Prof. Giuseppe Nibbi La sapienza poetica e filosofica dell’età umanistica 20-21-22 aprile 2016
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ UMANISTICA
IN CINA, DALLA SINTESI CONFUCIANA, NASCE L’IDEA DEL T’AI CHI ...
Questo è il ventiquattresimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età umanistica” e [come sapete] siamo ancora in Oriente. Come certamente ricorderete, la scorsa settimana abbiamo studiato che cosa avviene in Giappone nel XII e nel XIII secolo durante il periodo che corrisponde all’autunno del Medioevo, quando le idee buddiste originarie [che abbiamo ripassato nel corso dell’itinerario di due settimane fa] vengono sottoposte ad un processo di trasformazione. Nel corso di questo processo di trasformazione si formano tre correnti di pensiero: la prima corrente si chiama amidista [e fiorisce con i maestri Honen Shonin e Shinran, che abbiamo incontrato due settimane fa e dei quali abbiamo studiato il pensiero], poi si sviluppa il movimento [o per meglio dire: l’atteggiamento] zen [con le Scuole rinzai (rinnovamento) e soto (il lampo)] e inoltre emerge la corrente legata alla dottrina di un maestro che si chiama Nichiren Daishonin [e ricorderete che dell’atteggiamento zen e della Scuola di Nichiren ce ne siamo occupate ed occupati la scorsa settimana].
Adesso siamo in procinto di ritornare verso Occidente e lasciamo il Giappone ma, strada facendo, dobbiamo fare una sosta in Cina dove l’autunno del Medioevo ha prodotto buoni frutti nell’orto di Confucio, e non vorrei che i Cinesi del XII secolo se ne avessero a male se noi questi frutti non li assaggiamo, e poi perché non li dovremmo assaggiare visto che sono maturi e che ci vengono offerti?
Naturalmente per poter riconoscere il sapore dei frutti [perseveriamo con questa metafora] che maturano nel giardino di Confucio noi dobbiamo rinfrescarci la memoria in relazione a questo personaggio, alla sua Opera e al suo pensiero altrimenti non possiamo comprendere la corrente culturale che si sviluppa in Cina durante l’autunno del Medioevo e che prende di nome di “sintesi confuciana”.
Come per rincontrare l’Illuminato di Benares, Gotamo Siddharta, il Budda, così per rincontrare Confucio dobbiamo fare un passo indietro fino all’Età assiale della storia, un passo indietro di circa 2500 anni, un tempo che corrisponde alla nostra età mentale. L’opera di Confucio prende forma sulla scia del pensiero cinese delle origini: quali sono le caratteristiche fondamentali del pensiero cinese delle origini?
Il pensiero cinese si sviluppa nel corso dell’Età assiale della storia, principalmente nella regione bagnata dal Fiume Giallo [Hoang-Ho], e questa vasta regione è stata uno dei più importanti centri dell’evoluzione della specie umana.
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Seguite il corso di questo grande fiume sull’atlante geografico e navigando in rete utilizzando una carta della Cina…
Le ricerche archeologiche ci rivelano che già circa cinquecentomila anni fa la valle del fiume Giallo era abitata dalla specie “homo”, ed esiste un importante documento fossile: “l’homo pekinensis”, detto più comunemente “sinanthropus” [uomo della Cina]. Attorno al terzo millennio a.C., in contemporaneità con quella indiana, con quella egizia e sumerica, fiorisce, nella regione cinese attraversata dal fiume Giallo, una civiltà di alto livello, a giudicare dai reperti venuti alla luce di recente, e i ritrovamenti archeologici danno una precisa fisionomia alla cultura cinese delle origini e mettono in evidenza due elementi fondamentali: la razionalità che rivela un carattere molto pratico e il senso morale centrato più sul gruppo che sull’individuo. Nel pensiero cinese dell’Età assiale la razionalità tende a combaciare con la tecnologia [in Cina si fanno molte invenzioni utili] e il ben-essere sociale viene considerato più importante del benessere individuale.
I miti cinesi narrano le origini dell’impero [di un organismo umano] attraverso una vasta rete di racconti leggendari fatti risalire addirittura al quinto millennio a.C.. Le leggende descrivono l’origine dell’impero come una serena età dell’oro, promossa e tutelata non da divinità ultraterrene ma da imperatori virtuosi e geniali, come il capostipite Fu-Hsi, che avrebbe inventato l’alfabeto, considerato la prima grande invenzione della civiltà, o come il suo successore Yü, ingegnere idraulico che avrebbe domato le disastrose inondazioni e programmato le canalizzazioni.
Questo umanesimo tutto terreno, senza inquietudini mistiche, è basato su un’idea che possiamo considerare l’idea madre della saggezza cinese. Secondo l’idea madre della saggezza cinese tra le vicende dell’essere umano e quelle del cosmo fisico c’è una correlazione, c’è un rapporto, c’è un legame, c’è un collegamento così stretto che, come i terremoti, le inondazioni, le tempeste turbano la società, così i comportamenti umani, nel bene e nel male, si riflettono sul corso stesso della natura: se gli esseri umani si comportano male [in modo malvagio] provocano un disordine non solo nella società ma anche nella natura, e partecipano a costruire le cause del degrado ambientale con tutte le conseguenze che comporta. Questa simmetria dinamica tra il mondo mentale del soggetto umano e il mondo esteriore è governata da un principio universale, e questo principio universale viene chiamato Tao [i Greci direbbero Logos] e questo termine viene comunemente tradotto con l’espressione “la legge della natura”. Il Tao [la legge della natura] è dotato di una sua energia vitale chiamata Te.
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Il termine Te ha anche dato il nome alla famosa bevanda: il tè… Quello del tè è un rituale che si ripete puntualmente: con chi avete bevuto un tè ultimamente?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Non c’è aspetto della civiltà classica cinese che non rifletta questa reciprocità, questo scambio tra il mondo mentale della persona e il cosmo fisico e, a questo proposito, uno dei prodotti più significativi è l’alfabeto cinese che consiste in raffigurazioni stilizzate degli oggetti [e se ne contano a migliaia] con l’obiettivo di costruire combinazioni simboliche in modo da esprimere concetti astratti.
La cultura cinese fin dalle origini è basata sulla convinzione che esista un’unità fondamentale tra lo spirito e la natura, e l’unità fondamentale tra le Leggi dello spirito e quelle della natura ha la sua più alta espressione visibile nella persona dell’imperatore, la cui autorità non scende dagli dèi ma [per così dire] sale dalle armoniose ramificazioni dell’universo, e il corrispettivo alfabetico dell’imperatore è un segno composto di tre linee orizzontali parallele tagliate da una linea trasversale e questo a significare che i tre regni - infernale, terreno e celeste - sono soggetti al potere dell’imperatore, che è l’incarnazione del Tao, del principio universale che governa tanto il mondo dello spirito quanto il mondo della natura. La convinzione che ogni cosa, e ogni sua modificazione, siano interne a un sistema di corrispondenze tra lo spirito e la natura ha modellato l’intera cultura cinese compresa la cultura medica il cui metodo dell’agopuntura [che risale ad un’età antichissima] ha sempre risvegliato molto interesse.
All’idea che l’universo sia un sistema di correlazioni tra lo spirito e la natura con al centro il Tao [la legge di natura] bisogna aggiungere la dottrina sulle due forze che agiscono nell’intero organismo cosmico e in ogni sua minima parte: lo Yin, che corrisponde al versante ombroso delle montagne, all’inverno, al freddo, al principio femminino, e lo Yang che corrisponde al versante assolato delle montagne, all’estate, al caldo, al principio maschile. I due principi toccano il culmine della loro separatezza rispettivamente nell’inverno e nell’estate, ma nella realtà non sono mai separati, perché è dal diverso dosaggio tra la loro contrapposizione e la loro compenetrazione che traggono forma e movimento tutte le cose.
Tutta la sapienza cinese delle origini è scritta in cinque libri canonici: I-Ching [i Libri] e l’operazione culturale di raccolta e di scrittura avviene circa 2500 anni fa [durante l’Età assiale della storia] sotto il patrocinio della dinastia Chou che governa la Cina dal 1122 a.C. al 256 d.C.. I cinque libri canonici del pensiero cinese s’intitolano: Il libro delle mutazioni [I-Ching] che è un testo di arte divinatoria, Il libro delle storie [Shu-Ching], Il libro delle canzoni [Shi-Ching], Il canone dei riti [Li-chi], Le primavere e gli autunni [Chun-tsiu]. Secondo la tradizione, l’ultimo libro, Le primavere e gli autunni [Chun-tsiu], sarebbe opera di Confucio, a cui si dovrebbe anche il riordinamento definitivo di tutti gli altri libri, e Confucio lo stiamo per incontrare.
