ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna 30 novembre - 01 - 02 dicembre 2016
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA
SI SVILUPPA LA POLEMICA TRA NEOPLATONICI E ARISTOTELICI UMANISTICI ...
Questo è l’ottavo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” [vi ricordo che la prossima settimana, come da calendario, in occasione della festività dell’8 dicembre il nostro Percorso si ferma per una settimana, e riprenderemo il cammino tra quindici giorni con l’ultima Lezione prima della vacanza natalizia, l’ultima Lezione dell’anno 2016] e come ben sapete, anche questa sera, siamo sempre “in attesa” di poter entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio, e con la parola “attesa” termineremo questo itinerario.
Non siamo ancora entrate ed entrati nella Cappella più famosa del mondo perché prima, come ben sapete, dobbiamo studiare come è avvenuta [con quali forme, con quali contenuti] la formazione intellettuale di Michelangelo in modo da acquisire i necessari elementi utili per capire il significato dei suoi affreschi. E poi dobbiamo conoscere nelle sue linee generali il contesto culturale dell’epoca in cui vivono e operano i personaggi che concorrono alla formazione di Michelangelo: questo ci consente [in quanto fenomeno pretestuoso di carattere didattico] anche di studiare la Storia del Pensiero Umano agli albori dell’età moderna, un’epoca, nella quale anche noi, in questo momento, stiamo viaggiando virtualmente.
Sappiamo che nella formazione di Michelangelo hanno avuto un notevole influsso due importanti studiosi: Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola, dei quali abbiamo studiato il pensiero in queste ultime tre settimane, e l’influenza del pensiero di queste due persone si avverte nelle Opere di Michelangelo e anche in tutte le manifestazioni artistiche del Rinascimento. Tutta la cultura rinascimentale infatti è influenzata dal modello dell’Universo che Marsilio e Pico hanno disegnato in senso allegorico.
Come sappiamo Marsilio Ficino e Pico della Mirandola progettano un modello di Universo a forma di “scala”, e da questo concetto dobbiamo ripartire ora per prendere il passo sull’itinerario di questa sera.
Marsilio Ficino e Pico della Mirandola progettano un modello di Universo a forma di “scala”, una “scala di valori” con cinque gradini, sui quali, dal basso verso l’alto, ci sono: [sul primo] i Corpi delle persone, [sul secondo] le qualità dei Corpi, [sul terzo in posizione mediana] l’Anima con le caratteristiche che abbiamo studiato, [sul quarto] le Intelligenze metafisiche, gli angeli ovvero le persone che studiano, e [sul quinto gradino] Dio. Secondo Marsilio e Pico, l’immagine della “scala universale” è la metafora di “un piano di studi” perché la forma dell’Universo equivale “alla conoscenza che si ha dell’Universo stesso” e la comprensione dell’Universo è data dallo “studio”, e il ruolo della persona nell’Universo è quello di collocarsi nei pressi delle fonti del sapere. Iin questo momento le fonti del sapere sono, principalmente, le Opere di Platone e di Aristotele che però, secondo Marsilio e Pico, vanno interpretate in chiave “moderna”. Dopo il 1439, con il trasferimento da Costantinopoli degli intellettuali neoplatonici bizantini [Gemisto Pletone, Giovanni Bessarione] in occasione del Concilio di Firenze, comincia a dominare, in Occidente, il pensiero di Platone, e la corrente neoplatonica mistico-bizantina che divinizza Platone prende il sopravvento e i suoi membri emarginano la figura e l’Opera di Aristotele e denigrano gli studiosi aristotelici. Invece Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, in quanto appartenenti alla corrente laica del neoplatonismo [minoritaria ma molto attiva], pensano che sia un errore quello di rifiutare il pensiero di Aristotele e, sebbene privilegino la filosofia di Platone, ritengono che si debba trovare un equilibrio tra le due visioni e affermano che, per capire pienamente il significato del Mondo delle Idee che Platone considera la vera realtà, è necessario tener conto della Fisica e della Metafisica di Aristotele, due Opere che, secondo Marsilio e Pico, insieme ai Dialoghi di Platone, possono fornire la conoscenza più ampia possibile dell’Universo [Aristotele pensa che le Idee non stanno in un Mondo a parte ma sono unite alla sostanza e danno forma alla materia].
Marsilio e Pico disegnano l’Universo allegoricamente come se fosse “una scala” [con cinque gradini] per affermare che la persona, se vuole conoscere l’Universo, deve adottare un piano di studi che prevede lo studio del testo della Fisica di Aristotele [il primo gradino], poi del testo della Metafisica di Aristotele [il secondo gradino], dopo del testo dei Dialoghi di Platone [il terzo gradino] in modo che l’Anima della “persona che studia” possa salire [al quarto gradino, quello dell’Intelligenza metafisica] per disporre della capacità di avvicinarsi a Dio [al quinto gradino], perché più la persona si avvicina a Dio, affermano Marsilio e Pico, più è in grado di conoscere l’Universo di cui Dio è il creatore.
