Burenin, 1841-1926]. Ma soprattutto dobbiamo ricordare che nel 1901 è stato pubblicato un curioso romanzo intitolato Messalina dello scrittore Alfred Jarry [1873-1907]. Avete mai sentito nominare Alfred Jarry che è un personaggio molto significativo della cultura europea a cavallo tra ‘800 e ‘900? Ora il nostro incontro con lui non può che essere fugace, tuttavia questa occasione può servire per avviare la ricerca.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Prima di tutto potete richiedere in biblioteca il romanzo di Alfred Jarry intitolato “Messalina” in modo che possiate leggerne qualche pagina e conoscere lo stile di questo stravagante scrittore con il quale - consultando l’enciclopedia e navigando in rete – potete entrare direttamente in contatto...
Alfred Jarry ha esordito nella Letteratura mentre era ancora studente di liceo mettendo in scena, con i suoi compagni di scuola, una farsa molto originale che poi negli anni 1888 e 1889 è stata rappresentata, con grande successo, nei teatri di marionette parigini… Questa farsa è la prima versione di un’opera multiforme incentrata su un personaggio – un re emblematico - che è diventato molto importante nella Storia del teatro: andate a cercare come si chiama questo personaggio, è sufficiente consultare l’enciclopedia o la rete al nome di Alfred Jarry… Poi Alfred Jarry è l’inventore di una singolare scienza, la “scienza delle soluzioni immaginarie”: sapete come si chiama questa celebre neoscienza? … Ha un nome curioso: se consultate l’enciclopedia o la rete dove si parla di Alfred Jarry vi sarà facile scoprirlo… Volate sulle ali della ricerca: chissà quante “soluzioni immaginarie” avete trovato in vita vostra?…
Alfred Jarry ha creato le condizioni, ai primi del ‘900, per la nascita del movimento surrealista e, molto probabilmente, questo personaggio lo incontreremo ancora strada facendo ma adesso dobbiamo tornare a Valeria Messalina.
Non si può condividere l’eccessiva dedizione al vizio e alla lussuria e la propensione all’omicidio della prima moglie di Claudio ma c’è un motivo per cui si deve essere grate e grati a questo personaggio: Valeria Messalina ci dà la possibilità di continuare ad osservare un intreccio filologico che ci fa capire, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, come un catalogo di parole-chiave [quello con cui è lastricata la via che stiamo percorrendo, quello con cui comincia a finire l’Età antica] possa strutturarsi in modo tale da diventare un veicolo carico di significati utili per facilitare la conoscenza e la comprensione di un messaggio contenuto nel testo di un’opera.
Il primo elemento di questo intreccio lo abbiamo trovato, osservato e letto, la scorsa settimana, nel breve brano del dramma di August Strindberg intitolato La signorina Giulia [ricordate? Fate funzionare la memoria!] nel quale l’autore – sperimentando una nuova formula teatrale con cui rappresentare un dramma – rievoca, in termini contemporanei, la figura di Giulia Maggiore. E, ora, per riprendere il filo del discorso, rileggiamo questo frammento ricordandoci che nel corso dei secoli [in età tardo-antica, medioevale, moderna, contemporanea] tutte le volte che le autrici e gli autori – nel testo di un “dramma o di una tragedia o di una commedia o di un romanzo” – hanno utilizzato le parole-chiave del catalogo con cui comincia a finire l’Età antica: lo hanno fatto tanto per rimarcare la necessità della “presenza classica” quanto per auspicare la nascita di una nuova fruttuosa stagione di opposizione culturale in modo da assicurare spessore intellettuale all’esercizio del “dissenso [per dare un senso alla speranza di cambiamento della società]”; la drammatica battuta che stiamo per rileggere – fatta interpretare dallo scrittore alla signorina Giulia – è un vero e proprio manifesto poetico-filosofico che indica contenuti e forme utili per la creazione di opere che sappiano interpretare e denunciare il disagio di una classe sociale benestante ma profondamente insoddisfatta, ricca in benessere ma povera in ben-essere.
Sul tema del manifesto poetico-filosofico in Strindberg abbiamo una riflessione da fare ma prima dobbiamo rileggere il breve brano tratto del dramma intitolato La signorina Giulia. E prima di leggere dobbiamo ricordare che siamo nella seconda parte del dramma di Strindberg e il servo Jean pensa di poter approfittare del fatto che la signorina Giulia è divenuta la sua amante per realizzare il suo sogno di diventare proprietario d’un albergo di lusso, e spinge Giulia a rubare la cassaforte del padre e a fuggire con lui: come sempre nelle opere di Strindberg emerge l’amara riflessione sulla “mentalità predatoria” che condiziona la vita di tutte le persone [è un argomento su cui torneremo perché è direttamente collegato al tema del manifesto poetico-filosofico in Strindberg]. Giulia s’indigna di fronte a questa proposta, è angosciata, e, fra la vergogna e l’odio, si tormenta e non sa più come comportarsi. Infine, essendo ormai complice, decide di scappare insieme al servo e vuol portare con sé un lucherino che tiene in gabbia alla quale è affezionata, ma Jean, senza alcuna pietà, uccide l’uccellino: questo gesto è un elemento metaforico [un pretesto letterario] che permette all’autore di inserire nel testo di una battuta, che diventa molto significativa, tutte le parole-chiave [il catalogo nella sua interezza] con cui comincia a finire l’Età antica – l’esilio, il sonno e il sogno, l’amore e l’odio, la malattia e il tormento, il trionfo della Morte –, come se l’agonia della civiltà antica si prolungasse inesorabilmente nel tempo senza avere mai fine e l’agonia rimanda alla morte ma la morte, paradossalmente, richiama l’idea del rinnovamento [non c’è la risurrezione, non c’è il rinnovamento, senza la passione e la morte] a cominciare dal rinnovamento culturale [e questo argomento riguarda il tema del manifesto poetico-filosofico in Strindberg di cui ci occuperemo fra un momento].
Ma ora leggiamo in modo da avviarci a completare questa complessa riflessione.
LEGERE MULTUM….
August Strindberg, La signorina Giulia
GIULIA [alzando la voce rivolta a Jean] E allora uccidi anche me! Tu che puoi ammazzare un animaletto innocente senza che ti tremi la mano, uccidimi! Liberami da questo esilio terreno, fammi cadere nel sonno eterno privo di sogni illusori! Il tuo amore è vano e pretestuoso, assomiglia all’odio sebbene l’odio sia più pesante e tangibile. La vita è una malattia che tormenta il corpo e corrompe l’anima, la vita è il palcoscenico dove si rappresenta ogni giorno il trionfo della Morte ma non c’è risurrezione senza la passione e la morte, non c’è rinnovamento. …
Il catalogo di parole-chiave significative contenuto in questo brano rimanda anche al tema del manifesto poetico-filosofico in Strindberg, un argomento che non può passare inosservato sulla strada che stiamo percorrendo: una via lastricata proprio con questi termini di forte valenza filologica.