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L’intera cultura cinese è dominata dall’idea della corrispondenza e il termine “corrispondenza” è legato ad un catalogo di parole significative: uguaglianza, somiglianza, simmetria, correlazione, riscontro, fedeltà, interdipendenza, equilibrio…
Quale di queste parole mettereste per prima ? …
La “corrispondenza” è anche il modo di comunicare per iscritto… C’è una persona con la quale siete in corrispondenza?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Attorno ai Ching [ai Libri] si è sviluppata una tradizione esegetica [d’interpretazione e di commento] che è rimasta privilegio di una categoria di scrivani [Confucio è uno di essi] detti “letterati” che sono i soli a conoscere la lingua arcaica ormai incomprensibile al popolo, e sono loro che educano alle future mansioni i giovani nobili destinati a responsabilità di governo. Nel VII secolo a.C. l’unità dell’impero cinese si allenta: comincia un processo di disgregazione dello Stato determinato da una catena di sanguinose guerre civili e i “letterati” si disperdono nelle varie province che diventano tanti piccoli Stati. In questi staterelli, i “letterati” danno vita a vere e proprie Scuole, tanto che, nella storiografia cinese, questo viene chiamato “il periodo delle Cento scuole”.
Gli orientamenti culturali dominanti nelle Scuole sono due: il taoismo e il confucianesimo. Il taoismo s’ispira a un’esigenza di disimpegno dagli affanni della vita sociale in nome di una ricerca interiore del Tao, del principio universale, della legge della Natura. Il confucianesimo presenta invece l’esigenza di opporsi al caos sociale determinato dalla disgregazione dell’impero e si propone di ristabilire l’antico ordine tradizionale basato sul rigore morale e sul rispetto delle gerarchie familiari e politiche.
Quando viene meno l’autorità centrale della dinastia Chou i molti piccoli Stati che si formano sono rissosi tra loro e governati da apparati feudali molto corrotti, ed era necessario, quindi, riprendere in mano il filo delle tradizioni per ricostruire, in modo razionale, il tessuto del vivere comune, un tessuto nel quale fossero ben determinati i ruoli della singola persona all’interno degli organismi sociali, dalla famiglia alla corte, e in questa ricostruzione della razionalità politica si è impegnato Confucio che è stato, di volta in volta, considerato sia un innovatore che un restauratore. Chi è Confucio e in che cosa consiste il suo pensiero?
Kong-fou-tseu, detto Confucio dalla forma latinizzata Confucius, introdotta dai gesuiti nel XVI secolo, nasce nel 551 a.C. in un villaggio di Lu, uno dei regni in cui si era, da più di un secolo, disgregato l’impero cinese. La madre lo educa rigorosamente alle tradizioni e Confucio detiene fin da giovane cariche pubbliche fino a diventare nel 505 a.C. governatore della capitale di Lu e successivamente ministro dei lavori pubblici, della giustizia e infine cancelliere del regno. Per sottrarsi alle calunnie e agli intrighi della corte - altri dicono perché era diventato insopportabile per la sua pedanteria - lascia la sua città e, per tredici anni, insieme ad alcuni discepoli, viaggia come pellegrino negli altri regni dell’impero, esponendo la sua riforma morale e politica. Quando torna a Lu dedica gli ultimi tre anni della sua vita [muore nel 479 a.C.] all’insegnamento con grande successo: si dice che circa tremila discepoli abbiano frequentato la sua Scuola.
Confucio non ha lasciato nulla di scritto, ma la tradizione lo vuole compilatore di libri storici, e dell’ultimo dei cinque libri canonici intitolato Le primavere e gli autunni [Chun-tsiu]. L’insegnamento di Confucio ha dato vita a una lunga tradizione culturale che si concretizza nella cosiddetta “Scuola dei letterati” e i letterati confuciani hanno fatto del confucianesimo l’ideologia dominante della Cina e una particolare “sintesi confuciana” è stata fatta [come vedremo] nel corso dell’autunno del Medioevo.
Nel VII secolo d.C. un collegio di letterati scrive una serie di Opere che contengono il pensiero di Confucio [attribuite a Confucio] e da allora, ai cinque libri canonici della Cina, si sono aggiunti i quattro classici libri confuciani: I Dialoghi, La Pietà Filiale, Il Grande Studio, L’Invariabile Mezzo, e i Dialoghi di Meng-tzu [Mencio, un nome che dalle nostre parti corrisponde ad un aggettivo che indica poca rilevanza]. Il letterato Meng-tzu [372-289 a.C.] aveva elaborato, duecento anni dopo la morte del maestro, I Dialoghi di Confucio sotto una nuova forma.
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In biblioteca potete leggere qualche pagina del testo delle Opere di Confucio, e potete trascriverne qualche frammento che ritenete interessante…
Confucio con il suo pensiero rinnova la società cinese recuperando le tradizioni e riempiendole di un nuovo spirito. Confucio diceva di sé e del suo pensiero: «Io commento, io chiarisco le opere antiche, ma non invento nulla di nuovo». Ed è proprio Confucio, con il suo insegnamento, che umanizza le origini preistoriche dell’Impero cinese facendo degli imperatori non degli dèi capricciosi e crudeli ma degli esseri umani saggi e virtuosi.
Secondo Confucio tocca alla nobiltà, ormai spogliata di molti suoi privilegi, ridar vita alla virtù che, nei tempi mitici, splendeva alla corte degli imperatori. Poco conta, però, la nobiltà di sangue - ed ecco l’innovazione confuciana - ma vale la nobiltà d’animo perché nobili non si nasce ma si diventa e un contadino saggio e virtuoso è nobile, afferma Confucio, un feudatario capriccioso e crudele è ignobile, ribadisce Confucio. Confucio si tiene fuori da arditi ragionamenti teorici perché il suo pensiero coltiva idee pratiche e politiche.
Secondo la corrente taoista [avversaria di Confucio] il Tao è una via che non si può nominare, che non può esser tradotta da nessuna logica, da nessuna regola e, quindi, il taoismo s’ispira a un’esigenza di disimpegno dagli affanni della vita sociale. Per Confucio, invece, il Tao è “l’insieme ordinato dei nomi” e cioè dei ruoli che ogni nome esprime e che si trovano codificati, secondo la tradizione, nei “libri canonici”, per cui la società funziona bene se ognuno “onora il proprio nome” cioè se “svolge bene il proprio ruolo”, e funziona bene se ogni ruolo, anche il più umile, viene valorizzato perché è dal bene comune che deriva il bene dei singoli. Confucio intende affrontare il problema del buon governo e del ben-essere della società impegnandosi a “rettificare ogni nome”, vale a dire assumendosi la responsabilità di “delineare bene le regole di ogni ruolo”. E per questo Confucio si dedica a commentare con scrupolo i libri canonici [I Ching] per cercare nella tradizione le norme che regolano ogni ruolo in modo che ciascuna persona possa assolvere alle proprie mansioni con rettitudine.
L’ultimo dei cinque libri canonici, intitolato Le primavere e gli autunni, che viene, secondo la tradizione, attribuito a Confucio, è un libro storico nel senso che è un libro di annali in cui, cronologicamente, si racconta, in modo leggendario, la storia più remota [la mitica Età dell’oro] della Cina e dei primi imperatori. La storia è, per Confucio, lo specchio in cui l’umanità può conoscere se stessa o, più precisamente, può comprendere il vero senso dei nomi e la vera utilità dei ruoli che vanno interpretati con rettitudine.
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Quando, dove, come e perché pensate di aver svolto il vostro ruolo con rettitudine e credete ne sia valsa la pena oppure non ne sia valsa la pena?…
Svolgete il vostro ruolo di scrivane e di scrivani con rettitudine: bastano quattro righe…
Leggiamo, a questo proposito, un frammento da I Dialoghi di Confucio.
LEGERE MULTUM….
