ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna 11 - 12 - 13 gennaio 2017
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA
SI SENTE L’INFLUENZA DELL’HEPTAPLUS …
Ben tornate e ben tornati a Scuola: buon anno di studio a tutte voi e a tutti voi che [date un’Anima] animate l’attività di Alfabetizzazione culturale e funzionale.
Come ben sapete, il tema dell’Anima è stato, per ora, al centro dell’attenzione in questo viaggio e, visto il territorio che stiamo attraversando non potrebbe essere diversamente perché l’Anima, considerata come “attività fremente dell’Intelletto”, è un prodotto della cultura rinascimentale [oggi la parola “anima” viene quasi sempre utilizzata per abbellire situazioni sentimentalistiche, come una sorta di accessorio decorativo].
Il verbo “animare” [prendersi cura della propria Anima intellettuale e dell’universale Anima del Mondo con lo studio] si addice al vostro paziente impegno civile e politico in quanto siete cittadine e cittadini che volete affermare il diritto-dovere all’Apprendimento, un diritto-dovere legato all’applicazione dell’articolo 34 della Costituzione che sancisce l’esistenza di una “Scuola pubblica aperta a tutti” per tutto l’arco della vita. Quindi, buon anno di “studio” a voi che testimoniate nelle vostre attività quotidiane la presenza, sempre più evanescente a livello nazionale e internazionale, della Scuola pubblica degli Adulti perché sapete quanto sia importante non perdere mai la volontà d’imparare [e in questo senso tutte le analiste e gli analisti riconoscono che c’è un’involuzione in atto che, però, non viene contrastata con il primo provvedimento essenziale: promuovendo l’Alfabetizzazione funzionale e culturale]! E, allora, ben tornate e ben tornati a Scuola.
Inizia, con il decimo itinerario, la seconda parte di questo Percorso di Alfabetizzazione che utilizza la Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura [inizia la seconda parte che va da Natale a Pasqua, e che comprende tutta la stagione invernale fino alla prossima primavera…].
Riprendiamo, quindi, il nostro cammino sul territorio della “sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna”: siamo sempre in attesa [ma c’è tempo perché il viaggio è ancora lungo] di poter entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio, e l’attesa non è stata infruttuosa finora perché, come sapete, abbiamo indagato sugli aspetti salienti della formazione intellettuale di Michelangelo in modo da acquisire gli elementi necessari per capire il significato dei suoi affreschi. Inoltre, seguendo il percorso formativo di Michelangelo, abbiamo iniziato a studiare nelle sue linee generali la Storia del Pensiero Umano agli albori dell’età moderna: un’epoca nella quale stiamo viaggiando virtualmente.
Sappiamo [perché prima della vacanza abbiamo affrontato questo argomento] che l’iter della formazione di Michelangelo coincide con un significativo avvenimento culturale: lo scontro ideologico tra i neoplatonici e gli aristotelici umanistici. Questa complessa e articolata polemica ha avuto il merito di favorire lo sviluppo di numerosi investimenti in intelligenza prodotti dalla competizione e dal confronto tra le varie correnti che nascono nell’ambito dei due schieramenti: tre correnti neoplatoniche [la mistica, la politica e la pedagogica] e due correnti aristoteliche [l’averroista e l’alessandrina], e noi sappiamo che la polemica più animata è in atto soprattutto all’interno del mondo neoplatonico.
Michelangelo, come sappiamo, cresce, studia e lavora nell’ambito dell’Accademia platonica fiorentina nella quale nasce e si sviluppa la corrente neoplatonica che prende il nome di “pedagogico-filologica”. I maggiori esponenti di questa linea di tendenza [noi li conosciamo, e ne abbiamo studiato il pensiero] sono Marsilio Ficino e Pico della Mirandola i quali, come sappiamo, intendono esaltare il valore universale dello “studio” [e per questo la corrente si chiama “pedagogica”]: lo “studio” viene considerato lo strumento più efficace per “dare dignità alla persona” [Michelangelo ha implementato il suo talento con lo studio, ed è un genio anche se in alcune materie stenta, in latino e in greco per esempio].
