ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna 26-27-28 ottobre 2016
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE
ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA EMERGE IL FATTO CHE L’UMANESIMO PRESUPPONE L’IDEA DI INCLUSIONE ...
Siamo al terzo itinerario di questo viaggio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” e come sapete, sebbene il portone sia ancora chiuso, stiamo in attesa di entrare nella Cappella Sistina e l’attesa non sarà breve!
Sappiamo che questo edificio è celebre perché,. per volere di papa Sisto IV, ha le stesse dimensioni del Santo dei Santi del Tempio ebraico di Salomone a Gerusalemme e poi, soprattutto, questo monumento è famoso perché il soffitto e la parete di fondo sono state affrescate da Michelangelo e sappiamo anche che, per una particolare coincidenza, questo artista geniale è nato all’inizio del mese di marzo dell’anno 1475 nello stesso momento in cui sono iniziati i lavori di costruzione della Cappella Sistina: è evidente che Michelangelo e la Cappella Sistina hanno dall’inizio [verrebbe da dire : “in principio”] un destino comune.
Quindi, abbiamo detto la scorsa settimana, prima di entrare nella Cappella più famosa del mondo per osservare gli affreschi del soffitto, dobbiamo studiare gli elementi che determinano la formazione intellettuale di Michelangelo e il contesto culturale dell’epoca nella quale in questo momento ci troviamo: agli albori dell’età moderna. E la presenza di Michelangelo sul palcoscenico della Storia coincide con gli albori dell’età moderna e c’è chi sostiene tra le studiose e gli studiosi che la modernità sia iniziata proprio con questo lavoro, con l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina, la cui cerimonia d’inaugurazione è avvenuta il 31 ottobre 1512.
La figura di Michelangelo ha determinato anche i confini del primo periodo dell’età moderna che noi chiamiamo Rinascimento, e c’è un’accreditata corrente di pensiero che avvalora una tesi secondo la quale il Rinascimento, a Roma, sarebbe finito il 18 febbraio 1564, il giorno della morte di Michelangelo.
Voi direte: ma come, non abbiamo ancora fatto un passo sul territorio del Rinascimento e già ne vediamo la fine? In questo caso iniziare da un punto che fa riferimento alla fine risulta essere didatticamente utile perché ci permette di stabilire il perimetro di uno spazio e, vista la grandissima mole di materiali che abbiamo di fronte, l’individuazione di un’area delimitata ci consente di agire con circospezione per quanto riguarda la forma e secondo la logica del frammento per quanto riguarda il contenuto, altrimenti si corre il rischio di non acquisire una visione d’insieme del territorio che vogliamo attraversare e ci esponiamo al pericolo di non mettere in funzione le azioni dell’apprendimento a cominciare da quelle del conosce, del capire e dell’applicare. Ma procediamo con ordine e mettiamoci in cammino.
Il 18 febbraio 1564 a Roma muore Michelangelo e, a questo proposito, ha preso campo anche l’affermazione sostenuta da molte studiose e molti studiosi che insieme a lui sia morto anche il Rinascimento. Michelangelo si spegne all’età di ottantanove anni [un’età da primato per l’epoca] nella sua modesta abitazione situata in una via vicino all’odierna piazza Venezia [questa via e questa casa sono state demolite, insieme ad un intero quartiere, per far posto alla costruzione dell’Altare della Patria]. Le autorità vaticane dispongono che il suo corpo sia sepolto nella vicina basilica dei Santissimi Apostoli, un luogo più che adeguato per un personaggio della levatura di Michelangelo.
La basilica dei Santissimi Apostoli, infatti, unisce, dal punto di vista architettonico, una serie di eredità plurisecolari: il piano più alto è ottocentesco, mentre il primo piano è un esempio di barocco seicentesco e il piano terra, risalente alla seconda metà del Quattrocento, è in puro stile rinascimentale e la cosa più singolare - ed ecco un altro segno del destino - è che questa parte della chiesa, già esistente nel 1564, che avrebbe dovuto ospitare le spoglie di Michelangelo, era stata ideata da quello stesso architetto, Bartolomeo Pontelli detto Baccio, che - per conto di Sisto IV - aveva progettato la Cappella Sistina con le stesse misure del Tempio di Gerusalemme.
