ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna 16-17-18 novembre 2016
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE
ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA LE FUNZIONI DELL’ANIMA
CORRISPONDONO ALLE AZIONI COGNITIVE ...
Questo è il sesto itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna”.
Come ben sapete siamo in attesa di poter entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio: un lavoro che si è concluso ufficialmente con l’inaugurzione avvenuta il 31 ottobre 1512, il giorno del nono anniversario del pontificato di papa Giulio II, il committente di quest’opera etichettata come blasfema dal supremo magistrato del tribunale dell’Inquisiazione, Giovanni Rafanelli con una similitudine apocalittica.
Perché non siamo ancora entrate ed entrati nella Cappella più famosa del mondo? Perché prima, come ben sapete, dobbiamo studiare gli elementi che determinano la formazione intellettuale di Michelangelo se vogliamo conoscere il significato dei suoi affreschi per capire che non c’è blasfemìa in questo messaggio, ma bensì un richiamo, voluto dal papa, perché la Chiesa si avvii sulla strada di una riforma in senso evangelico [se guardiamo un’opera senza saperla leggere possiamo provare un’emozione ma non abbiamo la possibilità di investire in intelligenza e di dare una qualità a questa emozione] e poi, prima di entrare nella Cappella Sistina, dobbiamo conoscere nelle sue linee generali il contesto culturale dell’epoca in cui vivono e operano papa Giulio II [l’esigente committente] e Michelangelo stesso: siamo gli albori dell’età moderna, un’epoca, nella quale anche noi, in questo momento, stiamo viaggiando virtualmente.
La scorsa settimana, dopo aver incontrato Cosimo il Vecchio de’ Medici [che, dal 1437, favorisce l’utile inserimento a Firenze della comunità e della cultura ebraica e dal 1462 investe risorse nella creazione dell’Accademia platonica fiorentina, un argomento di cui stiamo ancora parlando] abbiamo visto entrare in scena, al governo “indiretto” della città di Firenze, suo nipote Lorenzo il Magnifico [il Munifico], il quale, dopo aver incontrato Michelangelo che, adolescente, fa il garzone-apprendista nella bottega del Ghirlandaio, ed essendosi reso conto del talento di questo ragazzo che ha una vera passione per scolpire la pietra, lo adotta informalmente: Michelangelo, a quattordici anni, ha la fortuna e il privilegio di crescere e di formarsi intellettualmente come se fosse uno dei rampolli della famiglia Medici.
Nella formazione di Michelangelo hanno avuto un notevole influsso due studiosi, due importanti filosofi europei di questo periodo [agli albori dell’Età moderna]: Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola, e l’influenza del pensiero di queste due persone si avverte nelle opere di Michelangelo.
La scorsa settimana abbiamo incontrato Marsilio Ficino [che sta viaggiando ancora insieme a noi] e abbiamo iniziato a studiare le tesi contenute nelle sue due opere più significative: Teologia platonica e Sulla Vita, e l’analisi delle argomentazioni di Marsilio non è ancora terminata da parte nostra. Come sapete, nel pensiero di Marsilio Ficino emergono due temi che durante l’Età rinascimentale hanno avuto grande risalto: il “tema dell’Anima” concepita come un Microcosmo [il Mondo in piccolo] che contiene in sé tutto l’Universo [quindi, il fatto di avere un’anima rende universale la singola persona e anche ogni singola cosa], e il “tema della Bellezza” trattato da Marsilio secondo il pensiero del Simposio o Convivio di Platone che attribuisce al fenomeno della Bellezza un ruolo oggettivo per cui “una persona e una cosa è bella perché l’idea della Bellezza la contiene in sé” e Michelangelo viene influenzato dalla riflessione di Marsilio Ficino su questi due temi sensibili, quello dell’Anima e quello della Bellezza.
La scorsa settimana abbiamo detto che questi due temi hanno ispirato molte scrittrici e molti scrittori e c’è, in proposito, un intreccio filologico che non ci può sfuggire e che riguarda un romanzo che periodicamente va riletto [come tutti i classici], e ci stiamo riferendo a quel famosissimo romanzo-breve intitolato La morte a Venezia pubblicato dallo scrittore Thomas Mann nel 1912. Il film di Luchino Visconti tratto da quest’opera è stato sicuramente visto da molte persone ma le lettrici e i lettori del testo di questo romanzo sono sempre pochi [noi, l’ultima volta, abbiamo incontrato quest’opera una decina di anni fa - in un Percorso sul Romanticismo titanico - e, quindi, è tempo di riproporlo alla lettura e alla rilettura].
La prima idea di scrivere questo racconto nasce nella mente di Thomas Mann in seguito allo choc provocato in lui dal suicidio di una delle sue sorelle. Thomas Mann nel romanzo-breve intitolato La morte a Venezia, pubblicato nel 1912, riflette [come fa in tutti i suoi romanzi] sui temi esistenziali, sui temi che riguardano il senso della vita e del destino dell’essere umano e, in modo particolare, sul destino di quella “persona speciale” che è l’artista.
E noi stiamo appunto incontrando Michelangelo, l’artista geniale per eccellenza, il quale è convinto, con Platone e con Marsilio Ficino, che una cosa sia bella perché l’idea della Bellezza la contiene in sé. Michelangelo, di conseguenza, ritiene che questa qualità [la Bellezza in sé], vada liberata, mediante la composizione dell’opera d’Arte, dalla prigione in cui è rinchiusa a causa dell’apparenza data dalla materia: si deve imparare non a guardare la materia ma a vedere l’Anima della materia e l’opera d’Arte si rivela in quanto tale nel momento in cui emerge come sostanza intellettuale, come Anima, dall’entità fisica [dalla materia]. Michelangelo traduce in pratica [con il piglio e il cipiglio dell’alfabetizzatore] questo concetto, in modo esaustivo, scolpendo i Prigioni e ribadendo che la funzione dell’Arte [e la vocazione dell’artista] è quella di rendere visibile l’Anima del Mondo [ed è in questa chiave che Marsilio Ficino traduce le Enneadi di Plotino e il Dionigi Areopagita di Proclo di Costantinopoli che sono due fonti essenziali nella formazione di Michelangelo].
