Prof. Giuseppe Nibbi La sapienza poetica e filosofica dell’età umanistica 16-17-18 marzo 2016
Marsilio da Padova
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ UMANISTICA
ENTRA IN AZIONE “IL RASOIO DI OCKHAM” ...
Questo è il ventesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età umanistica” [abbiamo percorso quasi i due terzi del nostro cammino e questa è l’ultima Lezione prima della vacanza pasquale] e come ben sapete siamo in compagna di Guglielmo di Ockham che ha portato con sé il suo “rasoio” e dovrebbe farci vedere come funziona, ma prima dobbiamo fare una premessa.
Fin dai suoi albori [fin dal IX secolo] la Scolastica ha cercato di far convivere la Scienza, in modo particolare la scienza medica, con la dottrina religiosa, con la Teologia. Poi, col passare degli anni [anzi dei secoli] i settori della Scienza e della Teologia si sono progressivamente allontanati l’uno dall’altro, fino a diventare, con la Scuola di Oxford, due campi ben distinti tanto da arrivare alla separazione definitiva che avviene proprio con il pensiero di Guglielmo di Ockham. Per questo motivo Guglielmo di Ockham viene considerato, da più di una corrente di pensiero, come l’ultimo filosofo del Medioevo e il primo di una nuova epoca e, senza dubbio, con il “rasoio di Ockham” ci troviamo ormai su quel territorio che poi verrà chiamato “dell’Umanesimo”.
La teoria in cui Guglielmo di Ockham crede è, come ben sappiamo, “l’empirismo radicale”, un pensiero secondo il quale [il Mondo creato] la realtà può essere conosciuta soltanto attraverso “l’esperienza diretta”, quindi, “i misteri della Fede”, che non possono essere sottoposti all’esperienza diretta, afferma Guglielmo, possiamo solo sperare che richiamino qualche cosa che esiste davvero perché la Ragione non può indagare nel territorio della Fede [che è - come scrive Paolo di Tarso - un dono della Grazia di Dio]: di conseguenza, dobbiamo coltivare la virtù della Speranza, afferma Guglielmo, pensando che quando, dopo la morte, incontreremo Dio avremo “l’esperienza diretta di Lui” che sarà accogliente se “facciamo la sua Volontà”.
E per questo, qui e ora, afferma Guglielmo facendo emergere il suo essere francescano, abbiamo anche noi a disposizione lo strumento della Volontà che è davvero libera quando noi mettiamo in atto le esperienze che ci propone di fare la Letteratura dei Vangeli [la Volontà di Dio]: l’esperienza dell’uguaglianza, della giustizia, della pace, della solidarietà e della misericordia [gli ideali stessi dell’Umanesimo].
Guglielmo di Ockham sostiene che [il Mondo creato] la realtà può essere conosciuta solo attraverso l’esperienza diretta e, a suo modo di vedere, la Scolastica tradizionale ha formulato delle tesi eccessivamente complicate sul tema della conoscenza facendola dipendere dalla Metafisica, da concetti universali mentre il procedimento della conoscenza riguarda la singolarità.
Secondo Guglielmo esistono due tipi di conoscenza: quella “intuitiva” e quella “astrattiva”.
La conoscenza “intuitiva” si divide, a sua volta, in conoscenza “perfetta” e conoscenza “imperfetta”: quella “perfetta” la si ottiene quando è possibile dimostrarla con l’esperienza [ora stiamo avendo una conoscenza intuitiva perfetta data dalle svariate esperienze che stiamo facendo], mentre quella “imperfetta”, detta anche “memoria”, resta a livello ipotetico [il ricordo delle svariate esperienze che abbiamo fatto questa sera sarà una conoscenza intuitiva imperfetta]. Da questi due tipi di conoscenza - “intuitiva perfetta e imperfetta” – deriva, afferma Guglielmo, “la conoscenza astrattiva”, che prescinde dall’esistenza o meno dell’oggetto da conoscere e ne formula il concetto, per esempio: vedo un albero che mi piace particolarmente e lo osservo per conoscerlo [questa è la conoscenza “intuitiva perfetta”], poi mi allontano e mi rimane il ricordo di questo albero [questa è la conoscenza “intuitiva imperfetta”] e, di conseguenza, dalla fusione di questi due tipi di conoscenza scaturisce la conoscenza “astrattiva” cioè si forma “uno schema” nella mia mente che, per comodità, Guglielmo chiama “concetto” ma, come sappiamo, per Guglielmo di Ockham il concetto non ha nulla di universale [non ha alcuna sostanza] ma è solo “un segno, un simbolo, un termine”.
Se mai, afferma Guglielmo, di “universale” [nel senso che investe tutte le persone] ci può essere “l’intenzionalità di dare un nome alle cose [“intentio animae”] e poi, afferma Guglielmo, viene a formarsi in tutte le persone, quindi universalmente “uno schema mentale” costruito dall’intelletto per intendere e accogliere la realtà; però, afferma Guglielmo, la sostanza di questo schema è “una finzione” mentre la forma [lo schema stesso] è “un investimento intellettuale [un intentus”] teso verso gli oggetti” e, quindi, afferma Guglielmo, in ogni persona c’è una specie di “tensione universale” e questo è un argomento che si svilupperà in futuro [e ce ne occuperemo a suo tempo].
Ma Guglielmo di Ockham riflette “sulle parvenze della universalità” solo per esaltare il “soggettivismo puro” perché le persone, afferma Guglielmo, vengono a contatto con “l’individualità delle cose” non con la realtà intera, le persone si muovono dentro una trama di rappresentazioni e, quindi, non si trovano a contatto con la realtà ma con i segni della realtà che danno luogo al linguaggio, e qui “la filologia” raggiunge l’apice del suo trionfo: e possiamo dire di essere quindi entrate ed entrati nel territorio dell’Umanesimo.
Come è possibile [polemizza Guglielmo di Ockham, in primo luogo con il papa] che ci sia ancora qualcuno che dichiara di voler accedere a Dio con la Ragione? Dio, afferma Guglielmo, è inaccessibile alla Ragione e la persona, per mezzo della Ragione, conosce solo l’idea che si è fatta di Lui e, con la Ragione applicata alla Letteratura dei Vangeli, la persona può solo dedurre l’imperativo che Dio lancia alle sue creature: “fate il Bene!” [E tutta la Teologia si riassume in questa affermazione]. Non si possono fondare, afferma Guglielmo, gli attributi di Dio sull’essenza [sull’Essere] perché, come ogni altra nozione, anche quella di Essere è una costruzione della mente, quindi la Teologia tradizionale, afferma Guglielmo, poggia su due pilastri [di friabile argilla]: “la Ragione divina” considerata il fondamento della ragione delle cose e “la Ragione umana” che parteciperebbe della Ragione divina e potrebbe conoscere la ragione delle cose, ma, afferma Guglielmo, “la Ragione umana non ha fondamenti oggettivi né nella mente di Dio né nelle essenze della realtà”, quindi bisogna “tagliare tutti questi vincoli [che legano irresponsabilmente - afferma Guglielmo - la fisica alla metafisica]”: l’Essere, il Vero, il Buono, il Bello, il Giusto sono costruzioni umane [non sono trascendenti, ma sono trascendentali, e dei trascendentali ce ne occuperemo ai primi di maggio] e il Bene, afferma Guglielmo, non è necessario ma è volontario. Per tagliare tutti i vincoli [ciò che noi, in modo illusorio, attribuiamo a Dio pensando che possa essere l’Essere Necessario] ci vuole, afferma Guglielmo, “un rasoio” che serva per rendere più funzionale il nostro rapporto con la realtà e con la conoscenza.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quante opportunità concrete offre l’azione del “tagliare”: per cucire, per cucinare, per fare giardinaggio e per fare l’orto, per dedicarsi all’artigianato artistico in generale!…
Scrivete quattro righe in proposito [ricordiamoci anche che tutto ha inizio con il tagliare il cordone ombelicale]…
Sappiamo che il “rasoio di Ockham” è una metafora che indica un particolare sistema logico, ebbene, in che cosa consiste questo sistema e come funziona?