Confucio, I Dialoghi
Se i nomi non vengono rettificati - se non si conoscono le regole per assolvere al proprio ruolo - le parole non sono in accordo con la realtà delle cose; se le parole non sono in accordo con la realtà delle cose, gli affari non possono essere portati onestamente a compimento, i riti e la musica non vengono coltivati; se i riti e la musica non vengono coltivati, le correzioni non vengono fatte al modo giusto; se le correzioni non vengono fatte al modo giusto, le persone non sanno come muovere le mani e i piedi. Perciò il saggio nomina solo ciò di cui può parlare, parla solo di ciò che sa fare: nelle parole del saggio deve rispecchiarsi la rettitudine. …
Attraverso questi ragionamenti, attraverso queste riflessioni il confucianesimo costruisce un vastissimo catalogo di regole e di prescrizioni che spesso, però, finiscono per rasentare la pedanteria. Se ciascuno osserva tutte le prescrizioni date assicura il retto andamento tanto della società quanto della natura, e in cinese per definire il complesso delle prescrizioni e l’insieme delle regole da rispettare viene usato il termine “Li”. Se per i taoisti l’individuo supera i propri squilibri dimenticando se stesso per identificarsi con il Tao, con la legge della natura, per Confucio il superamento del disordine si raggiunge uniformandosi alle regole della società, con il Li.
Confucio fonda una sorta di religione laica che richiede il rispetto minuzioso dei riti pubblici per cui lo Stato, con le sue strutture, è l’immagine di un tempio, una religione che richiede poi la celebrazione rigorosa dei riti familiari che esprimono, soprattutto, il culto degli antenati. Per Confucio, molto più che per qualsiasi altro pensatore, l’essere umano è un “animale sociale”.
La società esaltata da Confucio si deve rispecchiare in un ideale esclusivamente morale, che lui chiama “jen”, termine difficile da tradurre in concetti occidentali ma per farlo potremmo usare il termine “umanesimo”. La persona, se vuole contribuire al bene della società, deve tendere a realizzare lo “jen”, e possiamo paragonare lo “jen” all’ideale latino della “humanitas” o a quello greco del “kalós ka àgathos” [la fusione di bellezza e di bontà], o possiamo chiamare in causa, per definire lo “jen”, i concetti di benevolenza, decoro, simpatia umana. La persona che possiede lo jen, si legge ne I Dialoghi di Confucio: «Dal desiderio di affermare se stessa è portata ad affermare gli altri e solo sviluppando gli altri sviluppa se stessa». La regola centrale dello jen è letteralmente identica alla norma evangelica che dice: «Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te; fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te». Ma questa simmetria tra l’io e gli altri, nel confucianesimo, consiste in uno scambio di gentilezze tra persone sagge e benevole, dentro i limiti dell’equilibrio, e non comporta affatto lo “squilibrio” della carità evangelica, che suggerisce di rendere bene per male e di amare coloro che ci perseguitano. Ogni eccesso, anche quello della virtù, è in contrasto con la norma suprema dell’etica confuciana, quella del “tsong-yong” [il giusto mezzo], che troviamo anche nell’Etica di Aristotele e nella “aurea mediocritas” [l’equilibrio dei sentimenti] di Orazio.
Per assicurare la serenità d’animo e per dissipare il disordine sociale è utile agire secondo “il giusto mezzo” [tsong-yong] e, quindi, la persona deve trovare la misura adatta, deve cercare l’equilibrio, usare la moderazione, comportarsi con rettitudine.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Nel pensiero cinese delle origini la parola “rettitudine” ha un posto centrale e da essa derivano molti altri termini significativi: onestà, probità, giustizia, lealtà, integrità, correttezza, incorruttibilità, irreprensibilità, chiarezza, semplicità, trasparenza, schiettezza, sincerità… Quale di queste parole mettereste per prima accanto alla parola “rettitudine”?…
Scrivetela…
Ma c’è un’altra parola fondamentale nel pensiero cinese di stampo confuciano, ed è la parola “memoria”, una parola che abbiamo già incontrato molte volte nel corso di questo viaggio. La memoria è, per Confucio, lo strumento con cui l’umanità può conoscere se stessa e, più precisamente, il mezzo con cui l’umanità può rievocare il vero senso dei nomi, può ricostruire la vera utilità dei ruoli. Confucio ribadisce che la parola “memoria” è direttamente collegata alla parola “storia”, e che il primo fondamentale meccanismo propulsore della Storia della Cultura e del Pensiero è “la memoria”.
E, in proposito, leggiamo alcuni frammenti significativi da I Dialoghi di Confucio.
LEGERE MULTUM….
Confucio, I Dialoghi
Confucio disse: - Se il saggio manca di memoria non è rispettato, la sua cultura non è solida. Egli considera essenziali la lealtà e la sincerità, non ha amici che non siano simili a lui, se sbaglia non teme di correggersi.
Confucio disse: - Il saggio non cerca la sazietà nel mangiare né la comodità nella dimora. Egli è accorto nel fare e prudente nel dire, segue chi è sulla Via per correggersi, segue chi è sulla Via della memoria. Così può dirsi amante del sapere.
Confucio disse: - Ricordo che a quindici anni la mia volontà fu rivolta allo studio, ricordo che a trenta fui fermo nei propositi, ricordo che a quaranta non ebbi più incertezze, ricordo che a cinquanta compresi i decreti del Cielo, ricordo che a sessanta il mio orecchio divenne un organo obbediente perché fu capace di ascoltare, ricordo che a settanta seguii i desideri del mio cuore senza uscire di squadra, senza perdere la memoria.
Confucio disse: - Il saggio è universale e non smemorato, l’uomo volgare è smemorato e non universale.
Confucio disse: - Dedicarsi a coltivare la memoria è incamminarsi sulla Via della rettitudine. …
Ora che abbiamo ripassato il pensiero confuciano delle origini dobbiamo prendere atto dello sviluppo che questo pensiero ha avuto nel corso dell’autunno del Medioevo in Cina, ma prima abbiamo una missione da compiere - in funzione della didattica della lettura e della scrittura - sulla scia delle parole-chiave “ruolo e rettitudine” perché se c’è una persona che ha perso la dimensione del suo ruolo [e forse questa persona si sta domandando inconsciamente che ruolo abbia in realtà nella società in cui vive] e se c’è una persona che si domanda se esista a questo mondo [nel suo mondo] una via della rettitudine questa persona è proprio la signorina Else: la protagonista del romanzo omonimo di Arthur Schnitzler [pubblicato nel 1924 a Vienna] che stiamo leggendo da quattro settimane. Sappiamo che sono altri - sua madre, suo padre, sua zia Emma, il cugino Paul, l’amate del cugino la signora Cissy, il signor von Dorsday - a pretendere che Else, a seconda delle richieste, assuma ruoli imbarazzanti, e difatti la sua repulsione per ciò che, in vario modo, le viene chiesto è forte, ma lei cerca di adattarsi alle situazioni fino ad assumere il ruolo di “vittima immolata”. Per attuare la salvezza è sempre necessaria una vittima da immolare.
Sappiamo che la viennese signorina Else, mentre si trova in vacanza a San Martino di Castrozza con la zia Emma e il cugino Paul, riceve una lettera-espresso dalla madre la quale la invita, in modo piuttosto ambiguo, a chiedere un prestito di trentamila fiorini al signor von Dorsday per salvare il padre, celebre avvocato, il quale ha commesso un abuso: ha utilizzato i soldi di un minore di cui è il tutore per pagare i suoi debiti di gioco, e se non restituisce la somma estorta entro tre giorni al dottor Fiala verrà arrestato. Il signor von Dorsday è un mercante d’arte ed è un amico di famiglia - che ha già soccorso il padre di Else in altre occasioni - e si sa che è molto attratto dalla bellezza della signorina Else e, difatti, è disposto a versare la cifra richiesta a patto che lei si mostri nuda ai suoi occhi per un quarto d’ora o in camera sua o in una radura nel bosco. La signorina Else è costretta a prendere in considerazione questa proposta indecente che lei potrebbe anche soddisfare ma sa che è una sorta di ricatto, di ripicca: più che altro è una sfida che il signor von Dorsday vuol vincere indipendentemente dall’oggetto della richiesta perché non sopporta che Else sia una ragazza “altera e caparbia”, non è tanto la nudità ma è piuttosto la sottomissione che il signor von Dorsday pretende. Else accetta la sfida ma vuole rovinargli la vittoria ingaggiando una sorta di duello “mortale”: perché mostrarsi nuda solo a lui quando potrebbe mostrarsi nuda a tutti? Nel frattempo Else riceve un telegramma dalla madre in cui si dice che la somma da richiedere è salita a cinquantamila fiorini, al che Else comincia a maturare l’idea perversa che, forse, sarà più facile per lei ottenere ciò che chiede da morta piuttosto che da viva: ha una scatola di un barbiturico in bustine, il veronal, e, da una parte rifugge l’idea del suicidio mentre dall’altra è attratta dall’idea di una soluzione plateale.
Leggiamo ogni intimo pensiero della signorina Else.