Il luogo dove la Chiesa avrebbe voluto seppellire il corpo di Michelangelo è importante anche per altre ragioni: nella cripta sono conservate le tombe simboliche dei santi Giacomo e Filippo, due degli apostoli di Gesù. Si è scavato in modo non invasivo sotto la cripta per esaminare i resti romani dell’epoca imperiale e i reperti risalenti all’età repubblicana e prerepubblicana. Per questo la basilica dei Santissimi Apostoli è quasi come una sorta di metafora della Città eterna: un luogo in cui si sommano, strato su strato, diverse epoche e culture, dove s’incontrano il sacro e il profano, il pagano e il cristiano con tutti gli enigmi che questa sovrapposizione porta con sé.
Lo scavo effettuato sotto la cripta della basilica dei Santissimi Apostoli ha portato ad una significativa scoperta che ha confermato un’ipotesi già accreditata: su un sasso di età romana prerepubblicana si leggono due parole incomplete ma chiaramente interpretabili, “di[va] Vat[i]ka”, e questo nome non riserva delle sorprese perché fa riferimento all’origine del termine “Vaticano”.
Sulla scia di quel personaggio straordinario che è Michelangelo si può e si deve riflettere su tutta una serie di questioni interessanti. Per esempio, la parola “Vaticano” non è latina, non è greca, non è biblica ma ha un’antica, e curiosa, origine pagana. Più di ventotto secoli fa come ben sapete - prima della leggendaria fondazione da parte di Romolo e Remo con tanto di lupa allattante - Roma è una polis etrusca e molto di quello che oggi pensiamo come tipico della civiltà e della cultura romana deriva in realtà da quella etrusca. Sappiamo, per esempio, che non diversamente dagli ebrei e dai romani, gli etruschi seppellivano i morti fuori dalle mura cittadine e, per questa ragione, anche nel caso della polis etrusca di Roma, la necropoli [la città dei morti] si è sviluppta su un colle fuori dall’abitato ed è stata consacrata a una dea il cui nome era Vatika. Nella lingua etrusca questa parola ha più di un significato e tra questi vi è quello di un’aspra uva selvatica che cresceva su questa collina da cui i contadini ricavavano un vino di pessima qualità chiamato con lo stesso nome del vitigno [anche della morte si dice sia “aspra”, sia “amara”]. Di conseguenza questa parola è passata ad indicare il luogo, il colle di origine di questa bevanda, ma “vatika” è anche il nome di una particolare erba selvatica non ben identificata che cresceva nei dintorni della necropoli e che, masticata, causava delle allucinazioni [simili a quelle del peyote messicano]. Il termine “vatika” è stato, quindi, anche, nella lingua latina, associato a quello che oggi definiremmo “un viaggio” inteso come sinonimo di “visione profetica”.
Il colle del Vaticano ha in seguito ospitato il circo dell’imperatore Nerone [luogo di spettacoli piuttosto crudeli] ed è stato proprio qui che, secondo la tradizione leggendaria avvalorata da un’opera del IV secolo, San Pietro è stato giustiziato, crocifìsso a testa in giù e quindi sepolto [si ipotizza nel 64 o nel 67], per cui il colle è diventato meta di pellegrinaggio dei primi cristiani e, in seguito, il semi-convertito imperatore Costantino dopo il 313 vi ha fatto erigere un santuario e, un secolo dopo, i papi vi hanno portato la loro sede.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con una guida di Roma e navigando in rete fate visita alla basilica dei Santissimi Apostoli…
Ma perché Michelangelo non è stato sepolto nella basilica dei Santissimi Apostoli? Perché i fiorentini, ricevuta la notizia della morte del grande artista, hanno rivendicato il fatto che Michelangelo non solo era da considerarsi “un fiorentino” [appellattivo con cui spesso si firmava] ma, soprattutto, ribadiscono che si era formato intellettualmente in casa Medici [nell’ambiente della cultura fiorentina per eccellenza] e, quindi, una delegazione del governo della città, insieme ad un rappresentante della famiglia Buonarroti Simoni [Michelangelo lasciava una consistente eredità], è immediatamente partita alla volta di Roma per trattare la traslazione del corpo del geniale Maestro a Firenze: ci vuole qualche mese per assolvere a tutte le formalità e, finalmente, le spoglie di Michelangelo avvivano a Firenze e il 14 luglio 1564, in San Lorenzo, la parrocchia dei Medici, si svolge un grandioso funerale e sappiamo che la tomba di Michelangelo è, tra i grandi, in Santa Croce.