Esordiamo - per prepararci a capire - dicendo che la parola-chiave, emergente da questo sistema, corrisponde al termine “semplicità”, un’idea fortemente radicata nella cultura francescana, che nasconde un paradosso: non è semplice vivere, pensare, riflettere con “semplicità”.
Guglielmo di Ockham, per giustificare lo strumento del “rasoio”, riflette sul fatto che tutti i pensatori della Scolastica tradizionale hanno dato un contributo all’evoluzione della Filosofia, della Teologia e della Scienza però spesso hanno esagerato soprattutto quando hanno voluto imbastire delle dimostrazioni forzando la mano alla Ragione umana, facendo agire illusoriamente la Ragione umana al di là delle sue possibilità per cui hanno dovuto fare un uso eccessivo di espedienti intellettuali tanto che i sistemi che avrebbero dovuto, afferma Guglielmo, dimostrare [a priori o a posteriori] le verità fisiche e metafisiche si sono arenati e, di conseguenza, lo stesso meccanismo della dimostrazione logica ha perso il suo significato, ha subito una svalutazione.
Guglielmo di Ockham, per ridare un senso al meccanismo della dimostrazione logica che deve portare alla conoscenza, afferma che è necessario - utilizzando la metafora del “rasoio” - tagliare tutta una serie di entità inutili [gli illusori ragionamenti a priori e le complicate argomentazioni a posteriori, eliminando ciò che vi è di superfluo nella conoscenza] per favorire, prima di tutto, la creazione di un sistema razionale che parta da principi già dimostrati e, quindi, semplici, in modo che si possa arrivare, con delle deduzioni lineari, ad una conclusione essenziale e comprensibile, e che, contemporaneamente, non sia né evanescente né inconsistente. La metafora del rasoio serve, quindi, a Guglielmo per descrivere un “metodo logico” secondo il quale è opportuno eliminare [con allegorici tagli di lama] le ipotesi più complicate che appesantiscono e bloccano il ragionamento impedendo lo sviluppo della conoscenza. E, di conseguenza, il contenuto del primo principio, che funge anche da principio generale del “rasoio di Ockham”, è il seguente: «A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire». Mentre la formula del secondo principio, che va usata, afferma Guglielmo, in ambito investigativo - e che continua ad essere utilizzata nel moderno gergo tecnico per affrontare la risoluzione di un problema -, dice: «Non moltiplicare gli elementi più del necessario [Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem]», e il terzo principio rafforza questa idea: «Non considerare la pluralità se non è necessario [Pluralitas non est ponenda sine necessitate]», e il quarto principio, ancora, dice: «È inutile fare con più ciò che si può fare con meno [Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora]». I quattro principi fondamentali del “rasoio di Ockham” possono a loro volta essere sintetizzati [possono riceve una rasoiata anche loro] con l’espressione: «Non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice, e all’interno di un ragionamento o di una dimostrazione vanno sempre ricercate la semplicità e la sinteticità». Ciò significa che - tra le varie spiegazioni possibili di un evento, afferma Guglielmo - bisogna accettare quella più “semplice”, intesa non nel senso di quella più “ingenua” o di quella che spontaneamente affiora alla mente, ma bisogna accreditare “quella che appare ragionevolmente vera senza ricercare un’inutile complicazione aggiungendovi degli elementi causali ulteriori” e questo anche in base, afferma Guglielmo, ad un altro principio, elementare, di economia di pensiero: «Se si può spiegare un dato fenomeno, scrive Guglielmo, senza supporre l’esistenza della causa che lo ha provocato, è corretto farlo, in quanto è ragionevole scegliere, tra varie soluzioni, la più semplice».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Di fronte a quale situazione avete detto: «Era più semplice di quello che io pensassi»?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Sul piano concettuale il procedimento logico del “rasoio di Ockham” non è una novità assoluta perché “il principio di semplicità” era già ben noto a tutto il pensiero della Scolastica fin dalle origini, dal IX secolo, e tutti i pensatori [donne e uomini che abbiamo incontrato in questi ultimi tre anni] dicono di voler procedere sulla strada della “semplicità” [di voler semplificare il processo della conoscenza in modo che si possa apprendere prima e bene], ma è con Guglielmo di Ockham che questa norma acquista una nuova energia e, per certi versi, una veemenza devastante a causa della sua concezione volontarista: se il mondo, afferma Guglielmo, è stato creato da Dio solo sulla base della sua volontà - e non per intelletto e volontà, come sostiene Tommaso d’Aquino il quale pensa che Dio abbia creato secondo un programma comprensibile per la ragione dell’essere umano - si deve smettere di pensare che sia stato Dio a formulare regole e leggi che, invece, è stato l’essere umano a elaborare con la sua volontà. Come può l’essere umano equiparare la propria volontà relativa, per quanto libera, a quella imperscrutabile di Dio onnipotente?
Naturalmente questo pensiero ha delle conseguenze tanto sul piano politico quanto su quello ecclesiastico. E, sul piano della politica, le idee di Guglielmo di Ockham viaggiano [quasi] in sintonia con il pensiero di un altro importante personaggio che ora dobbiamo incontrare [e Guglielmo gli fa spazio volentieri]: si chiama Marsilio Mainardini, un padovano, che ha scritto quello che viene considerato il trattato politico più significativo del Medioevo:, Defensor pacis [il difensore della pace], pubblicat0 a Parigi nel 1324 e che è stato subito preso di mira dall’autorità ecclesiastica [Giovanni XXII non concede tregua a quelli che lui considera degli eretici perché criticano il potere temporale dei papi].
Ma, prima di fare conoscenza con Marsilio da Padova e prima di studiare il suo pensiero, dobbiamo aprire un’ampia parentesi di carattere letterario perché stiamo per dare inizio alla lettura di un nuovo romanzo e lo spunto inequivocabile per fare questo esercizio deriva dal fatto che oltre al “rasoio di Ockham” in Filosofia c’è anche un cosiddetto “rasoio di Schnitzler” in Letteratura. Ebbene, di chi e di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando dello scrittore Arthur Schnitzler che abbiamo incontrato altre volte in questi anni nel corso dei nostri viaggi, del quale dobbiamo mettere a fuoco una delle caratteristiche - sicuramente la più rilevante - della sua particolare scrittura.
Arthur Schnitzler [1862-1931] è uno scrittore viennese che di professione fa il medico, ed è uno psichiatra contemporaneo di Sigmund Freud e c’è chi sostiene che sia stato l’anticipatore - proprio con le sue opere letterarie - della dottrina e della metodologia psicoanalitica. Arthur Schnitzler ha scritto un certo numero di testi per il teatro e una serie di romanzi-brevi molto significativi dei quali si consiglia la lettura e, quindi, ricordiamo i titoli dei suoi racconti più famosi, che immagino possiate aver letto: Anatol, Il cieco Gerolamo e suo fratello, Doppio sogno, Fuga nelle tenebre, Il sottotenente Gustl, Beate e suo figlio, Il dottor Gräsler medico termale, Il ritorno di Casanova [da questo testo una decina di anni fa abbiamo letto una serie di pagine].
Leggere Schnitzler non è facile ma se la lettura dei suoi testi viene condotta con la dovuta attenzione risulta essere un’avventura intellettuale molto appassionante: si tratta di entrare in possesso di alcune “chiavi”. Intanto tutti i racconti di Schnitzler contengono elementi allegorici che descrivono la decadenza e la fine dell’Impero austro-ungarico [noi, in viaggio durante l’autunno del Medioevo, stiamo assistendo alla fine del Sacro romano impero] e lo scrittore ironizza ferocemente sulla vita frivola, vuota e artificiosa condotta dall’aristocrazia e dall’alta borghesia nella Vienna di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Ma l’allegoria della “decadenza”, sempre presente nei testi di Schnitzler, diventa una metafora di carattere universale che fa riflettere le lettrici e i lettori perché il fenomeno del “decadimento” riguarda l’essere umano in generale [e mette pensiero].