Thomas Mann, facendo tesoro della sua cultura classica, affronta in La morte a Venezia il tema [che possiamo definire “michelangiolesco”] del contrasto persistente tra l’arte e la vita, e si sforza di riflettere sul tema dell’isolamento dell’artista che è condannato a non poter vivere “come gli altri” perché è tormentato dalla ricerca dell’idea della Bellezza che si annida nelle situazioni più impensate e lo attrae inesorabilmente [Michelangelo si sarebbe pienamente identificato con il protagonista di questo romanzo]. L’interprete principale di questo romanzo è uno scrittore famoso che Thomas Mann chiama Gustav von Aschenbach [Fiume di cenere], ed è un personaggio che racchiude in sé, oltre alla figura dell’autore stesso, due personalità di spicco: quella di Goethe [che esalta Michelangelo come artista divino] e quella del musicista Gustav Mahler [1860-1911] compositore, tra l’altro, di dieci [la decima è rimasta incompiuta] famose e maestose Sinfonie.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Luchino Visconti, come colonna sonora del film La morte a Venezia, utilizza L'adagietto [con una "i" di troppo] della Quinta Sinfonia di Gustav Mahler... Ascoltate o riascoltate questo celebre brano molto evocativo e definitelo con almeno un aggettivo e poi scrivetelo...
Come ben sapete, il romanzo racconta che Gustav von Aschenbach decide di recarsi a Venezia per un breve periodo di riposo e qui, mentre soggiorna al Lido, scopre all’improvviso, come per una rivelazione folgorante, di essersi invaghito, di essere stato preso dalla bellezza soave, benevola e contemporaneamente beffarda e provocatoria di un adolescente polacco: Tadzio. Gustav rimane invischiato nel conflitto tra “la contemplazione della bellezza che stimola la sua intelligenza creativa” e “lo scatenamento del torbido gioco dei sensi”, e resta completamente disorientato tanto che è incapace di reagire per cui rimane bloccato e smarrito nella città anche quando ha la certezza che essa è stata investita da un’epidemia dalla quale lui stesso viene colpito, e così si avvia, vittima cosciente, verso il totale annientamento. In funzione della didattica della lettura e della scrittura secondo la natura del nostro Percorso, c’è da dire che Thomas Mann riscrive [ritraduce, sulla scia di Marsilio Ficino] il Simposio o Convivio di Platone, e la trama di La morte a Venezia è tenue ed è soltanto un corollario per contenere il serrato dibattito tra Gustav e il suo interlocutore sul tema della Bellezza in chiave platonica [il dio che governa le azioni di Gustav è Dioniso].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La lettura del romanzo La morte a Venezia di Thomas Mann è propedeutica per poter leggere il testo - che potete richiedere in biblioteca o cercare in rete - del dialogo platonico intitolato Simposio o Convivio a cui fa riferimento.
Il protagonista del romanzo, Gustav von Aschenbach, vorrebbe che Tadzio fosse per lui come Liside, un fanciullo che dà il nome ad un altro significativo dialogo platonico: richiedete in biblioteca e cercate in rete il dialogo intitolato Liside, in cui spicca ancora una volta la figura di Socrate, per conoscere qual è il tema trattato da Platone in quest'opera...
E adesso leggiamo un breve brano [una pagina] da La morte a Venezia tenendo conto del fatto che Michelangelo [perché è della sua formazione intellettuale che ci stiamo occupando] si forma intellettualmente alla Scuola medicea di Marsilio Ficino che insegna a leggere e a commentare i Dialoghi di Platone ai quali si è ispirato Thomas Mann.
LEGERE MULTUM….
Thomas Mann, La morte a Venezia
… Oppure [Tadzio] se ne stava sulla battigia, lontano dai suoi, vicinissimo ad Aschenbach, diritto, le mani incrociate dietro la nuca, oscillando lento sugli alluci, e fantasticava assorto nell’azzurro, mentre minuscole onde scorrevano a lambirgli le dita dei piedi. I capelli color del miele gli s’inanellavano sulle tempie e sulla nuca, il sole rivelava la peluria della cervice, il fine disegno delle costole, la simmetria del torace trasparivano attraverso lo scarso rivestimento del torso, le ascelle erano ancora lisce come in una statua, l’incàvo delle ginocchia era traslucido e le venature azzurrine facevano apparire il suo corpo di sostanza ancor più diafana. Quale disciplina, quale precisione dell’idea si esprimeva in quell’organismo agile, giovane e perfetto!
... continua la lettura ...
La prosa di Thomas Mann necessita di attenzione per essere letta ma gli elementi dell’intreccio filologico che stiamo dipanando - e che coinvolgono, oltre a Thomas Mann, Platone, Marsilio Ficino e Michelangelo - si colgono senza difficoltà e, quindi, leggete e rileggete La morte a Venezia utilizzando questa chiave, tenendo conto della tematica più importante trattata nel romanzo, una tematica fondata sul concetto [platonico, ficiniano e michelagiolesco] secondo cui “una cosa è bella perché l’idea della bellezza la contiene in sé, e chi vuole “possedere” la bellezza [senza frenare il proprio istinto di possesso e senza condividerne il valore] perde la possibilità di conoscere il bello in sé e di capire le qualità del mondo creato”.