Il catalogo delle parole-chiave con cui comincia a finire l’Età antica – l’esilio, il sonno e il sogno, l’amore e l’odio, la malattia e il tormento, il trionfo della Morte – era già stato utilizzato da August Strindberg nel testo del suo romanzo autobiografico intitolato Il tempo dei fermenti, pubblicato nel 1886. Quest’opera – nella quale lo scrittore racconta la sua inquieta adolescenza – viene considerata uno dei documenti programmatici dell’importante corrente letteraria denominata “naturalismo o realismo” della quale Strindberg è stato un autorevole esponente. Leggiamo che cosa scrive Strindberg in una pagina de Il tempo dei fermenti che viene considerata il manifesto del naturalismo o realismo letterario, e vi accorgerete facilmente che le parole di questo testo sono ben note: «Il poeta non poteva più permettersi di fare l’ipocrita e di far finta di vivere in una specie di triste esilio dorato, fingendo indifferenza per l’epoca in cui viveva, un’epoca dove l’amore è vano e pretestuoso, in cui l’amore assomiglia all’odio sebbene l’odio sia più pesante e tangibile nella vita, e la vita è una malattia che tormenta il corpo e corrompe l’anima, la vita è il palcoscenico dove si rappresenta ogni giorno il trionfo della Morte ma non c’è risurrezione senza la passione e la morte, non c’è rinnovamento. Il poeta doveva promuovere il rinnovamento, doveva liberarsi dal sonno e dai sogni in modo da poter entrare nella realtà del suo tempo, e con ciò fu aperta la strada a quella forma di transizione chiamata naturalismo o realismo, la quale inevitabilmente finirà nell’autobiografia». Questo è il testo di un manifesto letterario che si prefigge – alla fine dell’800, in Europa – di progettare un rinnovamento culturale che possa incidere in modo virtuoso sul processo di trasformazione della società, ed è interessante prendere atto di come il catalogo con cui comincia a finire l’Età antica – catalogo che contiene l’impronta dei Classici – ne sia il supporto intellettuale.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Che cosa significa per voi oggi la parola “rinnovamento”: innovazione tecnologica, riforma istituzionale, svecchiamento, ristrutturazione di antichi valori ... o che cosa?... Ultimamente che cosa avete “rinnovato” nella vostra vita?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Del manifesto sul naturalismo-realistico in Letteratura di Strindberg ce ne occuperemo ancora, in conclusione, a proposito di un oggetto [un romanzo] che non possiamo ignorare per il fatto che lo scrittore svedese pensa di dover promuovere un “rinnovamento culturale” per opporsi al dominio della “mentalità predatoria” descrivendola in tutte le sue subdole ed aberranti manifestazioni. Ma ora riprendiamo a puntare la nostra attenzione sull’intreccio filologico che riguarda il catalogo delle parole-chiave con cui comincia a finire l’Età antica, parole con le quali è lastricata la via che stiamo percorrendo.
Questo catalogo [come sappiamo] contiene idee-significative mutuate dalle opere dei Classici ed è per questo motivo che diventa un veicolo intellettuale perché la sua presenza [il suo apparire] rappresenta, prima di tutto, un ammonimento a studiare la Letteratura dei Classici e nel viaggio dello scorso anno abbiamo incontrato Cicerone, Lucrezio, Virgilio, Orazio e Ovidio e abbiamo potuto constatare che sono loro – con la loro scrittura dissenziente – gli artefici di questo catalogo: è nelle opere dei Classici [scrive Montaigne nei suoi Saggi, nel 1580] che troviamo le idee con le quali possiamo fare progetti per il futuro, è nelle opere dei Classici [scrive Pascal nei suoi Pensieri pubblicati nel 1622] che germoglia l’idea del “rinnovamento culturale” necessario per contrastare l’imperante “mentalità predatoria”.
Il catalogo delle parole-chiave con cui comincia a finire l’Età antica, parole con le quali è lastricata la via che stiamo percorrendo, è un veicolo che attraversa i testi di un certo numero di opere letterarie [tardo antiche, medioevali, moderne e contemporanee] proprio perché serve alle autrici e agli autori per evidenziare un’idea: l’idea della necessità di un profondo rinnovamento culturale che possa attivare un processo virtuoso che, a sua volta, favorisca il rinnovamento morale, civile e politico della società. Quando si vive in un’epoca deprimente [in cui la crisi economica, politica, sociale e morale morde particolarmente e fa ulteriormente incattivire le persone] si vorrebbe poter entrare finalmente in una stagione che possa essere considerata un “tempo di salvezza”, il tempo del “rinnovamento” ed è curioso il fatto che – nell’intreccio filologico di cui ci stiamo occupando – l’esplicitazione di questo concetto venga affidata dalle scrittrici e dagli scrittori a donne “equivoche” che sono però ritenute più capaci, più dotate [forse per una maggiore familiarità con la sofferenza] degli uomini potenti, ad organizzare una profonda riflessione sulla condizione esistenziale. E, difatti, il secondo elemento di questo intreccio filologico – dopo quello contenuto ne La signorina Giulia di Strindberg che evoca la figura di Giulia Maggiore – lo troviamo proprio in una delle opere che ha come protagonista Valeria Messalina, la moglie di Claudio.
Tra le opere più significative in cui la figura di Valeria Messalina è protagonista c’è il dramma storico in cinque atti, in versi [in versi saturni], rappresentato nel 1876, dello scrittore Pietro Cossa, intitolato Messalina.
Chi è Pietro Cossa? Pietro Cossa è un drammaturgo, nato a Roma nel 1830 e morto a Livorno nel 1881, di formazione liberale e anticlericale che ha scritto una serie di drammi storici che hanno avuto un grande successo di pubblico alla fine del XIX secolo. Pietro Cossa appartiene a quella generazione di autori che, a ridosso dell’unità nazionale, vogliono scrivere perché il popolo [era stata fatta l’Italia e bisognava fare gli Italiani] potesse conoscere e capire la Storia in modo che dalla Storia antica tutti i cittadini [soprattutto le masse dei non scolarizzati] potessero cogliere un insegnamento per il presente, e Pietro Cossa è uno dei maggiori esponenti di quello che è stato chiamato il “movimento del teatro storico dell’Ottocento”, una corrente eterogenea che produce opere le quali hanno anche la funzione di esprimere un dissenso. Pietro Cossa scrive con uno stile che mette insieme il razionalismo verista con la passionalità del romanticismo [è un realista di stampo naturalista un decennio prima di Strindberg] e, anche se la sua poesia non è di alta qualità, tuttavia le sue opere sono incisive e hanno goduto, per più di un quindicennio, di un grande favore popolare. Le opere più importati di Pietro Cossa sono i drammi intitolati Nerone [1872], Cola di Rienzo [1874], I Borgia [1878], il poema drammatico in sei atti intitolato Cleopatra [1877] e il dramma Messalina [1876] per il quale ha scritto le musiche di scena il compositore Luigi Mancinelli [1848-1921].