LEGERE MULTUM….
Arthur Schnitzler, La signorina Else
E poi c’è il veronal. No, il veronal no … perché dovrei? Poi c’è la villa con la scala di marmo, e i bei giovanotti, e la libertà, e il grande, vasto mondo! Laggiù penseranno che sono impazzita. E invece sono saggia come non mai. Per la prima volta in vita mia sono veramente saggia. Tutti mi devono vedere, nessuno escluso! … Dopo per me non ci sarà ritorno, non potrò più andare a casa dal papà e dalla mamma, dagli zii e dalle zie. Dopo non sarò più la signorina Else da maritare possibilmente con il signor W., o con un altro direttore della sua specie; tutti li avrò beffati, ma in primo luogo quel farabutto di Dorsday … sarò diversa, dopo, come rinata una seconda volta…altrimenti tutto inutile, indirizzo rimane Fiala. Non c’è tempo da perdere, smettila di comportarti da vile. Giù il vestito. Che vita di sogno. Via le calze, tenerle sarebbe un’indecenza. Nuda, completamente nuda. Chissà Cissy come mi invidia. E certo non è l’unica. Ma quelle come lei non osano. Anche se lo farebbero volentieri, eccome se lo farebbero. Prendete esempio da me. Io, la vergine, oso. Riderò a crepapelle nel vedere la faccia di Dorsday. Eccomi, signor von Dorsday. Vada diritto alla posta, adesso. Cinquantamila. Non trova anche lei che li valgo? Guardatemi, o monti! Guardami, o cielo, come sono bella! Lo so, siete ciechi voi. Non potete vedermi. Quelli da basso, invece, hanno occhi per guardare. Devo sciogliermi i capelli? No. Sembrerei una pazza. E io non voglio che mi prendiate per una pazza. Soltanto per una svergognata. E per una canaglia. Dov’è il telegramma? Dove l’ho messo il telegramma? Ah, eccolo lì, in pacifica compagnia del veronal. Spedito da Vienna alle sedici e trenta. No, non sto sognando, è tutto verissimo. I miei sono in attesa di cinquantamila fiorini. E anche il signor von Dorsday è in attesa. Che aspetti, non c’è fretta. Oh, come mi piace passeggiare tutta nuda su e giù per la stanza. Sono davvero così bella come appaio nello specchio? Ma è più che naturale, dal momento che sto per nascere una seconda volta. Perché la Else di prima è morta. Sì, senza dubbio ormai sono morta. Non c’è bisogno del veronal. Non sarebbe meglio che lo gettassi via? Potrebbe berlo per sbaglio la cameriera …La cosa migliore sarebbe che così come sono corressi lungo il corridoio e mi precipitassi giù per le scale. Macché, non è possibile, devo avere la certezza assoluta che il signor von Dorsday assisterà alla scena! Perché altrimenti, è ovvio, quel lurido spilorcio non spedisce il denaro. - Però non gli ho ancora scritto. È la cosa più urgente da fare “Pregiatissimo signor visconte” - suvvia, Else, sii seria, lascia stare: né pregiatissimo né spregiatissimo. “La condizione che lei ha posto, signor von Dorsday, è stata realizzata”… “Se pure non esattamente nel modo che lei aveva previsto”. - “Ma guarda un po’ come scrive bene questa ragazza” direbbe papà. - “Sicché io confido che lei da parte sua manterrà la parola data e farà pervenire per telegramma al ben noto indirizzo i cinquantamila fiorini. Else”. No, niente Else. La firma non la metto. Ecco. Che bella la mia carta da lettere giallina. L’ho avuta in regalo per Natale. Peccato usarla così. Non che sia obbligata a farlo. Di obblighi non ne ho neanche uno. Posso benissimo sdraiarmi sul letto e dormire tranquilla senza più interessarmi di nessuno. Né del signor von Dorsday né di papà. Anche l’uniforme a strisce dei carcerati non è priva di una certa eleganza. E papà non sarebbe il primo che si spara un colpo. E tutti comunque dobbiamo morire. Ma tu per il momento non c’è bisogno che ti ammazzi, papà. Hai una figlia con un corpo stupendo, tu, e l’indirizzo rimane Fiala. Farò una colletta. Andrò in giro con il piatto in mano. Perché mai dovrebbe pagare soltanto il signor von Dorsday? Sarebbe un’ingiustizia. Ognuno secondo le sue possibilità. Quanto denaro deporrà Paul sul piattino? E il signore con l’occhialino d’oro? Non illudetevi, però, la festa non durerà a lungo. Dopo un attimo mi riavvolgo nel mantello e torno di corsa in camera mia dove mi chiudo a chiave e, se ne ho voglia, vuoto il bicchiere col veronal tutto d’un fiato. Ma non ne avrò voglia. Sarei una vigliacca se lo facessi. Tanto rispetto non lo meritano, quei farabutti. Il mantello mi arriva giusto alle caviglie. Tutti vedranno che i miei piedi sono nudi. Che importa, avranno ben altro da vedere! Ma cosa sto aspettando? Ecco, son pronta. Lo spettacolo può incominciare. Non scordare la lettera. Calligrafia aristocratica, sostiene Fred. Arrivederci, Else. Sei bella con quel mantello. È così che si son fatte dipingere le donne fiorentine. I loro ritratti sono appesi nei musei, e per loro è un grandissimo onore. - Finché rimango avvolta nel mantello, nessuno deve accorgersi di nulla e nessuno sospetterà che sotto il mantello non c’è niente, niente tranne me stessa. …Chi è che giù da basso suona così bene il pianoforte? Chopin? - Il signor von Dorsday sarà piuttosto nervoso. Forse ha paura di Paul. Stia tranquillo, signor von Dorsday, abbia un po’ di pazienza, tutto si chiarirà tra poco …Mi sono già abituata a star nuda sotto il mantello. È davvero molto gradevole. Che parecchie signore siano sedute così nella hall senza che nessuno se ne accorga? Che più d’una vada così a teatro, e prenda posto in un palco… tanto per divertirsi? … In corridoio non c’è nessuno. …Eccola. È qui, è questa la camera del visconte. La lettera la metto per terra, dritta contro la porta. Così lui la vede subito. Mica la ruberanno, no? … Dove sono? Già nella hall? Come ci sono arrivata? Che poca gente, e quanti sconosciuti. O sono io che non ci vedo bene? E Dorsday dov’è? Non c’è. Che sia un segno del destino? Torno di sopra. Scrivo a Dorsday una lettera diversa. L’aspetto in camera mia verso mezzanotte. Porti con sé il telegramma da spedire alla sua banca. No. La crederebbe una trappola. Potrei aspettarlo con la pistola in mano…Dov’è Dorsday? Sarà nella sala da gioco. … Perché quelle due signore mi guardano così? Si sono accorte di qualcosa? E io, perché sono qui? Sono forse impazzita? Ora torno in camera mia, mi vesto in gran fretta, metto l’abito blu e sopra questo mantello, che però tengo ben aperto in modo che a nessuno possa venire in mente che prima non avevo niente addosso … No, non posso tornare indietro. E neanche voglio farlo. Dov’è Paul? Dov’è zia Emma? Dov’è Cissy? Dove sono tutti quanti? Nessuno se ne accorgerà. È impossibile accorgersene. Chi sta suonando così bene? Chopin? No, Schumann. Sto vagando su e giù nella hall come un pipistrello. Cinquantamila! Il tempo passa. Devo assolutamente trovare questo dannato signor von Dorsday. No, devo tornare in camera mia … Berrò il veronal. Solo un sorsetto, per una buona dormita … Ah, ecco Cissy e Paul. Stanno facendo due passi davanti all’albergo. Chiacchierano amabilmente e hanno l’aria di divertirsi. A quanto pare, Paul non si dà gran pensiero per il mio mal di testa. Ipocrita! … I seni di Cissy non sono belli come i miei. Per forza, ha già avuto una bambina … Di che staranno parlando? Magari potessi sentirli! Che cosa m’importa di quel che si dicono? Comunque là fuori potrei andarci anch’io, dire loro buona sera, e poi proseguire, in un soffio attraversare il prato, salire verso il bosco, e poi più su, sempre più su, sulle pareti della montagna, fino a raggiungere la vetta del Cimon, e lì distendermi, addormentarmi, morire assiderata. Misterioso suicidio di una giovinetta della buona società viennese. La bella ragazza è stata trovata