Come sappiamo, per Marsilio Ficino e Pico della Mirandola c’è “una scala” da salire per conoscere l’Universo, e questa “scala” - disegnata da loro con cinque gradini - è una metafora che corrisponde a “un piano di studi” che include tanto le Opere di Platone [i Dialoghi] quanto quelle di Aristotele [la Fisica e la Metafisica].
La “corrente pedagogica neoplatonica” privilegia la filologia [lo studio dei significati delle parole perché, essendo “in principio”, è la parola che dà un senso alla realtà] e l’attività didattica di questa corrente s’incentra sullo studio delle lingue: l’ebraico, l’arabo, il greco, il latino per poter leggere e interpretare direttamente i testi dei grandi Apparati letterari, a cominciare dai Libri dell’Antico Testamento, ed è soprattutto Pico della Mirandola, come abbiamo studiato prima della vacanza, ad occuparsi dell’esegesi dei testi biblici letti in lingua originale, e le Opere prodotte e commentate nell’ambito di questa corrente [che abbiamo studiato strada facendo] lasciano il segno nella formazione tanto di Giulio II, che aderisce a questa tendenza, quanto di Michelangelo, al quale questa tendenza appartiene per filiazione diretta. Non è casuale il fatto che “l’affrescatura” del soffitto della Cappella Sistina sia stata realizzata così come la vediamo perché tanto il committente-ispiratore [papa Giulio II] quanto l’artista esecutore [Michelangelo] si sono formati sulle Opere dei maestri della “corrente neoplatonica pedagogico-filologica”, in primis Pico della Mirandola [che ancora ci accompagna in questo viaggio].
Pico della Mirandola ha come obiettivo intellettuale quello [attualissimo] di armonizzare le grandi religioni universali, in virtù anche dell’elemento che lui considera più interessante: la saggezza e il misticismo ebraico [difatti il cristianesimo e l’islam hanno le loro radici nell’ebraismo]. Sappiamo che, nell’ambito dell’Accademia platonica fiorentina, Pico si è potuto avvalere della consulenza dei più importanti sapienti ebrei che, accolti da Cosimo il Vecchio, vivono e studiano a Firenze.
Pico, dopo aver imparato l’ebraico e l’aramaico, inizia a studiare la Torah [il tema della “Legge uguale per tutti” presente nei Libri del Pentateuco e dei Profeti] poi studia il Talmud [la raccolta di tutti i vari commenti ai testi biblici fatti, nei secoli, dai più autorevoli rabbini] poi studia il Midrash [la prima grande Antologia che raccoglie i racconti contenenti i miti ebraici] e poi intraprende lo studio della Cabala [Kabbalah significa “Ciò che abbiamo ricevuto” ed è un metodo che propone l’interpretazione dei testi biblici attraverso i simboli che emergono dal rapporto che intercorre tra i numeri e le lettere dell’alfabeto]. Pico della Mirandola diventa intimo amico dei maestri ebrei con i quali studia: Elijah del Medigo, Jochanan ben Yitzchak e il misterioso Rabbino Abraham che non sappiamo neppure chi sia. Pico della Mirandola acquista una profonda conoscenza della lingua e della cultura ebraica che gli permette di scrivere un trattato divenuto fondamentale per la divulgazione dei principi su cui si fonda il metodo della Cabala: quest’opera s’intitola Heptaplus [Eptaplo] e, naturalmente, tanto Giulio II quanto Michelangelo la conoscono bene, ma prima di parlarne dobbiamo fare alcune riflessioni che riguardano ancora l’ambiente dove Michelangelo cresce, un ambiente che influenza la sua mentalità.