Il “rasoio di Schnitzler” [così come il “rasoio di Ockham”] non riguarda però i contenuti ma si riferisce ad una particolarità che possiede la forma della scrittura di questo autore [indagatore della psiche]. Schnitzler è il primo narratore del nostro tempo che sia riuscito a far procedere il suo racconto in modo che i personaggi delle opere che ha scritto scandiscano contemporaneamente il loro monologo interiore, le loro fantasticherie, descrivano l’azione e sostengano il dialogo convenzionale con i loro interlocutori in maniera che ognuno di questi elementi, sotto forma di enunciato, si presenti come “una rasoiata” che produce il taglio necessario per distinguere bene le varie fasi della dialettica comunicativa, perché bisogna saper differenziare nettamente [con un taglio netto, con un colpo di rasoio, sostiene Schnitzler] tra i vari tipi di linguaggio: quello dell’interiorità disinibita, quello dell’immaginario illusorio, quello dell’azione reale, e quello [spesso ipocrita] dettato dalle convenzioni sociali [Luigi Pirandello - interpretando il “rasoio di Schnitzler” dirà che la persona si esprime con una corda civile, una corda seria e una corda pazza a seconda delle circostanze].
Questo procedimento - il “rasoio di Schnitzler” -, piuttosto che descritto in teoria, lo si capisce meglio quando lo si vede applicato [e fra poco faremo questo esercizio]. In particolare, nel ritmico procedere della narrazione di Schnitzler, il colpo di rasoio viene dato dalle parole del monologo interiore [espresse senza freni inibitori] rispetto al dialogo più misurato rivolto all’interlocutore nei confronti del quale bisogna rispettare, spesso dissimulando, le regole della buona educazione. Ed emblematica, per capire come funziona il “rasoio di Schnitzler”, è la forma del testo del romanzo intitolato La signorina Else, pubblicato nel 1924, che dobbiamo leggere [immagino che - per la fama di quest’opera, che ha avuto anche diverse trasposizioni teatrali, - per un certo numero di voi si tratti di una rilettura ma ci sono testi che vanno periodicamente riletti e questo è uno di quelli].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In biblioteca potete richiedere le opere di Arthur Schnitzler tra quelle che abbiamo citato in modo che possiate leggerne qualche pagina ora che vi state facendo un’idea di che cos’è il “rasoio di Schnitzler”…
Il testo del romanzo La signorina Else, al suo esordio nel 1924, è stato ritenuto scandaloso proprio da parte di coloro che contribuivano a dare scandalo [Schnitzler metteva il dito su una piaga sociale e, forse, non bisognerebbe usare l’imperfetto ma il tempo presente].
La viennese signorina Else è una ragazza “altera” e appassionata che, mentre si trova in vacanza sulle Alpi [a San Martino di Castrozza], riceve una lettera “espresso” della madre la quale, con un tono mellifluo e patetico, tipico del familismo amorale, la coinvolge nella tragedia che sta vivendo il padre, noto avvocato viennese, che ha commesso un reato, si è impossessato del patrimonio di un minore del quale è il tutore, per pagare i suoi debiti di gioco che hanno, da tempo, messo sul lastrico la pur facoltosa famiglia di Else, per cui, immediatamente, il padre deve entrare in possesso di una somma di denaro [trentamila fiorini] che deve restituire, pena l’arresto. La madre invita esplicitamente Else a vendersi per avere in prestito questi soldi in modo da evitare lo scandalo e in modo da salvare il padre dalla galera, naturalmente le indica anche il signore [il signor von Dorsday] al quale dovrebbe chiedere il prestito [l’utilizzatore finale, si direbbe oggi].
Ma cominciamo a leggere questo romanzo del quale a noi interessa soprattutto capire come avviene la costruzione formale del testo, come esplicita la sua azione il [cosiddetto] “rasoio di Schnitzler” differenziando nettamente [con un taglio netto, con un colpo di rasoio, sostiene Schnitzler] i vari tipi di linguaggio: quello dell’interiorità disinibita, quello dell’immaginario illusorio, quello dell’azione reale, e quello [spesso ipocrita] dettato dalle convenzioni sociali.
LEGERE MULTUM….
Arthur Schnitzler, La signorina Else
«Davvero, Else, non vuoi più giocare?». - «No, Paul, non me la sento più. Ciao. -Arrivederla, signora Mohr». - «Else, la prego, mi chiami: signora Cissy. - O, meglio ancora, semplicemente: Cissy». - «Arrivederla, signora Cissy». - «Ma Else, come mai se ne va così presto? Abbiamo ancora due ore buone prima del dinner». - «Faccia pure il suo singolo con Paul, signora Cissy. Oggi con me non c’è proprio da divertirsi». - «La lasci stare, signora Mohr, è sgarbata oggi, si è svegliata male. A proposito, Else, lo sai che il malgarbo ti sta d’incanto? E più ancora il rosso del tuo maglioncino». - «Ti auguro di trovare maggior grazia nel blu. Ciao, Paul».
Niente male, come uscita di scena. Speriamo che quei due non pensino che io sia gelosa. - Sono pronta a giurare che tra il cugino Paul e Cissy Mohr c’è qualcosa. Ma niente al mondo mi lascia più fredda. - Ora mi giro e li saluto ancora con un cenno. Un cenno e un sorriso. Ho un aspetto garbato, adesso? - Santo cielo, han già ripreso a giocare. Veramente, io gioco meglio di Cissy Mohr; e anche Paul non è che sia proprio un matador. È un bel tipo, però … con quel colletto aperto e quel viso da ragazzaccio. Se solo fosse un po’ meno affettato … Sta’ tranquilla, zia Emma, non è il caso di aver paura …
Che serata stupenda! Oggi sarebbe stato il tempo ideale per una gita al rifugio Rosetta. Il Cimon che si erge nel cielo è davvero superbo! - Ci saremmo messi in mar-cia alle cinque del mattino. All’inizio sarei stata male come al solito. Ma poi mi passa. Non c’è niente di più delizioso che camminare nella luce dell’alba. L’americano senza un occhio lassù al Rosetta somigliava a un pugile. Può darsi che l’occhio gli sia saltato via durante un incontro. Non mi dispiacerebbe sposarmi in America, ma non con un americano. Oppure mi sposo un americano, ma poi ci stabiliamo in Europa. Villa in Riviera. Scalinata di marmo che scende nel mare. Io, nuda, sdraiata sul marmo. - Quanti anni son passati da che siamo stati a Mentone? Sette, otto. Avrò avuto tredici o quattordici anni. Già, ma a quel tempo le nostre condizioni erano decisamente migliori. - Che sciocchi siamo stati a rinviare la gita. A quest’ora saremmo comunque già tornati. - Quando alle quattro sono andata al tennis, l’espresso che mamma mi ha annunciato nel telegramma non era ancora arrivato. Chissà se adesso c’è. Avrei potuto benissimo giocare un altro set. - Perché quei due giovani mi salutano? Non li conosco per niente. Sono in albergo da ieri, in sala da pranzo hanno il tavolo a sinistra vicino alla finestra, quello dove prima c’erano gli olandesi. Sono stata poco garbata nel ringraziare? O addirittura altezzosa? Ma no che non sono altezzosa. Come diceva Fred riaccompagnandomi a casa dal “Coriolano”? Allegra. No, altera. Lei, Else, è altera, non altezzosa. - Che bella parola. Le belle parole sono la sua specialità. - Perché sto camminando così adagio? Che la lettera della mamma in realtà mi faccia paura? Be’, non dirà certo niente di gradevole. Un espresso! Forse devo tornare a casa. Povera me! Che vita mi tocca fare. Nonostante il mio maglioncino rosso e le calze di seta. Tre paia! La parente povera invitata dalla zia ricca. Sono sicura che si è già pentita. Devo scrivertelo nero su bianco, cara la mia zia, che non mi sogno neanche di pensare a Paul? Purtroppo non penso a nessuno, io. Non sono innamorata. Non amo nessuno. Non sono mai stata innamorata in vita mia. Neanche di Albert, benché per otto giorni di seguito mi sia illusa di sì. Credo di non essere capace di innamorarmi. È veramente strano. Perché sono sensuale, su questo non ho dubbi. Ma anche altera e sgarbata, grazie a Dio. Forse soltanto a tredici anni sono stata innamorata davvero. Di quel Van Dyck, e anche dell’abbé Des Grieux, e perfino della Renard. E dopo, a sedici anni … - No, quella fu una bazzecola. Ma perché rimuginare sul passato, mica sto scrivendo le mie memorie. Non tengo neanche un diario, come fa Bertha. - Fred mi è simpatico, niente di più. Forse, se fosse più elegante … È vero che sono proprio una snob. Anche papà ne è convinto e mi prende in giro. Ah, caro papa, quanti pensieri mi dai! Chissà se ha mai tradito la mamma. Sono sicura di sì. E più di una volta, anche. Non è un’aquila, la mamma. Non ha la più pallida idea di come sono fatta. Come molti altri del resto. Fred? … Ma sì, giusto un’idea, per l’appunto. - Serata divina. Che aspetto festoso ha l’albergo. È tutta gente che sta bene, questa, lo si sente, gente senza preoccupazioni. Come me, per esempio. Peccato. Io sarei nata per una vita spensierata. Che bello sarebbe. Peccato. - Sulla vetta del Cimon è sospeso un chiarore rossastro. Di una bellezza tale che vien voglia di piangere. Ah, perché bisogna tornare in città!