morta in un punto inaccessibile del Cimon della Pala con addosso soltanto un lungo mantello nero da sera … Ma forse neanche mi trovano. O mi trovano solo l’anno prossimo. O più tardi ancora. In stato di avanzata decomposizione. Ridotta a uno scheletro. Tutto sommato è meglio rimanere in questa tiepida hall e non morire assiderata. Insomma, signor von Dorsday, si può sapere dove si è cacciato? Non crederà che ho l’obbligo di aspettarla! È lei che deve cercare me, non io lei. Darò ancora un’occhiata nella sala da gioco. Se non lo trovo lì, ha perso ogni diritto. E allora gli scrivo: Lei, signor von Dorsday, non si è fatto trovare e dunque ha rinunciato al suo diritto di sua spontanea volontà, il che non la dispensa tuttavia dall’obbligo di spedire immediatamente il denaro. Il denaro. Di che denaro sto parlando? Che me ne importa di questo denaro? Che sia spedito o no, mi è del tutto indifferente. Per papà non ho più un briciolo di compassione. Per nessun essere umano ho più compassione. Nemmeno per me stessa. Il mio cuore è morto. Ho la sensazione che abbia smesso di battere. Forse il veronal l’ho già bevuto… Perché il portiere mi lancia occhiate sospette. Che sia arrivato un altro telegramma? Ottantamila? Centomila? Indirizzo rimane Fiala. …Mi guarda con grande rispetto. Non sa che sotto il mantello non ho niente addosso. Nessuno lo sa. … Qualcuno mi sta seguendo. Non mi volto indietro. No, no … «Else!». - Per l’amor di Dio, la zia. Avanti, non ti fermare! - «Else!» - Devo girarmi per forza, non posso farne a meno. «Oh, buona sera, zia». - «Ma Else, si può sapere che cosa ti è successo? Paul mi ha detto…ma Else, che strano aspetto hai!». - «Perché, zia, che aspetto vuoi che abbia? Sto meglio adesso». - Si è accorta di qualcosa, si è accorta di qualcosa. - «Else, non hai…non hai messo le calze!». - «Che cosa stai dicendo, zia? Oh, santo cielo, non ho messo le calze. Come ho potuto…». - «Non stai bene. Else? Va’ subito a letto, bambina, sei pallida come una morta». - «Dipende dall’illuminazione, zia. Tutti qui nella hall sembrano pallidi». Con che aria strana mi sta squadrando. Non devo perdere il controllo, adesso. Se perdo il controllo papà è perduto. Devo parlare, devo assolutamente dire qualcosa. «Lo sai, zia, che cosa mi è successo l’anno scorso a Vienna? Un giorno, figurati, sono uscita per la strada con una scarpa nera e una gialla». Non è vero niente. Ma devo continuare a parlare. - «Io in ogni caso faccio chiamare un dottore». - «Ma ti prego, zia, un dottore si farebbe le più matte risate quando gli dicono che sono venuti a chiamarlo perché io non mi sono messa le calze». La cosa sta prendendo per la zia una piega inquietante. - «Dimmi, Else, hai mica visto Paul, per caso?». - Ah, cerca rinforzi. Bisogna che mi controlli, tutto è in gioco. - «Se non mi sbaglio, sta passeggiando con Cissy Mohr davanti all’albergo, così mi è sembrato, almeno». - «Davanti all’albergo? Li vado a chiamare, allora. Potremmo prendere una tazza di tè tutti e quattro insieme, se tu sei d’accordo». - «Volentieri». - Se n’è andata. …Devo sbrigarmi, il tempo stringe. Sono condannata a cercare il signor von Dorsday sino alla fine dei miei giorni. Anche lui mi sta sicuramente cercando. Ci stiamo inseguendo invano. Lui forse mi sta cercando di sopra. …Schumann? Sì, il Carnaval…L’ho studiato anch’io. Suona bene la signora. Darò un’occhiata nella sala da musica. Ecco la porta…Dorsday! È lì che ascolta, in piedi vicino alla finestra. Com’è possibile? Io mi consumo…e lui è lì, e ascolta una sconosciuta che suona il pianoforte. Che, non è certo giovanissima. È qui da qualche giorno. Non sapevo che suonasse così bene. Beata lei. …Dorsday non mi vede. In questo momento ha l’aria di una persona come si deve. Sta ascoltando Schumann. Cinquantamila! Adesso o mai più. Ho aperto la porta senza fare rumore. Eccomi, signor von Dorsday. Lui non mi vede. Adesso gli faccio un cenno con gli occhi, poi apro un po’ il mantello, uno spiraglio sarà sufficiente. …Alza lo sguardo. Eccomi qua, signor von Dorsday. Mi pianta gli occhi in faccia. Non sospetta neppure che sotto il mantello io sono nuda. … Cinquantamila! Vogliamo restare ai patti, signor von Dorsday? Io sono pronta. Eccomi qua. Sono calmissima. Sorrido. L’ha capito il mio sguardo, signor von Dorsday? … Ebbene, farabutto, sono nuda. Che altro vuoi, adesso? Spedisci il telegramma…e subito anche. Un brivido leggero mi corre lungo il corpo. La signora continua a suonare. Che delizia questo brivido. Essere nudi è meraviglioso. La signora continua a suonare, ignora quel che sta succedendo. Come tutti del resto. Nessuno ancora mi vede. …Sono qui tutta nuda. Dorsday spalanca gli occhi. Finalmente ci crede. Tutti si alzano in piedi. I loro occhi sfavillano. …La signora ha smesso di suonare. Papà è salvo. Cinquantamila! Indirizzo rimane Fiala. … - «Else!». - Chi sta chiamando Else? La voce è di Paul. Dev’essere alle mie spalle. Sento un soffio sulla mia schiena nuda. Mi fischiano le orecchie. Sarò già morta? … Che cosa vuole, signor von Dorsday? Perché mi guarda così, non è stata sua l’idea? Che ho fatto? …Cado a terra. È tutto passato. Perché è finita la musica? Un braccio mi cinge la nuca. È Paul. Eccomi lunga distesa. Il mantello si abbatte su di me. La gente mi crede svenuta. E invece no, non sono svenuta. Sono perfettamente cosciente. Sono sveglia arcisveglia. Adesso che ha ottenuto quel che vuole, signor von Dorsday, bisogna che spedisca subito quel denaro. Non voglio gridare. Ho gli occhi chiusi. Nessuno può vedermi. Papà è salvo. …
Dopo aver visto la signorina Else nuda, dobbiamo prendere atto dello sviluppo che il pensiero confuciano ha avuto nel corso dell’autunno del Medioevo in Cina.
Chi ha creato in Cina una dottrina che, per un verso, fa da grandioso epilogo della tradizione confuciana e, per un altro verso, a causa della sua vitalità, appartiene anche all’orizzonte moderno della Cina? Anche in Cina con l’autunno del Medioevo [ancor prima che in Europa] veniamo a trovarci agli albori della modernità e questo è dovuto ad un importante pensatore che si chiama Chu Hsi. La dottrina di Chu Hsi condiziona, e continua a condizionare, il pensiero cinese.
Il maestro Chu Hsi [1130-1200] nasce nella regione sud-orientale del Fu-kien durante la dinasta Song da una famiglia di burocrati di cultura buddista e, dopo gli studi elementari, inizia a frequentare l’importante Scuola dei Principi Universali [la Scuola dei Li] diretta dal maestro Ch’èng Yi.
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Utilizzando un atlante e navigando in rete potete andare ad osservare, sulla carta della Cina, dove si trova la regione di Fu-kien, buon viaggio…
La Scuola dei Principi Universali [dei Li] del maestro Ch’èng Yi ha un’impostazione che è tipica della cultura dell’autunno del Medioevo perché coltiva l’ideale dell’unità dei saperi e possiede un’ispirazione che potremmo definire di natura ecumenica perché vuole integrare i caratteri della tradizione confuciana con i valori del buddismo e del taoismo. Chu Hsi all’età di ventiquattro anni, dopo aver assimilato questo spirito “ecumenico” e interculturale, comincia ad impegnarsi intellettualmente per rinnovare la tradizione confuciana [che aveva raggiunto livelli di conformismo non più tollerabili] e lo fa - salvo per brevi periodi in cui si dedica all’impegno politico - studiando per il resto della sua vita fino ad acquisire una straordinaria erudizione enciclopedica ed uno stile in cui si uniscono la chiarezza, la duttilità e anche la vivacità polemica.