La figura allegorica della “scala universale” disegnata da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola corrisponde ad una “apologia dello studio” e questo concetto entra nella mente di Michelangelo e di tutte le persone che, nel corso del Rinascimento, all’alba dell’Età moderna, si reputano artiste: una persona può avere delle doti innate, può essere un talento naturale, ma è convinta del fatto che “senza Studio non c’è Arte” e questa è una delle più importanti affermazioni della filosofia rinascimentale.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Dice il proverbio [di tradizione rinascimentale]: «Impara l’arte e mettila da parte»…
Quale “arte” avete imparato e, in seguito, coltivato?…
Scrivete quattro righe in proposito [anche scrivere quattro righe al giorno è un’arte da coltivare]…
La figura allegorica della “scala universale” disegnata da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola è una tesi che serve per chiarire la loro posizione [la loro appartenenza a una delle correnti del movimento neoplatonico] nel corso della disputa tra neoplatonici e aristotelici, una disputa intellettuale che caratterizza tutta l’epoca rinascimentale. Come si configura questo scontro epocale, e come incide sulla formazione di Michelangelo, che è intellettualmente schierato sulle posizioni di Marsilio e di Pico? Questa disputa intellettuale per la sua complessità è un argomento non facile da inquadrare sul piano didattico. Mediante i viaggi che abbiamo fatto in questi ultimi tre anni, noi sappiamo già che il prestigio della sapienza di Platone [c’è anche Socrate ma il pensiero di Socrate lo conosciamo attraverso i Dialoghi di Platone] e l’influsso della sapienza di Aristotele sull’Umanesimo prima e poi sul Rinascimento sono fondamentali: senza la filosofia di Platone e di Aristotele non avremmo avuto il moviemento dell’Umanesimo e del Rinascimento.
Lo scontro tra neoplatonismo e aristotelismo umanistico [si parla di “aristotelismo umanistico” per distingurlo da quello delle origini] non è particolarmente intenso ma s’inasprisce perché la contesa è soprattutto aspra all’interno della galassia neoplatonica tra chi vuole respingere in blocco il pensiero di Aristotele e chi, invece, lo vuole utilizzare, e questa situazione si coglie quando si osserva con cognizione di causa l’affresco de La Scuola di Atene di Raffaello [nell’anno 2008 abbiamo visitato questo famosissimo paesaggio intellettuale studiandolo in tutti i suoi particolari]: quando si osserva l’affresco de La Scuola di Atene si deve pensare [e in poche persone ci pensano, a parte voi che frequentate la Scuola] a quanto sia sconvolgente il fatto che, al centro del dipinto, Platone, con il dito puntato verso l’alto, e Aristotele, con la mano protesa verso il basso, stiano fianco a fianco.
Ed è papa Giulio II a volere che Platone e Aristotele siano raffigurati in questa “posizione di equilibrio” [siamo nel 1508, quando Giulio II commissiona a Raffaello La Scuola di Atene e a Michelangelo l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina]. Sebbene papa Giulio II appartenga alla corrente neoplatonica tuttavia ha una visione molto ampia delle cose [non vuole si divinizzi Platone né si demonizzi Aristotele e neppure si esalti scolasticamente Aristotele e si denigri Platone ma li vuole sullo stesso piano] ed è per questo che chiede al bibliotecario vaticano Fedra Inghirami [lo ha nominato lui perché lo ritiene il più competente di tutti] di procurargli i volumi [che Fedra gli deve anche leggere] della Teologia platonica e Sulla Vita di Marsilio Ficino, de L’Orazione sulla dignità della persona di Pico della Mirandola [tre Opere che conosciamo] e poi chiede il Commento al Commento al De Anima di Aristotele di Alessandro di Afrodisia di Pietro Pomponazzi [quest’Opera dal titolo così complesso e questo personaggio, Pietro Pomponazzi, non li conosciamo ancora, e dobbiamo attendere il prossimo itinarario, tra 15 giorni, per studiare la situazione, bisogna avere pazienza perché l’argomento è vasto e complesso!].
Ora facciamo un preambolo al preambolo [una piccola fuga in avanti di una ventina d’anni]: quando nel 1508 Giulio II riceve Michelangelo [senza testimoni e in un clima di grande nervosismo] per affidargli la commissione della “affrescatura” del soffito della Cappella Sistina questi quattro volumi, insieme ad altri, sono aperti sul tavolo del suo ufficio [ma sarebbe meglio dire magazzino più che ufficio], ebbene: Giulio II [ci si domanda] riesce a convincere Michelangelo a dedicarsi alla pittura anche mostrandogli queste Opere e rammentando all’artista i punti salienti della sua formazione intellettuale [che Giulio II condivide perché appartiene anche lui, tacitamente, alla stessa corrente di pensiero alla quale appartiene Michelangelo]? Fedra Inghirami, che aspettava in anticamera [in anticamera si fa per dire perché il Palazzo vaticano è un enorme cantiere], nel suo Epistolario formula questa ipotesi [che oggi trova credito tra tutte le studiose e gli studiosi]: la formazione culturale di Giulio II e di Michelangelo ha molti tratti in comune [ed è il tema di cui ci stiamo occupando in questa prima parte del nostro viaggio] e, difatti, discutono accanitamente ma sui principi generali concordano perfettamente [approvano, per esempio, l’immagine della “scala” con cui Marsilio e Pico disegnano l’Universo perché rappresenta allegoricamente un piano di studi che comprende tanto l’Opera di Platone quanto quella di Aristotele. Michelangelo e Giulio II appartengono alla stessa corrente intellettuale e se il soffitto della Cappella Sistina è così dipende anche da questo!].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Andate a osservare al centro de La Scuola di Atene di Raffaello le figure di Platone e di Aristotele pensando a quanto sia sconvolgente il fatto che nel 1508 siano state raffigurate, per volontà papale, una di fianco all’altra e, per di più, ciascuna figura [per volontà papale] tiene in mano un Libro: Platone regge il volume del dialogo Timeo [per significare che senza l’Idea del Buono, del Bello e del Giusto non si crea il Mondo] mentre Aristotele regge il volume de l’Etica Nicomachea [per significare che senza l’Intelletto non si possono acquisire le virtù morali].