Prima di incontrare ancora Marsilio Ficino [con il quale abbiamo appuntamento] e di fare conoscenza con altri membri dell’Accademia platonica fiorentina per studiare in modo più particolareggiato il loro pensiero, è necessario anche questa sera fare un preambolo sempre in relazione al tema della formazione di Michelangelo.
La parola “formazione” ha, tra i suoi significati, quello del percorso attraverso il quale una giovane mente [e anche una mente di qualunque età] si arricchisce e prende forma, e l’esperienza fiorentina di Michelangelo, durante la sua prima adolescenza [agli albori dell’Età moderna], arricchisce senza dubbio il suo talento e dà alla sua mente la forma definitiva che avrebbe mantenuto nella sua lunga carriera. Grazie al suo apprendistato come artista, alle Lezioni che riceve nel Palazzo Medici dai migliori maestri del tempo in quanto membro della corte di Lorenzo il Magnifico, egli acquisisce una formazione assai ricca: una ricchezza di stimoli intellettuali e riferimenti culturali a cui potrà poi attingere ampiamente per affrescare la Cappella Sistina.
Come sappiamo il Ghirlandaio è stato il primo maestro di Michelangelo, e anche se [come abbiamo già detto], anni dopo, Michelangelo dichiara che il grande pittore fiorentino non gli aveva insegnato nulla, dobbiamo pensare che questo giudizio è un po’ troppo severo perché, in realtà, Michelangelo, a bottega dal Ghirlandaio, ha imparato le basi di un mestiere artistico: preparare e mescolare i colori, la tecnica della colorazione e della composizione, l’utilizzo della “prospettiva”, una delle grandi conquiste della pittura fiorentina del Quattrocento. È anche vero che non si sono trovati “contributi michelangioleschi” in nessuno degli affreschi che il Ghirlandaio ha dipinto in quel periodo ma noi sappiamo che a Michelangelo non piace dipingere bensì scolpire e questa sua passione ha potuto coltivarla quando viene condotto da Lorenzo al laboratorio del “Giardino di San Marco”, fondato - come sappiamo - su iniziativa di Lorenzo il Magnifico nel 1471. Il “Giardino di San Marco” è la sede dove continua [in clandestinità per sfuggire al controllo del tribunale dell’Inquisizione] il lavoro dell’Accademia platonica fiorentina ma, ufficialmente, è una bottega di scultura affidata al maestro Bertoldo di Giovanni che insegna a Michelangelo le basi della tecnica scultorea, e lui ci mette poco ad imparare, e poi, in breve tempo, supera il maestro. Bertoldo di Giovanni impartisce Lezioni teoriche ai suoi allievi portandoli a osservare le Opere dei grandi artisti del passato che sono in mostra un po’ dovunque a Firenze: gli affreschi del Beato Angelico e di Masaccio, le sculture di Donatello, le architetture del Brunelleschi e di Leon Battista Alberti [fate anche voi un’escursione di questo genere utilizzando una guida di Firenze].
Michelangelo è fortemente attratto dall’arte classica greca e romana di cui Lorenzo come sappiamo è diventato collezionista [anche in competizione con papa Sisto IV]: di quest’arte Michelangelo ama la semplicità, il dinamismo e la celebrazione del nudo soprattutto maschile, e la passione per l’arte classica lo accompagnerà per tutta la sua lunga carriera.
A Firenze, una generazione prima di Michelangelo, il perfetto esempio di “persona colta” [di studioso rinascimentale] è stato l’architetto [pittore, scrittore, atleta, musicista, giurista] Leon Battista Alberti [1404-1472], un umanista che segue la Lezione di Francesco Petrarca e che abbiamo incontrato nel maggio scorso. L’Alberti, in uno dei suoi trattati sull’Arte, ha scritto: «Sia il pittore che lo scultore devono essere persone dotte in buone lettere». E Lorenzo ne è fermamente convinto e desidera che tanto i suoi figli quanto Michelangelo ricevano la miglior formazione “letteraria” possibile. I figli di Lorenzo sono stati istruiti, fin dalla più tenera età, dal grande umanista, poeta ed esperto di cultura classica Angelo Ambrogini, nato a Montepulciano nel 1454, detto il Poliziano [da Mons Policianus, l’antico nome di Montepulciano], il quale, orfano dall’infanzia, è stato condotto a Firenze dove i Medici si sono presi cura di lui, e lui, naturalmente, è molto affezionato a tutta la famiglia, insieme alla quale vive gran parte della sua esistenza, e nutre una particolare devozione per Lorenzo, come s’intuisce dall’opera intitolata Adorazione dei Magi di Sandro Botticelli [dipinta tra il 1476 e 1477] in cui l’intera corte medicea assiste alla scena [i Magi che portano i loro doni a Gesù bambino] descritta nel dipinto, e Poliziano sta abbracciato a Lorenzo in un’atteggiamento che le studiose e gli studiosi descrivono come “di grande amicizia”, nel senso di “amicizia particolare”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Consultando un catalogo in biblioteca, navigando in rete o facendo un’escursione alla Galleria degli Uffizi, osservate il dipinto di Sandro Botticelli intitolato Adorazione dei Magi… Nell’angolo inferiore sinistro si può vedere Lorenzo [in fiero atteggiamento] stretto dall’abbraccio del Poliziano che gli sta alle spalle, mentre Pico della Mirandola parla con entrambi, e nell’angolo opposto [in basso a destra] si vede Botticelli che si è ritratto nell’atto di fissare chi osserva, e sapete che cosa sta dicendo?… Botticelli sta dicendo: «Se in questo mio dipinto c’è un particolare che vi colpisce, scrivete un appunto in proposito»… Scrivetelo, non lo contraddite… Nella Cappella Sassetti in Santa Trinita in un affresco il Ghirlandaio ritrae Poliziano di profilo: ha un bel naso, i capelli lisci, il padiglione auricolare scoperto… e sulla rete è facile trovare questa immagine, andate ad osservarla…
Poliziano [che è morto nel 1494] è celebre per la raffinatezza delle sue poesie in latino e in volgare quattrocentesco [le Stanze per la giostra, i Rispetti, le Canzoni a ballo, le Rime]. Poliziano celebra in ottave popolari il fascino della Natura, la bellezza dei corpi dei ragazzi e delle fanciulle e i vari sentimenti amorosi, ma Poliziano è famoso soprattutto come grande esperto di greco antico, quindi, è il miglior maestro per abituare i giovani di casa Medici alla lingua e alla cultura classica. Anche Michelangelo ha usufruito dell’insegnamento di questo insigne maestro ma si applica poco nello studio del latino e del greco [due lingue che, come vedremo, Michelangelo non ha mai ben padroneggiato] mentre, invece, è molto attratto dalla filosofia e dalla religione, e a insegnare queste discipline, come ben sappiamo, c’è Marsilio Ficino.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La parola "formazione" è sinonimo di "educazione, istruzione, preparazione, sviluppo, mafurazione"... Quali sono state le tappe salienti [in famiglia, a scuola, nei vari centri di aggregazione sociale, al lavoro] della vostra formazione: scrivete quattro righe in proposito...