Il papa in carica nel 1564 [il quale morirà l’anno successivo] è Pio IV, il milanese Giovannangelo Medici di Marignano, il quale, da buon diplomatico, non si oppone al volere dei fiorentini anche perché il nome di Michelangelo rimaneva e sarebbe rimasto in eterno legato alla città di Roma perché il sommo artista a Roma, nella capitale dello Stato pontificio, per più di mezzo secolo aveva fatto il suo dovere [ed era, per questo, sempre stato adeguatamente pagato]. Michelangelo ha fatto il suo dovere, secondo papa Pio IV, perché ha contribuito alla valorizzazione del termine “Vaticano”: ci si doveva dimenticare per sempre della pagana dea Vatika, dell’aspra uva Vatika, dell’amaro vino Vatika, dell’erba allucinogena Vatika in nome di nuove accezioni, e la maggior parte dei nuovi significati che il termine “Vaticano” ha assunto sono dovuti soprattutto all’opera di Michelangelo.
Ugo Foscolo, nel poema intitolato I sepolcri scritto nel 1806, afferma, in termini laici, che le tombe delle persone virtuose [l’urne de’forti] accendono [predispongano] l’animo di chi le visita a compiere «egregie cose» e, a questo proposito, ricorda le urne dei personaggi illustri che sono sepolti in Santa Croce a Firenze e che rendono questa basilica “uno straordinario deposito di genialità”. Foscolo cita il monumento funebre [l’arca] di Michelangelo con un verso, dalla forte valenza ironica, che esalta il sommo artista come colui che, con la costruzione della cupola di San Pietro, ha dato al Vaticano l’aspetto mitico ed eterno di un nuovo monte Olimpo [come dire che la Chiesa di Roma ha assunto un carattere pagano più che evangelico]. Scrive Foscolo: «… e l’arca [la tomba] di colui [Michelangelo] che nuovo Olimpo [la cupola di San Pietro] alzò in Roma a’ Celesti».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Fate una visita in Santa Croce - o navigando in rete - al monumento funebre di Mchelangelo che è stato realizzato con il lavoro congiunto di una serie di artisti: documentatevi in proposito...
Oggi il termine “Vaticano” può indicare [sicuramente con l’apporto di Michelangelo] molti oggetti: la basilica di San Pietro, il Palazzo apostolico con le sue millequattrocento stanze, il complesso dei Musei Vaticani con oltre duemila sale, la gerarchia politica, sociale e religiosa che guida spiritualmente e materialmente un quinto della popolazione del Pianeta, e la Città del Vaticano, il più piccolo Stato del mondo riconosciuto dalla comunità internazionale. Eppure in questo minuscolo Stato [la cui superficie è otto volte inferiore a Central Park di New York] troviamo la Chiesa più grandiosa del mondo, il più immenso dei Palazzi e il più grande complesso museale esistente in Terra e tutto questo lo si deve in buona parte al lavoro di Michelangelo.
Il 18 febbraio 1564, quando Michelangelo muore, nessuno si ricordava più di quanto era successo 52 anni prima, il 31 ottobre 1512, quando, durante l’inaugurazione del soffitto affrescato della Cappella Sistina, il supremo magistrato del tribunale dell’Inquisizione di Santa Romana Chiesa, il domenicano Giovanni Rafanelli, dopo aver osservato il lavoro del maestro fiorentino, aveva emesso come voi ben sapete una sentenza che viene subito contenuta e ridimensionata da papa Giulio II, che aveva commissionato l’opera e l’aveva voluta così. Rafanelli pronuncia una frase che come sapete rimane custodita per secoli nell’Epistolario del biblotecario pontificio Fredra Inghirami. Le parole [che noi conosciamo] pronunciate da Giovanni Rafanelli sono rivolte al papa che aveva presentato al sacro collegio un progetto del tutto diverso per la decorazione del soffitto della Cappella Sistina [una serie di immagini con al centro la figura di Gesù Cristo come protagonista della salvezza del mondo]. Dice Rafanelli in tono inquisitorio: «È come se la bestia immonda dell’Apocalisse fosse entrata in questo sacro Tempio e avesse profanato il tabernacolo mangiandosi le Ostie consacrate».
Più di mezzo secolo dopo, il giorno della morte di Michelangelo, nessuno ricordava più queste parole contenenti un aneddoto di tradizione popolare che definisce in modo pittoresco il concetto di blasfemìa. Noi abbiamo utilizzato questa proposizione che, in partenza, è diventata il filo conduttore di un intreccio filologico che stiamo coninuando a dipanare in funzione della didattica della lettura e della scrittura, secondo la natura specifica del nostro Percorso.