Se non li avete già in casa richiedete questi due volumi [il Timeo di Platone e l’Etica Nicomachea di Aristotele] in biblioteca, teneteli in mano per una mezz’ora e sfogliateli: è un po’ come stare dentro La Scuola di Atene, perché certe “sensazioni intellettuali” – con il supporto dell’Alfabetizzazione [dell’Alfabetofanìa] - vanno create ad Arte…
Ma procediamo con ordine: la polemica tra neoplatonici e aristotelici [porta in sé anche un aspetto formativo, e questo vale in particolare per Michelangelo] si presenta, abbiamo detto, con una caratteristica: entrambi gli apparati sono divisi al loro interno. I neoplatonici sono divisi in tre correnti ben distinte mentre gli aristotelici [sono più coesi] fondano due linee di tendenza poco diversificate tra loro. Occupiamoci, in prima istanza, della galassia neoplatonica.
Nell’ambito del neoplatonismo rinascimentale si formano tre correnti contrapposte. La prima corrente neoplatonica è quella mistica, di carattere mitico e religioso, i cui esponenti di spicco sono gli intellettuali bizantini Gemisto Pletone e Giovanni Bessarione [entrambi li abbiamo già citati in occasione del Concilio di Firenze del 1439] i quali sono fermamente schierati contro la filosofia di Aristotele. La corrente mistica mette la religione al centro del suo interesse e vuole spiegare la rivelazione cristiana attraverso la filosofia del Mondo delle Idee di Platone. Sappiamo che Platone ha teorizzato l’esistenza di un Mondo ideale nel quale sono conservati gli stampi di tutte le cose, questo Mondo ideale, che Platone chiama Iperuranio, è il vero Mondo, è il Mondo reale, mentre il mondo delle cose, il mondo della materia, è solo un’imitazione della realtà. I neoplatonici mistici identificano l’Iperuranio platonico con il Paradiso cristiano e, per questa concezione, Platone viene considerato alla stregua di un profeta ma, diversamente dai profeti biblici, viene addirittura divinizzato per cui l’ideologia del neoplatonismo mistico assume i connotati di una religione paganeggiante con una liturgia incentrata su culti di carattere esoterico e magico.
La seconda corrente neoplatonica è quella politica, di carattere filologico e antropologico, i cui esponenti di spicco sono “i discepoli indiretti” di Francesco Petrarca [una lunga schiera di cultori del petrarchismo], i così detti Uomini nuovi, gli Umanisti, come Giovanni Boccaccio, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Leon Battista Alberti, Lorenzo Valla [li abbiamo incontrati nel maggio scorso e abbiamo studiato il loro pensiero]. Gli Umanisti sono intellettuali che sostengono le tesi contenute nei Dialoghi di Platone ma considerano la Fisica e la Metafisica di Aristotele due strumenti fondamentali per dare completezza al sistema platonico per cui tendono a mettere “le categorie” di Aristotele sullo stesso piano delle Idee di Platone, a cominciare dalla categoria di “sostanza” [la prima categoria di Aristotele] che non può non avere una consistenza reale [«Per dare sostanza alla materia - sostengono gli Umanisti - ci vuole un’Idea ma la materia esiste di per sé»]. Gli esponenti di questa corrente, gli Umanisti, danno un forte impulso allo sviluppo degli studi filologici [la conoscenza dei Classici greci e latini] e antropologici [la conoscenza delle varie culture umane] in modo da collocare al centro del loro interesse la Persona [con la P maiuscola e al di là del genere] come soggetto capace di costruire le Virtù mediante l’Intelligenza [la sapienza, la temperanza, la fortezza e la giustizia]: Virtù-cardine che devono servire, tanto per Platone quanto per Aristotele, per governare la Città terrena.
La terza corrente neoplatonica ha un carattere conciliativo rispetto alle prime due [che sono alternative l’una all’altra e in forte polemica tra loro] e tende ad armonizzare la mistica con la politica e prende il nome di “corrente pedagogica” perché intende esaltare il valore dello “studio” come strumento di conoscenza dell’Universo [c’è una scala da salire ovvero un piano di studi da rispettare] e i maggiori esponenti di questa linea di tendenza [noi li conosciamo già e ne abbiamo studiato il pensiero] sono Marsilio Ficino e Pico della Mirandola [aderisce a questa corrente anche Giuliano Della Rovere prima di diventare papa e Michelangelo per formazione diretta perché da ragazzo frequenta le Lezioni di Marsilio e di Pico a Palazzo Medici]. La “corrente pedagogica neoplatonica” fa una scelta di carattere ancora più accentuatamente “filologico” [privilegia lo studio delle lingue: l’ebraico, l’arabo, il greco, il latino per poter leggere e interpretare direttamente i testi dei grandi Apparati letterari, a cominciare dai Libri dell’Antico Testamento] e fa una scelta di carattere culturale dove la filosofia di Platone fornisce i contenuti [i cataloghi delle Idee] e il sistema di Aristotele fornisce gli strumenti [la rete delle categorie] e offre le forme per costruire nuove sintesi dalle quali possano scaturire delle tesi per inquadrare i temi su cui dibattere in modo da affrontare concretamente i problemi che comporta l’opera di umanizzazione del Mondo creato.