Il giovane Michelangelo, che è sempre assetato di nuove conoscenze e sempre alla ricerca di ogni tipologia di bellezza, si ritrova completamente immerso in questo stimolante ambiente dove si coltiva il libero pensiero e si fanno continue riflessioni sui massimi sistemi [l’Anima-Psiche, il Mondo-Kosmos, la Ragione-Logos]. Michelangelo proveniva da un ambiente familiare quasi completamente privo d’affetto e del tutto indifferente all’Arte o a qualsiasi altro tema intellettuale, e di colpo si ritrova accolto nella più sofisticata corte europea dove i rapporti tra le persone sono molto cordiali: gli studiosi che frequentano Palazzo Medici sono tutti uomini che - nello stile dell’Accademia di Platone - tendono a volersi bene tanto spiritualmente quanto fisicamente [è l’attuazione del “pensiero dell’Amore platonico” del quale abbiamo studiato i principi prima della vacanza]. Michelangelo si trova a suo agio in questo ambiente ricco di affettività anche perché ha sofferto per l’autoritarismo e soprattutto per l’assenza della figura paterna e per aver perso la madre in tenerissima età. Ed è per questo che la scomparsa di Angelo Poliziano, di Marsilio Ficino, di Pico della Mirandola lo addolora profondamente, e lo inquieta anche il fatto che ci sia un mistero legato alla loro morte [sono persone ritenute pericolose dagli organi repressivi del potere ecclesiastico e poi in Firenze c’è una rivoluzione in corso alla quale parteciperemo prossimamente strada facendo].
Nel 1494 Angelo Poliziano e Pico della Mirandola muoiono a qualche settimana di distanza a causa di una misteriosa malattia, e si è sempre parlato di sifilide [una patologia molto diffusa all’epoca] ma, nel 2008, quando alcuni ricercatori dell’Università di Pisa hanno riesumato i loro corpi, hanno trovato in quei resti un altissimo tasso di arsenico e, quindi, come si è sempre sospettato, entrambi i maestri di Michelangelo sono stati avvelenati, ma da chi? Dai domenicani inquisitori di San Marco, dai membri della famiglia dei Pazzi acerrimi nemici dei Medici, o da chi altro? Probabilmente non lo sapremo mai, quel che sappiamo è che sono sepolti nella basilica di San Marco a Firenze e ancor più interessante è sapere che Pico della Mirandola è sepolto con il suo compagno, il poeta Girolamo Benivieni, come fossero una qualsiasi coppia sposata ed è ancor più interessante prendere atto del fatto che i monaci domenicani inquisitori non hanno posto alcun divieto.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Fate una visita al monumento funebre di Angelo Poliziano, di Pico della Mirandola e Girolamo Benivieni nella chiesa di San Marco nella quale, ogni tanto, con l’ausilio di una guida di Firenze, vale la pena entrare e osservare per conoscere e per capire…
Michelangelo ha sempre onorato nelle sue Opere il pensiero dei suoi maestri [Angelo Poliziano, Cristoforo Landino, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola], un pensiero dichiarato “proibito” dall’Inquisizione e questo provvedimento, che Michelangelo con prudenza disapprova completamente, ha fatto cambiare umore all’artista e l’inquietudine è diventata la qualità peculiare del suo carattere.
L’Inquisizione si è subito attivata per estirpare le dottrine ebraiche del Talmud e il metodo esegetico della Kabbalah introdotto nella cultura cristiana da Pico della Mirandola. Il Sant’Uffizio emana continuamente decreti che ordinano di tenere separati gli ebrei dai cristiani, che è proprio l’esatto opposto di ciò che avviene a Firenze. Nel 1487, poco prima che Michelangelo entri a far parte della ristretta cerchia di Lorenzo il Magnifico, Pico della Mirandola, come sappiamo, raccoglie Novecento tesi per dimostrare che dottrine diverse come il misticismo ermetico dell’antico Egitto, la filosofia platonica, la cultura islamica di Avicenna e Averroè e, soprattutto, la religione ebraica tendono tutte verso una concezione divina simile a quella della Letteratura dei Vangeli e questa idea viene avversata dal Sant’Uffizio che dichiara il cristianesimo “essere l’unica vera religione”.
Come sappiamo, Pico della Mirandola propone di organizzare una Conferenza internazionale da tenere in Vaticano per discutere di questa nuova universalità e per celebrare l’armonia universale tra tutte le religioni, ma l’Inquisizione dichiara blasfemi gli scritti di Pico accusandolo di eresia e ordinandone l’arresto. Pico è costretto a fuggire in Francia dove però il braccio armato dell’Inquisizione lo raggiunge e lo arresta: per sua fortuna, grazie ai legami internazionali e al denaro di Lorenzo il Magnifico, Pico viene rilasciato e riportato a Firenze dove trascorre gli anni che gli restano da vivere, insegnando, nascosto tra le mura di Palazzo Medici.