«Buona sera, signorina Else». - «I miei rispetti, signora». - «Viene dal tennis?». - Se lo vede, perché me lo domanda? «Sì, signora. Abbiamo giocato per quasi tre ore. E lei, signora, va ancora a passeggio?». - «Sì, la mia solita passeggiata serale verso il Rolle. È una strada molto bella che si snoda fra i prati, e di giorno è quasi troppo assolata». - «È vero, i prati da queste parti sono magnifici. Specialmente quando li guardo dalla mia finestra al chiaro di luna».
«Buona sera, signorina Else. - I miei omaggi, signora». - «Buona sera, signor von Dorsday». - «Viene dal tennis, signorina Else?». - «Che occhio, signor von Dorsday». - «Non mi prenda in giro. Else». - Perché non dice “signorina Else”? - «La racchetta le dona talmente che volendo potrebbe anche portarla come un gioiello». - Asino, a una frase del genere non rispondo neppure. «Abbiamo giocato tutto il pomeriggio. Purtroppo eravamo solo in tre. Paul, la signora Mohr e io». - «Un tempo ero anch’io un accanito giocatore di tennis». - «E adesso non più?». - «Ormai sono troppo vecchio per queste cose». - «Vecchio, lei? Conoscevo uno svedese di sessantacinque anni che giocava ogni sera dalle sei alle otto. E l’anno prima aveva addirittura partecipato a un torneo». - «Io, grazie al cielo, non ho ancora sessantacinque anni, ma purtroppo non sono neanche svedese». - Perché quel purtroppo? Chissà che spiritosaggine crede di aver detto. Sorrido gentilmente e me ne vado subito, è la cosa migliore. «I miei rispetti, signora. Arrivederla, signor von Dorsday». Che inchino profondo e che sguardo. Da vero pesce lesso. Che io l’abbia offeso paragonandolo allo svedese di sessantacinque anni? Be’, se anche fosse, pazienza. Questa signora, la chiamerei la Signora malinconica, dev’essere una donna infelice. Sicuramente vicina ai cinquanta. A giudicare dalle borse sotto gli occhi, si direbbe che abbia pianto moltissimo. Avere la sua età dev’essere orribile. Il signor von Dorsday le dimostra un certo interesse. Ecco che le si mette al fianco. È ancora un bell’uomo con quella barbetta brizzolata. Ma simpatico no di certo. Si dà un gran da fare per tenersi su. A che le giova il suo sarto di gran classe, signor von Dorsday? Dorsday! È chiaro che un tempo il suo nome era un altro. - Ecco che arriva la figlia di Cissy con la sua governante. Che amore di bambina. «Ciao, Fritzi. Bon soir. Mademoiselle. Vous allez bien?». - «Merci, Mademoiselle. Et vous?». - «Che cosa vedo, Fritzi, hai un vero bastone da montagna. Hai per caso intenzione di scalare il Cimon?». - «No, non posso, non mi ci lasciano andare così in alto». - «Vedrai che l’anno prossimo ti daranno il permesso. Ciao, piccolina. A bientôt, Mademoiselle». - «Bon soir. Mademoiselle». È carina la ragazza. Non si capisce proprio perché faccia la governante. E per di più in casa di Cissy. Che amaro destino. Oh Dio, e se capitasse anche a me? No, sono sicura che saprei trovare qualcosa di meglio. Qualcosa di meglio? - Serata incantevole. “L’aria è come champagne” diceva ieri il dottor Waldberg. E avantieri un altro ha detto la stessa cosa. - Perché con questo tempo stupendo la gente non si muove dalla hall? Mistero. Che siano tutti quanti in attesa di una lettera espresso? Il portiere mi ha già vista; se ci fosse un espresso per me, l’avrebbe portato qui immediatamente. Dunque non c’è. Dio ti ringrazio. Andrò a sdraiarmi un po’ prima di cena. Perché Cissy la chiama “dinner”? È una stupida posa. Stanno bene insieme, Cissy e Paul. - Ah, sarei più contenta se la lettera fosse già qui. Va a finire che arriva durante il “dinner”. E se per caso non arriva, passerò una notte agitata. Anche la notte scorsa ho dormito malissimo. È naturale, si avvicinano i miei giorni. E infatti ho le solite fitte alle gambe. Prenderò una bustina di veronal. Ma no che non ci faccio l’abitudine. Non devi preoccuparti per questo, caro Fred. Quando penso a lui, gli do sempre del tu. Bisognerebbe provare tutto … anche l’hascisch. Il guardiamarina Brandel si è portato dell’hascisch, dalla Cina se non sbaglio. Che si fa con l’hascisch? Lo si beve? Lo si fuma? Dicono che procuri visioni spettacolose. Brandel mi ha invitata a bere - o a fumare - hascisch con lui. È un tipaccio, Brandel. Niente male, però.
«Mi scusi, signorina, una lettera per lei». - Il portiere! Ci siamo, è arrivata! - Ora mi giro con la massima disinvoltura. Non potrebbe essere una lettera di Karoline, o di Bertha, o di Fred, o di Miss Jackson? «Grazie mille». No, è proprio della mamma. Un espresso. Perché non ha detto subito che era un espresso? Per aprirlo aspetto di essere in camera, così me lo leggo con calma. - La marchesa italiana. Come sembra giovane nella penombra. Quarantacinque li ha di sicuro. Dove sarò, io, a quarantacinque anni? Forse già morta. Mi auguro di sì. Mi sorride come sempre con grande gentilezza. Le cedo il passo, faccio un piccolo cenno col capo - non voglio dare l’impressione di sentirmi particolarmente onorata se una marchesa mi sorride. - «Buona sera». - Ha detto buona sera. Adesso sono obbligata a fare almeno un inchino. Era troppo profondo? Ma è talmente più vecchia di me. Ha un portamento magnifico. Sarà divorziata? Anch’io ho un bel portamento. Eppure … lo so. Certo, la differenza è tutta lì. - Al fascino di un italiano potrei non resistere. Peccato che quel bruno con la testa da antico romano sia già ripartito. “Ha tutta l’aria del filibustiere” diceva Paul. Oh Dio, io non ho niente contro i filibustieri, anzi. Be’, eccomi arrivata. Settantasette. È un numero fortunato. La camera è carina. Legno di cembro. Là c’è il mio casto letto. - Ma davanti a Paul dirò che non è vero. In realtà è un timido, Paul. Un medico, per di più ginecologo! Forse proprio per questo. L’altro giorno nel bosco, quando eravamo parecchio avanti agli altri, poteva anche permettersi di essere più intraprendente. Ma gli sarebbe andata male. Con me nessuno è mai stato davvero intraprendente. Se non forse tre anni fa, quel tipo nel bagno. Intraprendente? No, solo volgare. Bello, però. L’Apollo del Belvedere. Non che allora lo abbia capito fino in fondo. Per forza … a sedici anni. Divino il mio prato! Mio! … Se si potesse prenderlo e portarselo a Vienna. Nebbia leggera. Autunno? Tutto sommato sì, il tre settembre in alta montagna. Insomma, signorina Else, non vuol proprio decidersi a leggere la lettera? Non è affatto detto che si tratti di papà. Non potrebbe essere qualcosa che riguarda mio fratello? Che si sia fidanzato con una delle sue fiamme? Con una corista o una guantaia? No, è troppo furbo per fare una cosa del genere. Non che di lui io sappia granché, in realtà. Quando avevo sedici anni e lui ventuno, per un periodo siamo stati veramente amici. Mi raccontava molte cose di una certa Lotte. Poi tutt’a un tratto ha smesso. Quella Lotte deve avergli fatto del male, non so bene che cosa. E lui da allora non mi racconta più niente. - Ecco, ho la lettera in mano, e neanche mi sono accorta di aver aperto la busta. La leggerò seduta sul davanzale della finestra. Ma devo fare attenzione a non cadere di sotto. Riceviamo da San Martino la notizia di un increscioso incidente accaduto all’Hotel Fratazza. La signorina Else T., una stupenda ragazza di diciannove anni, figlia del noto avvocato … Naturalmente direbbero che mi sono ammazzata a causa di un amore infelice o perché ero incinta. Amore infelice, no per carità. “Bambina mia”. …
Così con questo vezzeggiativo - “Bambina mia”. -, che ne preannuncia l’ambiguità, inizia la lettera-espresso della madre che Else si appresta, con una certa preoccupazione, a leggere, e noi, fra poco, la leggeremo insieme a lei.