Michelangelo è molto attratto dalla filosofia e dalla religione e a insegnare queste discipline [come ben sappiamo] nel Palazzo Medici c’è Marsilio Ficino che tra poco rincontreremo ma, prima [e anche Marsilio è d’accordo] dobbiamo terminare la lettura del romanzo che come sapete s’intitola Le due zittelle, scritto da Tommaso Landolfi nel 1946. Perché abbiamo letto per intero questo romanzo? Perché, come ben sapete, in funzione della didattica della lettura e della scrittura secondo la natura del nostro Percorso, costituisce il terzo segmento di un intreccio filologico che comprende, come primo elemento, l’affermazione proferita dall’inquisitore domenicano Giovanni Rafanelli alla vista del soffitto, affrescato da Michelangelo nella Cappella Sistina, il giorno dell’inaugurazione dell’opera [il 31 ottobre 1512], quando il Rafanelli, come sapete, pronuncia una singolare frase di condanna che il bibliotecario vaticano Fedra Inghirami ha tramandato nel suo Epistolario: dice Rafanelli in tono severo «È come se la bestia immonda dell’Apocalisse fosse entrata in questo sacro Tempio e avesse profanato il tabernacolo mangiandosi le Ostie consacrate».
Questa stessa metafora di tradizione popolare concepita per condannare un gesto blasfemo è stata utilizzata, come sapete, dallo scrittore russo Anton Čechov per concludere, in modo sarcastico, un suo romanzo-brevissimo, scritto nel 1884, intitolato La lettura [che abbiamo letto per la celebrazione del tradizionale rituale della partenza nel corso del primo itinerario del nostro viaggio], e questo costituisce il secondo segmento dell’intreccio filologico che stiamo per dipanare. Anton Čechov denuncia il fatto che non si può obbligare una persona a leggere senza un’adeguata preparazione [funzionale e culturale] perché questa imposizione crea una totale repulsione del malcapitato verso i libri [in questo caso si tratta di un ingenuo impiegato al quale il capo-ufficio impone la lettura de Il conte di Montecristo senza le dovute spiegazioni per cui vengono messe alla prova le sue consolidate convinzioni morali portandolo alla disperazione] e così non leggerà mai più; e scrive Čechov: «Alla vista d’un libro trema perché leggere si configura in lui come un gesto blasfemo, come quello che si raccontava di una scimmia che, fuggita dalla sua gabbia, si era rifugiata in una chiesa e lì si era mangiata tutte le ostie consacrate conservate nel tabernacolo: venne condannata a morte».
E il terzo segmento dell’intreccio filologico che sta per dispiegarsi - il romanzo Le due zittelle di Tommaso Landolfi che è stato il più qualificato traduttore delle opere di Čechov in italiano - sviluppa con il suo stile particolare da archeofilologo questa allegoria popolare e, come sappiamo, racconta che le due sorelle [zittelle, scritto con due t] protagoniste del romanzo, Lilla e Nena, convivono con una serva [Bellonia] e con una “scimia” [scritto con una m sola] che si chiama Tombo, e che hanno ricevuto in dono, anni prima, da un loro fratello marinaio morto in terre lontane. Tombo - contro ogni previsione - ha imparato, di nascosto, a togliersi il collare, ad aprire la gabbia, a penetrare nottetempo con cadenza regolare nella cappella dell’attiguo convento di suore e ad aprire il tabernacolo in modo da cibarsi delle ostie consacrate, bere il vin santo e atteggiarsi come se “dicesse messa”. Quando Tombo viene scoperto - dopo la denuncia delle monache e vari appostamenti - Nena sentenzia che questo comportamento “sacrilego” va punito con la morte, mentre Lilla è più indulgente, ma il destino della “scimia blasfema” viene affidato al giudizio di due religiosi - il vecchio monsignor Tostini e il giovane padre Alessio - che imbastiscono una disputa di carattere teologico-dottrinale che deborda, come abbiamo letto la scorsa settimana, in uno scontro che supera i confini della semplice questione, e questo non giova al povero Tombo. Monsignor Tostini - nonostante ostenti comprensione verso tutti i peccatori - sostiene che la scimia, in quanto animale, meriterebbe una certa indulgenza ma Tombo ha senza dubbio commesso un grave peccato che non può essere assolto perché l’assoluzione prevede un pentimento e impone una penitenza che l’animale non è in grado di fare, quindi, senza possibilità di assoluzione rimane la condanna perché il peccato è stato creato da Dio stesso. Padre Alessio, messa da parte la sua iniziale timidezza, controbatte affermando che l’animale va assolto perché le bestie sono inconsapevoli e non possono commettere peccati in quanto la nozione di peccato l’hanno inventata gli uomini, e Dio non è né buono né cattivo in quanto non rientra in nessuna categoria morale perché niente è al di fuori di Lui, e ogni cosa ci deriva da Lui, il cosidetto bene come il male, senza distinzione.