La trama del dramma Messalina di Pietro Cossa è assai complessa: quest’opera [così come tutti i drammi di questo scrittore] può essere definita un grande “romanzo sceneggiato” nel quale domina la figura della moglie di Claudio attorniata dal suo amante Caio Silio e da molti altri personaggi che o s’innamorano di lei oppure la odiano e i motivi contrastanti che ne derivano rendono quest’opera assai viva, molto coinvolgente e intrigante. L’autore fa esprimere a Valeria Messalina tutta la sua lussuria, il suo cinismo e la sua scaltrezza spregiudicata ma, al termine, di fronte al plateale trionfo della Morte prevale il senso della nobilitazione dei personaggi: l’uccisione di Messalina, il suicidio del suo amante Caio Silio, l’eliminazione violenta di coloro che, nonostante tutto, la amano e la seguono fino in fondo, produce una sorta di metamorfosi per cui il trionfo della Morte si trasforma nell’apoteosi della Passione che si presenta con i tratti di una disperata delicatezza che ha il sapore della generosità perché tutti questi personaggi negativi cercano, alla fine – come forma di riscatto, in quanto colpevoli o complici di qualche crimine –, di salvare gli altri anche quando sono avversari.
È diventato molto difficile per noi seguire la rappresentazione delle opere del “movimento del teatro storico dell’Ottocento” abituate ed abituati come siamo ai linguaggi del sistema mediatico e, quindi, dubito che ne vengano programmati degli allestimenti, e quando Strindberg, nel decennio successivo, scrive La signorina Giulia fa già una riflessione di questo tipo e intraprende un rinnovamento della forma del dramma.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il dramma storico dell’Ottocento è l’antenato del genere del “romanzo sceneggiato” che ha avuto ed ha grande successo televisivo… C’è un “romanzo sceneggiato” che vi ha coinvolto particolarmente?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Valeria Messalina nel dramma di Pietro Cossa esprime tutta la sua passionalità ma lo scrittore dota questo personaggio anche di una illuminante razionalità soprattutto quando lui vuole – proprio attraverso la figura della protagonista – esprimere un giudizio [manifestare il dissenso] sulla situazione politica, sociale e morale della società in cui vive: siamo nel 1876 e chi ha lottato durante il Risorgimento per dare un volto di nazione all’Italia è profondamente deluso perché – come scriverà poi Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo [1958] – «è cambiato tutto perché tutto rimanesse come prima»: corruzione, analfabetismo, sottosviluppo, privilegi, ingiustizia sociale [mali che ci portiamo dietro].
Noi leggiamo solo un frammento dal dramma Messalina di Pietro Cossa: è solo un frammento ma è importante per la nostra riflessione perché rappresenta il secondo tassello dell’intreccio filologico che stiamo osservando, ed è sufficiente puntare l’attenzione sulle parole-chiave contenute nel testo di questa sola ottava per capire il messaggio con cui lo scrittore vuole evidenziare un’idea: l’idea della necessità di investire in intelligenza per attivare un percorso culturale che conduca ad un rinnovamento morale, civile e politico della società italiana post-risorgimentale [questo tema, purtroppo, è ancora di grande attualità e quindi bisogna perseverare nel promuovere Percorsi di alfabetizzazione culturale e funzionale].
Dodici anni prima de La signorina Giulia di Strindberg e dieci anni prima del “manifesto sul realismo-naturalistico” dello scrittore svedese, il drammaturgo Pietro Cossa fa recitare al personaggio di Messalina un’ottava i cui versi sono significativi per noi che amiamo dipanare intrecci filologici in funzione della didattica della lettura e della scrittura: ascoltando la voce di Messalina, che emerge [con fierezza] da questo frammento – che ha la stessa forma del catalogo di parole con cui comincia a finire l’Età antica –, capiamo che l’autore, seppur poeta non eccelso, ha voluto far evocare al suo personaggio la “presenza classica” perché è nelle opere dei Classici che troviamo le idee con le quali possiamo fare progetti per il futuro, è nelle opere dei Classici che germoglia l’idea del “rinnovamento culturale”.
Leggiamo:
LEGERE MULTUM….
Pietro Cossa, Messalina Atto V
MESSALINA [con fierezza]
Non temo l’esilio, non sogno miglior sorte,
all’amore sacrilego ora chiudo le porte,
ma è l’odio che vince in ogni battaglia:
è il morbo [la malattia] fatale che tutto attanaglia.
Chi trionfa alla fine anche sopra al più forte
col suo freddo sguardo è sempre la Morte,
ma non è poi crudele l’abbraccio mortale
giacché assurge a rimedio liberando dal male. …
C’è un terzo tassello dell’intreccio filologico che stiamo osservando sul quale è interessante puntare l’attenzione per rafforzare il ragionamento che stiamo facendo: dall’Età tardo-antica si sviluppa l’idea che solo il rinnovamento culturale, propiziato dallo studio delle opere dei Classici, può contrastare la diffusa “mentalità predatoria”, uno dei peggiori mali che affliggono l’Umanità, uno degli elementi fondamentali dell’ideologia imperialista codificata dai Romani. Questo terzo tassello ci fa incontrare uno scrittore francese – che non è mai riuscito a liberarsi del tutto dalla presenza ingombrante di suo padre e del quale porta anche lo stesso nome – Alexandre Dumas detto Dumas figlio.
Alexandre Dumas figlio [1824-1895] è il frutto della relazione tra il giovanissimo Alexandre Dumas padre e la sartina Catherine-Laure Lebay.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per approfondire e per avere una visione più ampia sulla vita ricca di avvenimenti dei due Dumas, padre e figlio, potete consultare l’enciclopedia e la rete…
Alexandre Dumas figlio ha esordito nel 1847 con un’opera di poesia intitolata Peccati di gioventù e ha conosciuto il successo dal 1848 con la pubblicazione del romanzo La signora delle camelie, un testo portato a teatro e rappresentato in varie forme e dal quale è stato anche tratto da Francesco Maria Piave il Libretto di un’opera musicata da Giuseppe Verdi col titolo La Traviata.
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Avete mai letto l’inizio, la prima pagina, del romanzo intitolato “La signora delle camelie”?… È considerato un incipit esemplare… Fate una visita in biblioteca e leggete la prima pagina o anche il primo capitolo [sono cinque pagine] di questo romanzo: andate ad informarvi su che cosa succede il 12 marzo 1847, è una data che costituisce la premessa – di rilevanza teatrale – da cui parte la narrazione… Avete mai partecipato ad una vendita all’asta? … Perché questa domanda? ... Se leggete l’incipit de “La signora delle camelie” troverete una risposta…
Che cosa vi fa venire in mente la parola “asta”?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Alexandre Dumas figlio eredita dal padre l’amore per il teatro, e ha scritto molte commedie e molti drammi ed è stato tra i maggiori sostenitori di quello che viene chiamato il “teatro utile”, un teatro “a tesi” che vuole avere per oggetto la moralizzazione dei costumi della società parigina e francese nel periodo [1852-1870] del Secondo Impero di Napoleone III e delle prime due fasi [1871-1895] della Terza Repubblica. Tra i drammi che Alexandre Dumas figlio ha scritto ce n’è uno che s’intitola La moglie di Claudio che lo scrittore compone traducendo per il teatro un suo racconto del 1848 intitolato Césarine.