Adesso, nel frattempo, come abbiamo preannunciato, dobbiamo fare conoscenza con Marsilio Mainardini detto Marsilio da Padova che ha scritto il trattato politico più significativo del Medioevo intitolato Defensor pacis [il difensore della pace] pubblicato a Parigi nel 1324 e su questa strada incontriamo anche tre importanti figure: Albertino Mussato, Dante Alighieri e Giovanni da Parigi che contribuiscono alla formazione culturale di Marsilio.
Marsilio Mainardini è nato a Padova, intorno al 1275, in una famiglia di giudici e di notai. Studia nell’Università padovana sotto la guida di Albertino Mussato l’esponente più importante del cosiddetto pre-umanesimo padovano. Marsilio studia medicina e si dedica alla filosofia naturale e sperimentale e la sua formazione culturale è d’impronta aristotelico-averroista perché l’Università di Padova, dopo quella di Parigi, è il secondo centro più importante dell’averroismo latino e, difatti, il pensiero di Marsilio si sviluppa partendo dalla “teoria [averroista] della doppia verità” ed è incentrato, quindi, sulla netta separazione tra la realtà spirituale [della Fede governata dalla Chiesa] e quella temporale [politica e laica, governata dallo Stato]. La realtà spirituale e quella temporale, sostiene Marsilio, sono due situazioni che non sono in rapporto dialettico tra loro: tutto il campo della realtà fisica e politica è “temporale” e la pretesa della curia papale, afferma Marsilio, di invadere questo campo non può che creare discordie e disastri per la società civile e per la comunità dei credenti che, alla luce della Letteratura dei Vangeli, non può essere considerata uno Stato [«Il mio Regno non è di questo mondo», afferma Gesù di fronte a Pilato]. Se la curia papale, sostiene Marsilio, vuole guidare la Chiesa secondo i dettami del Vangelo deve curare esclusivamente il campo della realtà spirituale.
A questo pensiero partecipa anche Dante Alighieri [1265-1321] con le sue due opere politiche, il Convivio e il De Monarchia, nelle quali Dante afferma che la persona deve aspirare alla felicità temporale e alla felicità eterna e «Per questo, scrive Dante nel De Monarchia, sono necessarie alla persona due guide, in relazione al suo duplice fine, e cioè il Sommo Pontefice, che, secondo la verità rivelata, conduca gli esseri umani alla vita eterna e l’Imperatore che, secondo gli insegnamenti dei filosofi, indirizzi il genere umano alla felicità in questa vita». Anche per Dante, quindi, la divisione tra i due poteri è netta e distinta e l’imperatore è vincolato al rispetto formale dell’autorità spirituale ma è svincolato dal potere ecclesiastico nelle scelte politiche ed è responsabile della pace e della giustizia sociale secondo “l’insegnamento dei filosofi”. Dante ha fatto proprio il concetto della “soggettività” e della “volontà” di Guglielmo di Ockham e nella Divina Commedia, difatti, il grande protagonista è [ancor prima di Dio] “la singola persona” che, in solitudine, lotta contro il male e per salvarsi, per salvare non solo la propria anima nell’altra vita ma per salvarsi anche nella vita terrena, nella Storia, per salvarsi dall’indifferenza culturale e politica, per cui, il compito dell’essere umano, afferma Dante, è quello di “partecipare alla costruzione della città terrena” [ed è importante l’emergere - all’inizio del Trecento - del concetto di “partecipazione” che è il fulcro dell’azione politica e culturale].
Marsilio da Padova, dopo aver fatto tesoro di queste idee, all’inizio del 1300 si trasferisce a Parigi dove, alla facoltà delle Arti, incontra e studia con il magister domenicano aristotelico-averroista Giovanni da Parigi [1260-1306] il quale sostiene che Aristotele insegna che «il potere politico non è mai universale ma è sempre particolare», quindi, la Chiesa, afferma Giovanni da Parigi, che ha un afflato universale - in virtù del fatto che la Rivelazione ha un valore universale - non può occuparsi del particolare, quindi, alla luce della Letteratura dei Vangeli, non deve avere un potere politico concreto perché la missione della Chiesa, afferma Giovanni da Parigi, è quella di occuparsi di amministrare il messaggio della Rivelazione “per illuminare il modo di fare politica”: la Chiesa deve suggerire i valori etici [l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà, la misericordia] affinché le scelte politiche dei governi si avvicinino all’Etica. Il papa, afferma Giovanni da Parigi, non ha diritto [non ha potere temporale] sui beni materiali degli individui: la Chiesa ha senz’altro bisogno di beni materiali, che deve usare per poter esistere nel Mondo, sapendo, però, che questi beni non le appartengono perché la Chiesa non è un “dominio” ma è una “comunità”, ed è un “corpo” [la prefigurazione del Corpo di Cristo] e se un papa è indegno di questo “corpo” la comunità lo deve espellere.
Il pensiero di Marsilio prende forma sulla base di queste idee [le idee di Guglielmo di Ockham, di Dante Alighieri, di Giovanni da Parigi] e, dopo aver svolto un’intensa attività di insegnamento, dal 1312 al 1314, riveste la carica di rettore alla facoltà delle Arti e quando scoppia il conflitto [del quale siamo al corrente] tra il papa avignonese Giovanni XXII e Ludovico il Bavaro anche Marsilio, come Gugliemo di Ockham, Michele da Cesena, Dante Alighieri, prende posizione a favore dell’imperatore.
L’autorità del papa non è più in grado di contrastare una coalizione intellettuale così prestigiosa [Marsilio da Padova, Giovanni da Parigi, Dante Alighieri, Guglielmo di Ockham, Michele da Cesena] e Giovanni XXII per giunta commette una serie di errori - intanto scomunica tutti i francescani spirituali - poi nel 1329 fa bruciare pubblicamente dal suo legato Bertrando Dal Poggetto il testo del De Monarchia di Dante mentre due anni prima, nel 1327, aveva mandato pubblicamente al rogo il testo del Defensor pacis che Marsilio da Padova aveva pubblicato a Parigi nel 1324; Marsilio, in questa occasione, sotto la minaccia della condanna ecclesiastica [per non finire al rogo], fugge da Parigi e si rifugia anche lui a Monaco di Baviera presso l’imperatore Ludovico il Bavaro e lì muore nel 1342 o nel 1343.
I personaggi che abbiamo incontrato hanno il merito di aver definito la politica come “atto di partecipazione”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di queste parole - adesione, complicità, condivisione, presenza - mettereste per prima accanto alla parola “partecipazione”?…
Scrivetela: scrivere è partecipare…
A quali esperienze della vita pubblica avete deciso di partecipare?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Il Defensor pacis [Il difensore della pace] è ritenuta l’opera di filosofia politica più importante del Medioevo perché in essa Marsilio da Padova raccoglie in modo organico le idee che abbiamo sentito formulare dai personaggi [Giovanni da Parigi, Dante Alighieri, Guglielmo di Ockham, Michele da Cesena] della prestigiosa “coalizione intellettuale” che si è formata per difendere la laicità dello Stato e per proporre una Riforma della Chiesa in senso evangelico.