Quest’atmosfera di Arte, di Eros e di Sapere proibito ha un impatto indelebile sulla formazione caratteriale e intellettuale del giovane Michelangelo, e le Idee che acquisisce le trasferisce nelle sue Opere, soprattutto negli affreschi della Cappella Sistina, anche perché il committente [papa Giulio II] ha una formazione simile alla sua e ha il suo stesso carattere: turbolento, inquieto, teso alla conoscenza anche di ciò che è poco comprensibilmente “proibito”. Crescendo intellettualmente nell’ambito della “corrente neoplatonica pedagogico-filologica” il programma di studi di Michelangelo è formato da prodotti culturali quasi tutti “proibiti” secondo l’Indice dei Libri pericolosi stilato dai funzionari dell’Inquisizione.
La formazione del gruppo di ragazzi [compreso Michelangelo] che frequenta la Scuola di Palazzo Medici inizia con lo studio della grammatica italiana, del latino, delle opere poetiche di Virgilio [l’Eneide, le Bucoliche e le Georgiche] e della Divina Commedia di Dante [dell’insegnamento di queste discipline e di questi argomenti se ne occupa Cristoforo Landino], poi la formazione continua con lo studio della mitologia greco-romana basata su Le metamorfosi di Ovidio [un insegnamento di cui si occupa Angelo Poliziano]. Marsilio Ficino s’incarica d’insegnare ai ragazzi di Palazzo Medici il greco e di far loro studiare i Dialoghi di Platone, la Fisica, la Metafisica e l’Etica Nicomachea di Aristotele e le Enneadi di Plotino, Opere che Marsilio ha trodotto in latino. Pico della Mirandola s’incarica d’insegnare ai ragazzi di Palazzo Medici, insieme ai primi rudimenti della lingua ebraica, le numerose Storie tratte dai Libri dell’Antico Testamento mettendole anche in relazione con la Letteratura dei Vangeli, così come insegna loro le Storie delle Sante e dei Santi cristiani fuori dagli schemi in cui spesso li ha imprigionati la dottrina. Pico della Mirandola, nella sua opera d’insegnamento, utilizza anche un ipotetico antico testo greco intitolato Pseudo-Focilide, un titolo che fa riferimento al presunto nome dell’autore. Questo testo che Pico traduce in latino è un manuale di etica [una raccolta di aforismi] scritto sotto forma di poema epico, composto da circa duecentocinquanta versi, che non risale però all’antica Grecia [e Pico della Mirandola ne è consapevole] ma al periodo ellenistico [al III secolo] ed è opera di un autore ebreo [uno dei “Settanta” studiosi che hanno tradotto in greco la Bibbia?]: questo anonimo autore, fingendosi un rispettabile filosofo greco, inserisce nel testo una serie di citazioni tratte dai Libri dei Profeti e dai Libri del Pentateuco per far conoscere i principi della Torah [la Legge uguale per tutti] ai pagani e ai cristiani. Altra opera che Pico della Mirandola utilizza per curare la formazione dei ragazzi che frequentano la Scuola di Palazzo Medici è anch’essa un falso prodotto in Età ellenistica in area cristiana che s’intitola Oracoli sibillini. La composizione di quest’opera, in dodici Libri, veniva attribuita alle misteriose donne-profeta dell’antichità greco-romana.
