ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna 23-24-25 novembre 2016
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE
ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA
C’È L’ORAZIONE SULLA DIGNITÀ DELLA PERSONA ...
Questo è il settimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” e come ben sapete siamo sempre in attesa di poter entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio.
Perché non siamo ancora entrate ed entrati nella Cappella più famosa del mondo? Perché prima, come ben sapete, dobbiamo studiare come è avvenuta [con quali forme, con quali contenuti] la formazione intellettuale di Michelangelo altrimenti non abbiamo in mente i necessari elementi utili per capire il significato dei suoi affreschi. Inoltre dobbiamo conoscere nelle sue linee generali il contesto culturale dell’epoca in cui vivono e operano i personaggi che concorrono alla formazione di Michelangelo e questo ci consente anche di studiare la Storia del Pensiero Umano agli albori dell’età moderna: un’epoca, nella quale anche noi, in questo momento, stiamo viaggiando virtualmente.
Sappiamo che Michelangelo deve la sua eccellente formazione intellettuale al fatto di essere stato “adottato” da Lorenzo il Magnifico [che ne ha riconosciuto da subito il talento], di essere cresciuto a Palazzo Medici, in un ambiente ricco di stimoli culturali, e di aver avuto gli stessi maestri dei figli di Lorenzo, i migliori in circolazione. Nella formazione di Michelangelo hanno avuto un notevole influsso due studiosi, due importanti filosofi europei di questo periodo [agli albori dell’Età moderna]: Marsilio Ficino [del quale abbiamo studiato il pensiero in queste ultime due settimane] e Giovanni Pico della Mirandola [che abbiamo incontrato la scorsa settimana e che sta ancora viaggiando insieme a noi] e l’influenza del pensiero di queste due persone si avverte nelle Opere di Michelangelo, e anche in tutte le manifestazioni artistiche del Rinascimento [senza conoscere le parole-chiave e le idee-cardine della Storia del Pensiero rinascimentale noi vediamo degli oggetti, belli, e possiamo provare delle emozioni ma bisogna andare oltre, e lo studio del Pensiero in funzione della didattica della lettura e della scrittura ci permette, investendo in intelligenza, di misurare la qualità delle emozioni stesse in modo che lo smarrimento emozionale non costituisca un freno per l’attività di apprendimento].
Nel pensiero di Marsilio Ficino - contenuto come sapete nelle sue due opere più significative: Teologia platonica e Sulla Vita - emerge, soprattutto, un tema che, durante l’Età rinascimentale, ha avuto un grande risalto: il “tema dell’Anima”. Questo argomento, così come lo ha trattato Marsilio Ficino, ha influenzato notevolmente la produzione artistica di Michelangelo e, prima di tornare ad incontrare Pico della Mirandola, è necessario fare ancora, in compagnia di Marsilio Ficino, una riflessione su questo argomento [il tema dell’Anima] perché rappresenta un tema fondamentale per lo sviluppo della cultura rinascimentale agli albori dell’Età moderna, e questa riflessione ruota intorno ad un aggettivo evocativo: “fremente”.
La concezione dell’Anima di Marsilio Ficino viene condannata dal tribunale dell’Inquisizione [le sue Opere vengono messe all’Indice dal Sant’Uffizio nel 1501 ma, per fortuna (?), lui è già morto] perché Marsilio. come abbiamo studiato la scorsa settimana, si rifà alla visione platonica originaria - derivante dalla cultura orfico-dionisiaca - per cui l’Anima non è considerata [se non a parole] come un oggetto divino [Marsilio presenta l’Anima con questa caratteristica per mascherare l’impronta laica del suo pensiero] ma, in realtà, l’Anima viene pensata come un dispositivo di natura intellettuale: «L’Anima, scrive Marsilio Ficino nel trattato intitolato Sulla vita, s’identifica con la parte “fremente” dell’Intelletto» dove, come in una fucina in attività permanente, operano le azioni dell’apprendimento - conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare [le azioni che la persona deve attivare con lo studio in modo da arricchire la propria Anima] -, e queste azioni Marsilio, secondo lo stile rinascimentale [secondo lo stile platonico delle allegorie], le enuncia in termini metaforici, scrivendo come sappiamo che l’Anima è il volto [per dire il conoscere], è il legame [per dire il comprendere], è il vincolo [per dire l’applicarsi], è il contenitore [per dire l’analizzare], è il centro [per dire il sintetizzare], è lo specchio [per dire il valutare]. Di conseguenza le funzioni dell’Anima per Marsilio Ficino e per Michelangelo - e Michelangelo già da adolescente interiorizza pienamente questo concetto fino ad avere una percezione della propria Anima di questo tipo perché [pensa e afferma Michelangelo] più una persona coltiva le funzioni della propria Anima più coltiva la propria genialità - corrispondono alle azioni cognitive che operano nella parte “fremente” dell’Intelletto, che è uno spazio [“un nucleo essenziale”, scrive Marsilio] conforme alla sostanza dell’Anima stessa.
Non è possibile non puntare l’attenzione sul fatto che Marsilo Ficino utilizzi l’aggettivo “fremente” perché è un indizio che porta su un terreno ben preciso, tenendo anche conto del fatto che gli studi filologici dell’Umanesimo hanno prodotto la rivalutazione della cultura orfico-dionisiaca con tutta la sua vasta gamma di elementi e, difatti, la Storia del Pensiero rinascimentale ci propone una continua commistione tra i concetti della tradizione orfica e i dettami della dottrina cristiana.