Se ben ricordate, abbiamo osservato che Anton Čechov [che abbiamo incontrato nel primo itinerario di questo viaggio] usa nel 1884 lo stesso aneddoto per concludere il suo romanzo brevissimo intitolato La lettura che abbiamo letto per celebrare il tradizionale “rituale della partenza”. Abbiamo poi preso atto del fatto che questo brevissimo romanzo è stato tradotto in italiano dallo scrittore Tommaso Landolfi [con il quale abbiamo fatto conoscenza - perché è un illustre sconosciuto - la scorsa settimana] che è stato un grande traduttore delle opere dei maggiori autori russi. Abbiamo anche capito che, proprio traducendo La lettura di Anton Čechov, a Tommaso Landolfi è venuta l’idea, nel 1946, di scrivere un romanzo breve intitolato Le due zittelle che abbiamo cominciato a leggere la scorsa settimana.
Le due zittelle [con due “t” per far assimilare la parola al termine “zitto”] è un romanzo che ha come protagoniste due anziane e devote sorelle, Lilla e Nena, le quali vivono insieme alla vecchia e autoritaria madre, alla domestica Bellonia e alla scimmia Tombo, regalata a loro da un fratello marinaio che poi è morto in terre lontane. Un giorno, una suora si presenta a casa delle due sorelle dicendo che Tombo è sospettato di aver violato la Cappella del monastero e, dopo opportuni appostamenti, si scopre che la scimmia [la “scimia” con una “m” sola nel testo, quasi a contrastare il fatto che “zittelle” è scritto con due “t”] ha davvero imparato ad aprire la sua gabbia per andare nottetempo nella Cappella a simulare il rito religioso, con tanto di consumazione di Ostie consacrate e di vin santo e, di conseguenza, il destino di questo animale “sacrilego” viene affidato al giudizio di due religiosi che imbastiscono una disputa di carattere teologico-dottrinale.
Ma, oltre al contenuto, a noi interessa entrare in contatto con la forma, non facile da leggere, del testo di questo romanzo breve perché ci spinge ad esercitarci ad investire in intelligenza con la conseguenza virtuosa di mettere in funzione le azioni dell’apprendimento. E ora continuiamo a leggere il testo di questo romanzo.
LEGERE MULTUM….
Tommaso Landolfi, Le due zittelle
Libere non già, ma alleggerite della presenza della madre, le zittelle dunque cominciavano forse a godere d’una certa tranquillità, quando scoppiò improvvisa la folgore. … Una bella mattina si presentò alla porta di casa, con aria circospetta e misteriosa, la superiora del prossimo e quasi attiguo monastero che le due già conoscevano un poco per averle talvolta largito ai poveri quod supererat [ciò che avanzava loro]. Introdotta nel salotto verde, essa esordì dicendo che conosceva per esperienza la loro inconquassabile fede e timoratezza ed esemplar modestia di vita, le quali a lei rendevano di tanto più penosa la comunicazione che stava per fare; ma infine, seguitò dopo altri preamboli, non poteva ormai tacere quanto al monastero capitava per opera d’un animale di loro proprietà. Qui naturalmente le zittelle caddero dalle nuvole e vivamente sollecitarono l’altra a spiegarsi; il che quella fece da ultimo.
... continua la lettura ...
Nena evoca la morte, ma ci si può far un’idea adeguata della moralità di una scimmia? E ora, per contrasto, passiamo al tema della nascita e della crescita di Michelangelo anche se tutto ha inizio con un crollo vertiginoso.
Che cosa ha influito sulla nascita di Michelangelo: la famiglia, il nome, l’influsso degli astri? Possiamo dire che nel caso di Michelangelo l’ereditarietà non ha avuto alcun influsso perché nell’albero genealogico dei Buonarroti non si riscontra la presenza di geni artistici. Sappiamo che un suo antenato è stato un membro del consiglio cittadino a Firenze, un altro è stato frate domenicano, un altro prestava denaro a interesse, mentre il suo bisnonno, Simone di Buonarroti, mercante di lana e cambiavalute, è stato, fino alla nascita di Michelangelo, colui che della famiglia è arrivato più in alto: Simone ha accresciuto il prestigio dei Buonarroti prestando denaro al governo fiorentino. Purtroppo, però, suo figlio Lionardo [il nonno di Michelangelo] ha rappresentato una vera e propria rovina per la famiglia. Lionardo non è stato capace a gestire gli affari e ha messo al mondo così tante figlie da mandare in rovina le finanze della famiglia a causa delle doti per poterle sistemare. I Buonarroti, quindi, hanno dovuto rinunciare al loro bel palazzo e, per pagare i debiti, Lionardo è stato costretto ad accettare cariche minori [a livello impiegatizio] in piccoli borghi di campagna ben lontani dai quartieri eleganti di Firenze.