Guidato da questi maestri, Michelangelo si è appassionato [nonostante stenti un po’ in latino e in greco] allo studio delle Opere che abbiamo citato e ha capito perfettamente come l’Etica [praticare il Bene per raggiungere il Bello e il Giusto] provenga, non dall’imposizione di una dottrina ritenuta l’unica vera, ma da un incontro tra diverse dottrine mescolate insieme, a cominciare dagli insegnamenti dei Profeti biblici [che incitano alla ribellione contro il potere costituito che pratica l’ingiustizia] e dai richiami delle Sibille pagane [che invitano a prepararsi ad accogliere un messaggio di salvezza prossimo venturo]. Queste idee, che Michelangelo ha interiorizzato alla Scuola di Palazzo Medici, attraverso l’insegnamento di maestri innovativi, studiosi della cultura greca ed ebraica e sospettati di eresia, si concretizzano anni dopo sul soffitto della Cappella Sistina dove [ed è il papa stesso che lo vuole] se gli affreschi avessero raffigurato “la Gloria di Gesù Cristo” [come voleva il Collegio cardinalizio e il Sant’Uffizio] avrebbero espresso un’apologia del potere [strumentalizzando l’umile figura del Salvatore] mentre era necessario ripercorrere l’annuncio della venuta di Gesù attraverso il messaggio [contro il potere e contro l’ingiustizia] dei Profeti ebraici e il messaggio [di speranza universale] delle Sibille pagane per dire che la Chiesa aveva urgente bisogno di una riforma culturale e strutturale. E, di lì a poco [e, a questo proposito, gli affreschi della Cappella Sistina sembrano davvero profetici e sibillini], la Riforma avverrà e sarà un avvenimento traumatico per la cristianità, che studieremo strada facendo.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di queste parole - cambiamento, mutamento, trasformazione, riordino - mettereste per prima accanto al temine “riforma”?…
Scrivetela …
Quale tipo di cambiamento, di trasformazione, di riordino avete dovuto mettere in atto ultimamente?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Le parole “cambiamento, mutamento, trasformazione, riordino” fanno riflettere i protagonisti del romanzo, del quale abbiamo letto la parte iniziale durante gli ultimi tre itinerari prima della vacanza: il romanzo in questione, come ben sapete, s’intitola In villa ed è stato scritto da W. Somerset Maugham nel 1941.
In questo breve romanzo l’autore tratta, con accenti di drammaticità, il tema della dignità umana e del significato da dare all’esistenza; in particolare affronta la questione - trattata da Pico della Mirandola [come abbiamo studiato] e, quindi, di carattere rinascimentale - della complessa relazione esistente tra “la dignità” e “l’opportunità”. Non a caso il romanzo, come sappiamo, è ambientato a Firenze e il centro dell’azione si svolge in una cinquecentesca villa rinascimentale [dobbiamo ritessere la trama per continuare a leggere].
La signora Mary Panton - l’affascinante protagonista di questo romanzo - è stata accolta “in villa” dai proprietari, suoi amici inglesi e momentaneamente assenti, in modo che si possa ristabilire fisicamente e psicologicamente dopo aver vissuto una brutta esperienza matrimoniale: il marito è morto in un tragico incidente stradale in preda all’alcol e in rovina per i debiti di gioco ed è rimasta vedova con un reddito molto basso a disposizione. Sappiamo che ci sono due uomini [Sir Edgar Swift e Rowley Flint] - molto diversi tra loro nell’aspetto e nel modo di rapportarsi con l’esistenza - che la corteggiano. Sappiamo che Sir Edgar - caro e vecchio amico della famiglia di Mary [coetaneo di suo padre e protagonista di una brillante carriera in India come governatore] - è, da sempre, innamorato di lei e le ha fatto una proposta di matrimonio nonostate la differenza di età [Edgar ha 24 anni più di lei però è ancora un bell’uomo, elegante, sportivo, rassicurante]: Mary si aspettava questa richiesta che può offrirle la possibilità di cambiare in meglio la sua vita, anche perché Sir Edgar - che deve partire subito per raggiungere a Cannes il segretario di Stato inglese per l’India - sta per essere nominato governatore del Bengala, un incarico prestigioso a cui lui tiene molto e che potrebbe svolgere nel migliore dei modi con una moglie come Mary al suo fianco [Mary è stata un’attrice, è giovane, è bella, è intelligente e il governatore del Bengala vive fastosamente e ha bisogno di una consorte che curi le pubbliche relazioni] e lei, seppure abbia chiesto qualche giorno per riflettere, è orientata a dire di sì a Edgar quando, fra tre giorni, tornerà a Firenze, però, non è del tutto convinta.