Se Marsilio Ficino utilizza l’aggettivo “fremente”, per definire la parte dell’Intelletto che “s’identifica con la stessa sostanza dell’Anima”, non si può fare a meno di pensare che, forse, è a conoscenza [segretamente] di un enigma molto intrigante. Probabilmente Marsilio Ficino [e non solo lui] conosce uno dei più affascinanti enigmi della storia della cultura che è rappresentato dalla vita e dalle Opere di uno scrittore che si chiama Nonno di Panopoli: molte e molti di voi conoscono questo misterioso personaggio [che abbiamo incontrato più di una volta nei nostri viaggi] perché appare puntualmente in alcuni snodi assai delicati della Storia del Pensiero Umano. Di Nonno [on nò Nous, Colui che sa ben usare l’Intelletto] sappiamo con certezza il suo luogo di nascita, Panopoli, una ricca città nel delta del Nilo, in Egitto, e poi che è vissuto tra il V e il VI secolo, nel momento in cui il cristianesimo s’impone ufficialmente sulla cultura greca.
Il cosiddetto “enigma” di Nonno di Panopoli riguarda il fatto che questo scrittore ci ha lasciato due opere straordinarie tanto per il loro valore letterario quanto per il dibattito che hanno suscitato nei secoli. Una delle due opere di Nonno s’intitola Dionisiache [Dionysiakà], e si tratta un poema epico in 48 canti [pari alla somma dei canti dell’Iliade e dell’Odissea], l’altra s’intitola Metàbole kata Ioannin [Parafrasi del Vangelo di Giovanni] e metàbole, in greco, [letteralmente] significa “trasferimento” e, quindi, “la parafrasi” [come diciamo in italiano traducendo dal latino] è la riscrittura di un testo con parole proprie, sviluppandolo con commenti e interpretazioni: infatti, Nonno di Panopoli riscrive il testo del Vangelo secondo Giovanni, in versi esametri, commentandolo e interpretandolo concetto per concetto e parola per parola, e ne viene fuori un’opera spropositata [cento Libri conservati ancora sui codici] della quale solo una parte di uno di questi Libri è stata pubblicata [la parte cosiddetta “enigmatica”, quella che contiene una parola-chiave fondamentale]. Le Dionisiache - in cui Nonno fa narrare a Dioniso tutte le tappe del suo mito e del suo culto - sono un’apologia, un’esaltazione dei valori del movimento della sapienza poetica orfica che, tra il V e il VI secolo, viene soffocato dall’invadenza del cristianesimo che, prima con Costantino e poi con Giustiniano, è diventata la religione ufficiale sul territorio dell’Ecumene [e, in molti casi, le intellettuali e gli intellettuali che professano il pensiero neoplatonico vengono perseguitati e devono fuggire in Persia]. Nonno, nelle Dionisiache, esalta Dioniso e la cultura orfica, così come nella Parafrasi del Vangelo di Giovanni esalta Gesù Cristo e la cultura evangelica.
Questo fatto pone un interessante interrogativo [l’enigma]: chi è Nonno di Panopoli? È un neoplatonico che ha celebrato le ultime luci della cultura orfica con il poema su Dioniso e poi si è convertito alla nuova fede, al cristianesimo, e scrive la Parafrasi del Vangelo di Giovanni? Oppure è avvenuto l’inverso: Nonno è un cristiano che, ad un tratto, viene folgorato dalla cultura orfica morente e la esalta scrivendo le Dionisiache? L’enigma di Nonno e delle sue Opere si presenta in tutta la sua complessità, però, una cosa è evidente: esalta in eguale misura l’esuberanza salvifica di Dioniso e di Cristo e, a questo proposito, emerge chiaramente nelle sue due Opere un concetto comune di grande importanza e, di conseguenza, dobbiamo ipotizzare che se Marsilio Ficino è venuto a contatto, in segreto, con le due Opere di Nonno si giustifica il fatto che abbia utilizzato, nel definire la collocazione e la sostanza dell’Anima, un aggettivo curioso e insolito come “fremente”: infatti le due Opere di Nonno contengono un concetto-chiave comune, un’idea determinante, che lo scrittore ha sintetizzato con due parole significative “oìstros bròmio”, che, in greco, significa: il “tafano [l’insetto dittero, appartenente alla specie dei Tabanidi] fremente [l’aggettivo che ne qualifica meglio l’azione]”. Chi non è mai stata punta o punto da un tafano “fremente”?
Innumerevoli volte, nelle Dionisiache ci viene mostrato da Nonno l’operare del “tafano fremente” che rappresenta l’immagine stessa di Dioniso e della sua presenza, e la stessa cosa avviene nel testo della Parafrasi del Vangelo di Giovanni dove Gesù viene paragonato al “tafano fremente” che crea inquietudine nella nostra coscienza. Tanto Dioniso quanto Cristo sono, entrambi, paragonati ad un “tafano fremente” [provocatore] che ci stimola in continuazione, che c’infastidisce affinché non ci si lasci andare al torpore, alla noia, all’alienazione, all’assuefazione ma si reagisca “intellettualmente”.
A questo potrebbe aver pensato Marsilio Ficino - se conosce le Opere di Nonno di Panopoli - quando ha scelto di identificare l’Anima con “lo spazio fremente dell’Intelletto” come a dire che anche l’Anima può essere paragonata ad un “tafano” [l’oìstros bròmio] che ci stimola a seguire la via dell’Apprendimento permanente.