Le opere che Chu Hsi ha composto costituiscono “una summa” [una raccolta sistematica] non solo del sapere filosofico ma di tutto lo scibile umano alla maniera di Aristotele al quale viene paragonato anche per l’egemonia che il suo pensiero ha esercitato per secoli in Cina e, per quanto riguarda il confucianesimo, Chu Hsi può essere paragonato a quello che è stato Tommaso d’Aquino per il cristianesimo. La genialità di Chu Hsi si è espressa non nel creare nuove visioni filosofiche, ma nel dare un ordine sistematico a quanto la tradizione confuciana, taoista e buddista avevano espresso nei secoli precedenti. Come Averroè ha scritto il Grande Commento alle opere di Aristotele così Chu Hsi commenta le opere di Confucio a cominciare dai Dialoghi di Confucio e di Mencio e riscrive la Storia della Cina con spirito confuciano in un volume intitolato Sommario dello Specchio Generale. Poi compone scritti di carattere più personale come la Raccolta di meditazioni e il Significato fondamentale delle mutazioni.
I Quattro Libri di Commento di Chu Hsi alle Opere di Confucio dal 1313 [quando lui è morto da più di un secolo] sono stati adottati, per decreto imperiale, come libri di testo per la preparazione agli esami di Stato perché fornivano la visione della cultura generale ed ufficiale della Cina, e lo sono rimasti fino al 1949.
Il tratto caratteristico del pensiero “neoconfuciano” di Chu Hsi sta nell’intento di dare all’insegnamento dell’antico maestro una sistematicità logica e soprattutto un fondamento metafisico [ci sarà pure un principio universale che sta al di sopra della realtà fisica e che la fa funzionare]. Chu Hsi sa che un principio metafisico al confucianesimo può essere fornito dal buddismo indiano e, difatti, nella sua costruzione metafisica Chu Hsi fa uso delle idee-chiave del buddismo con la stessa abilità con cui Tommaso d’Aquino, mezzo secolo dopo, si servirà delle idee contenute nella Metafisica di Aristotele per dare un solido fondamento alla dottrina cristiana.
La corrente di pensiero che prende avvio da Chu Hsi impone un ferreo rigore metodologico tanto nel descrivere gli avvenimenti umani quanto nello spiegare i fenomeni naturali e fonda una teoria detta “investigare i fatti” che ha conservato la sua validità nella storia della Cina fino ai nostri giorni.
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Nella cultura confuciana si dà molta importanza all’esaminare le cose e al sostenere gli esami… Quali esami avete sostenuto nella vostra vita?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Il tema principale del pensiero del neoconfucianesimo riguarda la metafisica e, anche in questo caso, le affinità tra la speculazione della Scolastica occidentale e quella di Chu Hsi sono evidenti perché l’intelletto umano da Oriente ad Occidente partorisce pensieri simili.
Anche Chu Hsi affronta il tema degli universali - nello stesso periodo in cui viene affrontato dalla Scolastica europea - e crede che le Idee siamo “ante rem” cioè esistano prima [ante] e al di sopra delle cose. Chu Hsi sostiene [anche secondo la visione del buddismo indiano] che per ogni classe di esseri [minerali, vegetali, animali] esiste un corrispondente principio universale, un “Li”: «che è [scrive Chu Hsi] al di là delle forme, tale da essere senza forma o corpo». I “Li” [e potremmo tradurre il termine “Li” con la parola “Idea”] sono, afferma Chu Hsi, al di fuori del tempo e preesistono alle cose, e possono sussistere anche senza le cose stesse e ciò significa, sostiene Chu Hsi, che sono principi eterni. Scrive Chu Hsi: «In un qualsiasi oggetto concreto interagiscono i principi universali [i Li] di vari principi specifici, per esempio, nel pennello con cui sto scrivendo c’è il Li del legno, quello delle setole, quello della corona che li tiene uniti, e questi Li sono integrati dall’azione di un Li più generale, il Li del pennello. Così anche tutti i Li esistenti si integreranno in un unico Li universale, il Principio dei principi, il modello ultimo della realtà intesa come un Tutto». Quindi, afferma Chu Hsi, tutti i Li esistenti si integrano in un unico Li universale, in una Realtà ultima che Chu Hsi chiama “T’ai chi” che letteralmente significa “Grande Trave di Sostegno”. Il termine “T’ai chi” [che nella nostra società designa un tipo di esercizio fisico dolce e armonico] si potrebbe anche tradurre con la parola “Essere” e questo concetto determina una presa di distanza dal buddismo che riconduce Tutto al Nulla, al Vuoto, mentre il “T’ai chi” contiene in sé potenzialmente tutte le determinazioni e, quindi, il pensiero di Chu Hsi è sulla scia dell’itinerario di Platone [del mondo delle Idee, dell’Iperuranio di Platone].
Il “T’ai chi” [la Grande Trave di Sostegno di tutta la realtà] è la chiave del sistema di Chu Hsi ed è un principio cosmologico perché da lui deriva il Cosmo, è un principio ontologico perché è presente in ogni cosa che esiste, è un principio logico perché è lo strumento del conoscere che si riflette sull’intelligenza, è un principio morale perché detta i valori alla coscienza della persona, i valori del confucianesimo: l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà e la pietà [i valori, senza confini, dell’Umanesimo].
Il “T’ai chi” è un principio affascinante ma contiene in sé una contraddizione perché risulta “trascendente” in quanto è totalità di tutti i Li [di tutti i Principi] ma si rivela anche “immanente” perché penetra in ogni singolo essere e allora: anche ogni singolo essere è trascendente come il Tutto? Chu Hsi non si preoccupa di questa contraddizione perché ritiene il “T’ai chi” come se fosse [direbbe Aristotele] l’Essere in potenza e contemporaneamente in atto e, a questo proposito, scrive Chu Hsi: «C’è un’unica Realtà Ultima che viene ricevuta dalle singole cose di tutte le categorie. Tale realtà ultima è accolta da ciascun oggetto intera ed indivisa. È simile alla luna che risplende nei cieli e di cui, nonostante sia riflessa nei fiumi, nei laghi e sia visibile ovunque, non possiamo certo dire che sia molteplice».
Chu Hsi è interessato soprattutto a definire il tema morale, a stabilire come si possa realizzare il Bene del singolo individuo e della collettività. Il Bene, afferma Chu Hsi, è la conformità dell’azione individuale [ch’i] con la ragione universale e la Legge che comanda la virtù delle persone è la stessa che comanda il moto delle sfere celesti e, di conseguenza, come gli esseri umani possono osservare e studiare il moto delle sfere celesti così possono e devono studiare come si percorre la strada che porta al Bene della collettività. La via del Bene, afferma Chu Hsi, corrisponde all’itinerario della conoscenza e quanto più la persona estende la sua conoscenza di Li in Li [di Principio in Principio] fino ad avvicinarsi al “T’ai chi” [alla Grande Trave di Sostegno di tutta la realtà] tanto più si avvicina al Bene e, quindi, la virtù nasce dall’intelligenza, dalla conoscenza e dallo studio.
Nel pensiero neoconfuciano di Chu Hsi esiste una netta posizione di rigetto nei confronti di qualsiasi interpretazione religiosa del senso della vita [non si può scaricare su una presunta divinità la propria responsabilità morale]: non c’è un Dio in questo sistema, afferma Chu Hsi, che premia e che castiga, e il “T’ai chi” non ha una natura divina e personale ma è un Logos impassibile e impersonale come il Motore immobile di Aristotele. Il pensiero di Chu Hsi è razionalista e ateo, ed è un pensiero che tende alla realizzazione del Bene mediante l’Intelletto: il Bene lo si fa per un imperativo della ragione, scrive Chu Hsi, mediante una presa di posizione intellettuale e la persona deve sapere che, quando sceglie di fare il male, il suo comportamento ricade inevitabilmente sulla società in cui vive e, di conseguenza, sulla persona stessa, e la persona che dimostra di avere una fede [che agisce per il Bene della collettività] è la persona studiosa.
Il neoconfucianesimo di Chu Hsi ha avuto, dall’autunno del Medioevo fino ai giorni nostri, un’incidenza fondamentale nel destino della Cina e anche il marxismo-leninismo maoista [la dottrina su cui si fonda la Repubblica Popolare Cinese] ha dovuto tener conto del pensiero di Chu Hsi.
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L’immagine della “Trave di Sostegno” è molto significativa… Che cosa richiama alla vostra mente il termine “trave di sostegno”?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Non possiamo certo attribuire alla signorina Else il ruolo di bastian contrario rispetto al sistema neoconfuciano di Chu Hsi se la sentiamo affermare che con il gesto da lei compiuto - quello di mostrarsi nuda davanti a tutti - è come se avesse minato la trave portante della sala di musica dell’hotel ma, in realtà, ha minato le travi portanti della società in cui vive: l’ipocrisia, la simulazione, il falso convenzionalismo. E allora sulla scia della parola “trave”, concludiamo il nostro itinerario, leggendo le ultime pagine del romanzo La signorina Else.