Suo figlio Ludovico, il padre di Michelangelo, eredita la sfortuna e lo scarso senso economico di suo padre Lionardo ed è per questo motivo che è costretto ad accettare la carica di podestà della remota Caprese [dove nessun funzionario voleva andare], un impervio paese di montagna a metà strada tra il monte de La Verna e la città di Arezzo dove, già a giudicare dal nome [Caprese], le capre erano probabilmente più numerose delle persone. Per la casata dei Buonarroti, che era stata resa prospera da Simone due generazioni prima, si è trattato di un crollo vertiginoso.
A Caprese [e a giugno la Scuola ha consigliato di fare un’escursione a Caprese Michelangelo, e siete sempre in tempo], tra valli brulle e inospitali abitate da rudi e stoici scalpellini, una notte di fine inverno la moglie di Ludovico Buonarroti, Francesca de’Neri, mette al mondo, con una certa difficoltà, un bambino, e Ludovico, piuttosto compiaciuto per il fatto che è un maschio, con burocratica precisione scrive un appunto: «Annoto che oggi [scrive ser Ludovico], 6 marzo, mi è nato un figlio maschio, e gli ho dato il nome di Michelagnolo. Annoto che secondo il calendario fiorentino, che conta dall’Incarnazione, e secondo il calendario romano, che conta dalla Natività, è il 1475». Con questo comunicato Ludovico vuole soprattutto mettere in evidenza le sue nobili radici fiorentine.
Firenze e Roma hanno sempre avuto mentalità piuttosto diverse e una divergenza evidente c’è stata durante il Medioevo e una ancor più evidente nel Rinascimento. In quest’epoca i fiorentini pongono l’anno zero del loro calendario sull’Incarnazione, quando, secondo la tradizione evangelica, in virtù dello Spirito Santo è avvenuta l’immacolata concezione della Vergine Maria. Il calendario romano si basava già invece, come quello contemporaneo, sulla Natività, ovvero sull’anno di nascita di Gesù. Materialmente c’è poca differenza, ma dal punto di vista ideologico: che carattere ha questa diversità? Questa differenza va presa come una metafora della diversa mentalità che ha caratterizzato Roma e Firenze nel Medioevo e agli albori dell’Età moderna. Come abbiamo studiato nel maggio scorso, Firenze è la città dove ufficialmente, per prima in Europa, fiorisce “la sapienza poetica e filosofica dell’età umanistica”, e come sapete c’è un atto costituivo che sancisce questo primato in quanto il 26 gennaio 1375, il giorno del tradizionale miracolo della fioritura dell’olmo di San Zanobi, il nuovo cancelliere della Repubblica fiorentina Coluccio Salutati scopre una lapide [questa lapide c’è ancora] posta sulla colonna di San Zanobi - di fronte al Battistero in piazza San Giovanni - sulla quale c’è scritto che “nuova fioritura fiorisce in Fiorenza” [in questa città fiorisce l’humanitas e germoglia l’Umanesimo]: ebbene, se Firenze è il primo sito dove germoglia e si sviluppa “la filosofia umanistica” [secondo l’insegnamento di Francesco Petrarca] non può che prevalere in questa città l’idea della “inclusione” [l’umanesimo presuppone l’idea di inclusione] e l’inclusione [parola di grande attualità in questo momento] raggiunge il più alto grado simbolico con “l’unione del sacro con il carnale” che è rappresentata dal grembo di Maria, Vergine e Madre.
E, quindi, il tempo - inteso prima di tutto come “tempo della salvezza” - non può che aver inizio dal momento dell’inclusione: e, di conseguenza, l’anno deve iniziare dall’Annuciazione [dall’Immacolata concezione].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di queste parole - introduzione, inserimento, accettazione, accoglienza, iscrizione, appartenenza, immissione, inquadramento - mettereste per prima accanto al termine "inclusione"?... In base alla parola scelta: scrivete quattro righe in proposito...
Roma è invece il centro di un insegnamento esclusivo e convinto della sua supremazia e questa mentalità è vicina all’idea del parto come momento di separazione dal grembo materno e, quindi, l’ideologia della Roma papalina medievale e rinascimentale mette in primo piano la restrizione piuttosto che l’inclusione. Michelangelo, fin dalla sua nascita, viene a trovarsi al centro di un conflitto tra le opposte inclinazioni di queste due città, Firenze e Roma.