I codici più antichi contenenti le Opere enigmatiche di Nonno di Panopoli sono conservati nella Biblioteca vaticana - che è il centro più fornito di Opere classiche greche e latine del mondo - ed è possibile che Marsilio Ficino li abbia consultati lì, perché [e ne parleremo strada facendo] trova il modo per potersi trasferire a Roma in modo da accedere a questa miniera di volumi conservati in Vaticano [e, per consultare questo sito ricchissimo, si avvale anche della mediazione di Fedra Inghirami che, già da giovanissimo, ha accesso - per ora è solo un apprendista - a questo straordinario deposito del quale in seguito, con papa Giulio II, diventerà il rsponsabile, il bibliotecario vaticano].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Le punture degli insetti subite [di zanzare, di vespe, di api, di tafani …] rappresentano anche metafore poetiche che evocano lo stimolo verso l’apprendimento ma impongono realisticamente una certa cautela nel contatto con la Natura…
Scrivete quattro righe in proposito, la scrittura esorcizza i pungiglioni…
Quale di questi termini – impaziente, scalpitante, insofferente, ardente, vibrante – mettereste per primo accanto alla parola “fremente”?…
E adesso leggiamo il frammento tratto dall’opera Sulla vita di Marsilio Ficino in cui emerge, accanto al termine “Anima”, l’aggettivo “fremente” come dato che avvalora lo stretto rapporto esistente tra la cultura rinascimentale e la tradizione orfico-dionisiaca senza la quale il cristianesimo [sebbene gli inquisitori non lo vogliano ammettere] non avrebbe mai avuto una base dottrinale così solida, e la Storia dell’Arte rinascimentale non avrebbe trovato tanti soggetti adatti a produrre capolavori.
LEGERE MULTUM….
Marsilio Ficino, Sulla Vita
Se l’Anima del Mondo è al centro dell’Universo l’Anima individuale non può che essere al centro dell’Intelletto della persona, capace di muoversi in alto verso la vita divina di Dio e in basso verso la materiale vita umana. L’Anima è posta in modo da accogliere in sé, nel modo più propizio, l’intera scala degli esseri: l’Anima è Una come Dio, dotata di Ingegno come gli Angeli e ha la Ragione come sua qualità specifica ed è per sua natura la parte fremente dell’Intelletto, del nucleo essenziale dove si coniugano le sublimi azioni dell’eccelso mistero della conoscenza per far fecondare la sapienza e la genialità nella vita della persona plasmata a immagine e somiglianza del Creatore. …
Sicuramente l'Anima di Michelangelo - già da quando è un ragazzo - è "fremente": l'Anima di Michelangelo è più che mai simile ad un "tafano fremente" [l'oìstros bròmio" delle Opere di Nonno di Panopoli che s'insinua nella cultura rinascimentale].
Anche l'Anima di Giovanni Pico della Mirandola - l'altro importante personaggio sodale di Marsilio Ficino - è "fremente". Sappiamo che Pico della Mirandola auspica che il cristianesimo si possa armonizzare cone tuitte le tradizioni culturali dell'Umanità accessibili in questo momento, e lui mette a disposizione, per raggiungere questo abiettivo, le sue grandi competenze nella campo della cultura latina, greca, araba, ebraica. Pico della Mirandola pensa sia anacronistico che le tre religioni monoteistiche [l'ebraica, la cristiana e l'islamica] ritengano ciascuna di essere quella "vera" mentre è palese il fatto che condividono gli stessi principi tanto da poter perseguire intenti comuni [sulla via dell'uguaglianza,della giustizia, della pace, della solidarietà e della misericordia]. Per questo, come abbiamo detto la scorsa settimana, Pico della Mirandola sviluppa un progettodi straordinaria attualità: pensa di convocare a Roma, per l'Epifania dell'anno 1487, "una grande conferenza delle persone sapienti di tutto il mondo" sul tema della "dignità umana" e prepara Novecento tesi su cui discutere. Molti cardinali, preoccupati di perdere il potere, e il papa Innocenzo VIII, il genovese Giovanni Battista Cybo, poco preparato culturalmente, contrastano questo progetto. Il Sant'Uffizio condanna come eretiche tredici delle Novecento tesi di Pico perché "accolgono il sincretismo" cioé "l'unione del Cristianesimo con idee e teorie di origine divarsa", come se la storia e la dottrina del Cristianesimo non poggiassero, in modo decisivo e palese, sul pensiero ebraico e sul pensiero orfico-dionisiaco, ed è per questo motivo che papa Giulio II, culturalmente ben preparato e politicamente accorto, vuole che si dipinga La Scuola di Atene nel Palazzo Vaticano e I precursopri di Cristo [le Sibille pagane e i Profeti ebraici] sul soffitto della Cappella Sistina, ma questo vent'anni dopo.
La Conferenza mondiale auspicata da Pico della Mirandola non si realizzò mai e, anche se nel secolo scorso si sono costituiti Organismi internazionali, è ancora un'idea da realizzare: abbiamo comunque la relazione introduttiva intitolata Oratio de hominis dignitate [l'Orazione sulla dignità della persona].
L’Orazione sulla dignità della persona [Oratio de hominis dignitate] di Giovanni Pico della Mirandola, redatta nel 1487, è da considerarsi il manifesto più importante del Rinascimento, e una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano. Pico della Mirandola inizia la sua riflessione affermando che l’Essere umano è un microcosmo, è l’Universo in piccolo, ed è il prodotto migliore del creato in quanto dotato di tutti i Beni già distribuiti da Dio singolarmente alle varie creature. In base a questa posizione di privilegio l’Essere umano è libero di scegliere tra la vita dei bruti e la rigenerazione in Dio che si ottiene attraverso un viaggio intellettuale. Il viaggio di rigenerazione, scrive Pico, è un itinerario a forma di scala che si sviluppa attraverso vari gradi di sapienza. Il contenuto dei gradini di questa scala è il contenuto stesso della Storia della cultura dell’Umanità, a cominciare dal Pensiero di quelli che Pico chiama i filosofi antichi. Il viaggio di formazione, di crescita, di redenzione trova, quindi, nella Storia del Pensiero Umano i suoi contenuti [e la nostra Scuola cerca di procedere in linea con questa tradizione].