LEGERE MULTUM….
Arthur Schnitzler, La signorina Else
- «Else!». - Questa è la zia. - «Un medico, subito un medico!». - «Insomma, cos’è successo?». - «Ma no, non è possibile!». - «Povera bambina». - … Non sono una povera bambina. Sono felice. Il filibustiere mi ha vista nuda. Che ho fatto? È come se avessi minato la trave portante della sala di musica, o meglio, la trave della loro ipocrisia. E ora non posso e non voglio mai più riaprire gli occhi. Che brusio. Ci saranno intorno a me mille persone. E tutti mi credono svenuta. Ma io non sono svenuta. - «Si calmi, signora». - «Qualcuno ha già chiamato un medico?». - «Si tratta di uno svenimento». - Come sono tutti lontani. Le loro voci mi giungono dalla vetta del Cimon. - «Non si può mica lasciarla distesa sul pavimento». - «Ecco una coperta». - «Un po’ di silenzio, prego». - «Volete sì o no chiudere la porta?». -«Else! Else!». - Se la zia tacesse una buona volta! - «Mi senti. Else?». - «Mamma, ma non lo vedi che è svenuta?. - Sì, grazie a Dio, per voi sono svenuta. E svenuta voglio rimanere. - «Bisogna portarla in camera sua». - «Si può sapere che cosa è successo? Oh, per l’amor del cielo!». - Ecco Cissy. - E Dorsday, se n’è andato. Bisogna cercarlo. Non deve ammazzarsi prima di aver spedito i cinquantamila fiorini. Signori miei, quell’uomo mi deve dei soldi. Arrestatelo. - «Paul, sai per caso di chi era il telegramma?». - «Il direttore dice che possono passare anche quattro ore prima che il medico arrivi fin qui». - «Dall’aspetto si direbbe che stia dormendo». - Sono distesa sul divano, Paul mi tiene la mano e mi tasta il polso. È giusto, in fin dei conti è un medico. - «Non è niente di preoccupante, mamma. È solo…una crisi». - «Non rimango in questo albergo un giorno di più». - «Mamma, ti prego». - «Partiamo domattina all’alba». - «Sì, ma senza fare tragedie e passando dalla scala di servizio. La barella sarà qui a momenti». - Barella? Non sono già stata in una bara, oggi? Non ero forse già morta? Devo proprio morire un’altra volta? …- «Un minimo di tatto la gente potrebbe anche averlo». - «Su, mamma, sta’ tranquilla adesso». … Che altro sta succedendo? Stanno portando la barella, ho gli occhi chiusi ma la vedo lo stesso. Sussurrano. Una mano è sotto la mia testa. Mani sotto la mia schiena, mani sotto le mie gambe. Via, non toccatemi. Sono nuda. L’ho fatto per papà. - «Mi raccomando, signori, attenti, fate molto piano». - «Il plaid?». - «Sì, signora Cissy, la ringrazio». - Perché la ringrazia? Che cos’ha fatto, lei? E adesso, che cosa mi succede? Fluttuo nell’aria. Mi libro verso l’aldilà. Qualcuno mi porta…nella tomba. … - «Signora Cissy, vuole avere la bontà di precederci e vedere se tutto è in ordine nella camera di Else?». - Cissy in camera mia? Perché s’impiccia? Il veronal! Basta che non lo butti via. Perché in tal caso sarei costretta a gettarmi dalla finestra. …Come scricchiola la scala, chissà che scarponi hanno addosso i barellieri. E che ne è delle mie scarpette di vernice? Sono certo rimaste nella sala da musica. Qualcuno le ruberà. Volevo lasciarle ad Agathe. …Mi portano, è un corteo funebre. E l’assassino dov’è? Dov’è Dorsday? Se n’è andato. …Ma sì, che mi portino …sempre più su, fino al tetto, fino al cielo. Sarebbe comodo. - «Paul, me lo sentivo che stava per succedere qualcosa». - Cos’è che ti sentivi zia? - «È chiaro che non è una ragazza normale. Bisogna ricoverarla in una casa di cura». - «Mamma, ti pare questo il momento di parlare di una cosa del genere? Non succederà niente. Ti garantisco che non avrai alcun fastidio». - «E come fai a garantirmelo?». - No, zia, non avrai fastidi. Nessuno ne avrà. Neppure il signor von Dorsday. Ma dove siamo, adesso? Siamo al secondo piano. Darò una sbirciatina. Cissy è sulla soglia e sta parlando con Paul. - «Da questa parte, accostate la barella al letto». - Oh, sono tornata a casa, finalmente. - «Grazie, va bene così. Chiudete la porta, per favore. - Cissy, vuol essere così gentile da darmi una mano?». - «Ma certo, dottore, con piacere». - «Per favore, Cissy, la prenda da questa parte. Ecco, qui, dalle gambe. …Mi senti. Else?». - Ma certo che ti sento, Paul. Sento tutto. Ma a voi che v’importa? È talmente bello essere svenuta. - «Sei davvero convinto che è svenuta, Paul?». - Sei convinto? Gli dà del tu. Vi ho colti in fallo! Tu, gli dice! - «Ma certo, la perdita di coscienza è totale. Accade abitualmente dopo crisi di questo genere». - «Paul, lo sai che fai morire dal ridere quando ti metti a sdottorare con quest’aria di sussiego?». - Vi ho sorpresi, ipocriti che non siete altro. Vi ho sorpresi davvero? … - «E allora, come va?». Questa è ancora la zia. Che ci fa qui? - «È sempre svenuta?». … Che vada all’inferno. In casa di cura non mi lascio portare. Non sono una pazza. …- «Fra poco riprenderà i sensi, mamma. Adesso ha solo bisogno di riposo. A proposito, anche tu, va a dormire? Non c’è pericolo. Stanotte la veglieremo noi, Else, io e la signora Cissy». - «Ma certo, signora, farò buona guardia. O sarà Else a farla a noi due, secondo come si guarda la cosa». … - Miserabile donnaccia. Io giaccio qui svenuta, e lei si permette delle battute di spirito. …- «Dall’aspetto si direbbe che dorma. E non riesco ancora a capacitarmi, Paul, che sia successo un simile scandalo. Vedrai, ne parleranno anche i giornali!». - «Mamma!». - «Ma insomma, se è svenuta vuol dire che non sente, no?». - «In stati come il suo, capita talvolta che i sensi siano stranamente acuiti. Ti prego, mamma, vai a letto. Domattina presto partiamo e, arrivati a Balzano, prendiamo un’infermiera per Else». - Cosa? Un’infermiera? Vi sbagliate di grosso, cari miei. … «Buona notte, mamma». …Va’ all’inferno zia, vacci una volta per tutte. Dov’è il veronal? Devo aspettare. Stanno accompagnando la zia alla porta. Ora nessuno mi vede. Il bicchiere col veronal è sul comodino da notte. Se lo bevo fino all’ultima goccia, è finita. … La zia se n’è andata. Paul e Cissy sono ancora sulla soglia. Ah. Lei lo bacia. E io sono qui tutta nuda sotto le coperte. Possibile che non abbiate un po’ di pudore? Lei lo bacia di nuovo. Non vi vergognate? - «Ti dirò, Paul, che adesso ci credo che è svenuta. Perché in caso contrario mi sarebbe di sicuro già saltata alla gola». - «Vuoi star zitta, Cissy?». - «Insomma, Paul, o lei ha veramente perduto coscienza, e allora non ci vede e non ci sente. Oppure si sta prendendo gioco di noi, e allora ha quel che si merita». - «Qualcuno ha bussato, Cissy». - «Sì, è sembrato anche a me». … - «Buona sera, signor von Dorsday». - «Scusi tanto, volevo sapere se la malata…». - Dorsday! Possibile? Sono belve scatenate, non c’è limite alla loro sfrontatezza. Bisbigliano davanti alla porta. Paul e Dorsday. Cissy si è piazzata davanti allo specchio del bagno. Che cosa sta facendo, signora, davanti allo specchio? È mio quello specchio e forse ha trattenuto la mia immagine … E, davanti alla porta, di che parlano Paul e Dorsday? Sento che gli occhi di Cissy sono puntati su di me. Mi guarda attraverso lo specchio. Che cosa diavolo vuole? Perché si avvicina? Aiuto! Che cosa va cercando al mio capezzale? Perché si china su di me? Vuole forse strangolarmi? Io non mi posso muovere. - «Else!». - Che cosa diavolo vuole? - «Else! Mi sente, Else?». - Sento, sento ma sto zitta. Sono svenuta