E, a questo proposito, come sappiamo, Giovanni Pico della Mirandola progetta una grande Conferenza internazionale scrivendo un’introduzione di Novecento tesi nelle quali emergono temi che continuano a essere all’ordine del giorno ancora oggi in un’epoca in cui sappiamo che la modernità è ormai tramontata [ma l’opera di umanizzazione del Mondo creato è ancora in corso].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per una grande Conferenza delle persone sagge di tutto il mondo [come ha proposto Pico della Mirandola nel 1487]: quale tema - la pace, la salute, il lavoro, il modo di scegliere le persone che governano, il costo della vita, il giusto prezzo dei prodotti, la scuola aperta a tutti, l’ordine pubblico, le grandi opere pubbliche, l’immigrazione, la qualità dell’ambiente, la riforma della giustizia, la tutela dei beni culturali, o quale altro tema… - porreste all’attenzione?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Questo è il quadro che rigarda la galassia neoplatonica, e gli aristotelici umanistici come si esprimono? Lo vedreno tra un po’ perché, prima di occuparci dell’aristotelismo umanistico dobbiamo continuare [in funzione della didattica della lettura e della scrittura] a leggere il romanzo intitolato In villa di W. Somerset Maugham.
La scorsa settimana abbiamo letto l’incipit di questo romanzo scritto nel 1941 e considerato una delle opere “esemplari” della Storia della narrativa. L’autore, visto che il racconto si svolge a Firenze, non può fare a meno, mediante un lineare intreccio filologico, di citare anche “l’eccentrica disputa rinascimentale tra platonici e aristotelici” per far descrivere dalla protagonista - una giovane e bella signora inglese che si chiama Mary - l’emozione che lei prova ad essere ospitata in una cinquecentesca villa fiorentina che ha il salone decorato con gli affreschi del Ghirlandaio e dalla cui terrazza si gode uno stupendo panorama della città.
Come abbiamo detto, il romanzo intitolato In villa di W. Somerset Maugham è un’opera che affronta, con accenti di drammaticità, il tema della “dignità umana” posto all’attenzione mondiale [come sappiamo] da Pico della Mirandola agli albori dell’Età moderna e, quindi, non è casuale il fatto che il romanzo sia ambientato a Firenze e che il centro dell’azione sia una cinquecentesca villa fiorentina di proprietà di una famiglia inglese: sappiamo che Firenze è una città che, per tradizione, ha sempre ospitato un’affezionata colonia anglosassone. La villa è stata prestata, dai padroni suoi amici, alla protagonista, la giovane e affascinante signora Mary Panton, perché si possa riprendere fisicamente e psicologicamente dopo aver vissuto una brutta esperienza matrimoniale: è rimasta vedova [il marito è morto in tragiche circostanze in preda all’alcolismo e ai debiti di gioco] e con un reddito molto basso a disposizione. Mary è corteggiata da due uomini [Sir Edgar Swift e Rowley Flint] molto diversi tra loro, non solo nell’aspetto, ma soprattutto perché hanno un diverso modo di rapportarsi con l’esistenza. Questi personaggi si ritrovano, tutto a un tratto, al centro di uno scabroso fatto di sangue [con la comparsa di una figura emblematica] che condiziona i loro rapporti.
La scorsa settimana, leggendo l’incipit di questo romanzo, abbiamo fatto conoscenza con Mary e poi con Sir Edgar [un vecchio e caro amico della famiglia di Mary, coetaneo di suo padre e protagonista di una brillante carriera in India come governatore] che è venuto a trovarla in villa per farle - nonostate una certa differenza di età - una proposta di matrimonio. Sir Edgar non ha mai nascosto di essere, da sempre, innamorato di lei e lei, che ne è consapevole, si aspettava questa richiesta. Sir Edgar le comunica anche che deve urgentemente partire per Cannes dove lo attende il segretario di Stato inglese per l’India per offrirgli il governatorato del Bengala, un incarico prestigioso e di grande responsabilità a cui lui tiene molto e che per svolgere nel migliore dei modi [il governatore del Bengala deve dare molti ricevimenti] ha anche bisogno della collaborazione di una moglie. Effettivamente il matrimonio con Edgar aprirebbe a Mary la prospettiva di vivere “alla grande senza difficoltà economiche” [il governatore del Bengala vive con un fasto degno di un principe] e difatti lei è sostanzialmente decisa ad accettare questa proposta [sì, Edgar ha ventiquattro anni più di lei ma è ancora un bell’uomo, elegante, sportivo, rassicurante…] però Mary non è del tutto convinta: le avrebbe dato una risposta quando Edgar, fra tre giorni, sarebbe ritornato a Firenze, e lui è disposto ad attendere fiducioso.
Mary e Edgar quella sera sono invitati a cena dalla principessa San Ferdinando [una vecchia signora americana, un po’ impertinente, con la quale dobbiamo fare conoscenza]: Sir Edgar ha già comunicato alla principessa la sua assenza e le cause che lo costringono a partire urgentemente. Mary non ha molta voglia di partecipare a questa cena in un ristorante caratteristico in riva all’Arno ma preferirebbe restare a rilassarsi sulla terrazza della villa che la ospita, poi, però, per non mancare di riguardo alla principessa, decide di andare. Edgar, non potendo accompagnare Mary, la invita a portare con sé la pistola che le ha procurato per potersene servire in caso di necessità, per legittima difesa, dovendo muoversi da sola per strade deserte, ma Mary non vorrebbe uscire con questo arnese nella borsetta, però poi - vista la preoccupazione di Edgar [che chiede e ottiene la complicità dei domestici] - promette che farà come dice lui.
Ora andiamo a cena insieme alla compagnia della principessa San Ferdinando così abbiamo modo di conoscere anche Rowley Flint l’altro uomo [un trentenne] che corteggia, ma in modo ben diverso da Edgar, la bella vedova che lo ritiene insopportabile.
LEGERE MULTUM….