Seguendo le Lezioni di Cristoforo Landino, Pico della Mirandola trova e indica nella Divina Commedia di Dante [“fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”] e nel Canzoniere di Francesco Petrarca [che abbiamo studiato nelle sue linee portanti nel maggio scorso] un modello del viaggio di rigenerazione: la Divina Commedia di Dante e il Canzoniere di Petrarca non sono solo due splendide opere di poesia, scrive Pico, ma sono soprattutto due Percorsi di formazione utili per la cura del proprio corpo e della propria Anima. La dignità della persona sta,quindi, scrive Pico, nella sua volontà di percorrere itinerari di studio [la persona ha una dignità quando si dedica allo studio]: il desiderio di studiare [l’Eros platonico] è l’elemento fondamentale, capace di dare un senso alla vita della persona. Il percorrere un itinerario di studio, scrive Pico, crea “la responsabilità” e la responsabilità si manifesta ogni qualvolta la persona tenta di produrre una sintesi che contiene l’eredità della saggezza accumulata dall’Umanità.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Fate l’elenco delle principali cose [azioni, faccende, mansioni, situazioni …] di cui vi sentite responsabili: scrivete il catalogo delle vostre responsabilità…
L’esigenza di accedere alla saggezza universale, con l’esercizio dell’investimento in intelligenza, deve condurre, scrive Pico, al bene contingente per eccellenza: la pace. Perché [si domanda Pico, e continuiamo a domandarcelo anche noi oggi] tutti i grandi Apparati culturali [i Classici latini e greci, la Bibbia, i Vangeli, il Corano] indicano nella “pace” il bene maggiore per l’Umanità e poi la guerra continua ad insanguinare il mondo? La guerra, scrive Pico, continua ad insanguinare il mondo e ad avvelenare i rapporti personali perché “i Capi, i Signori, i Prìncipi, e anche le Autorità religiose, istruiscono alla divisione, all’acquisizione del potere e dell’utile individuale ad ogni costo”: se si vuole la pace, scrive Pico, bisogna “educare alla pace” [se vuoi la pace prepara la pace]. Il tema dell’Educazione e dell’Alfabetizzazione, con la riflessione di Pico della Mirandola, diventa strategico in funzione della dignità della persona e, secondo questo ragionamento, il fatto che lo Stato [direbbe Pico della Mirandola] non promuova, oggi, con una Legge, l’Educazione Permanente nel nostro Paese è contro la dignità della persona, in contraddizione con l’art. 34 della Costituzione.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La “dignità” è decoro, rispetto, stima, discrezione… In quale occasione vi siete sentite offese, vi siete sentiti offesi nella vostra dignità?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Pico della Mirandola non riesce - perché è un’impresa troppo grande per le sue sole forze - a fondere in una sintesi coerente tutti gli apporti culturali così eterogenei che conosce: cristiani, ebraici, islamici, greci, latini, però ci prova e indica una via, e il concetto di “apporto culturale”, con lui, ha cominciato a maturare. La persona acquisisce la propria dignità con la crescita culturale [la dignità e la cultura sono direttamente proporzionali tra loro: più aumenta la cultura - sostiene Pico - più aumenta la dignità umana della persona] e la crescita culturale dell’Umanità consiste in un processo di evoluzione e di trasformazione, e a questo proposito Pico della Mirandola si oppone al “determinismo” cioè all’idea che il destino di una persona sia già scritto da qualche parte e che l’Essere umano, di conseguenza, non sia in grado di costruire l’avvenire perché il futuro è già determinato. Pico della Mirandola si oppone al “determinismo” cioè all’idea che il destino di una persona sia già scritto [sia già determinato] e, quindi, rifiuta l’idea che l’Essere umano non sia in grado di costruire il proprio avvenire e, a questo proposito, ritiene di dover fare chiarezza su due grandi temi della cultura rinascimentale: quello dell’Astrologia e quello della Magia.
Pico si schiera contro “l’Astrologia divinatoria o giudiziale” praticata dai platonici-bizantini affermando che il corso degli astri non determina nulla, ma è solo una credenza mitica di cui ci si deve liberare. Gli astri sono belli, scrive Pico, e hanno ispirato e ispirano la creazione di grandi racconti che costituiscono una ricchezza dal punto di vista poetico ma non condizionano e non influenzano la vita degli Esseri umani. Se affidiamo agli astri, scrive Pico, la realizzazione del nostro destino, se prevale in noi “il determinismo”, cessiamo di essere responsabili e perdiamo la dignità. Mentre [quella che Pico chiama] “l’Astrologia matematica o speculativa” [l’Astronomia] è un utile oggetto, scrive Pico, di comprensione e di descrizione delle Leggi che regolano l’Universo ed è una disciplina che va insegnata, afferma Pico, perché incide sulla formazione degli Esseri umani [e la disciplina astronomica, con l’Orazione di Pico della Mirandola comincia ad incidere sulla Storia del Pensiero Umano].