Nel Defensor pacis Marsilio tratta dell’origine della Legge e del fatto che la Legge deve essere “uguale per tutti” affermando che il fondamento della Legge si basa sul “concetto di pace” perché la pace è il valore indispensabile per la prosperità dello Stato, in quanto, la pace è la condizione essenziale per svolgere un’attività umana rivolta al Bene comune. Il Defensor pacis è un’opera laica, chiara, priva di retorica, potremmo dire “moderna” e, per un certo numero di aspetti, ancora attuale.
Secondo Marsilio la necessità dello Stato non discende più da finalità etico-religiose, ma dalla natura umana che va alla ricerca di una vita che lui definisce “sufficiente [“satis superque”: soddisfacente, adeguata alle necessità materiali e spirituali]”, ed è da questa esigenza prettamente umana che nascono le varie comunità, dalla più piccola alla più grande e complessa che è lo Stato per cui è necessario un Ordinamento [la Legge uguale per tutti] che assicuri la convivenza [entra in incubazione il concetto di “costituzione”]. Scrive Marsilio: «Il fatto che un individuo sia sacerdote, contadino o muratore non deve avere alcuna importanza agli occhi di chi lo sta giudicando, così come non deve avere importanza per il medico il mestiere del paziente. La pretesa, quindi, delle autorità di gestire la giustizia a seconda che la persona imputata sia o non sia un ecclesiastico è un vero e proprio sopruso. Una cosa sono gli obblighi civili che ognuno di noi ha verso lo Stato, e un’altra cosa i doveri spirituali che abbiamo nei confronti di chi ci ha messo al mondo: i primi hanno a che vedere con la legge, i secondi con l’anima. Guai a confondere gli uni con gli altri».
Marsilio definisce le finalità dello Stato con tre termini-chiave rappresentativi: “civili, contingenti e storiche”, e alla base dell’Ordinamento ci deve essere la volontà comune dei cittadini, che è superiore a qualsiasi altra volontà. Secondo lui, a comandare deve essere solo il popolo [la sovranità appartiene - o dovrebbe appartenere - al popolo] o, per meglio dire, quella parte di popolo, da lui chiamata “pars valentior” che, in quanto a saggezza, è meglio dotata rispetto alla plebe incolta; compito dello Stato, scrive Marsilio, è, quindi, quello di allargare il più possibile la “pars valentior” [il gruppo sociale dei più saggi] combattendo contro l’ignoranza: estendendo a tutti l’obbligo di studiare le discipline del Trivio [grammatica, retorica e dialettica] e del Quadrivio [aritmetica, geometria, astronomia e musica] “per diminuire, afferma Marsilio, le possibilità che hanno certi poteri [allude al potere curiale] di plagiare gli animi dei più ignoranti”.
Marsilio ritiene che l’autorità politica non discende da Dio e tanto meno dal papa, ma dal popolo e, in quest’ottica, egli propone che i vescovi vengano eletti da assemblee popolari e che il potere del papa sia subordinato a quello del concilio [non sia teocratico ma sia sinodale]. Il giudizio di Marsilio sulla curia papale è molto negativo e lo manifesta con grande crudezza di linguaggio.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per rendere “la vita sufficiente” [scrive Marsilio da Padova] ci vuole: un adeguato salario, una buona fortuna, una soddisfacente salute, una valente educazione, una aggraziata immagine, un affetto condiviso… Voi come mettereste in ordine di importanza questi elementi?…
Componete per iscritto il catalogo dei “sufficienti”…
Con la guida della città di Siena e navigando in rete andate ad osservare l’affresco dipinto da Ambrogio Lorenzetti tra il 1338 e il 1339 intitolato “Le allegorie del Buono e del Cattivo Governo e i loro effetti” che si trova su una delle pareti della Sala dei Nove del Palazzo pubblico della città del Palio… Questo dipinto è un manifesto che contiene le idee enunciate dal “Defensor pacis” di Marsilio da Padova… Buona osservazione …
Chissà come la signorina Else metterebbe in ordine i vari elementi del catalogo dei “sufficienti”? Credo che, dopo aver letto la lettera della mamma, la signorina Else si metterà, in un certo senso, a fare questo esercizio.
LEGERE MULTUM….
Arthur Schnitzler, La signorina Else
“Bambina mia”. - Prima voglio vedere la chiusa. - “Te lo ripeto ancora una volta, mia buona e cara bambina, non essere in collera con noi. Mille e mille …”. - Per l’amor di Dio, non si saranno mica ammazzati! No, Rudi mi avrebbe telegrafato. -“Bambina mia, sono desolata di guastarti tutt’a un tratto le tue belle vacanze” - Come se non fossi, ahimè, sempre in vacanza - “con una notizia tanto sgradevole”. - Lo stile della mamma è veramente atroce. - “Ma dopo matura riflessione, mi sono persuasa di non avere altra scelta. Insomma, per arrivare al dunque, la situazione di papà si è fatta critica. Non so più che fare, non so come venirne fuori”. - Perché la fa tanto lunga? - “Si tratta di una somma relativamente irrisoria, trentamila fiorini” - Trentamila fiorini, una somma irrisoria? - “che dobbiamo procurarci nel giro di tre giorni, altrimenti tutto è perduto”. - Per l’amor di Dio, che cosa vuol dire? - “Figurati, piccola cara, che il barone Höning” - Come, il procuratore di Stato? - “ha convocato papà nel suo studio stamattina presto. Lo sai anche tu che il barone non solo apprezza molto papà, ma addirittura gli vuol bene. Un anno e mezzo fa, quando come ora eravamo a un pelo dalla catastrofe, ha parlato di persona con i principali creditori di papà e così, per merito suo, all’ultimo momento la faccenda si è sistemata. Ma questa volta, se non si trova il denaro, non c’è assolutamente via d’uscita. E a parte il fatto che noi tutti saremmo rovinati, lo scandalo sarebbe inaudito. Immagina, un avvocato, un celebre avvocato … il quale … no, non riesco neanche a scriverla una cosa simile. Continuo a sforzarmi di non piangere. Tu che sei così intelligente, bambina mia, sai bene che per nostra disgrazia ci è già capitato altre volte di trovarci in situazioni simili, da cui siamo sempre usciti grazie all’intervento dei familiari. Ultimamente si è trattato addirittura di centoventimila fiorini. Ma in quella circostanza papà ha dovuto sottoscrivere una dichiarazione che non avrebbe mai più chiesto l’aiuto dei suoi parenti, e in particolare quello dello zio Bernhard”. - Avanti, continua, dove vuoi arrivare? E io, che c’entro? - “L’unico a cui eventualmente si potrebbe ancora pensare è lo zio Viktor, che però è in viaggio, purtroppo, non so se a Capo Nord o in Scozia” - Se la passa bene quel verme - “e, almeno per il momento, è assolutamente irraggiungibile. Sui colleghi, soprattutto sul dottor Sch., che già più volte si è prodigato per tirare papà fuori dai pasticci” - Signore Iddio, a che punto siamo arrivati - “non si può più far conto da quando si è risposato”. - E allora, si può sapere che cosa volete da me? - “È per questo che la tua lettera, piccola cara, nella quale tra gli altri nomini Dorsday, che alloggia con te al Fratazza, ci è veramente sembrata un segno del destino. Lo sai anche tu che in passato Dorsday veniva molto spesso da noi” - Mah, così spesso non direi - “ed è un puro caso che negli ultimi due o tre anni si sia fatto vedere più raramente; sembra che sia legato a doppio filo con una donna che, detto tra noi, non è certo un tipo finissimo”. - Perché “detto tra noi”? - “Tutti i giovedì al Residenzclub papà fa con lui la sua partita a whist, e lo scorso inverno, difendendolo in una causa contro un altro mercante d’arte, gli ha fatto recuperare una discreta sommetta. Tra l’altro, perché non dovrei dirtelo, già una volta in passato Dorsday ha aiutato papà”. - Questo me l’ero immaginato. - “Si è trattato di una sciocchezza, allora, ottomila fiorini, ma in fin dei conti neanche trentamila sono per Dorsday una gran somma. Per questo ho pensato che tu potresti essere così cara da parlare con lui”. - Cosa? - “In fondo per te ha sempre avuto un debole”. - Non me ne sono mai accorta. Mi accarezzava le guance quando avevo dodici o tredici anni. “Ti sei fatta una signorina, ormai”. - “E siccome per fortuna dopo gli ottomila fiorini papà non lo ha più avvicinato, vedrai che questo atto di amicizia Dorsday non vorrà rifiutarcelo. Dicono che ultimamente abbia guadagnato ottantamila fiorini con la sola vendita di un Rubens in America. Di questo, com’è ovvio, non devi far parola”. - Mi prendi per un’oca, mamma? - “Di tutto il resto, invece, parlagli pure con la massima sincerità. Se ti sembra opportuno, puoi anche dirgli che papà è stato convocato dal barone Höning. E che con trentamila fiorini si eviterebbe