W. Somerset Maugham, In villa
Mary si stava truccando il viso. Alle sue spalle Nina osservava con interesse. Mary, nei suoi cinque mesi alla villa, aveva imparato parecchio italiano, sicché tra loro con la lingua se la cavavano benissimo. «Che ti pare, Nina, ho messo abbastanza rossetto?» domandò Mary.
«Con il suo bel colorito naturale, non so perché la signora se lo vuol mettere, il rossetto».
«Le altre saranno tutte dipinte, a questa cena, e se non ne metto un po’ sembrerò un cadavere». Si infilò nel suo bell’abito, si ornò dei vari gioielli che aveva deciso di portare, e infine si accomodò sulla testa un cappellino minuscolo, assurdo ma molto chic; adatto alla circostanza. Andavano a un ristorante nuovo in riva all’Arno, dove pareva si mangiasse bene e dove, all’aperto, si poteva godere l’aria mite della sera di giugno e al sorgere della luna la vista amena delle vecchie case sulla sponda opposta. L’anziana principessa aveva scoperto in quel locale un cantante dalla voce straordinaria, e voleva farlo ascoltare ai suoi ospiti.
... continua la lettura ...
E adesso occupiamoci dell’aristotelismo umanistico. Gli aristotelici non sono interessati né al mito né alla mistica né alla religione ma piuttosto ai problemi della ragione umana e della razionalità. Gli aristotelici sono attratti dallo studio della natura [la Fisica] e sono interessati a stabilire i principi di una morale laica [la Metafisica] nella quale rientrino anche i Valori dati dalla Rivelazione cristiana [l’Etica]. Nelle Università europee, in questo periodo, la tendenza aristotelica prevale, soprattutto a Bologna e a Padova.
Ma anche gli aristotelici si presentano divisi in due correnti [chiamate “sette” perché si strutturano come confraternite chiuse in se stesse] però tra loro non ci sono differenze così nette e, in Età rinascimentale, l’aristotelismo nel suo complesso viene chiamato “aristotelismo umanistico” per distingurlo da quello delle origini.
Le due correnti [o confraternite] aristoteliche si formano secondo un presupposto culturale ben preciso: nascono intorno al “commento delle Opere di Aristotele” da parte di due importanti personaggi, di due indicatori intellettuali, che abbiamo già incontrato in altri viaggi precedenti: Averroè e Alessandro di Afrodisi.
La prima corrente [o confraternita] aristotelica viene chiamata “averroista” e si costituisce nel 1472 a Padova all’interno dell’Università quando viene pubblicata la traduzione latina dell’opera di Averroè [del filosofo arabo-iberico Muhammad Ibn Rušd, detto Averroè]. Averroè, nei suoi Commentari, ha raccolto, tradotto e commentato le opere di Aristotele: per questo motivo la prima corrente [o confraternita] aristotelica si chiama “averroista”. Averroè [1126-1198] - giurista, filosofo, teologo, medico arabo musulmano di Cordova - è uno dei più grandi pensatori della Storia del Pensiero e lo abbiamo incontrato recentemente [attraversando il territorio del Medioevo - come abbiamo fatto noi in questi ultimi anni - non si può prescindere dal pensiero di Averroè, scrive Dante]. Averroè ha scritto il “gran commento” del Tafsir ma ba’d at-Tabi’at [il Grande commento alla Metafisica di Aristotele], redatto nel 1192 [Dante conosce e ammira quest’Opera e nel Canto IV dell’Inferno della Divina Commedia, dove descrive il Limbo, cita Averroè con un verso esemplare: «Averroè che il gran commento feo»]. Aristotele [il “maestro di color che sanno” come scrive Dante] è venuto al mondo, afferma Averroè, «per insegnare al genere umano tutto ciò che si può conoscere, e questo significa che ogni persona deve tentare la via della conoscenza». Commentare le opere di Aristotele è un’impresa difficilissima tanto per la complessità della materia quanto per la difficoltà delle lingue [tradurre dal greco in arabo] e anche per i divieti imposti dagli ortodossi fondamentalisti [sia musulmani che cristiani], ma Averroè, come sappiamo, lancia la sua sfida culturale e vuole dimostrare che l’Opera di Aristotele, il quale «cerca la verità dell’essere e le sue cause», si concilia con la verità che Allah ha voluto fosse scritta nel Corano.
«Il ragionamento fondato sulla dimostrazione logica, scrive Averroè, non porta affatto a contraddire gli insegnamenti della Legge divina, infatti la verità non potrebbe essere contraria alla verità ma si accorda con essa», dunque la filosofia greca non solo non è in conflitto ma si integra anche con il Corano e con le Sacre Scritture in genere [con la Bibbia e con i Vangeli]. Averroè si impegna a dimostrare la conciliabilità della Ragione con la religione, della filosofia con la Legge, spronando gli intellettuali [tutti gli intellettuali: musulmani, ebrei, cristiani e laici] a cercare la Verità. «La ricerca è un impegno obbligatorio, scrive Averroè, per coloro che hanno i mezzi intellettuali per poterlo fare e tutti gli Esseri umani sono dotati di Intelletto». Nell’opera Tahafut at-Tahafut che significa Incoerenza dell’incoerenza Averroè polemizza con chi, nella cultura dell’Islam, condanna la ricerca filosofica. L’aver utilizzato e conciliato la filosofia greca con gli insegnamenti del Corano procura ad Averroè la condanna da parte degli ortodossi islamici, e l’aver formulato la tesi dell’eternità del mondo, dell’anima mortale, dell’unità della sostanza divina [negando il concetto della Trinità] gli vale l’accusa di essere empio da parte delle gerarchie cristiane. Averroè è un personaggio scomodo perché cerca di unire e non di dividere, e quando muore le sue Opere vengono bruciate ma non sono andate perdute e ci sono pervenute ricopiate in caratteri ebraici dai rabbini di Spagna e tradotte in latino da molti intellettuali cristiani: «Perché il pensiero ha le ali, scrive Averroè, e nessuno può arrestare il suo volo».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In cineteca si può trovare un film [che molte e molti di voi hanno visto, ma si rivede sempre volentieri] del regista egiziano Yousseh Chahine [morto nel luglio del 2008] che s’intitola Il destino … È un film [girato nel 1998] molto spettacolare sulla vita e l’opera di Averroè, ed è [si può dire] un manifesto di filosofia rinascimentale a favore del dialogo tra le diverse culture e contro chi vuole “monopolizzare Dio” senza tener conto dei suoi due attributi fondamentali, la clemenza e la misericordia, buona visione…
E ora riprendiamo il filo del discorso dopo aver compreso perché la prima corrente [o confraternita] aristotelica viene chiamata “averroista”.