Ludovico Buonarroti nel suo appunto dedicato alla nascita del figlio non menziona sua moglie ed è probabile che il parto sia stato assai travagliato, come spesso accadeva a quel tempo, e sembra che il nome del neonato possa essere un indizio in questo senso perché l’arcangelo Michele è, secondo la tradizione, l’angelo della guarigione: colui che detiene le chiavi della vita e della morte. L’aver chiamato il neonato Michelangelo [“Michelagnolo” in vulgata fiorentina] fa intendere che la sua salute - e probabilmente la sua stessa vita - sono state in pericolo [la salute delle madri contava poca, la percentuale della mortalità causata dal parto era elevatissima].
Quello che Ludovico Buonarroti probabilmente non sa è che la tradizione ebraica insegna che “Michele” [Mikha-el ha-Malakh] è “l’angelo difensore del popolo ebraico” dai suoi pericolosi nemici. In seguito, a Firenze, Michelangelo viene a conoscenza del significato del suo nome e questa idea ha avuto, per tutta la sua lunga vita, un eco profondo nel suo animo.
Ludovico - poiché Francesca è debole - si è affrettato ad affidare il bambino a una balia, una giovane donna del popolo proveniente da una famiglia di scalpellini, e alcuni decenni più tardi, Michelangelo ha scherzato con l’aretino Giorgio Vasari, suo amico, collega e biografo dicendogli: «Giorgio, se ho quancosa di buono nell’ingegno, mi è venuto dal nascere nella sottilità dell’aria del tuo paese d’Arezzo; così come anche tirai dal latte della mia balia gli scarpelli e ‘l mazzuolo, con che io fo le figure».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale caratteristica, secondo voi, potete aver ereditato dalla peculiarità del vostro luogo di origine?---
Scrite quattro righe in proposito...
Michelangelo è cresciuto senza ricevere alcun affetto dalla famiglia: sua madre, cagionevole di salute, muore quando lui ha appena sei anni e suo padre si risposa e va a vivere lontano da lui. Forse è per questo motivo che Michelangelo è sempre stato ossessionato dall’idea della famiglia e lui non si è mai sentito né vicino al padre né tanto meno alla matrigna, né ai fratelli e alle sorelle. Il solo legame che sente con i familiari è quello alimentato dai tanti racconti del presunto antico splendore della casata e Michelangelo, fino alla morte, ha impegnato i suoi lauti guadagni per ricostituire la perduta fortuna dei Buonarroti, ma sappiamo che questo atteggiamento lo ha messo in competizione con il padre per conquistarsi il ruolo di capofamiglia, e questo causa un costante motivo di attrito tra i due, e Michelangelo ha sempre condiderato un fatto disonorevole l’avere un padre come Ludovico.
Anche Nena, la più decisa delle due zittelle - protagoniste dell’omonimo romanzo che stiamo leggendo - considera disonorevole il fatto che Tombo, la scimia di famiglia, possa aver commesso un atto sacrilego profanando la Cappella del monastero attiguo alla casa dove le due zittelle abitano, e, se fosse vero, Nena sarebbe anche intenzionata, per punire l’animale moralmente inaffidabile, ad ucciderlo. Lei però, sulle prime, non si capacita come Tombo possa evadere dall gabbia nella quale è tenuto prigioniero, per giunta, legato alla catena. Leggiamo.
LEGERE MULTUM….
Tommaso Landolfi, Le due zittelle
Passarono due o tre notti prima che le donne, le quali vegliavano a turno, potessero sorprendere la scimia se non altro in flagrante infrazione alle regole della casa; anzi, per dirlo subito, in flagrante delitto di nottambulismo e obliquità. Esse avevano stabilito che per tutta la durata della notte almeno una di loro restasse sveglia, e prendesse silenziosamente posto, all’ora abituale del riposo, su una poltrona situata in una stanza da letto che dava nel breve corridoio di fronte alla cucina; attraverso le due porte, lasciate socchiuse, la scolta [la sentinella] poteva giusto sorvegliare la gabbia dell’animale, sufficientemente illuminata dalla candelina elettrica dì e notte accesa, nella cucina, davanti a un’immagine della Madonna. Essa scolta doveva naturalmente badare a non far rumori sospetti, sicché la scimia potesse credere le abitatrici della casa abbandonate come sempre al sonno, e in generale non percepisse nulla di irregolare nelle loro abitudini; e doveva dar l’allarme al menomo caso degno di nota.