e devo stare zitta. - «Else, lo sa che ci ha fatto prendere un bello spavento!». - Parla con me come se fossi sveglia. Che cosa diavolo vuole? - «Lo sa. Else, quello che ha fatto? Si è presentata nella sala da musica con addosso solamente il mantello, e poi tutt’a un tratto è rimasta nuda davanti a tutti ed è crollata a terra priva di sensi. Dicono che sia stata una crisi isterica. Ma io non ci credo. Come non credo che adesso sia svenuta. Scommetto che sente tutto quello che le sto dicendo». - Sì, è vero che sento. Ma Cissy non sente il mio sì. Perché non riesco a muovere le labbra. Dov’è il veronal? Vorrei bere il veronal ma non riesco ad allungare il braccio. Se ne vada, Cissy. Non saprà mai che ho sentito le sue parole. Nessuno lo saprà mai. Io non parlerò mai più con nessuno. Non mi sveglierò mai più. Sta andando verso la porta. Ora si gira a guardarmi di nuovo. Apre la porta. Dorsday! Eccolo lì in piedi. L’ho visto con gli occhi chiusi. No, lo vedo veramente. La porta è accostata. Anche Cissy è uscita. Adesso bisbigliano tutti e tre insieme. Sono sola. Vorrei tanto potermi muovere. Ah, ora posso farlo. Apro la mano, muovo le dita, tendo il braccio, spalanco gli occhi. Vedo. Ecco il mio bicchiere. Svelta, prima che tornino dentro. Ma le bustine saranno abbastanza? Non devo assolutamente svegliarmi mai più. Quello che al mondo dovevo fare l’ho fatto. Papà è salvo. … Paul sbircia attraverso la fessura della porta. È tuttora convinto che io sia svenuta. Non vede che il braccio l’ho quasi completamente allungato. Adesso sono di nuovo tutti e tre davanti alla porta, gli assassini! Dorsday, e Cissy, e Paul, ma anche Fred è un assassino, e la mamma è un’assassina. Tutti loro mi hanno assassinata, e fingono di non saperlo. Si è ammazzata, diranno. Voi mi avete ammazzata! Ho in mano il bicchiere. Svelta! Devo berlo. Non versarne neppure una goccia. Così. È buono. Non è mica veleno. Niente mi è mai piaciuto così tanto in vita mia. Se sapeste che buon sapore ha la morte. Buona notte, bicchiere mio…Cos’è? Il bicchiere è caduto per terra. È lì sul pavimento. - «Else!». - Insomma, che cosa volete? - «Else!». - Siete di nuovo qui? Non vedete che sono priva di sensi, che ho gli occhi chiusi? Non li vedrete mai più, i miei occhi. - «Ma Paul, è chiaro che si è mossa, perché se no il bicchiere non sarebbe caduto». - «Può aver fatto un movimento involontario». - «A meno che non sia sveglia». - «Ma Cissy, che cosa ti viene in mente. Guardala bene». - Ho preso il veronal. Morirò. Ma tutto è identico a prima. Forse non era abbastanza … Paul mi prende la mano. - «Il polso ha un ritmo regolare. Ti prego, Cissy, non ridere. Povera bambina…». - «Son curiosa di sapere se chiameresti anche me povera bambina nel caso in cui fossi entrata tutta nuda nella sala da musica». - «Cissy, sta’ zitta». - «Ai suoi ordini, signore. Devo forse allontanarmi in modo che tu possa intrattenerti da solo con la signorina nuda? Non aver pudore. Fa’ pure come se io non ci fossi». - Ho preso il veronal. È buono. Morirò. - «Tra l’altro, se vuoi sapere la mia impressione, quel signor von Dorsday dev’essere innamoratissimo della signorina nuda. Era estremamente turbato, sembrava che la cosa lo toccasse assai da vicino». - Dorsday! Ma certo, e ora li spedirà i cinquantamila? E se non li spedisse? Devo dirlo a quei due. Bisogna che lo costringano. E se tutto fosse stato inutile? …Non sento niente, però. Sono solo stanca. Non posso aprire le labbra. Non posso muovere la lingua, eppure non sono ancora morta. È per via del veronal. Dove siete, insomma? Tra poco mi addormento. E allora sarà troppo tardi! Non sento più i loro discorsi. …- «Credo, Cissy, che fra poco si sveglierà. Ho l’impressione che già si stia sforzando di aprire gli occhi. Ma Cissy, che stai facendo?». - «Ti stringo fra le mie braccia. Perché non dovrei in fondo? Neanche lei, dopo tutto, ha avuto questo gran pudore». - No, non ho avuto pudore, io. Ero lì in piedi, nuda davanti a tutti. Se solo riuscissi a parlare, capireste perché. Ho preso il veronal, dieci, cento bustine di veronal. Non volevo farlo. Non voglio morire. - «Adesso sembra di nuovo tranquillissima. Il polso è abbastanza regolare». - Fra poco io mi addormenterò e voi non lo saprete. L’ho fatto solo per papà perché è Dorsday che l’ha preteso. - «Guardala bene, Cissy, non ti sembra che stia sorridendo?». - «Come può non sorridere, Paul, visto che per tutto questo tempo hai tenuto la sua mano teneramente stretta fra le tue?». - Cissy, che cosa ti ho fatto perché tu mi sia tanto ostile? Tientelo, il tuo Paul…ma non voglio morire. Sono ancora così giovane. Voglio ancora andare in montagna, voglio fare ancora molte scalate. Voglio ancora ballare. Voglio ancora viaggiare. … Domani facciamo una gita, andiamo sul Cimon. Sarà una giornata meravigliosa. …Voglio volare. L’ho sempre saputo che son capace di volare. … Dove siete? Vi sento ma non vi vedo. … Sento un grande coro. E anche un organo. …Che inno è questo? Lo cantano tutti insieme. Compresi i boschi e le montagne e le stelle. Non ho mai sentito niente di più bello. E neanche ho mai visto una notte così chiara. Voliamo insieme. È così bello il mondo se uno sa volare. … Mi chiamano da tanto lontano! … «El … se!». Ma che cosa volete? Non svegliatemi. Sto dormendo così bene. … Sogno e volo.… Volo … volo …dormo … e sogno … e volo … non svegliatemi …domani mattina … «El … se!». … Volo … sogno … dormo … sogno … so … so …vo … so … ora … so …
La signorina Else, essendo una metafora letteraria [“un’allegorica rasoiata”, l’abbiamo definita incontrandola un mese fa], non può morire e, siccome desidera volare, si è trasformata in un gabbiano ma, soprattutto, la signorina Else ama scalare le montagne e allora non ci resta che mettere insieme [in funzione della didattica della lettura e della scrittura] questi due elementi: il gabbiano e il monte Ventoso per eccellenza, ebbene, come interagiscono questi due elementi?
Lo sapremo la prossima settimana quando, il 26 aprile 1336, saremo in Provenza e faremo un’escursione: scaleremo [non è una scalata difficile] il Mont Ventoux insieme a un certo [non era ancora famoso] Francesco Petrarca e a suo fratello Gherardo. Che cosa dobbiamo fare in cima ai 1912 metri del Mont Ventoux? Dobbiamo gustare il grandioso panorama: dalle Alpi, alle Cevenne, ai Pirenei fino al Mar Mediterraneo dal quale volano in cima a questo monte anche i gabbiani. Poi Francesco Petrarca tirerà fuori dal suo zainetto il libro delle Confessioni di Sant’Agostino, lo aprirà a caso [ma forse ci metterà un segnalibro] e leggerà un brano, ebbene, si sostiene che in quel momento [il 26 aprile 1336] abbia avuto inizio l’Umanesimo filologico: che cosa c’è scritto in questo brano? Lo leggeremo la prossima settimana.
Il 25 aprile 1945, con il ritorno alla democrazia, uno degli ammonimenti che abbiamo ricevuto è stato quello di “non perdere mai la volontà d’imparare” e per questo è stato scritto l’articolo 34 della Costituzione, ma siccome, nei fatti, la Scuola non è ancora aperta a tutti e siccome lo studio rende libere le menti, ebbene la lotta di liberazione è ancora in corso, anzi in Percorso e, quindi, questo viaggio deve continuare.
Viva l’art. 34 della Costituzione, Viva il 25 aprile!
La Scuola è qui: eppur bisogna andar…