La moglie di Claudio è un dramma in tre atti rappresentato a Parigi nel 1873: la protagonista si chiama Césarine ed è una figura che s’ispira al personaggio di Valeria Messalina perché è una donna profondamente corrotta che ama sedurre e che viene abbandonata dal marito Claudio senza tuttavia che lui chieda una separazione perché questo fatto avrebbe disonorato il suo nome. Claudio è un uomo dal carattere solitario ed è uno scienziato che ha votato la sua esistenza alla ricerca, e i suoi esperimenti lo hanno condotto all’invenzione di un nuovo tipo di cannone. Della scoperta di questa arma letale ha avuto notizia una società di spionaggio straniera che cerca di sfruttare la depravazione di Césarine per impossessarsi del brevetto. Un agente, un certo Cartagnac, s’incarica di ottenere la complicità della donna e penetra nel laboratorio dello scienziato dove Césarine è appena tornata da un misterioso soggiorno a Parigi: Cartagnac possiede le prove dell’ultima illecita relazione di Césarine e la minaccia di rivelare ogni cosa al marito e di far scoppiare uno scandalo se lei non consegnerà i documenti attinenti alla scoperta. Césarine potrà riuscire ad ottenere questi piani segreti seducendo il giovane amico e scolaro del marito, Antonino, che è innamorato di lei. Ma la cameriera, che aveva dapprima favorito la losca macchinazione, avverte Claudio il quale sorprende la moglie mentre sta realizzando il suo piano e la uccide.
Questo incalzante dramma di Dumas figlio vuole esprimere un dissenso: il teatro deve essere “utile alla società”, deve creare metafore che fanno riflettere e deve denunciare i molti vizi che coltivano gli uomini di potere e i molti loschi affari che il potere economico colluso con quello politico e militare intraprende. Quest’opera ha suscitato vivaci polemiche negli ambienti del potere parigino e ne vengono interrotte le repliche perché il testo allude esplicitamente ai danni, morali e materiali, procurati dalla “mentalità predatoria” in campo politico [sono in atto le campagne coloniali in Africa da parte di tutte le “civili” nazioni europee]. L’autore prende a modello la figura di Messalina – corrotta, enigmatica, spregiudicata – per costruire il moderno ritratto di Césarine e crea una delle più originali figure del teatro europeo della seconda metà dell’Ottocento.
Ma perché ci siamo occupate ed occupati di questo dramma? Il motivo principale per cui ci siamo occupate ed occupati di questo dramma è che anche in questo testo – prima ancora che nei drammi Messalina di Pietro Cossa e La signorina Giulia di August Strindberg – Dumas figlio utilizza in modo esemplare il catalogo delle parole-chiave con cui comincia a finire l’Età antica [e con cui è lastricata la strada che stiamo percorrendo] per lanciare un duplice messaggio: di “dissenso” nei confronti della politica francese di stampo imperialista del suo tempo e di “monito” per chiedere un forte impegno rivolto al rinnovamento culturale, un rinnovamento da fondarsi sullo studio delle opere dei Classici, per contrastare la diffusa “mentalità predatoria” che si presenta – secondo lo scrittore – come uno dei peggiori mali che affliggono la società francese del suo tempo e la società europea in generale [Dumas figlio contribuisce alla campagna che porta il governo della Terza Repubblica francese a promulgare nel 1881-1882 la legge sull’insegnamento primario gratuito, laico e obbligatorio].
Le ultime parole che Dumas figlio fa recitare a Césarine in punto di morte nel dramma La moglie di Claudio – e che, anche in questo caso, nobilitano e riscattano il personaggio [in fondo Dumas figlio, Pietro Cossa, August Strindberg amano queste “donne perdute”] – sono più che mai esplicite: il richiamo ai temi dell’esilio [terreno e ultraterreno], del sonno e del sogno, dell’amore e dell’odio, della malattia [del corpo] e del tormento [dell’anima], del trionfo della Morte e della speranza di salvezza sono – come ormai sappiamo – una chiave, una chiave per decodificare un messaggio, un messaggio in cui l’autore vuole far evocare al suo personaggio la “presenza classica” perché è nelle opere dei Classici [lo scorso anno abbiamo conosciuto Cicerone, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Ovidio, e ci siamo messe e messi in viaggio per fare molti altri incontri] che troviamo le idee con le quali possiamo fare progetti per il futuro, è nelle opere dei Classici che si sviluppa il concetto del continuo “rinnovamento culturale”: nelle opere dei Classici si forma l’idea che solo coltivando la cultura, solo promuovendo l’apprendimento permanente, si possa scongiurare la tragedia, si possa scansare il dramma che si consuma quando l’essere umano, sopraffatto dalla “mentalità predatoria”, perde di vista il valore dell’humanitas.
Leggiamo l’ammonimento di Césarine [in modo innaturale ma studiato l’autore fa pronunciare a Césarine, in punto di morte, il testo di un manifesto politico-culturale] che infastidisce soprattutto i benpensanti borghesi conservatori parigini che – scrive Dumas figlio – “si nascondono dietro al loro vizioso e ipocrita perbenismo”.
LEGERE MULTUM….
Alexandre Dumas figlio, La moglie di Claudio
CESARINE [con un filo di voce] Mio deprecabile e caro Claudio, sarebbe comunque arrivata la Morte a trionfare: tu hai soltanto anticipato il suo avvento e, macchiandolo di sangue, lo hai reso meno suntuoso. Dando sfogo all’odio, che adesso tu contrabbandi come amore geloso, hai finalmente manifestato un sentimento vero: bisogna uccidere per sentire il battito del proprio cuore e del cuore altrui? Ricevo come ultimo regalo non un effimero gioiello ma un molto più prezioso sonno eterno senza sogni che mi libera dalle fosche passioni che in vita ho diligentemente coltivato: l’esistenza è una malattia che non concede tregue, consuma il corpo e l’anima rende infetta senza requie.
Ma ora il pensiero che nell’aleatorio spazio dell’esilio senza tempo, che trascende l’esilio terreno, ci possa essere anche un barlume solo, una luce debole, un crepuscolo lento che faccia sperare nella salvezza e nel perdono mi consola e credo che non fosse necessario attendere la fine per anelare ad un rinnovamento che possa purificarci nel profondo e farci diventar capaci di disegnare i nuovi lineamenti del volto del mondo che appare adesso ripugnante, turpe e nauseabondo. Sappi che a rendere mostruoso questo volto hai contribuito anche tu, e molto, in verità – perché, alla fine, bisogna saper dire la verità –, ho contribuito io: la moglie di Claudio ti saluta, addio. …
C’è voluto un po’ di tempo per dipanare i fili di questo intreccio filologico rappresentati dai significativi frammenti contenuti nei testi dei drammi di Dumas figlio [La moglie di Claudio, 1873], di Pietro Cossa [Messalina, 1876] e di August Strindberg [La signorina Giulia. 1888], tuttavia questo esercizio – piuttosto macchinoso [ma stiamo parlando di un “veicolo intellettuale”] – ci ha permesso di capire quale sia l’incidenza delle parole-chiave della Storia del Pensiero Umano nella Letteratura contemporanea: in questo caso abbiamo potuto prendere coscienza di quale sia l’influenza, il peso, la rilevanza e l’efficacia del catalogo delle parole-chiave con cui comincia a finire l’Età antica e naturalmente con questo “veicolo intellettuale” – che invita a seguire la scia dei Classici e ad entrare in sintonia con le loro opere – continueremo ad avere a che fare.