Pico della Mirandola denìgra poi coloro che praticano “la Magia che vuole evocare i Demòni” perché la considera una pratica esecranda, non perché funzioni, ma perché è un’ideologia che incatena l’Essere umano alla superstizione e all’ignoranza. Pico punta l’attenzione su un tipo di Magia che considera positiva [e Pico si rifà alle Opere e al pensiero di un personaggio che abbiamo incontrato lo scorso anno e che si chiama Ruggero Bacone che, secondo la leggenda, sarebbe sparito il 12 ottobre 1292]: la Magia positiva si basa sulla “simpatia” [in greco: “sin” significa “insieme” e “pathos” significa “sentimento”] che lega tra loro tutti gli elementi dell’Universo [tre secoli dopo la cultura del Romanticismo - che abbiamo studiato a suo tempo - svilupperà questo concetto soprattutto a livello letterario] e la simpatia, scrive Pico, è un’energia positiva con la quale è utile entrare in contatto e il ruolo del Mago, della Maga è quello di mediare affinché la persona possa mettersi in armonia con gli elementi dell’Universo in modo da guidare gli eventi della Natura secondo i propri progetti. La figura del Mago e della Maga rinascimentale, descritta da Marsilio Ficino e da Pico della Mirandola, è quella di “un mediatore culturale” che s’identifica spesso con la figura dell’Artista, ma “mago” e “maga” è anche la persona stessa, scrive Pico, quando diventa un’artefice responsabile della propria vita e, quindi, la Magia positiva è la capacità di penetrare nell’essenza delle cose riconoscendo in esse la valenza culturale che possiedono.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di queste parole – accordo, amicizia, affetto, attrazione, interesse, affinità, sintonia – mettereste per prima accanto al termine “simpatia”?…
Scrivetela…
Tra le righe del testo di tutta l’Orazione sulla dignità della persona Pico della Mirandola si domanda se gli Esseri umani siano in grado di gestire, a fin di Bene, la propria autonomia, e insiste nel ritenere che la dignità della persona dipende dalla sua possibilità di crescita intellettuale per non confondere il concetto di “dignità” con quello di “opportunità” [un tema su cui torneremo fra tre settimane]. Ora leggiamo un frammento da l’Orazione sulla dignità della persona.
LEGERE MULTUM….
Giovanni Pico della Mirandola,
Oratio de hominis dignitate [L’Orazione sulla dignità della persona]
Alla fine l'ottimo Autore stabilì che a colui il quale non poteva essere dato nulla di proprio, fosse comune tutto ciò che era stato dato ai singoli in particolare.
Prese dunque l’Essere umano, opera dalla figura indistinta, e postolo nel mezzo del mondo, così gli parlò: «O Uomo, noi non ti abbiamo dato né una sede determinata, né un aspetto proprio, né alcun dono particolare, affinché tu possa avere e possedere quella sede, quell’aspetto, quei doni che tu abbia coscientemente bramati, secondo il tuo desiderio e secondo il tuo sentimento. La natura degli altri viventi già definita è costretta entro leggi da noi prescritte: tu, non limitato da alcuna costrizione, potrai, secondo il tuo arbìtrio, al cui potere io ti affidai, definire la tua natura. Noi non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché tu, quasi arbitrario ed onorario plasmatore e fondatore di te stesso, possa collocarti in quella forma che tu avrai preferita. Potrai degenerare verso i gradi inferiori che sono bruti; potrai rigenerarti nei gradi superiori che sono divini, secondo la decisione del tuo animo». …
Anche Pico della Mirandola [come Marsilio Ficino] ha vissuto gli ultime sette anni della sua vita in modo burrascoso [attraversando un'inquietante crisi esistenziale]: nel 1494 rinuncia al suo titolo nobiliare e alle sue rendite e si fa monaco domenicano [domenicano predicatore nel convento di San Marco dove c'è un priore molto speciale che incontreremo a suo tempo, tra due mesi] e lo stesso anno muore avvelenato.
Adesso [dopo aver partecipato - la scorsa settimana - alla sepoltura del povero Tombo, “la scimia inconsapevolmente blasfema” del racconto Le due zittelle di Tommaso Landolfi] raduniamo le idee, che abbiamo raccolto finora sul percorso del nostro viaggio, per dare inizio alla lettura di un nuovo romanzo dove “la questione della dignità umana” si pone in modo problematico.
Il romanzo-breve, del quale stiamo per iniziare la lettura, s’intitola In villa ed è stato scritto da un autore che si chiama William Somerset Maugham che abbiamo già incontrato qualche anno fa quando abbiamo letto una delle sue opere più famose: La diva Julia. William Somerset Maugham, per tutta una serie di motivi che esulano dal tema della scrittura, non è mai stato particolarmente amato dalla critica “puritana” ma è stato stimato dalle lettrici e dai lettori più attenti e le sue opere meritano di essere lette. Maugham è, prima di tutto, dobbiamo dire, una persona che ha amato Firenze perché, in quanto città rinascimentale, nasconde aspetti inquietanti che stimolano chi vuole dedicarsi alla scrittura e, difatti, “la villa” del titolo del romanzo che stiamo per iniziare a leggere è un edificio rinascimentale “posto in cima ad un colle da dove si gode una splendida veduta della città” e ha un salotto le cui pareti sono state affrescate dal Ghirlandaio, ed è lì che succede un fatto imprevisto ed inquietante che fa drammaticamente riflettere sul tema della “dignità umana”, un concetto che non va confuso con quello di “opportunità”.
Il racconto della vita di W. Somerset Maugham, che ora stiamo per fare a grandi linee, ci permette di proporre la lettura di alcuni Libri secondo la natura del nostro Percorso [a volte ci domandiamo: che cosa c’è di nuovo da leggere?].