il peggio non solo per ora ma, se Dio vuole, per sempre”. - Lo credi davvero, mamma? - Il processo Erbesheimer, infatti, che si presenta sotto splendidi auspici, farà di sicuro guadagnare a papà centomila fiorini, ma è chiaro che in questa fase non si può chiedere nulla alla famiglia Erbesheimer. Ti prego, dunque, bambina mia, parla con Dorsday. Ti assicuro che non c’è niente di male. Certo, papà avrebbe potuto anche telegrafargli, abbiamo pensato seriamente a questa soluzione, ma si sa, piccola mia, che parlare di persona è tutta un’altra cosa. Il denaro dovrà essere rimborsato il sei a mezzogiorno; il dottor F.” - E chi è il dottor F.? Ah già. Fiala - “è inesorabile. Naturalmente i rancori personali hanno avuto la loro parte. Ma trattandosi sfortunatamente del patrimonio di un minore” - Per l’amor del cielo! Papà, che cosa hai combinato? - “questa volta non c’è modo di opporsi. E se alle dodici del giorno cinque il denaro non viene recapitato nelle mani di Fiala, sarà emesso il mandato di cattura che Höning, appunto, si è impegnato a tenere in sospeso fino ad allora. Dorsday dovrebbe perciò spedire un telegramma alla sua banca con l’ordine di versare il denaro al dottor F. Se lo fa, siamo salvi. In caso contrario, Dio solo sa cosa potrà succedere. Credimi, tesoro, tu non ci rimetti niente. Papà all’inizio aveva qualche scrupolo. E ha perfino fatto ancora dei tentativi in due diverse direzioni. Ma poi è tornato a casa in preda alla disperazione” - Che davvero papà sia capace di disperarsi? - “non tanto, forse, a causa del denaro, quanto piuttosto perché la gente si sta comportando con lui in maniera ignobile. Uno dei due a cui papà si è rivolto è stato un tempo il suo migliore amico. Immagini certo di chi sto parlando”. - Non immagino assolutamente nulla. Papà di migliori amici ne ha avuti tanti, e in realtà nessuno. - “Papà è tornato a casa stanotte all’una, e adesso sono le quattro del mattino. Grazie a Dio, si è finalmente addormentato”. - Se non si svegliasse più, sarebbe per lui la cosa migliore. - “Appena possibile, andrò io stessa alla posta e spedirò questa lettera per espresso, in modo che la mattina del tre tu dovresti riceverla”. - Come c’è arrivata, la mamma, a un’idea simile? Son cose in cui di solito non riesce a sbrigarsela. - “Ti supplico, dunque, parla immediatamente con Dorsday e subito dopo manda un telegramma per farci sapere com’è andata. Ma per l’amor del cielo, zia Emma non deve accorgersi di nulla; è già abbastanza triste che in un simile frangente non ci si possa rivolgere alla propria sorella, ma nel mio caso sarebbe peggio che parlare a una pietra. Mia cara, cara bambina, mi dispiace immensamente che tu, giovane come sei, debba essere coinvolta in storie come queste, ma devi credermi, papà è colpevole solo in minima parte”. - E allora, mamma, di chi è la colpa? - “Comunque, speriamo in Dio che il processo Erbesheimer segni sotto ogni aspetto una svolta decisiva nella nostra esistenza. Dobbiamo farcela, non si tratta che di poche settimane. Non trovi che sarebbe una beffa se per questi trentamila fiorini dovesse succedere una disgrazia?”. - Non penserà seriamente che papà si…Ma l’altra eventualità… non sarebbe ancor peggio? - “Ora chiudo, bambina mia, augurandomi che qualsiasi cosa succeda” - Qualsiasi cosa succeda? - “tu possa rimanere in vacanza a San Martino almeno fino al nove o al dieci. Per quel che ci riguarda, non c’è alcun bisogno che tu faccia ritorno a casa. Saluta la zia e, mi raccomando, sii sempre carina con lei. Mia buona e cara bambina, non essere in collera con noi. Mille e mille…” - Ma sì, questo lo so già. Ah, è così, dovrei mungere il signor Dorsday … Pazzesco. Com’è che la mamma si figura la cosa? Perché papà non è venuto di persona? Non aveva che da salire su un treno…e sarebbe arrivato con la stessa velocità dell’espresso. Ma forse, sospettando una fuga, qualcuno alla stazione lo avrebbe…Tremendo! Sempre la stessa storia! Da sette anni a questa parte! No, da prima. Come si riesca a tirare avanti è un mistero. E pensare che in fondo viviamo discretamente. La mamma è davvero formidabile. Il cenone per quattordici persone lo scorso Capodanno… incredibile. Ma in compenso, quante storie per comprarmi due paia di guanti da sera. E quando recentemente Rudi ha avuto bisogno di trecento fiorini, poco è mancato che la mamma scoppiasse in lacrime. Papà invece è sempre di buon umore. Sempre? No. Assolutamente no. L’altra sera all’Opera, durante le “Nozze”, sono rimasta atterrita… il suo sguardo era diventato vuoto, all’improvviso completamente vuoto. Sembrava davvero un’altra persona. Ma poi, durante la cena al Grand Hotel, è stato di nuovo brillante come non mai. Eccomi qui con la lettera in mano. È una lettera veramente pazzesca. Io, parlare con Dorsday? C’è da morire di vergogna… Vergogna? Perché, la colpa non è mica mia… E se invece dicessi tutto a zia Emma? No, è assurdo. È probabile che neanche possa disporre di tanto denaro. Lo zio è talmente spilorcio. Dio santo, perché non ho soldi, io? Perché non ho mai guadagnato niente? Perché non ho imparato niente? Oh, qualcosa ho imparato, invece. Suono il pianoforte, conosco il francese, l’inglese e perfino un po’ di italiano, ho frequentato un corso di storia dell’arte…E se anche avessi imparato qualcosa di più furbo, a che mi servirebbe? In nessun caso avrei potuto risparmiare trentamila fiorini …
Il tramonto è finito. L’incanto della serata è spezzato. Il paesaggio è triste. No, non il paesaggio, la vita è triste. Io sono seduta tranquillamente sul davanzale della finestra. E intanto papà sta per essere arrestato. No. Mai e poi mai. Non deve succedere. Io lo salverò. È semplicissimo, in fondo. Due paroline dette con nonchalance, ma sì, “altera” come sono mi verranno spontanee … - Signor von Dorsday, avrebbe un minuto da dedicarmi? Ho ricevuto proprio adesso una lettera della mamma, sa, al momento si trova in una impasse… anzi, veramente è il papà… “Ma certo, signorina cara, con grande piacere. Di quanto si tratta?”. - Se solo non mi fosse così antipatico. E poi, ha un modo di guardarmi che … No, signor Dorsday, non c’è niente di lei che mi convinca: né la sua eleganza né il suo monocolo né il suo titolo nobiliare. Anziché in quadri antichi, potrebbe trafficare in abiti usati. - Ma Else! Perché pensi certe cose? - Oh, non importa, tanto me lo posso permettere. Nessuno me lo legge in faccia. … L’aria è come champagne. Tra un’ora servono la cena. Il “dinner”. Quella Cissy non la posso soffrire. Della sua bambina non si occupa affatto. Che vestito mi metto? Quello blu o quello nero? Forse stasera il nero è più adatto. Non sarà troppo scollato? Toilette de circonstance, la chiamano nei romanzi francesi. Comunque, quando parlo con Dorsday devo essere affascinante. Dopo il “dinner”, con nonchalance. I suoi occhi si tufferanno nella mia scollatura. Che individuo ripugnante. Lo odio. Odio il mondo intero. Dev’essere per forza Dorsday? E se parlassi con Paul? Se Paul dicesse alla zia che deve pagare un debito di gioco, lei di sicuro gli procurerebbe il denaro. È quasi buio ormai. Notte, notte sepolcrale. Quanto mi piacerebbe essere morta. Macché, non è vero affatto. E se scendessi subito e parlassi con Dorsday prima di cena? Oh, che orrore! - Paul, dammeli tu i trentamila fiorini, e avrai da me tutto ciò che vorrai. Ci risiamo, è di nuovo una frase da romanzo. La nobile fanciulla si sacrifica per l’amato genitore e alla fin fine la cosa non le dispiace. Che solenne schifezza! No, Paul, non avrai niente da me, neanche per trentamila fiorini. Nessuno avrà niente. E se fosse un milione? O un palazzo? O un vezzo di perle? Il giorno che mi sposo, lo farò probabilmente per meno. In fondo anche Fanny si è venduta. Me l’ha detto lei stessa che il marito le fa ribrezzo. - Che ne diresti, papà, se stasera mi vendessi al miglior offerente? Per salvarti dalla galera. Che scena sensazionale!…- Se Fred fosse qui, potrebbe darmi un consiglio? Non ho bisogno di consigli. … Parlerò con il signor Dorsday, gli spillerò quel denaro, io, l’altera, l’aristocratica, la marchesa, l’accattona, la figlia del truffatore. Come potrò riuscirci? Quando si tratta di scalare una montagna, non mi batte nessuno, nessuno ha il mio fegato…dovevo nascere in Inghilterra, io, o se no contessa. …
Non è blasfemo dire che la signorina Else si sta accingendo a percorrere la sua “via crucis”, se non altro siamo nel periodo adatto. E ora terminiamo questo itinerario pre-pasquale tornando ad utilizzare il “rasoio di Ockham”.