Mary e Edgar la sera stessa sono invitati a cena dalla principessa San Ferdinando, una vecchia signora americana da decenni di casa a Firenze, della quale abbiamo conosciuto l’impertinenza. Sir Edgar, a causa del sopraggiunto importante impegno, ha già informato la principessa che sarà assente, e Mary ha poca voglia di partecipare a questo incontro conviviale in un ristorante caratteristico in riva all’Arno e preferirebbe restarsene tranquilla sulla terrazza della villa che la ospita dalla quale si gode uno stupendo panorama rinascimentale, ma si sente in obbligo di partecipare. Edgar, non potendola accompagnare, la invita - siccome lei si muove da sola per strade deserte di campagna - a portare con sé la pistola che lui le ha procurato: Mary non vorrebbe uscire con un’arma in borsetta ma Edgar, con l’appoggio dei domestici Nina e Ciro, insiste, e lei promette che farà come dice lui.
Durante la cena la principessa San Ferdinando comunica agli ospiti la ragione dell’assenza di Sir Edgar e poi allude ironicamente al fatto che, essendo innamorato di Mary, dovrebbe dichiararsi prima di ripartire per l’India, e Mary risponde con altrettanta ironia senza annunciare che lui si è già dichiarato.
La principessa vorrebbe far sentire ai suoi ospiti la bella voce del cantante dell’orchestrina che si esibisce in questo locale, che però è assente per malattia e viene sostituito da un pessimo violinista: si tratta di un giovane emigrante che vedremo in azione fra poco. A questo improvvisato violinista, allorché passa a raccogliere con il piattino, Mary fa un’offerta cospicua, e questo gesto solidale viene criticato dal signor Rowley che come sappiamo è il secondo uomo che cortegga Mary. Rowley Flint è un trentenne, con fama di “mascalzone”, non particolarmente di bell’aspetto ed elegante ma provvisto di un fascino particolare che gli assicura un grande successo con le donne. Appartiene ad una famiglia facoltosa della quale lui si vanta di essere la pecora nera e ha un buon patrimonio a disposizione per cui si può permettere di vivere di rendita. Ebbene, Rowley ha accettato l’invito a cena della principessa solo per poter corteggiare Mary la quale respinge con decisione le sue proposte e disapprova le sue osservazioni anche se, alla fine della cena, siccome l’auto decapotabile della principessa è al completo, è costretta a riaccompagnarlo in albergo con la sua macchina.
Tra Mary e Rowley si sviluppa un’appassionata conversazione dai toni drammatici: lui le consiglia di non sposare Edgar perché, senza amore, la sua decisione di comodo rischia di risultare fallimentare ma lei dichiara di essere stufa dell’amore e racconta, con grande partecipazione emotiva, le fasi drammatiche della sua vita matrimoniale con un marito, alcolizzato e giocatore, del quale era molto innamorata ma che lei non è riuscita a salvare con l’amore e, quindi, preferisce scegliere un rapporto pragmatico e non sentimentale, anche se potrebbe, se si presentasse un’occasione particolare, donare generosamente qualcosa di sé, della sua bellezza, a qualcuno che ne avesse particolarmente bisogno. Rowley la prende in giro per questa sua affermazione animata da uno spirito filantropico, tuttavia rimane colpito e molto intenerito dal fatto che Mary si sia apertamente confidata con lui [lei aveva anche bisogno di parlare con qualcuno della sua situazione] e, ironizzando ma non troppo, finisce anche lui per farle una proposta di matrimonio ma lei la considera ambigua come se fosse una presa in giro e lui, che esternamente preferisce sempre mostrare il suo sarcasmo, è però assai deluso nel suo intimo dal deciso rifiuto di Mary, anche se per orgoglio non lo dà a vedere. Poi, quando Mary gli chiede di prenderle il fazzoletto nella borsetta, Rowley scopre la pistola e - sebbene Mary si giustifichi dicendo che, se fosse per lei, non la porterebbe con sé - Rowley critica il carattere e la mentalità di Edgar che le ha procurato quest’arma, ma lei lo difende con fermezza, e la conversazione termina, in tono piuttosto nervoso, davanti all’albergo di Rowley. Mary lo sollecita a scendere, i due si salutano con una certa freddezza e Mary, alla guida della sua auto, si dirige verso casa.