Gli aristotelici averroisti dell’Università di Padova, a partire dal 1472, sviluppano soprattutto l’idea fondamentale elaborata da Averroè: siccome il primo dono fatto da Dio all’Essere umano è la Ragione questo significa che, attraverso la Ragione, ogni persona può dar vita alla propria Anima e la può curare attraverso lo studio, e qui c’è il primo punto di contrasto tra i neoplatonici mistici e gli aristotelici umanistici: per i neoplatonici l’anima è creata da Dio, è spirituale e viene insufflata nell’Essere umano, mentre per gli aristotelici l’anima è una creazione del pensiero umano che si riflette in Dio, ed è un oggetto intellettuale. I pensieri elaborati dagli Esseri umani attraverso lo studio - che è l’attività fondamentale, utile e necessaria, per curare e per creare la propria anima - vanno a costituire [e così lo chiama Averroè] l’Intelletto Universale, il serbatoio dei saperi universali e collettivi, e l’idea dell’Intelletto Universale è diventata patrimonio di tutti gli intellettuali, aristotelici e neoplatonici [per Michelangelo e per tutte le persone che, durante il Rinascimento si dedicano a investire in intelligenza, l’Intelletto universale è un punto di riferimento], e ancora oggi ci affascina l’idea che il risultato della ricerca, il prodotto dell’Intelligenza umana, l’esito dei nostri pensieri rimane e si conserva sospeso come patrimonio dell’Umanità a cui attingere. Sulla scia del pensiero di Aristotele, Averroè capovolge il ruolo e la finalità del Mondo delle Idee di Platone: in Platone l’Intelligenza scende dall’alto [dalla Metafisica] verso il basso [verso la Fisica], in Aristotele sale dal basso [dalla Fisica] verso l’alto [verso la Metafisica] e questo è un secondo motivo di contrasto nella disputa tra neoplatonici e aristotelici.
Gli aristotelici averroisti dell’Università di Padova fanno un ulteriore passo avanti e affermano [confermando in area cristiana quello che già era il pensiero di Averroè in area islamica] che l’Intelletto Universale, in quanto patrimonio culturale e intellettuale dell’Umanità, è immortale e trascendente [ha gli stessi attributi di Dio], ed è attraverso questo patrimonio che la persona entra in relazione con Dio. L’Anima, che s’identifica con l’Intelletto della persona [ribadiscono gli aristotelici averroisti dell’Università di Padova], muore con il corpo perché l’Anima è mortale e quando si spegne la Ragione si spegne anche l’Anima: di immortale rimane il Pensiero che l’Essere umano è stato capace di elaborare e ne consegue che l’Intelletto umano può rispecchiarsi in Dio grazie allo studio e alla scienza.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Preferite pensare che l'anima sia un oggetto spirituale e immortale oppure che sia un oggetto intellettuale e mortale? Basta una riga per rispondere…
Averroè ha scritto: «Il pensiero ha le ali, e nessuno può arrestare il suo volo»…
Verso che cosa o verso chi vola, in questo momento, il vostro pensiero?…
Scrivete quattro righe in proposito …
Dobbiamo, a questo punto, mettere in evidenza un aspetto unificante [fluidificante] nella disputa tra neoplatonici e aristotelici che riguarda il significativo Commento alla Commedia di Dante Alighieri di Cristoforo Landino, che abbiamo incontrato due settimane fa dicendo che lo avremmo rincontrato a questo proposito. Questo Commento, scritto in elegante lingua latina, è d’impronta neoplatonica ma tiene conto della simpatia che Dante ha per il pensiero di Averroé e, di conseguenza, mette in risalto alcuni aspetti salienti della filosofia di Aristotele. Che cosa insegna Cristoforo Landino ai neoplaltonici [come Marsilio e Pico] e agli aristotelici [come i maestri dell’Università di Padova] in relazione alla Divina Commedia?