E ora torniamo ad osservare lo scenario che ci circonda mentre procediamo sulla via dei Cinque Imperatori [una strada il cui selciato è lastricato con queste stesse parole] che sta per condurci nel cuore del primo paesaggio intellettuale dell’Età tardo-antica.
Dopo la morte violenta di Valeria Messalina avvenuta nel corso di una drammatica resa dei conti che è frutto, probabilmente, del fallimento di una congiura di palazzo dalla quale Claudio, assalito dai sospetti, si difende con il terrore mandando a morte oltre alla moglie e ai suoi complici, anche 23 Senatori e 221 Cavalieri. È in questo tragico contesto che Claudio decide di risposarsi con Agrippina Minore [è lei che si propone] che è un altro personaggio non trascurabile della storia che stiamo raccontando soprattutto in funzione della didattica della lettura e della scrittura.
Agrippina Minore è la figlia del valente e probo generale Giulio Cesare Germanico e di Agrippina Maggiore la quale [ve la ricordate?] è la figlia di Vipsanio Agrippa e di Giulia Maggiore [la figlia di Augusto]: Agrippina Maggiore è, quindi, nipote di Augusto e dalla sua unione con Germanico nascono ben nove figli tra i quali Caligola [che abbiamo già incontrato] e Agrippina Minore sulla quale stiamo puntando la nostra attenzione. Agrippina Minore nasce nell’anno 16 lontano da Roma in una località di frontiera sulla riva del fiume Reno perché il generale Germanico sta conducendo una difficile campagna militare per rafforzare i confini nord-orientali dell’Impero e sua moglie Agrippina Maggiore, che è incinta, ha deciso di seguirlo con i figli già nati. Questa località di frontiera, dove Agrippina Minore è nata, ha preso poi il nome di Colonia Claudia Ara Agrippinensis [come dire: questa colonia per volere di Claudio è un monumento in onore di Agrippina Minore che è nata qui]. Oggi questa località, che si chiama ancora Colonia, è diventata una grande città europea che si trova nella regione della Renania settentrionale-Westfalia, una città tedesca di più di un milione di abitanti che conserva orgogliosamente le vestigia della sua origine [a Colonia è anche nato Heinrich Böll, nostro recente compagno di viaggio]. Avete visitato la città di Colonia? Vale la pena farlo consultando una guida della Germania o utilizzando la rete: molti sono i monumenti – medioevali [le belle chiese romaniche, la Cattedrale gotica], moderni, contemporanei – che caratterizzano questa metropoli attraversata dal fiume Reno che rappresenta anche una efficiente via di comunicazione per i commerci.
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Il monumento più vistoso di Colonia è il Dom, la famosa Cattedrale gotica che è la più grande chiesa della Germania la quale, tra l’altro, contiene anche la celebre Cassa dei Re Magi… Sapete di che cosa si tratta?… Andate ad informarvi in proposito sulla guida o sulla rete…
Ora, in relazione al nostro Percorso, si può dire che, non lontano dal Dom, è stato costruito un moderno e funzionale edificio nel quale è stato allestito con intelligenza – scegliendo tra una massa enorme di materiale – il “Museo romano-germanico” in modo da rendere avvincente un argomento complesso come la storia della Colonia capitale della provincia romana della Germania inferiore. Difatti l’itinerario museale non propone solo reperti archeologici ma cerca di far conoscere, attraverso l’uso della realtà virtuale, una serie di temi significativi – la vita dei soldati in colonia, le attività di interscambio commerciale lungo il Reno con popolazioni non assoggettate ai Romani, il ruolo delle laboriose donne romano-germaniche, l’attività culturale ai confini dell’Impero, e altri argomenti – per far capire quanto fosse ricca materialmente e culturalmente questa città coloniale romano-germanica.
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Se sapete navigare in rete è probabile che riusciate anche ad approdare nel “Museo romano-germanico” di Colonia in modo da visitarlo virtualmente: provateci, buon viaggio…
A causa, o in virtù, di tutti gli intrecci famigliari che intercorrono [soprattutto tra la famiglia Giulia e quella Claudia] e che coinvolgono i successori di Augusto, Agrippina Minore è la nipote di Claudio, quindi, nel 49, sposa lo zio e sale al vertice del potere: lei ha un piano ben preciso. Agrippina Minore è – come Valeria Messalina – una donna spregiudicata e avida di potere, la quale prima di sposare lo zio Claudio ha già avuto un marito, Gneo Domizio Enobarbo, dal quale ha avuto un figlio che si chiama Lucio Domizio ma che tutti chiamano Nerone. Il piano di Agrippina Minore, in quattro punti, è molto semplice: vuole emarginare Britannico, il figlio di Claudio e Messalina che è l’erede designato del Principe, vuole far sposare Nerone con Ottavia, la figlia di Claudio e di Messalina, vuole far adottare Nerone da Claudio e vuole che lui lo indichi come suo successore al principato. Agrippina Minore, con grande abilità, riesce nel suo intento e poi conclude l’opera perché, improvvisamente, nel 54, Claudio muore avvelenato da un appetitoso piatto di funghi [ne era molto ghiotto] che Agrippina gli aveva preparato e servito con le sue mani. Con questo gesto Agrippina Minore vuole affrettare l’elezione al trono del figlio che ha preso il nome di Claudio Cesare Nerone.
Nerone ha solo 17 anni ed è un ragazzo ubbidiente, studioso, con la passione per l’arte, per la musica, per la poesia. Al ragazzo vengono affiancati due consiglieri, due uomini di valore: per merito di queste due personalità si verifica che il primo periodo del governo di Nerone [dal 54 al 58] è stato chiamato il “quinquennio felice”. I tutori del giovane Nerone – ai quali il principe si affida disciplinatamente con l’approvazione interessata della madre – sono Afranio Burro, il prefetto del pretorio che rappresenta la classe equestre, e il filosofo Lucio Anneo Seneca, il maggior rappresentate della nobilitas intellettuale romana. Burro e Seneca concordano nel fare una saggia politica riformista di stampo filo-senatorio: riprendono il progetto ciceroniano di un governo di unità nazionale cercando di restituire autonomia a quelle che erano le antiche istituzioni repubblicane, in primo luogo il Senato.