William Somerset Maugham è nato a Parigi il 25 gennaio 1874 da genitori inglesi perché suo padre è un avvocato londinese che si occupa delle questioni legali dell’ambasciata britannica a Parigi, e anche suo nonno è un famoso avvocato mentre i suoi tre fratelli maggiori [c’è una differenza di età di oltre quindici anni tra William e i suoi fratelli] si stanno preparando a fare una carriera avvocatizia di successo e, quindi, si dà per scontato che anche lui debba seguire le loro orme ma le cose sono andate diversamente perché sua madre, Edith Mary, è malata di tubercolosi e muore all’età di 41 anni. La morte della madre è stata un trauma per William che è ancora un bambino, e due anni dopo muore anche suo padre e, di conseguenza, dato che i suoi fratelli sono ormai adulti e indipendenti a Parigi, viene rimandato in Inghilterra per essere cresciuto dallo zio Henry che fa il Vicario nel Kent. Questo trasferimento è catastrofico per lui perché lo zio è antipatico e autoritario e alla Scuola reale di Canterbury, dove viene iscritto, lo prendono in giro per via del suo cattivo inglese [la sua prima lingua è il francese] e per la statura bassa, che ha ereditato dal padre, e questa situazione di tensione lo fa diventare balbuziente, un disturbo che lo ha accompagnato per tutta la vita [per questo preferisce scrivere piuttosto che parlare]. In casa dello zio vicario William trascorre giornate noiose e diventa un bambino riservato, solitario, ma molto curioso, e questo fatto lo porta a maturare una grande abilità, quella di fare osservazioni pungenti sulle persone che non gli piacciono, e queste osservazioni comincia a scriverle. A sedici anni [siamo nel 1890] William rifiuta di continuare a studiare alla Scuola reale di Canterbury e suo zio gli permette di andare in Germania dove studia Letteratura, Filosofia e Tedesco all’Università di Heidelberg, e quando torna in Inghilterra - incoraggiato da un medico amico dello zio - s’iscrive al Collegio reale di Londra dove studia medicina e, dopo cinque anni, comincia a dedicarsi alla professione medica, e intanto continua a scrivere racconti.
Facendo il medico nei sobborghi di Londra William entra in contatto con la povera gente e frequenta queste persone nei loro momenti di maggior difficoltà e si rende conto di come la sofferenza corroda i valori e la dignità umana. Tutte le sere, dopo una giornata passata in ambulatorio, nella piccola casa dove abita, scrive fino a tardi e riempie molti quaderni con decine di racconti e nel 1897 decide di presentare a un editore il manoscritto di un breve romanzo che s’intitola Liza di Lambeth. Il testo di questo romanzo racconta la storia di un adulterio avvenuto nell’ambiente della classe operaia, e delle sue conseguenze: William trae ispirazione dalla sua esperienza di ostetrico a Lambeth, il quartiere più degradato di Londra. Il romanzo, scritto in stile realista, viene pubblicato e la prima edizione va esaurita in pochi giorni e questo fatto convince Maugham ad abbracciare la carriera letteraria, una carriera che è durata sessantacinque anni.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il romanzo-breve Liza di Lambeth di W. Somerset Maugham merita di essere letto e riletto, è un testo dove si riflette sul tema della dignità umana: lo trovate in biblioteca…
La notorietà di Maugham cresce quando comincia ad essere messa in scena la sua produzione teatrale: a lui, fin da ragazzo, è sempre piaciuto “scrivere sceneggiature” e, nel 1907, la sua commedia intitolata Lady Frederick ottiene uno straordinario successo e l’anno seguente quattro sue commedie sono contemporaneamente in cartellone nei teatri di Londra [fa concorrenza a Shakespeare]. La sua celebrità cresce a livello europeo quando viene pubblicato, nel 1915, il romanzo autobiografico intitolato Schiavo d’amore [il titolo originale è “Schiavitù umana”]. La critica “puritana” stronca quest’opera mentre un influente e sempre severissimo critico, Theodore Dreiser, presenta questo romanzo come un’opera geniale e la paragona a una Sinfonia di Beethoven. Schiavo d’amore è un romanzo che molte scrittrici e molti scrittori hanno spesso citato nelle loro opere e una delle citazione più famose è quella che compare ne Il giovane Holden di J. D. Salinger [1951]: il giovane Holden [che è un ragazzo disadattato ma ha il pregio di essere un lettore] dice di aver letto Schiavo d’amore e che il romanzo gli è piaciuto, ma non avrebbe mai fatto una telefonata al suo autore: perché Salinger [per bocca del giovane Holden] fa questa ironica affermazione che, sebbene accompagni un apprezzamento positivo, risulta un po’ inquietante?
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Richiedete in biblioteca il romanzo Schiavo d’amore di William Somerset Maugham e leggetelo, e poi deciderete se fare o non fare una telefonata all’autore…
Quando nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale Maugham è un autore famoso ed è troppo vecchio per essere chiamato alle armi ma partecipa in Francia nelle file della Croce rossa britannica come autista di ambulanza in un gruppo di ventitré scrittori [tra i quali c’è Ernest Hemingway] ed è in questa occasione che incontra Gerald Haxton, un giovane americano, un californiano di San Francisco, che diventa suo compagno inseparabile e suo amante fino al 1944, l’anno della morte di Haxton.
Maugham ha coltivato una relazione affettiva con una signora che si chiama Syrie, la quale è stata, negli anni Venti, una famosa decoratrice d’interni e, quando lei ottiene il divorzio da un precedente matrimonio [era sposata con un facoltoso magnate farmaceutico anglo-americano], i due si sposano e avranno una figlia che si chiama Liza, ma questa esperienza matrimoniale - complicata dai frequenti viaggi all’estero di lui sempre accompagnato dal suo compagno Gerald Haxton - e dal carattere libertario di lei - è stata piuttosto tempestosa e i due divorziano nel 1927.
Maugham, a partire dagli anni Venti, compie frequenti viaggi soprattutto in estremo oriente che gli offrono il materiale per alcuni Libri significativi tra cui La luna e sei soldi [1919] basato sulla vita del grande pittore Gauguin, e Il velo dipinto [1925] che è diventato, nel 1934, un ormai introvabile film con Greta Garbo. All’inizio degli anni Venti scrive una decina di commedie, tutte di successo, tra cui Il cerchio [1921] e Ad est di Suez [1922]. Durante la prima guerra mondiale Maugham ha lavorato per il servizio segreto britannico [l’agenzia M16] e da questa esperienza - visto che non perde mai l’occasione di trasformare la vita vera in Letteratura - nasce una raccolta di brevi racconti che s’intitola Ashenden l’inglese [1928] il cui protagonista è un agente segreto raffinato, sofisticato, solitario che ha ispirato Ian Fleming per scrivere la serie di James Bond.