Le affermazioni di padre Alessio [nelle quali si coglie il pensiero di Meister Eckhart e di Sant’Agostino] fanno alzare il livello dello scontro e lui stesso - che dileggia pesantemente il monsignore ed irride le zittelle stesse per la loro inequivocabile ipocrisia - viene considerato “indemoniato e blasfemo” al pari della “scimia” della quale si è fatto paladino per cui viene scacciato a viva forza da quella casa. Peggior avvocato difensore il povero Tombo - metafora di tutti gli innocenti sacrificati in nome della loro alterità - non poteva trovare: la sua condanna a morte è decretata [da Nena], e non è la giustizia che trionfa [come sostiene padre Alessio] ma piuttosto la vendetta, e noi leggiamo le ultime pagine di questo romanzo dal tono tragico consapevoli del fatto che nei risvolti della tragedia si annida sempre il tarlo della comicità e Tommaso Landolfi, da bravo tragediografo, non trascura questo aspetto.
LEGERE MULTUM….
Tommaso Landolfi, Le due zittelle
Ammazzarlo, ma come? il meglio, diceva Lilla, è darlo a uno … sì, a uno di quegli istituti che senza dolore … Ma no, gli faranno ugualmente male, ribatteva Nena andando in su e in giù per la stanza e torcendosi le mani al suo solito modo. Da quando era cominciata quella storia le zittelle apparivano più scarruffate di prima, che non sempre pensavano a mettersi la reticella, e i loro cernecchi irti o pendenti avevano un color bianco giallastro o affumicato. Per Bellonia quella non era poi la fine del mondo; eh, con una coltellata in canna non soffrirà affatto … La buona fante era abituata ad ammazzar polli.
... continua la lettura ...
Tommaso Landolfi, con questa esercitazione allegorica, propone una riflessione sul “perdurare del rigime inquisitorio” che non ha rispetto della dignità degli esseri del creato accettandoli per quello che sono: creature al di là del bene e del male.
Anche Angelo Poliziano è rimasto colpito dalla forma e dal contenuto di questo testo e per commemorare il povero Tombo - vittima innocente di una riprovevole ipocrisia inquisitoria - ci suggerisce di leggere uno dei suoi Rispetti, il IX. I Rispetti di Poliziano sono brevi composizioni poetiche con le quali descrive soprattutto i vari aspetti del sentimento amoroso: Michelangelo ha imparato da Poliziano a scrivere i suoi pensieri in rima per mettere l’accento sul significato del loro contenuto. Il Rispetto IX di Angelo Poliziano descrive “le querele” [le lagnanze] di un amante respinto che “avrebbero mosso a pietà anche un’orsa” ma la sua interlocutrice è una “donna crudele e dura” che non ascolta ragioni.
LEGERE MULTUM….
Angelo Poliziano, Poesie Rispetto IX
Io avrei già un’orsa a pietà mossa, ma tu sei dura a tante mie querele [lagnanze];
che avrai tu fatto poi che nella fossa vedrai sepolto il tuo servo fedele?
Ecco la vita, ecco la carne e l’ossa: che vuoi tu far di me, donna crudele?
È questa la ricompensa alle mie pene? Dunque m’uccidi perché ti voglio bene? …
Il testo del Rispetto IX di Poliziano rispecchia la tragica fine del povero Tombo.
Torniamo ora a incontrare Marsilio Ficino leggendo una pagina tratta dal Libro I della sua opera intitolata Teologia platonica. Ci sono pagine, nelle Opere dei Classici, il cui testo risulta così sintetico ed efficace da diventare un vero e proprio “manifesto programmatico” esplicativo di un movimento culturale. La pagina che stiamo per leggere rappresenta uno dei manifesti dello spirito rinascimentale: uno spirito che esalta il ruolo dello “studio” nella vita delle persone e la “rinascita” si concretizza attraverso la fondazione di “circoli di studio”. Marsilio Ficino, in questo denso frammento che stiamo per leggere, ripercorre l’Età assiale della Storia [un’Epoca, quella delle cosiddette Grandi Civiltà dell’Antichità, che comincia a prendere forma - attraverso l’analisi storica e letteraria degli Umanisti - proprio agli albori dell’Età moderna] e, quindi, Marsilio fa un inventario di personaggi - quelli di cui lui conosce le Opere - attraverso i quali il Logos [la Parola, il Pensiero di Dio, del Dio cristiano evocato dal Prologo del Vangelo secondo Giovanni che continua ad essere il Libro più importante anche durante il Rinascimento], elenca una serie di figure-chiave, attive presso le Civiltà dell’Età antica, attraverso le quali il Logos, prima di incarnarsi nella persona di Gesù di Nazareth, si è manifestato.
Questo elenco di personaggi prima di tutto esprime un concetto che in Età rinascimentale diventa un modello - scrive Marsilio «Il Logos [la Parola e il Pensiero di Dio] è universale e, prima di farsi carne in Cristo, ha comunicato la sua luce a tutte le creature e ha ispirato i grandi pensatori di tutti i popoli» - e questo ragionamento, questo schema logistico, lo troviamo applicato, un quarto di secolo dopo, ne La Scuola di Atene di Raffaello [dove tutti i personaggi lì raffigurati sono stati ispirati dal Logos e, già prima di Cristo, hanno pensato e agito in funzione della Storia della salvezza] e, quindi, l’opera intitolata Teologia platonica di Marsilio Ficino ha fatto Scuola in questo senso e la conoscono bene Giulio II, Fedra Inghirami, Bramante, Raffaello e, naturalmente, Michelangelo che “il concetto dell’univeralità del Logos che si manifesta nei precursori [i Patriarchi, le Sibille, i Profeti] di Gesù Cristo” lo applica [come vedremo] nell’opera di “affrescatura” del soffitto della Cappella Sistina.