... continua la lettura ...
Anche Michelangelo, appena adolescente, viene in un certo senso “messo in gabbia” da suo padre e tra poco ne parleremo.
Abbiamo citato poco fa Giorgio Vasari che tutte e tutti voi conoscete. Giorgio Vasari è stato un pittore, un architetto e il primo storico dell’Arte italiano. La fama maggiore di Giorgio Vasari [nato ad Arezzo il 30 luglio 1511 e morto a Firenze il 27 giugno 1574] oggi è legata al trattato intitolato delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, pubblicato nel 1550 e riedito con aggiunte nel 1568. Quest’opera [di non facile lettura per via della comunque bella e raffinata lingua cinquecentesca del Vasari] è preceduta da una Introduzione di natura tecnica, storica e critica sulle tre arti maggiori - l’architettura, la scultura e la pittura - ed è una vera e propria pietra miliare della storiografia artistica, ed è, ancora oggi, il punto di partenza fondamentale per lo studio della vita e delle opere dei più di 160 artisti dei quali Vasari parla.
Giorgio Vasari ha il merito di aver fatto conoscere questi artisti italiani nel mondo e il personaggio che lui esalta maggiormente - perché ritiene sia universalmente il modello da imitare - è Michelangelo, e arriva quasi a divinizzare la sua figura. Secondo Giorgio Vasari, anche le stelle e i pianeti hanno destinato Michelangelo a un’esistenza unica e le prime parole con cui si apre la sua biografia di Michelangelo ricordano addirittura la descrizione della nascita di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni : Vasari evoca l’Onnipotente che dalla sua dimora nell’alto dei cieli osserva gli artisti del mondo [i poeti, gli scultori, i pittori, gli architetti] “che si affannano nell’errore”, scrive Vasari, e allora Dio, clemente e misericordioso, decide di inviare loro “uno spirito che, guidato da verità, saggezza e talento, mostri loro la via”. Non c’è da meravigliarsi se nel Cinquecento, sulla scia del Vasari, si parla e si scrive del «divino Michelangelo».
Il suo biografo sottolinea che Michelangelo è nato sotto il segno di Giove [il segno dei Pesci] con Mercurio e Venere in ascendente e c’è anche una tradizione ebraica, allude Vasari, circa l’influenza di stelle e pianeti sulla vita umana. Secondo il trattato ebraico intitolato Aggadà [le leggende dei Sapienti] colui che nasce il secondo giorno della settimana [cioè il lunedì, il giorno in cui è nato Michelangelo] avrà un carattere turbolento, perché nel secondo giorno della creazione ha avuto luogo “la separazione delle acque” e la separazione è un segno di caparbietà e di focosità. Sempre secondo la Aggadà, il nato sotto Giove [Giove in ebraico è chiamato Tzedek, cioè Giustizia] sarà un “tzadkan” [una persona che ama e cerca la giustizia], mentre l’influenza di Venere elargisce “ricchezza e sensualità” e quella di Mercurio dona “intuito e saggezza”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di queste caratteristiche - la caparbietà, la focosità, la ricchezza, la sensualità, l'intuito, la saggezza - mettereste per prime e quale per ultima?...
Scrivete, sono due parole ma rivelatrici...
Questa previsione corrisponde bene alla vita e alla carriera di Michelangelo: egli ha un temperamento impetuoso, tende a difendere i deboli e gli oppressi, diventa ricco e famoso per le sue mirabili riproduzioni del corpo umano nudo e dà prova di una profonda comprensione delle verità spirituali, ha una straordinaria memoria visiva [che oggi chiameremmo «fotografica»] e una grande tenacia affettiva che lo ha reso un amico leale, un artista appassionato e “un tormentato romantico” ante litteram.
Ebbene, una persona dotata di queste caratteristiche come Michelangelo non poteva non avere dei legami incrollabili con le idee, con le persone e con le immagini che amava ed è diventato un artista senza uguali in perenne ricerca della Verità, ma queste caratteristiche lo hanno anche reso un soggetto solitario e inguaribilmente malinconico. Forse il suo essere solitario e malinconico ha le sue radici nell’insanabile conflitto che, fin ba bambino, ha avuto con il padre, un padre che, abbiamo detto poco fa, da adolescente, lo “mette in gabbia”. Che cosa vuol dire?