Una delle affermazioni del “rasoio di Ockham” [una delle rasoiate] che dice: «Si fa inutilmente con molte cose ciò che si può fare con poche cose [Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora]» Guglielmo la applica ai rapporti tra lo Stato e la Chiesa. Guglielmo di Ockham parte da un’idea che trova riscontro nel Libro dei Salmi, l’idea del “dominium in communi” [il potere è dato a tutti], per cui il potere è concesso a tutti gli esseri umani da Dio e, quindi, tutte le persone hanno pari diritti. Guglielmo costruisce la propria teoria politica su questa base - avvalorata anche da un’altra sua rasoiata: «Non moltiplicare gli elementi più del necessario [Non sunt moltiplicanda entia sine necessitate]» - e, quindi, non ritiene possibile un’estensione del potere papale che riduce quanto Dio ha concesso a tutte le persone.
Se il papa estende i suoi poteri, afferma Guglielmo, questa “estensione” significa moltiplicare i privilegi e le eccezioni tanto da permettere al papa di poter interferire negli affari imperiali perché diventa “l’intermediario” tra Dio e l’imperatore. Guglielmo di Ockham auspica che la Chiesa, per il suo bene, abbia pochi diritti in campo politico [basta il diritto di poter liberamente proclamare il messaggio salvifico del Vangelo fondato sulla passione, sulla morte e sulla risurrezione di Gesù] e accusa apertamente il papa e i curialisti di quattro eresie.
La prima eresia, afferma Guglielmo, è quella di avere equiparato “il potere petrino” [di Pietro] a quello “divino”, permettendo al papa di intromettersi arbitrariamente nella gestione dell’Impero e degli Stati. La seconda eresia, sostiene Guglielmo, è quella di affermare che il papa [sta scritto nella bolla Unam Sanctam] può comandare quanto Dio chiese ad Abramo nel versetto 2 del capitolo 22 del Libro della Genesi: «Prendi tuo figlio Isacco, il tuo unico figlio, che tu ami molto, va’ nel territorio di Moria. Là, su un monte che io ti indicherò, lo offrirai a me in sacrificio», dando al papa il potere di vita o di morte su tutte le creature. La terza eresia, afferma Guglielmo, è quella di affermare che il papa ha il potere di istituire nuovi sacramenti. La quarta eresia, afferma Guglielmo, è quella di affermare che il papa ha il diritto di privare i re dei loro regni [solo il popolo ha questa prerogativa].
Guglielmo di Ockham afferma che il papa compie un arbitrio quando interpreta, senza fare le dovute eccezioni, il contestatissimo versetto 19 del capitolo 16 del Vangelo secondo Matteo dove Gesù dice a Pietro [che ha riconosciuto in Gesù il Messia]: «Io ti darò le chiavi del regno di Dio: tutto ciò che sulla terra dichiarerai proibito, sarà proibito anche in cielo; tutto ciò che tu permetterai sulla terra, sarà permesso anche in cielo»: ebbene, Guglielmo di Ockham mette in evidenza il fatto che questo enunciato, introdotto con il Concilio di Nicea, pur essendo stato proferito “in generale [generaliter]”, trova poi, nel testo dello stesso Vangelo di Matteo una serie di precisazioni “in particolare [singillātim]” per cui, afferma Guglielmo, non possiamo in alcun modo intendere questa proposizione “senza che ci siano delle eccezioni [sine omni exceptione]”; di conseguenza, il papa [come ha fatto, a suo tempo, Bonifacio VIII e come sta facendo Giovanni XXII] non può proclamare la propria “plenitudo potestatis” [la pienezza assoluta del suo potere] e, ad equilibrare la situazione, afferma Guglielmo, bastano i versetti dal 18 al 22 del capitolo 22 del Vangelo secondo Matteo: «Chiesero a Gesù se la Legge permetta di pagare le tasse all’imperatore romano. Gesù disse: “Ipocriti! Fatemi vedere una moneta”. Gli portarono una moneta d’argento, e Gesù domandò: “Questo volto e questo nome scritto di chi sono?”. Gli risposero: “Dell’imperatore”. Allora Gesù disse: “Dunque date all’imperatore quel che è dell’imperatore, ma quello che è di Dio datelo a Dio!”. A queste parole se ne andarono via stupiti.». Per questo il papa - che pensa di poter leggere il Vangelo a suo uso e consumo, afferma Guglielmo, applicando il suo “rasoio politico” - deve limitare il proprio potere temporale allo stretto necessario e deve trovare le modalità giuste per esprimere il suo potere legittimo che è quello di proclamare il messaggio salvifico della resurrezione di Gesù.
E ora celebriamo la Pasqua puntando l’attenzione sul concetto di “risurrezione”. Nel Libro dei Salmi e nel Libro del Siracide, afferma Guglielmo, l’idea della “risurrezione” è paragonata all’idea “dell’acquisizione della Sapienza” e, difatti, nei testi di questi Libri c’è un invito rivolto alla persona perché si liberi dalla schiavitù dell’ignoranza e non perda mai la volontà d’imparare: «Se ci libereremo dal dominio dell’ignoranza, scrive il salmista, non avremo che da perdere le nostre catene e sarà come liberarsi dal dominio della morte [sarà una risurrezione]».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Utilizzando il volume della Bibbia che avete nella vostra biblioteca domestica leggete dal versetto 13 al versetto 30 del capitolo 51 del “Libro del Siracide”, e sappiate che “la Sapienza è vicino a chi la cerca”…
Aveva ragione papa Gregorio Magno - il fondatore nel VI secolo della Regole benedettina - a scrivere nei suoi Dialoghi che: «Studiare significa cominciare a risorgere». E, con questo ammonimento, spero che, tutte e tutti voi [che rappresentate l’Anima intellettualmente immortale della Scuola] passiate una buona Pasqua di studio!
Ci rivediamo tra quindici giorni e, nell’attesa di ricominciare a viaggiare, mi auguro che possiate “far ruzzolare l’uovo in santa Pace” perché - come abbiamo studiato questa sera - a ciascuna e a ciascuno di noi tocca il compito di essere “defensor pacis”: di essere “beate e beati costruttori di Pace”.
Buona Pasqua di studio: studiare significa cominciare a risorgere…