Dobbiamo anche ricordare che l’idea del Logos [dello Spirito] che viaggia da un personaggio all’altro ci fa anche pensare al Percorso sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel che ha coinvolto molte e molti di noi nell’anno 2007 [e Hegel lo rincontreremo a suo tempo, ora ricordiamo che è stato un grande studioso della Filosofia rinascimentale nella quale ha trovato ispirazione]. Ci sono ancora due argomenti da mettere in evidenza in questo breve e denso “brano programmatico”, scritto nel 1482 da Marsilio Ficino, e sono entrambi legati al tema dell’Anima, ma ne parliamo dopo averlo letto.
LEGERE MULTUM….
Marsilio Ficino, Teologia platonica Libro I
Il Logos è universale e prima di farsi carne in Cristo onde abitare tra noi ha comunicato la sua luce a tutte le creature, ispirando, in varietà di modi e di tempi, i grandi pensatori di tutti i popoli. Sopra ogni altro Platone e i suoi figli. Per primo il sublime Plotino di cui il maestro dice: “Questi è il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo”. Platone e i suoi figli sono ispirati perché hanno posto l’idea del Logos al centro del loro veder la Vita e del loro intendere il Mondo.
Prima, un tempo, è avvenuto che una certa pia filosofia nascesse presso i Persiani sotto Zoroastro [Zaratustra] e presso gli Egizi sotto Mercurio Ermetico [Ermete Trismegisto], in ambedue i luoghi conforme a se stessa, e si nutrisse poi presso i Traci con Orfeo altrimenti detto Dioniso, e crescesse ben presto sotto Pitagora presso i Greci e i Tirreni [gli Etruschi] e finalmente trovasse il proprio compimento ad Atene, per opera del divino Platone. E poi il Logos continua il suo cammino nella nostra Anima che perciò può essere definita a buon diritto il centro della Natura e il contenitore dell’Universo, lo specchio del Mondo, il volto del Tutto, il legame tra i Sensi e l’Intelligenza e il vincolo di tutti gli Enti. Ed è per merito dell’Anima se una persona può fregiarsi della propria umana dignità. …
Questo brano contiene, nella parte finale, un secondo inventario - sul quale anche Michelangelo [insieme a tutti gli intellettuali rinascimentali] ha riflettuto - che riguarda le parole-chiave che accompagnano il concetto di Anima. All’Anima vengono attribuite le stesse funzioni che ha il Logos [la Parola creatrice e il Pensiero vitalizzante] e queste funzioni non hanno una peculiarità religiosa ma hanno un’impronta didattica: che cosa vuol dire?
Marsilio Ficino [da intellettuale platonico che coltiva uno spirito eclettico e laico in quanto influenzato dalle Opere di Francesco Petrarca e di Cicerone] vuole attribuire all’idea sublime dell’Anima un ampio ventaglio di funzioni: tutte quelle annoverate dalla filosofia neoplatonica che considera l’Anima del Mondo della stessa “sostanza intellettuale” del Logos [della Parola creatrice, del Pensiero vitalizzante]. Marsilio cataloga le funzioni dell’Anima definendola: “il centro della Natura”, “il contenitore dell’Universo”, “lo specchio del Mondo”, “il volto del Tutto”, “il legame tra i Sensi e l’Intelligenza”, “il vincolo di tutti gli Enti” [di tutte le cose].
Con questo catalogo Marsilio presenta l’Anima come “un oggetto polifunzionale di natura intellettuale”, quindi, la persona - per coltivare le potenzialità della propria Anima in modo da dare un senso alla propria umanità - è chiamata a impegnarsi nello studio perché la persona può dare un significato [può dare una dignità] alla propria umanità quando prende coscienza [afferma Marsilio Ficino nel suo ruolo di maestro] del fatto che le funzioni dell’Anima sono determinanti per attivare l’esercizio dell’apprendimento, per cui l’Anima è “il centro” quando la persona cura la propria “capacità di sintesi”, l’Anima è “il contenitore” quando la persona cura la propria “capacità di analisi”, l’Anima è “lo specchio” quando la persona cura la propria “capacità di valutare”, l’Anima è “il volto” quando la persona cura la propria “capacità di conoscere”, l’Anima è “il legame” quando la persona cura la propria “capacità di comprendere”, l’Anima è “il vincolo” quando la persona cura la propria “capacità di applicarsi nello studio”.
Quindi, secondo Marsilio Ficino, l’Anima s’identifica con la parte “fremente” dell’Intelletto, dove, come in una fucina in attività permanente, operano le azioni dell’apprendimento - conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare - che il filosofo, secondo lo stile rinascimentale [lo stile, ormai in atto, dell’Accademia platonica fiorentina], enuncia in termini metaforici. Le funzioni dell’Anima corrispondono alle azioni cognitive declinate in chiave allegorica [che operano nella parte fremente dell’Intelletto, che è il luogo dell’Anima]. Se Marsilo Ficino scrive: «L’Anima è il volto [il conoscere], è il legame [il comprendere], è il vincolo [l’applicarsi], è il contenitore [l’analizzare], è il centro [il sintetizzare], è lo specchio [il valutare]» è perché - secondo lo stile “moderno” - vuole operare, oltre che da grammatico, anche come se fosse un pittore, uno scultore, e anche un poeta, secondo l’unità dei saperi e la pluralità delle competenze.