Il conflitto tra Michelangelo e suo padre diventa insanabile quando lui ha appena tredici anni. Ludovico vuole che il figlio dopo la Scuola elementare, siccome ha imparato bene a leggere, a scrivere e a far di conto, s’iscriva alla corporazione fiorentina della lana e della seta: un obiettivo non molto ambizioso ma che gli avrebbe garanito una posizione rispettabile su cui la famiglia avrebbe potuto contare anche economicamente. Il ragazzo, però, ha la passione per l’arte visiva: vuole dedicarsi alla lavorazione della pietra e passa gran parte del suo tempo a disegnare. Per questo Ludovico punisce spesso il figlio perché considera il suo modo di comportarsi una perdita di tempo. Michelangelo subisce l’ira del padre ma non demorde e non pensa ad altro che a diventare un artista e Ludovico, disgustato, si deve rassegnare: il ragazzo ha carattere, gli dà del filo da torcere [i due non si sopportano più] e, di conseguenza, lo porta a Firenze dove riesce a farlo accettare, come apprendista, nella bottega di Domenico Ghirlandaio, già membro della squadra di artisti incaricati di affrescare la nuova Cappella vaticana di papa Sisto IV.
Il Ghirlandaio mette alla prova Michelangelo: gli dà una tavoletta di legno di scarto e un carboncino e gli fa disegnare un oggetto, e capisce subito che il ragazzo ha talento ma non si sbilancia nell’assumerlo come garzone-apprendista. Ludovico è soddisfatto [e anche un po’ meravigliato] dei ventiquattro fiorini d’oro [più vitto e alloggio] che il figlio avrebbe ricevuto nei tre anni di apprendistato, ed è soprattutto contento [non se lo aspettava] dell’anticipo che si ritrova in mano: quel ragazzo cocciuto, che non voleva imparare un “mestiere utile”, ha tuttavia, nell’immediato, dato un contributo al bilancio familiare.
Stare a bottega dal Ghirlandaio era come essere “in gabbia”: si trattava di una sorta di schiavitù, e a tredici anni il giovane Michelagnolo Buonarroti dice addio all’infanzia ed è tenuto, per contratto, a passare alcuni anni a tritare pigmenti, a mescolare gesso e colori, a pulire e riparare pennelli, a trascinare scale e a obbedire a qualunque ordine gli venga dato. Era fuori di casa, non aveva più una famiglia e di questo non se ne dimenticherà mai. Più tardi Michelangelo dirà che a bottega dal Ghirlandaio non aveva imparato niente, ma questo è un giudizio un po’ troppo severo e riduttivo perché le competenze di base le ha acquiste in quella situazione, certamente assai scomoda e poco piacevole da ricordare.
Ma, per fortuna, in tutto questo, c’è il lato positivo: Michelangelo è a Firenze, e Firenze, nell’Europa del Quattrocento, è il vero centro del mondo per tutto ciò che riguarda la cultura, l’arte e le idee. Michelangelo è rimasto solo ma è a Firenze all’inizio del Rinascimento ed è da qui e da ora che inizia il suo viaggio, così come inizia il nostro.
Firenze è il posto adatto e l’alba dell’Età moderna è il momento ideale per ricevere una formazione molto speciale. E quali sono gli elementi fondamentali della formazione “molto speciale” che Michelangelo ha ricevuto a Firenze all’alba dell’Età moderna?
Per rispondere a questa domanda [a questa domandona] dobbiamo metterci a studiare e, quindi, dobbiamo prendere decisamente il passo sulla strada del nostro Percorso di Alfabetizzazione culturale e funzionale con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé e consapevoli soprattutto del fatto che non si deve mai perdere la volontà d’imparare. E adesso, come Michelangelo, la sentiamo anche noi, in sottofondo, la voce reca del Ghirlandaio che, alle sei di mattina, fa irruzione nella camerata degli apprendisti e urla: «Sveglia, ovvìa, dormiglioni, che il cardo delle lenzuola un fa bollir le pentole!». «Ma io, dirà in seguito Michelangelo, ero già sveglio e non avea lenzuola il nostro pagliericcio». Forse Michelangelo avrebbe voluto sentir cantare: «È primavera, svegliatevi bambine …» ma non era primavera, bensì era l’autunno del 1488 e buon per lui che non rimarrà molto a bottega dal Ghirlandaio, perché, a breve, qualcuno lo compra e il Ghirlandaio glielo vende volentieri perché non aveva bisogno di un testardo ragazzo che non amava dipingere ma voleva scolpire. Chi compra Michelangelo e perché?
Il viaggio è iniziato, la Scuola è qui…