Purtroppo, dopo cinque anni di buona amministrazione, il clima cambia quando Nerone decide di fare di testa sua [vuole diventare un monarca assoluto di stampo ellenistico inaugurando una politica populista] entrando soprattutto in conflitto con la madre Agrippina la quale vorrebbe comandare più di lui e si intromette pesantemente nel governo dello Stato e, di conseguenza, i due autorevoli tutori, Burro e Seneca, – che avevano sperato di fare di Nerone un principe illuminato – sono costretti a farsi da parte, e così termina la cosiddetta “primavera romana” [dal 54 al 58]. Sugli avvenimenti che caratterizzano – sotto l’egida della paura, del terrore e della schizofrenia – la seconda fase del regno di Nerone torneremo strada facendo.
Abbiamo nominato Lucio Anneo Seneca e questo nome è come se fosse un segnale il quale indica che siamo arrivate e arrivati [finalmente] nei pressi del primo paesaggio intellettuale dell’Età tardo-antica. Chi è Lucio Anneo Seneca? Lo abbiamo sentito citare nel romanzo-breve La raccolta dei silenzi del dottor Murke di Heinrich Böll che abbiamo letto nel celebrare il rituale della partenza di questo viaggio. È evidente che per rispondere a questa domanda dobbiamo imbastire un’ampia riflessione la prossima settimana perché Lucio Anneo Seneca è un filosofo che porta avanti il programma dei Classici.
Adesso, siccome questo itinerario è stato piuttosto leggero [naturalmente sto scherzando!], dobbiamo concludere con un argomento che abbia un certo peso: è un argomento che abbiamo preannunciato quando questa sera abbiamo conosciuto il manifesto sul naturalismo-realistico in Letteratura di August Strindberg. Abbiamo affermato che lo scrittore svedese pensa di dover promuovere – per mezzo della Letteratura e del teatro – un “rinnovamento culturale” per opporsi al dominio della “mentalità predatoria” descrivendola in tutte le sue subdole ed aberranti manifestazioni: questo lavoro lo svolge soprattutto con un celebre romanzo, il romanzo più famoso di Strindberg che s’intitola La sala rossa [o, a seconda delle traduzioni, La stanza rossa dallo svedese “Röda Rummet”].
La sala rossa [Röda Rummet] è il titolo del più celebre romanzo di August Strindberg che porta come sottotitolo Scene della vita d’artisti e letterati, pubblicato nel 1879. Questo romanzo ha una forma sperimentale e non ha una trama tradizionale, nel senso che non esiste una “storia” con un inizio, uno sviluppo e una conclusione. In uno spazio relativamente breve di tempo, le vicende dei personaggi raccontati s’intrecciano l’una con l’altra ma non vengono seguiti in tutto il loro svolgimento perché tra un’apparizione e l’altra di un qualsiasi personaggio c’è una specie di vuoto, come se l’autore, mentre ne segue uno, non fosse in grado di sapere ciò che accade agli altri, ed è come se non fosse lui a “inventare” la storia, ma si limitasse a osservare e a registrare secondo l’applicazione rigorosa dei canoni del “verismo naturalista”, il movimento letterario di cui Strindberg è stato uno dei primi autorevoli rappresentanti e che emergeva in quel periodo – alla fine dell’Ottocento – in tutta Europa. La frammentarietà della narrazione in ventinove capitoli separati e con un loro titolo si ricompone non nella linearità della trama ma in una matrice ideale che dà il senso a quest’opera: secondo lo scrittore è necessario che le intellettuali e gli intellettuali si oppongano a tutte quelle forme che incentivano la “mentalità predatoria” delle persone, perché è questa mentalità, di stampo imperialista, l’ostacolo maggiore che non permette un cambiamento in meglio della società.
Strindberg descrive i personaggi in modo straordinariamente incisivo: sono figure della vita di “bohème”, commercianti usurai, giornalisti senza coscienza e senza scrupoli, signore oziose, invidiose e vanitose che si occupano di beneficenza solo per ipocrisia, editori ignoranti e affaristi, preti rapaci, ragazzine corrotte che simulano l’amore, impiegati che praticano il greve ozio sonnolento di certi uffici pubblici, intellettuali che organizzano meschini dibattiti in associazioni mascherate da circoli culturali, uomini politici che architettano losche speculazioni ammantandole con ideali sociali e patriottici, imprenditori che progettano la truffa organizzata dei loro lavoratori: quello che August Strindberg racconta è di attualità e c’è chi ha accostato lo stile duro e amaro de La sala rossa a quello de La Mandragola di Niccolò Machiavelli [1469-1527].
Questo romanzo, non facile da leggere, va annoverato fra le manifestazioni più significative della Letteratura contemporanea: lo scrittore ha rappresentato con dolorosa amarezza la corruzione dei costumi sociali, e, al di là delle contingenze storiche, ha descritto in modo crudo “la corruttela radicale dei discendenti di Adamo” perché “il peccato originale – fa dire Strindberg, con desolazione, ad uno dei suoi personaggi [Falander, l’attore, che veste di cinismo la sua umanità] – si identifica con la rapacità umana”.
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C’è una stanza che vorreste dipingere in casa vostra: di quale colore vorreste dipingerla ?...
Scrivete una riga – basta una riga – in proposito...
Leggiamo un capitolo, il IX capitolo, da La sala rossa di August Strindberg che s’intitola Cambiali e dove lo sviluppo della “mentalità predatoria” si manifesta in tutta la sua sottigliezza. Per capire pienamente il senso di queste tre pagine, e per conoscere il carattere dei personaggi e le loro azioni, sarebbe necessario leggere i precedenti capitoli ma noi adesso vogliamo occuparci prima di tutto delle idee.
In queste pagine c’è una coppia che trama: moglie e marito fanno a gara a chi e più “rapace”, a chi sappia “predare” meglio, e poi il titolo del capitolo, Cambiali, rimanda eslicitamente al fatto che la “cambiale” è un oggetto funzionale alla sottomissione che la “mentalità predatoria” impone.
LEGERE MULTUM….
August Strindberg, La sala rossa Capitolo IX
CAMBIALI
Nicolaus Falk e la sua diletta moglie stavano prendendo il caffè, la mattina, non molto tempo dopo il dibattito di cui al capitolo precedente. Contro il suo solito, il marito non indossava la veste da camera né calzava le pantofole; la signora aveva un vestito da mattina.
«Sai, erano qui ieri a fare le condoglianze tutti e cinque,» diceva la moglie con un’allegra risata.
«Proprio loro … »
«Nicolaus, ricordati! È finita col negozio!»
«E allora che cosa debbo dire quando mi arrabbio?»
«Non ci si arrabbia; ci si irrita, semplicemente. E così si dice: “Ma guarda un po’!”»
«Già, guarda un po’ che tu debba sempre servirmi gli argomenti spiacevoli! Smettiamola dunque di parlare di cose che mi irritano».
«Ti rendono furioso, caro mio! E va bene, vuol dire che sopporterò le mie ansie da sola, ma tu mi addosserai sempre … ».
«Io?».