E adesso cominciamo a capire perché Michelangelo, frequentando le Lezioni di Marsilio Ficino alla Scuola medicea, è diventato Michelangelo. Marsilio Ficino ripristina il concetto platonico originale dell’Anima intesa come “idea sublime”, cioè come la parte qualitativa dell’Intelletto che crea nella persona la tensione [l’Eros] verso la conoscenza.
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Quale di queste parole - il centro, il contenitore, lo specchio, il volto, il legame, il vincolo - mettereste per prima accanto alla parola "Anima"?...
Scrivetela...
Che cosa vi fa venire in mente di autobiografico la parola che avete scelto?...
Scrivete quattro righe in proposito...
La pagina dal Libro I della Teologia platonica di Marsilio Ficino che abbiamo letto si chiude con una significativa affermazione: «Ed è per merito dell’Anima [delle varie funzioni dell’attività di apprendimento] se una persona può fregiarsi della propria umana dignità». E sulla scia di questa affermazione entra in scena Giovanni Pico della Mirandola che è stato chiamato a Firenze proprio da Marsilio Ficino nel 1484 perché dia il suo apporto di giovane studioso all’Accademia platonica fiorentina: qual è il nesso tra l’affermazione di Marsilio Ficino e il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola?
L’opera più significativa di Pico della Mirandola s’intitola L’orazione sulla dignità della Persona, e si tratta di una delle opere più importanti della Storia del Pensiero Umano. Pico della Mirandola è, di nome, un personaggio conosciuto, e un certo numero di italiani sa che questa persona aveva una grande memoria e conosceva a memoria tutta la Divina Commedia, ma, a parte questo particolare [quasi insignificante], chi è Giovanni Pico della Mirandola?
Giovanni Pico della Mirandola [1463-1494] arriva a Firenze - invitato da Marsilio Ficino - nel 1484 quando ha vent’anni: è un conte e, come risulta dal nome, arriva da Mirandola, una cittadina in provincia di Modena. Giovanni Pico è uno studente ben preparato, si è formato a Padova, a Pavia e a Parigi alla facoltà delle Arti, una Scuola nella quale abbiamo studiato al tempo della Scolastica medioevale, durante gli ultimi tre viaggi che abbiamo fatto. Giovanni studia il pensiero di Platone, di Aristotele, di Averroè, della filosofia islamica ed ebraica: impara l’arabo e l’ebraico in modo da leggere i testi [religiosi e filosofici] in lingua originale, e capisce tra i primi che “la convivenza pacifica” e “la fattiva cooperazione nel mondo” - due espressioni “moderne” coniate da Pico della Mirandola [inizia con queste espressioni l’Età moderna? Anche con queste espressioni …] – dipendono, afferma Pico della Mirandola, dalla conoscenza delle culture, le quali non possono essere usate come strumenti di divisione ma bensì come dispositivi di armonizzazione tra i popoli. L’esigenza, che Giovanni Pico della Mirandola sente, di conoscere le lingue antiche e moderne e di comprendere le varie culture è stata denominata: “enciclopedismo moderno” e questo termine avrà un suo sviluppo nei secoli futuri. Pico della Mirandola, di conseguenza, pensa sia importante armonizzare il Cristianesimo con tutte le tradizioni culturali dell’Umanità accessibili in questo momento, e lui mette a disposizione, per raggiungere questo obiettivo, le competenze che ha acquisito sulle filosofie gnostiche dei Greci, su quelle caldaiche di Zaratustra, su quelle magiche del Platone-bizantino, su quelle logiche del Platone-ateniese, su quelle cabalistiche dell’Ebraismo e su quelle avicenniane e averroistiche dell’Islam, e questa proposta di Pico della Mirandola innesca, in teoria, un fenomeno virtuoso che chiamiamo “universalismo intellettuale del Rinascimento” ma che, purtroppo, in pratica [per l’avversione verso questo progetto di gruppi di potere poco lungimiranti], non ha dato i risultati sperati sul piano politico.
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Nella bella cittadina di Mirandola ci sono ancora i resti del castello dei Pico …
Fate un’escursione a Mirandola con una guida dell’Emilia-Romagna e sulla rete, buon viaggio…
A Firenze, nell’ambito dell’Accademia platonica fiorentina, Pico della Mirandola trova un amico, un maestro [di latino, in particolare], un valido collaboratore per la formazione del suo pensiero: si chiama Cristoforo Landino e non possiamo non ricordare questo personaggio che ha impartito Lezioni anche a Michelangelo e che, dell’Accademia platonica fiorentina, ha rivestito un ruolo importantissimo e tutto quello che sappiamo sui lavori di questa mirabile istituzione culturale lo dobbiamo a lui.
Cristoforo Landino [1424-1498] è nato a Firenze ma ha sempre mantenuto la residenza, fino alla sua morte, a Borgo alla Collina in provincia di Arezzo, una località dalla quale sarete sicuramente passate o passati per andare in Casentino.
Cristoforo Landino è un umanista molto colto di Scuola neoplatonica, è un esperto latinista, e a lui dobbiamo, anche, un corposo Commento alla Divina Commedia di Dante in chiave neoplatonica [Cristoforo Landino conosce la Divina Commedia a memoria e anche Pico della Mirandola la impara seguendo le sue Lezioni, e sul Commento di Cristoforo Landino alla Divina Commedia torneremo tra due itinerari all’interno di un nuovo contesto].