E ora continuiamo a leggere perché qualcosa succede che mette alla prova lo spirito filantropico di Mary, un fatto che porta in primo piano il tema della complessa e pericolosa relazione tra “la dignità” [il cipresso?] e “l’opportunità” [il fico? E non c’è dubbio che a Maugham piace disseminare di simboli i suoi racconti!].
LEGERE MULTUM….
W. Somerset Maugham, In villa
Mary passò per le silenziose vie cittadine, tornò sulla strada dell’andata, e poi prese a salire la collina in cima alla quale si trovava la villa. La salita era ripida, con brusche curve a gomito. A metà strada c’era una terrazzetta semicircolare con un cipresso e un fico e un parapetto da cui si vedeva la bellezza di Firenze. Tentata, Mary si fermò. Scese dall’auto e andò ad affacciarsi. La veduta che si offrì ai suoi occhi, sotto la luna, era incantevole. A un tratto si accorse che nell’ombra del cipresso e del fico c’era un uomo che venne avanti e si tolse il cappello. «Mi scusi, lei non è la signora che è stata così generosa al ristorante?» disse. «Vorrei ringraziarla».
... continua la lettura ...
La formazione di Michelangelo comprende anche l’apprendimento dei principi della Cabala ebraica e questo tipo di conoscenza durante il Rinascimento avviene su un testo molto significativo scritto da Pico della Mirandola che influenza tutta una generazione di artisti. Anche papa Giulio II - che è un cultore del metodo esegetico della Cabala - è stato influenzato da quest’opera che gli ha permesso di essere più recettivo nel vivere a stretto contatto con i grandi artisti del momento per cui è diventato uno dei più importanti, se non il più importante, committente di Opere d’Arte di tutta l’età moderna.
Pico della Mirandola, in quanto profondo conoscitore della lingua e della cultura ebraica, scrive un trattato fondamentale per la divulgazione dei principi e dei simboli su cui si fonda il metodo della Cabala: quest’opera s’intitola Heptaplus [Eptaplo] - un vocabolo che significa “sette volte sette” - e tratta dell’interpretazione in chiave allegorica del racconto biblico della creazione. Il testo dell’Heptaplus è formato da sette Libri ognuno dei quali è suddiviso in sette capitoli più un proemio [una prefazione]. Il Libro primo non ha una prefazione specifica ma è preceduto da una “avvertenza” del primo editore, l’eccellente stampatore Roberto Salviati, che contiene una dedica rivolta a Lorenzo de’ Medici, e poi il Libro primo è preceduto da una “introduzione generale” dell’autore divisa in due parti: nella prima parte Pico illustra quali siano gli intenti del suo lavoro filologico [praticare un’esegesi che faccia incontrare persone di culture e religioni diverse], mentre nella seconda parte spiega gli esiti dottrinali che pensa di aver raggiunto [la formulazione di una dottrina universale che unisca nel Bene tutte le persone di buona volontà].
Sotto il profilo scientifico Heptaplus è un’opera inattuale quando descrive gli aspetti fisici dell’Universo ma, come tutte le Opere di questo periodo, non va valutata in questa prospettiva [la scienza moderna deve ancora iniziare il suo cammino], bensì va studiata come un esercizio intellettuale sulla capacità che la persona deve avere nell’interpretare e nel costruire i simboli, e in questo senso quest’opera è più che mai illuminante proprio perché nel corso dell’Età moderna il valore evocativo dei “simboli” è andato aumentando in campo artistico [e anche in funzione commerciale].