Nel 1928 Maugham compra Villa Mauresque, una tenuta di dodici acri a Cap Ferrat sulla Costa Azzurra nel sud della Francia, che diventa la sua residenza abituale e uno dei grandi salotti letterari degli anni Venti e Trenta. Nel 1928 pubblica il romanzo Lo scheletro nella credenza, e nel 1932 raccoglie una serie dei suoi racconti brevi in un volume intitolato Pioggia e altri racconti [questo volume è stato tradotto per la prima volta in italiano da Elio Vittorini]. Nel 1939 scoppia la seconda guerra mondiale e quando nel 1940 la Francia viene occupata dai nazisti Maugham lascia la Costa Azzurra ed emigra negli Stati Uniti. Lo scrittore, sessantaseienne, va a vivere vicino a Hollywood dove scrive le sceneggiature per i film tratti dai suoi più celebri romanzi, e ne verranno girati un certo numero. Nel 1941 - ripensando a Firenze - scrive il romanzo-breve In villa. Il governo britannico gli chiede di scrivere dei discorsi patriottici in favore delle democrazie europee che combattono il nazismo e poi di operare, diplomaticamente, in modo da convincere l’amministrazione statunitense a entrare in guerra.
Gerald Haxton, il suo compagno, muore nel 1944 e Maugham torna in Inghilterra e poi, nel 1946, in Francia nella sua casa a Cap Ferrat dove, tra un lungo viaggio e l’altro, vive fino alla morte avvenuta nel dicembre del 1965.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Se consultate una guida della Francia o vi collegate alla rete potete fare un’escursione a Saint Jean Cap Ferrat e dintorni, lì c’è sempre Villa Mauresque, buon viaggio…
Il romanzo-breve di W. Somerset Maugham intitolato In villa [insieme, per esempio, alla Novella degli scacchi di Stefan Zweig che abbiamo letto nel corso del viaggio precedente] è annoverato dalle studiose e dagli studiosi nell’elenco di quelli che vengono considerati “i racconti perfetti” della Storia della Letteratura. Io credo, però, che l’aggettivo “perfetto” non sia il termine adatto per definire gli oggetti inseriti in questo catalogo, penso sia più appropriato usare la dicitura “testo esemplare”: infatti Maugham sa bene come corredare la sua opera dei necessari elementi narrativi inserendo nella trama quei colpi di scena che legano la lettrice e il lettore al filo del racconto, e introducendo nelle conversazioni dei protagonisti una forte dose di ironia, la stessa ironia con cui lui stesso guarda i personaggi che ha creato corredati di venature autobiografiche.
Il romanzo è ambientato a Firenze, una città che, per tradizione, ha sempre ospitato un’affezionata colonia inglese. Il personaggio-chiave del racconto è una donna affascinante, Mary Panton, corteggiata da due uomini, Sir Edgar Swift e Rowley Flint, molto diversi tra loro, non solo nell’aspetto, ma soprattutto perché hanno un diverso modo di rapportarsi con l’esistenza. Questi personaggi si ritrovano al centro di uno scabroso fatto di sangue [con la comparsa di una figura emblematica] che condiziona i loro rapporti. Iniziamo a leggere le prime pagine, l’incipit, di questo romanzo: entriamo nella villa [le pareti del salotto sono state decorate dal Ghirlandaio] e facciamo conoscenza con Mary e con Sir Edgar [vecchio e caro amico di famiglia] che è lì - nonostante una certa differenza di età - per fare una proposta alla bella, giovane e già vedova, signora.
LEGERE MULTUM….
W. Somerset Maugham, In villa
La villa era in cima a un colle. Dalla terrazza sul davanti si godeva una splendida veduta di Firenze; dietro c’era un vecchio giardino, con pochi fiori ma con begli alberi, siepi di bosso tosato, vialetti erbosi e una grotta artificiale dove una cascatella d’acqua sgorgava fresca e argentina da una cornucopia. Costruita nel Cinquecento da un nobile fiorentino, la villa era stata venduta dai suoi impoveriti discendenti a certi inglesi, e costoro l’avevano data temporaneamente in prestito a Mary Panton.
... continua la lettura ...
Marsilio Ficino e Pico della Mirandola lavorano con impegno [nell'ambito dell'Accademia platonica fiorentina] per definire la forma dell'Universo e per determinare la posizione dell'Essere umano nell'Universo. Anche questo tema è in relazione con la formazione di Michelangelo ed è un argomento che deve essere spiegato.
Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, per definire la forma dell'Universo e per determinare la posizione dell'essere umano nell'Universo [libero per natura o condizionato dalla natura?] utilizzano, come modello di riferimento, il pensiero contenuto nei Dialoghi di Platone che Marsilio Ficino ha tradotto dal greco in latino riflettendo sul fatto che, per capire e interpretare il pensiero platonico, è utile tener conto delle considerazioni critiche che, sulle tesi di Platone, sono state espresse dal suo discepolo più dotato intellettualmente, Aristotele. Però i rappresentanti della corrente mistico-bizantina del neo-platonismo [che divinizzano la figura di Platone] condannano il fatto che l'analisi critica di Aristotele possa essere usata per studiare il sistema di Platone. Platone sostiene che in principio esiste il Mondo delle Idee, un'entità metafisica dalla quale deriva l'universo fisico [dalle Idee, che sono l'unica realtà, nascono le cose perché la Fisica dipende dalla metafisica e la materia è dotata di un'illusoria consistenza, le Idee sono "ante rem" ed esistono "prima della cose"]; invece per Aristotele in principio c'è il Mondo fisico perché la materia ha una sostanza e le Idee servono per dare forma a questa sostanza [le Idee sono "in re", sono "unite alle cose stesse"]. Marsilio Ficino e Pico della Mirandola ritengono che la polemica sulle Idee Universali [tema cardine della Scolastica medioevale] non abbia più senso e non intendono partecipare alla disputa se sia nata prima la Fisica o la Metafisica, ma, in quanto appartenenti alla corrente laica del neo-platonismo [minoritaria ma molto attiva], è necessario tener conto della Fisica e della Metafisica di Aristotele, due Opere che, secondo Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, costituiscono l'antitesi essenziale alle tesi di Platone in modo che nascano delle sintesi dalle quali possa scaturire una conoscenza dell'Universo che sia la più ampia possibile.