Cristoforo Landino ha diretto una scuola chiamata “Lo Studio Fiorentino” nella quale ha insegnato soprattutto la Lingua e la Letteratura latina [a Michelangelo piacevano soprattutto i contenuti della Letteratura latina, in particolare de Le metamorfosi di Ovidio], ma questo personaggio ha un merito straordinario nella storia della cultura perché è stato in pratica [anche se non ufficialmente perché, per volere di Cosimo il Vecchio, nessuno nell’Accademia riveste dei ruoli ufficiali] il segretario dell’Accademia platonica fiorentina perché tiene i verbali di tutti gli incontri e di tutte le riunioni. A lui, infatti, dobbiamo il prezioso materiale delle Conversazioni camaldolesi, le Disputationes Camaldulenses, che cominciano ad essere pubblicate già nel 1473 in quattro Libri scritti in latino e, poi, tradotti in volgare dallo stesso autore [Pico della Mirandola quando arriva a Firenze - chiamato da Marsilio Ficino - conosce già tutto il lavoro intellettuale che era stato prodotto in Accademia perché si era letto i Verbali di Cristoforo Landino ed era desideroso di conoscerlo].
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Sulla strada statale che passa per Borgo alla Collina, sulla via del Casentino, si deve transitare in una spazio ricavato attraverso le case: Cristoforo Landino abitava lì per la maggior parte dell’anno e lì è morto nel 1498…
Vi è capitato di scrivere il verbale di una riunione, di un incontro?…
Se è successo: rievocate questo avvenimento con quattro righe scritte...
Pico della Mirandola si è messo in evidenza sulla scena del suo tempo per una polemica che esplode alla fine del ‘400 sul valore della cultura scolastica medioevale [e noi sul territorio della Scolastica medioevale abbiamo viaggiato negli ultimi tre anni]. Questa polemica è stata sostenuta da Pico della Mirandola con un intellettuale veneziano che si chiama Ermolao Barbaro che è stato, da laico, un valente ambasciatore della Serenissima repubblica veneziana e poi, da ecclesiastico, patriarca di Aquileia. Della famosa e vivace polemica tra Pico della Mirandola ed Ermolao Barbaro [1454-1493] rimangono due famose Lettere, una di Ermolao scritta nel 1485 in cui sostiene che gli Scolastici medioevali sono “barbari” [incolti, grezzi, incomprensibili] perché mancano di finezza letteraria [di eloquenza] e quindi difettano in acutezza speculativa. Pico, in una Lettera di risposta, scrive affermando che bisogna studiare “la filologia” [il significato delle parole-chiave e delle idee-cardine] per leggere e capire i testi delle Opere degli autori medioevali, perché bisogna distinguere: una cosa [afferma Pico] è “l’eloquenza-retorica” [il parlar forbito, eloqui multa (per dirla in latino)] e altra cosa è il “ragionamento filosofico” [loqui multum, riflettere bene per tradurre in modo chiaro]. I filosofi della Scolastica medioevale [e noi li abbiamo incontrati recentemente] ci hanno lasciato in eredità, scrive Pico, una serie di tesi [essenziali e necessarie] da sviluppare e ci hanno tramandato un elenco di valori [l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà, la misericordia] da rendere operativi. Senza le Opere degli Scolastici, afferma Pico della Mirandola, non ci sarebbe stata “la fioritura” dell’Umanesimo e non saremmo all’alba di una nuova epoca. Sulla scia di questa polemica Pico della Mirandola sviluppa un suo progetto [un progetto di straordinaria attualità]: pensa di convocare a Roma, per l’Epifania dell’anno 1487, “una grande conferenza delle persone sapienti di tutto il mondo” sul tema della “dignità umana” e prepara Novecento tesi su cui discutere. Ma molti cardinali, preoccupati di perdere il potere, e il papa Innocenzo VIII [il genovese Giovanni Battista Cybo, personaggio scialbo, senza acume e poco preparato culturalmente] contrastano questo progetto. Il Sant’Uffizio condanna come eretiche tredici delle Novecento tesi di Pico perché “accolgono il sincretismo” cioè “l’unione del Cristianesimo con idee e teorie di origine diversa”, come se la storia e la dottrina del Cristianesimo non poggiassero, in modo decisivo e palese, sul pensiero ebraico e sul pensiero orfico-dionisiaco. Questa conferenza mondiale non si realizzò mai e [anche se, nel secolo scorso, si sono costituiti Organismi internazionali] è ancora un’idea da realizzare: abbiamo la relazione introduttiva intitolata Oratio de hominis dignitate. L’Orazione sulla dignità della persona di Giovanni Pico della Mirandola, redatta nel 1487, è da considerarsi il manifesto più importante del Rinascimento, una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano.
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Se voi doveste proporre almeno tre argomenti sensibili da trattare in una Conferenza internazionale sul tema della " dignità umana": quakli scegliereste?...
Elencateli, è sufficiente una riga...
Quali idee contiene l’Orazione sulla dignità della persona di Giovanni Pico della Mirandola, un’opera, molto apprezzata da papa Giulio II, che incide profondamente sulla formazione di Michelangelo e sulla realizzazione delle sue Opere, compresa, naturalmente, l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina? Ma, prima ancora, dobbiamo riflettere sul fatto che Marsilio Ficino [trattando il tema dell’Anima] usa l’aggettivo “fremente”, un termine oltremodo evocativo: perché? Per rispondere a queste domande bisogna procedere sul nostro cammino con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé, consapevoli che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare.
Il poeta Trilussa, davvero addolorato per la drammatica fine di Tombo, mi ha pregato di leggere in memoria della povera “scimia” questa sua poesia.
LEGERE MULTUM….
L’Omo e la Scimmia …
L’Omo disse alla Scimmia: - sei brutta, dispettosa.
Ma quanto come sei ridicola! Ma quanto sei curiosa!
Quann’io te vede, rido: rido nun se sa quanto! ...
La Scimmia disse: - Sfido! T’arrissomijo tanto!
Mi auguro sempre che in voi la volontà d’imparare risulti “fremente”.
Per questo la Scuola è qui: siamo in viaggio e il viaggio continua…