«Sì, tu mi addosserai sempre le tue bravate. Senti: che cosa mi avevi promesso quando ci siamo sposati?»
«Guarda che ragionamenti, che logica! Continua, continua! C’erano tutte e cinque, tua madre e le tue cinque sorelle …»
«Quattro sorelle, prego! Non sei molto affezionato alla tua parentela».
«La “tua” parentela! Nemmeno tu, allora!» «No; infatti non me ne importa nulla».
«Dunque, erano qui e facevano le condoglianze per il licenziamento di tuo cognato. L’avevano letto nella Patria. Non è così?»
«Infatti. E hanno avuto la faccia tosta di dirmi che io non ho più alcun diritto di fare la smorfiosa».
«Superbetta, la signora!»
«Smorfiosa, hanno detto. Io non mi sarei mai abbassata a usare una parola simile».
«E tu, che cosa hai risposto? Non gli avrai risparmiato le staffilate».
«Puoi contarci! Così, la vecchia ha minacciato di non rimetter mai più piede in casa mia».
«Così ha detto? Pensi che manterrà la parola?».
«No che non lo penso. Ma certo, il vecchio …».
«Non dire “il vecchio”, parlando di tuo padre; potrebbero sentirti».
«Mi credi così sciocca? Invece il vecchio, detto fra noi, non viene mai qui».
Falk si immerse in profonde riflessioni. Poi riprese: «Ma tua madre sta sulle sue? È permalosa? Sai, a me non piace offendere la gente. Bisogna che tu mi dica quali sono i suoi lati deboli, sensibili, per mettermi in grado di evitarli». …
«Se sta sulle sue? A modo suo, lo sai bene. Per esempio, se venisse a sapere che abbiamo invitato gente ma non lei e le mie sorelle, non verrebbe mai più qui». «Davvero?».
«Senza dubbio!».
«È strano che gente della sua risma …»
«Che diavolo stai dicendo?»
«Voglio dire: che le donne possano avere tanta sensibilità … Ascolta. Come va la tua associazione? Che nome le hai dato?»
«“Per i diritti della donna”».
«E che diritti sarebbero?»
«Be’, la donna deve poter disporre da sé della sua proprietà».
«Perché, non ne disponi, ora?»
«No, non ne dispongo!»
«E quale sarebbe la tua proprietà, di cui non puoi disporre?».
«Metà della tua, bello mio! Quella che mi spetta di diritto come tua moglie!»
«Cristo santo, ma chi ti ha insegnato queste corbellerie?».
«Non sono corbellerie, è lo spirito dei tempi. La nuova legislazione dovrebbe provvedere ad assegnarmi la metà il giorno delle nozze, e con quella metà avrei potuto comprare quel che mi fosse piaciuto».
«E quando tu avessi comprato a tuo capriccio, avrei dovuto mantenerti io, no? E non l’ho fatto, forse, e anche bene?».
«Lo hai dovuto fare per forza, altrimenti saresti finito in gattabuia. Lo dice la legge, per quei mariti che non mantengono la moglie».
«Ora, poi, si va veramente troppo oltre! In ogni caso, avete fatto la riunione? Che gente c’era? Di’, su!».
«Ora ci stiamo occupando dello statuto, per la seduta preparatoria».
«Allora, che gente c’è?»
«La moglie del revisore Homan e la sua grazia Rehnhjelm, per ora».
«Rehnhjelm! Bel nome, in verità. Mi sembra di averlo già sentito. Non si è mica parlato di associazione di cucito che vorreste fondare?».
«Fondazione, vuoi dire. Pensa, il pastore Skåre verrà a parlarci, una di queste sere». «Il pastore Skåre è un predicatore eccellente, e pratica gli ambienti importanti. È giusto, mia cara, che tu eviti le cattive compagnie. Non c’è nulla di più pericoloso. Mio padre, quando era vivo, lo diceva sempre, e io ne ho fatto uno dei miei principi più rigidi». La signora raccolse le briciole di pane e cercò di riempire la propria tazza vuota; il signore frugò nel taschino in cerca dello stuzzicadenti per liberarsi di qualche bruscolino rimastogli fra un dente e l’altro. I due coniugi si trovavano a disagio insieme. Conoscevano ciascuno quello che pensava l’altro, e sapevano che il primo a rompere il silenzio avrebbe detto qualche sciocchezza, qualcosa di compromettente. Sceglievano fra sé e sé nuovi argomenti, li esaminavano, ma li trovavano inopportuni; tutti infatti erano o potevano essere messi in rapporto con quanto era stato espresso. Falk si industriava di scoprire dei difetti nel servizio, su cui concentrare il suo malumore. La moglie guardava fuori della finestra per vedere se il tempo cambiasse. Invano. … Entrò il domestico, provvidenzialmente, a portare i giornali, e nello stesso tempo annunziò l’uditore Levin.
«Fallo aspettare!» ordinò il padrone. E intanto fece scricchiolare gli stivali sul pavimento, così da annunziare il suo solenne arrivo al poveraccio in attesa nell’ingresso.
Levin, vivamente impressionato dalla nuova trovata di farlo attendere nel vestibolo, venne finalmente introdotto, trepidante, nella stanza del padrone, che lo accolse come un postulante.
«Hai portato la cambiale?» domandò Falk.
«Credo bene,» rispose colui, sorpreso, e tirò fuori un fascio di cambiali di tutti i tagli possibili.
«Di quale banca vuoi servirti, fratello mio? Ce l’ho per tutte; scegli tu».
Sebbene la situazione fosse solenne, a Falk venne da ridere, quando vide cambiali compilate a metà, su cui si leggeva un solo nome, cambiali compilate per intero senza l’accettante, e cambiali rifiutate.
«Prenderemo la banca dei cordai,» disse Falk.
«Veramente … è proprio quella che non fa al caso, perché … lì … mi conoscono!»
«Allora, la banca dei calzolai, quella dei sarti, una qualsiasi, purché sia finita!».
Fu deciso per la banca dei falegnami.
«E ora,» fece Falk con uno sguardo che pareva dire che aveva comprato l’anima dell’altro. «Ora tu vai a comprarti degli abiti nuovi, ma da una sartoria di uniformi, così che in seguito potrai farti fare l’uniforme a credito». …
«L’uniforme? Ma io non ne ho bisogno…».
«Zitto quando parlo io! Che sia pronta per giovedì della settimana prossima, quando faccio il grande invito. Sai bene che ho venduto il negozio col magazzino, e che domani entrerò a far parte della categoria dei grossisti».
«Oh, complimenti …»
«Ho detto zitto, quando parlo! Ora tu vai a fare una visita. Con la tua fenomenale abilità di far chiacchiere su chiacchiere senza sugo sei riuscito a incantar mia suocera. Le chiederai che cosa ha pensato del grande invito che ho fatto domenica scorsa, qui a casa mia».
«Qui? Tu avevi …»
«Zitto, e obbedisci! Lei farà tanto d’occhi e domanderà se eri invitato anche tu. Naturalmente tu non c’eri, come se l’invito non ci fosse mai stato. Vi scambierete la reciproca insoddisfazione, diverrete buoni amici, dirai peste e corna di me, tanto so che lo sai fare molto bene; però devi lodare mia moglie! Capito?»