Per questo motivo Marsilio Ficino e Pico della Mirandola disegnano un modello dell'Universo in senso allegorico [che se noi lo osserviamo senza la necessaria spiegazione ci domandiamo: ma che tipo di Universo sarebbe questo?]: Marsilio Ficino e Pico della Mirandola disegnano un modello di Universo a forma di "scala", una "scala di valori" con cinque gradini, sui quali, dal basso verso l'alto, ci sono: sul primo i Corpi delle persone, sul secondo le qualità dei Corpi, sul terzo in posizione mediana l'Anima [con le caratteristiche che abbiamo studiato], sul quarto le Intelligenze metafisiche [gli angeli ovvero le persone che studiano] e sul quinto gradino Dio. Qual è il significato allegorico di questa "scala"?
L'immagine della "scala universale", secondo Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, è la metafora di "un piano di studi" perché la forma dell'Universo equivale "alla conoscenza che si ha dell'Universo stesso" e la comprensione dell'Universo è data dallo "studio", e il ruolo della persona nell'Universo è quello di collocarsi nei pressi delle fonti del sapere; allora al centro della scala, sul terzo gradino, c'è l'Anima [l'Idea sublime per eccellenza, la parte "fremente" dell'Intelletto dove operano le azioni dell'apprendimento] e sul quarto gradino ci sono le Intelligenze metafisiche ovvero le persone che si dedicano a studiare i Dialoghi di Platone per capire che l'Universo si identifica con il Mondo delle Idee [senza Idee che ne facciamo della materia?]. Perché la comprensione di questo concetto virtuoso sia possibile bisogna necessariamente salire al terzo scalino, superando i primi due, quello dei Corpi e quello delle qualità [o delle categorie] dei Corpi, che sono due temi aristotelici per eccellenza e, quindi, per inquadrare il Mondo delle Idee è fondamentale lo studio della Fisica [che tratta dei Corpi] e della Metafisica [che tratta delle qualità dei Corpi ] di Aristotele.
Lo studio della Fisica, il primo gradino,, e della Metafisica, il secondo gradino, di Aristotele e dei Dialoghi, il terzo gradino, di Platone fornisce alla persona che studia, al quarto gradino, gli strumenti per potere salire "La scala" e avvicinarsi a Dio, al quinto gradino, e più la persona si avvicina a Dio più conosce l'Universo di cui Dio è il creatore. La figura allegorica della "scala universale" disegnata da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola è nella mente di Michelangelo e di tutte le persone che, nel corso del Rinascimento all'alba del'Età moderna, si reputano artiste.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Che cosa vi ricorda la parola “scala”: una particolare sequenza di avvenimenti, una serie di tappe faticose, una gradazione di colori, una gerarchia da rispettare, una graduatoria per accedere al lavoro, una scalinata particolare, oppure che cosa ? … Scrivete quattro righe in proposito: il mondo è fatto a scale, e le persone sono libere di salire e di scendere? …
E ora terminiamo con la lettura di un brano poetico della scrittrice, premio Nobel per la Letteratura 1996, Wislawa Szymborska, nata nel 1923 a Bnin, in Polonia. Laureata in lettere e sociologia a Cracovia ha sempre vissuto in questa bellissima città dove è morta nel 2012. Ebbene, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola si domandano: «Se la persona ha il privilegio di essere libera per natura: che cosa comporta questo fatto?». Wislawa Szymborska s’interroga su questo tema riflettendo sul fatto che la persona è l’unica creatura in grado di avere la coscienza sporca e, quindi, di pentirsi ma, se è naturalmente libera, come può pentirsi di ciò che fa in ordine alla sua libertà naturale e com’è possibile che quello che fa per natura possa comportare dei conflitti interiori? È chiara, quindi, la necessità di stabilire quale sia la nozione di “natura umana” dato che “la coscienza pulita” è la più animale delle realtà. Leggiamo.
LEGERE MULTUM….
Wislawa Szymborska, Vista con granello di sabbia
L’ode della cattiva considerazione di sé
La poiana non ha nulla da rimproverarsi.
Gli scrupoli sono estranei alla pantera nera.
I piranha non dubitano della bontà delle proprie azioni.
Il serpente a sonagli si accetta senza riserve.
Uno sciacallo autocritico non esiste.
La locusta, l’alligatore, lo scarabeo e il tafano fremente
vivono come vivono e ne sono contenti …
Non c’è nulla di più animale della coscienza pulita,
sul terzo pianeta del Sole.
E, allora, la persona è libera per natura quando sa che non può fare tutto quello che vuole perché la sua libertà è condizionata dalla natura stessa, e questo tema sempre attuale emerge nel corso della polemica tra neoplatonici e aristotelici che caratterizza l’epoca rinascimentale e questo scontro si configura in modo aporetico [in modo contraddittorio] e, quindi, particolarmente interessante: come incide questa polemica sulla formazione di Michelangelo?
Per rispondere a questa domanda bisogna procedere sul nostro cammino [non perdete la prossima lezione perché poi ci sarà la pausa dell'8 dicembre] con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli che non bisogna mai perdere la volontà di imparare.
Per questo la Scuola è qui, e il viaggio continua: «sul terzo pianeta del Sole, dove non c’è nulla di più animale della coscienza pulita»…