Cristoforo Landino, nel suo Commento alla Divina Commedia di Dante, insegna [a neoplatonici e aristotelici] che quest’opera è, in primo luogo, uno straordinario deposito di Intelligenza a cui attingere, e funziona come un itinerario di studio che favorisce l’avvicinarsi a Dio e questo dipende dal fatto che la contaminazione culturale di Averroè, scrive Landino, è completamente presente in Dante a partire dal concetto dell’Intelletto Universale, gradito tanto ai neoplatonici-politici dell’Accademia fiorentina quanto agli aristotelici-averroisti dell’Università di Padova. Cristoforo Landino precisa, per la prima volta nella Storia dell’esegesi dantesca, che il Limbo, descritto da Dante nei versi del Canto IV dell’Inferno della Divina Commedia, è come l’immagine [la figura allegorica] dell’Intelletto Universale di Averroè: un grande contenitore di Intelligenza e di Saggezza. Il Limbo di Dante, afferma Cristoforo Landino, si presenta come se fosse il modello di un grande “piano di studio di Storia del Pensiero Umano” [e sono lì anche le radici della nostra esperienza scolastica di Alfabetizzazione]. Il Limbo descritto da Dante, scrive Cristoforo Landino, ha la struttura di una Scuola e, difatti, questo concetto il poeta lo esprime in due versi incisivi: «Così vidi adunar la bella scuola, di quei signor dell’altissimo canto [Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e Virgilio] che sovra gli altri com’aquila vola» [Oltre a questi Classici, che considera i suoi maestri, Dante sta parlando anche di voi che state dando un’Anima - “un altissimo canto” - all’Educazione permanente in questo Paese!]. Dopo un lungo dibattito che è iniziato nel 1962 con il Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa di Roma ha ultimamente rimosso il Limbo dalla sua dottrina e lo ha giustamente restituito, con una oculata scelta averroista [ispirata da Cristoforo Landino], al mondo della cultura, al mondo dell’al di qua, e anche Dante, Marsilio e Pico sono sicuramente d’accordo.
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Potete cogliere ancora una volta l’occasione – visto che tutte e tutti noi abbiamo in biblioteca una “Divina Commedia” – per leggere o per rileggere il Canto IV dell’Inferno: il testo della Divina Commedia è patrimonio universale anche perché Dante è capace di camminare insieme a noi su tutti i Percorsi, tanto che attraversino territori antichi quanto moderni …
C’è poi una seconda corrente nell’ambito dell’aristotelismo umanistico che ha una diffusione ancora maggiore di quella “averroista”… Nella maggior parte delle Università europee si studia il commento alle Opere di Aristotele di un altro importante personaggio: Alessandro di Afrodisia.
Di Alessandro di Afrodisia non abbiamo notizie, ma sebbene sia un personaggio misterioso, ha un posto significativo nella Storia del Pensiero Umano. Alessandro di Afrodisia è vissuto tra il II e III secolo ed è stato, secondo una tradizione leggendaria, il mitico direttore della Scuola cosiddetta Peripatetica, la Scuola fondata da Aristotele nella quale le studentesse e gli studenti studiavano passeggiando sotto un portico. Alessandro [e questo è un dato certo] è stato il primo commentatore [il primo esegeta] delle Opere di Aristotele e per questo ha lasciato un segno nella Storia del Pensiero. Un elemento certo è che Alessandro è nato ed è vissuto in una città importante: Afrodisia, conosciuta anche con il nome di Afrodisiade di Caria, e Michelangelo, a questo punto, alza le antenne: perché?
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La città di Afrodisia [o di Afrodisiade di Caria] merita una visita: si trova in Asia Minore [nei pressi della cittadina turca di Gëyre] e per individuarla potete utilizzare una guida della Turchia e la rete… La città di Afrodisia è famosa per la Scuola d’Arte dove, dal I al IV secolo, si sono formati molti bravi scultori [Michelangelo ha amato il loro stile]…
Di Afrodisia rimangono notevoli resti archeologici [due teatri, l’agorà, le terme, il tempio ionico di Artemide]: fate un’escursione in questa bella città…
Nel 1495, all’Università di Padova, viene tradotta in latino l’opera di Aristotele intitolata De Anima [L’Anima, in greco Peri psyches] commentata da Alessandro di Afrodisia, e intorno a questa operazione culturale nasce la corrente [o la confraternita] aristotelica detta “alessandrina”. Le due tendenze dell’aristotelismo umanistico - quella “averroista” e quella “alessandrina” - non si distinguono così nettamente l’una dall’altra perché entrambe non hanno un interesse specifico per la Religione [per il tema di Dio e della Fede], entrambe si occupano di metafisica [del tema della conoscenza], di psicologia [del tema dell’Anima] e di antropologia [del tema delle potenzialità e dei limiti della Ragione umana]. Come si comportano le due correnti [l’averroista e l’alessandrina] di fronte ai temi proposti dall’aristotelismo umanistico?
Sono tre i temi su cui puntano l’attenzione: il tema dell’Anima [la Psiché], il tema dell’Ordine del Mondo [il Kosmos] e il tema della Ragione [il Logos].
Sul tema dell’Anima la domanda che gli aristotelici si pongono è d’obbligo: l’Anima [Psichè] è mortale o immortale? Aristotele, nelle sue Opere, non è stato chiaro in proposito e ha lasciato aperto il problema e, quindi, è interpretabile. La corrente “averroista” sostiene che l’Anima si identifica con l’Intelletto individuale [che Aristotele chiama “passivo”] e, di conseguenza, è mortale, perché l’elemento che Aristotele definisce “immortale” è quello che chiama l’Intelletto Attivo [o Collettivo] che Averroè come sappiamo denomina come “Intelletto Universale” che corrisponde al grande bagaglio culturale che tutti gli Esseri umani, “con i loro pensieri rivolti al Bene”, contribuiscono a costruire. Quindi, per gli aristotelici averroisti l’Anima del singolo è destinata a morire mentre l’Anima del Mondo, comune a tutti gli Esseri umani, è immortale. La tendenza aristotelico alessandrina, invece, non fa distinzioni e sostiene che tanto l’Anima individuale quanto quella universale [del Mondo] è mortale perché il grande bagaglio culturale, essendo di natura intellettuale, è legato alla memoria, è soggetto al ricordo e, quindi, esiste solo se non lo si dimentica: se si perde la memoria di ciò che l’Intelletto ha prodotto l’Anima del Mondo muore.