«Proprio no!»
«Non è necessario, ma obbedisci! Un’altra cosa. Puoi dire a Nyström che io son diventato talmente altezzoso da non desiderare più la sua compagnia. Dillo pure francamente, così almeno una volta dirai la verità! Un momento, fermati! Per ora soprassediamo. Tu vai da lui, parli dell’importanza di giovedì, gli fai balenare i notevoli vantaggi, gli innumerevoli benefici, le luminose prospettive, e via dicendo. Capisci?»
«Capisco»
«Ma devi andare anche alla stamperia col manoscritto, e poi …»
«E poi lo annientiamo!»
«Be’, se ti piace esprimerti in questo modo, fai pure».
«E io leggo i versi al ricevimento e li distribuisco?»
«Hm, sì. Ancora una cosa. Cerca di incontrarti con mio fratello, e di venire a capo di quello che fa, e chi frequenta. Insinuati, guadagnane la fiducia! È facile; fatti suo amico! Parla come se io lo avessi ingannato, digli che mi do delle arie, e chiedigli quanto vuole per consentire a cambiar nome».
Sul volto pallido di Levin si diffuse una lieve ombra verdastra, che sostituiva il rossore.
«Quest’ultima proposta è un po’ odiosa».
«Che? Senti, un’altra cosa: da uomo d’affari, so io come condurre le mie faccende. Io sto garantendo una somma grossa così, e dovrò pagarla. Chiaro?»
«Oh, ma …»
«Non parlare! In caso di morte, io non ho nulla in mano. Rilasciami questa cambiale, a beneficio del prenditore e a vista: una semplice formalità!»
Alla parola “prenditore”, di suono simile alla parola “predatore”, Levin ebbe un certo brividetto, e prese la penna con titubanza, benché sapesse che non c’era nulla da fare. Ebbe una rapida visione di tipi poco puliti, mangiacristiani, col bastone da passeggio, l’occhialino e il taschino zeppo di carta bollata; udì bussare alle porte, saltellare sulle scale, chiamare, minacciare, concedere proroghe; udì l’orologio del municipio suonar le ore quando costoro si pavoneggiavano col bastone, ed egli, col ceppo al piede, veniva condotto al luogo del supplizio; e qui lo rimettevano in libertà, ma il suo onore di concittadino cadeva sotto la scure, in mezzo al giubilo generale. Firmò. Il colloquio era finito. …
Per conoscere nei particolari la trama di questo testo bisogna leggere i capitoli precedenti però a noi, adesso, interessava capire il clima che aleggia su questa situazione e sicuramente s’intuisce perfettamente che siamo in un ambiente dove c’è chi coltiva e impone la “mentalità predatoria”: un maleficio che – come vuole dimostrare Strindberg – incide negativamente su tutta la società umana.
Siamo arrivate ed arrivati – attraverso la via dei Cinque Imperatori – nei pressi del primo paesaggio intellettuale del territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età tardo-antica” e abbiamo un appuntamento con Lucio Anneo Seneca ma lui non c’è ancora: deve arrivare, lo incontreremo la prossima settimana. Perché deve arrivare, e da dove? Seneca non abita qui e probabilmente già sapete che ha ottenuto un posto di prestigio: Lucio Anneo Seneca abita nel Limbo della Commedia di Dante.
E allora per concludere, e per introdurre la figura di “Seneca mortale”, è nostro dovere leggere [o rileggere] dal Canto IV dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri alcuni dei celebri versi provenienti dal territorio del Limbo: sono versi che unificano tutto il patrimonio intellettuale dell’Umanità al tempo di Dante [ai primi del 1300], un patrimonio radicato soprattutto nello opere dei Classici i quali, anche se non sono propriamente Cristiani, non possono stare all’Inferno. Il Limbo di Dante rappresenta l’immagine metaforica dell’Intelletto universale di Aristotele: il grande contenitore di tutta la saggezza umana! Nel Limbo ci sono le radici del ruolo “universale” che ha la Scuola, e Dante scrive: «Così vidi adunar la bella scuola, di quei signor dell’altissimo canto»! È questa è una delle più belle definizioni della stagione dei Classici, e ora leggiamo questi diciotto versi per sapere qual è il posto di Seneca.
LEGERE MULTUM….
Dante Alighieri, Inferno IV 130-147
Poi che innalzai un poco più le ciglia,
vidi il maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor gli fanno:
quivi vid’io Socrate e Platone,
che innanzi agli altri più presso gli stanno;
Democrito, che il mondo a caso pone,
Dìogenes, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
e vidi il buon accoglitor del quale,
Dioscoride dico; e vidi Orfeo,
Tullio e Lino e Seneca mortale,
Euclide geomètra e Tolomeo,
Ippocrate, Avicenna e Galieno,
Averroè, che il gran commento feo.
Io non posso ritrar di tutti appieno,
però che sì mi caccia il lungo tema,
che molte volte al fatto il dir vien meno. …
“Spesso – afferma Dante – non si trovano le parole per descrivere un fatto straordinario”. Di sicuro possedete La Divina Commedia di Dante Alighieri nella vostra biblioteca domestica e questo è il momento favorevole per rileggere il Canto IV dell’Inferno seguendo le note. Leggere questo Canto significa fare una interessante passeggiata nel Limbo dove stanno insieme ebrei, latini, greci, cristiani, mussulmani, e “ciascuno – afferma Dante – ha qualcosa da farci conoscere”. La descrizione del Limbo – concepito come se fosse una Scuola – fatta in versi da Dante contiene un messaggio grandioso, il poeta afferma: «Usciamo dai nostri inferni, dai nostri purgatori, dai nostri paradisi e incontriamoci in un lembo, in un bordo [questo significa “limbo”], riuniamoci ai margini, e mettiamo in comune la volontà di insegnare qualcosa [tutti abbiamo qualcosa da insegnare], e il desiderio di imparare qualcosa [tutti abbiamo qualcosa da imparare]». Il clima psicologico che c’è nel Limbo è favorevole all’apprendimento permanente perché è quello dell’attesa. E i personaggi ospiti del Limbo vivono nell’attesa di essere salvati: tra loro c’è anche Seneca. Tutti questi personaggi vivono in funzione della loro opera e “salvarli” significa “studiarli”, e studiarli significa, quindi, costruire la loro e la nostra salvezza.
Per fare l’esperienza dello “studio” è utile seguire la scia dell’Alfabetizzazione e dell’Apprendimento permanente perché l’Alfabetizzazione culturale e funzionale è un bene comune [come il Limbo dantesco: un territorio marginale dove però si concentra tutto il patrimonio culturale frutto dell’attività del apprendimento, frutto dell’Eros] e l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona: per questo la Scuola è qui con il suo carattere “migratore” perché l’insegnamento più importante è quello che non si acquisisce mai ma che si studia sempre.
Il viaggio continua…