Sul tema dell’Ordine del Mondo [il Kosmos] gli aristotelici umanistici di entrambe le tendenze [tanto gli averroisti quanto gli alessandrini] concordano sui concetti principali e pensano, come scrive Aristotele, che il Mondo si regga su principi propri e non ci siano interventi di carattere divino, pensano che non ci sia una forma di provvidenza e ritengono che “il miracolo” rientri nelle possibilità della Natura secondo un ordine dettato dalla Necessità [la vita della Natura non è provvidenziale ma è necessaria].
Sul tema della Ragione [il Logos] gli aristotelici umanistici credono che la Ragione, impegnata [con le sue potenzialità e i suoi limiti] nella ricerca della verità, debba seguire la sua via senza interferenze da parte della Fede e, a questo proposito, la tendenza averroista ammette “la [cosiddetta] dottrina della doppia verità”: se la verità raggiunta con la Ragione non coincide con quella proposta dalla Fede il credente si atterrà ufficialmente alla Fede, ma appare evidente che questo è un accorgimento tattico da parte degli averroisti per evitare la sorveglianza [l’inquisizione] ecclesiastica [islamica o cristiana che sia] in modo da garantire l’autonomia alla Ragione. Per la tendenza alessandrina, invece, Fede e Ragione devono restare separate perché i due campi sono completamente diversi, in alternativa tra loro.
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Quale dei tre temi di cui si occupa l’aristotelismo umanistico prendereste in considerazione per primo: la cura dell’Anima [Psichè], la forma da dare al Mondo [Kosmos], lo spazio di autonomia della Ragione [Logos]?… Basta una parola per esprimersi, scrivetela…
Michelangelo cresce, studia e lavora immerso in questo clima culturale dettato dal confronto tra le varie correnti del neoplatonismo [mistico-bizantina, politico-antropologica, pedagogico-filologica] e dell’aristotelismo umanistico [l’averroista e l’alessandrina]. Michelangelo, in particolare, come sappiamo, è influenzato dalla “correte neoplatonica d’impronta pedagogico-filologica” ispirata da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola [alla quale aderisce anche papa Giulio II con il suo staff] e questa corrente, come sappiamo, non disdegna il pensiero dell’aristotelismo umanistico, e l’esponente più significativo dell’aristotelismo umanistico è Pietro Pomponazzi. Noi sappiamo che una sua opera [un Commento] è aperta sul tavolo dell’ufficio di papa Giulio II quando riceve Michelangelo per convincerlo a dipingere il soffitto della Cappella Sistina: chi è Pietro Pomponazzi e perché un suo Libro è aperto sul tavolo del magazzino che fa da ufficio al papa? Ne parleremo fra 15 giorni dopo la pausa festiva dell’8 dicembre.
Tutti i personaggi che abbiamo incontrato in questo viaggio conoscono il Canto IV dell’Inferno della Divina Commedia di Dante, il Canto del Limbo, e nel Limbo ci sono le radici del ruolo “universale” che ha la Scuola: «Così vidi adunar la bella scuola, scrive Dante, di quei signor dell’altissimo canto»! E, per concludere, citiamo 17 versi [facciamo una passeggiata nel Limbo che è un posto bellissimo]: i versi che fanno [dice Michelangelo] da corollario all’itinerario di questa sera.
LEGERE MULTUM….
Dante Alighieri, Inferno IV 130-147
Poi che innalzai un poco più le ciglia,
vidi il maestro di color che sanno [Aristotele]
seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor gli fanno:
quivi vid’io Socrate e Platone,
che innanzi agli altri più presso gli stanno;
Democrito, che il mondo a caso pone,
Dìogenes, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
e vidi il buon accoglitor del quale,
Dioscoride [medico di Cilicia] dico; e vidi Orfeo,
Tullio e Lino e Seneca mortale,
Euclide geomètra e Tolomeo,
Ippocrate, Avicenna e Galieno,
Averroè, che il gran commento feo.
Io non posso ritrar di tutti appieno,
però che sì mi caccia il lungo tema,
che molte volte al fatto il dir vien meno. …
“Spesso, afferma Dante, non si trovano le parole per descrivere un fatto straordinario”. È sempre interessante fare una passeggiata nel Limbo dove stanno insieme ebrei, latini, greci, cristiani, mussulmani, e “ciascuno, afferma Dante e con lui Cristoforo Landino, ha qualcosa da farci conoscere”.
La descrizione del Limbo - concepito come se fosse una Scuola - contiene un messaggio provocatorio [fremente], il poeta afferma: «Usciamo dai nostri inferni, dai nostri purgatori, dai nostri paradisi e incontriamoci in un lembo, in un bordo [questo significa “limbo”], riuniamoci ai margini, e mettiamo in comune la volontà di insegnare qualcosa [perché tutti abbiamo qualcosa da insegnare], e mettiamo in comune il desiderio di imparare qualcosa [perché tutti abbiamo qualcosa da imparare]».
Il clima psicologico che c’è nel Limbo è favorevole all’apprendimento permanente perché è quello dell’attesa: con la parola “attesa” abbiamo iniziato e con la parola “attesa” terminiamo. Ed è restando “in attesa” che dobbiamo procedere sul nostro cammino con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé.
Per questo la Scuola è qui, il viaggio continua e non perdete, tra 15 giorni, il prossimo itinerario, l’ultimo prima della vacanza natalizia, l’ultimo dell’anno 2016…