La parte dell’Heptaplus che oggi risulta la più interessante in particolare per noi che stiamo attraversando il territorio rinascimentale è quella in cui [nella prima parte della introduzione generale del Libro primo] Pico della Mirandola riflette sul termine “simbolo” [symbolon, in greco], una parola-chiave che, secondo la cultura orfico-dionisiaca [e secondo tutte le culture antiche dell’Età assiale], fa riferimento al termine “talismano”. Noi sappiamo [ci ricorda Pico della Mirandola] che cos’è un talismano: il talismano è un amuleto, è un oggetto porta fortuna che dà il potere a chi lo possiede. Dal II secolo sul territorio dell’Ecumene, scrive Pico della Mirandola da esperto filologo e antropologo perché ha studiato le Opere dei Classici, i santuari di tutte le religioni [da quelle più antiche come l’ermetica, la caldaica, l’egizia, la pitagorica, l’orfico-dionisiaca, l’ebraica, a quelle di più recente formazione come il cristianesimo e l’islam] custodiscono talismani. Nella parola “talismano” [puntualizza Pico della Mirandola] c’è l’eco della parola greca “télesma” che significa “cerimonia sacra” e il termine “cerimonia” è strettamente legato alla parola “racconto”, difatti, il potere di un talismano, scrive sapientemente Pico della Mirandola, si regge “sul racconto che lo rende significativo” e che permette a quell’oggetto di conservare il suo valore simbolico anche quando non esiste più. Quindi la persona [l’esegeta] che studia e interpreta il significato degli oggetti e delle parole [le parole sono cose] è attirata, scrive Pico della Mirandola, non tanto dal talismano [dall’oggetto] in se stesso ma soprattutto è attratta dai “racconti mitici originari” che rendono magico, sacro e potente quell’oggetto. E poi, col tempo, scrive Pico della Mirandola, l’oggetto sparisce ma rimane la parola che lo rappresenta e, quindi, del talismano non resta che il racconto: il puro simbolo [kataròs symbolon].
Il movimento culturale della Cabala ebraica, scrive Pico della Mirandola, nasce tra gli scrivani ebraici già dal tempo dell’esilio a Babilonia e si sviluppa nei secoli in questo contesto nel quale il principio generale corrisponde al fatto che nessuno è immune dal potere che assumono “i simboli” proprio perché la loro potenza sta nei “racconti” che contengono e i grandi racconti della creazione [delle origini] sono contenuti in una trafila simbolica da interpretare.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
C’è un oggetto simbolico [symbolon] al quale siete affezionate, siete affezionati?... Quale situazione lo rende prezioso?... Bastano quattro righe per raccontarne il significato …
Pico della Mirandola nell’Heptaplus descrive e utilizza il simbolismo della Cabala ebraica con l’intento di dimostrare in maniera oculata e approfondita che esiste un pieno accordo tra l’Antica filosofia [caldaica, egizia, ermetica, pitagorica, orfico-dionisiaca, platonica] e il Libro biblico della Genesi. Scrive Pico: «I simboli ricorrono a partire dalla creazione per cui si potrebbe dire che “in principio era il simbolo di cui la parola è espressione”», e con questo vuole mettere in evidenza che sul piano esegetico prima delle suggestioni mistiche conta “l’intuizione” che permette all’Intelletto di decodificare il simbolo. Secondo il pensiero della Cabala [al quale tutti i personaggi che abbiamo incontrato finora in questo viaggio sono interessati] Dio [l’Aleph supremo, l’Uno], in principio, ha creato i simboli e solamente quando la persona è in grado di interpretarli con il proprio Intelletto la creazione si realizza, il mistero della creazione si rivela. E qual è la sequenza simbolica mediante la quale - secondo la Cabala ebraica - si rivela il mistero della creazione? Di questo tema ce ne occuperemo la prossima settimana seguendo ancora l’indice dell’Heptaplus di Pico della Mirandola. Poi rifletteremo anche sul fatto che nella creazione del mondo finito non tutto risulta idilliaco e, a questo proposito, concludiamo questo primo itinerario dell’anno proseguendo nella lettura del romanzo In villa.
Che valore simbolico ha il tragico colpo di scena contenuto in queste pagine? Senza dubbio è un invito a riflettere sul fatto che bisogna sempre fare i conti con la complessa e ambigua relazione esistente tra “la dignità” e “l’opportunità”.
LEGERE MULTUM….
W. Somerset Maugham, In villa
La stanza era al buio, ma dalle finestre spalancate entrava il chiarore lunare. Mary sedeva su una seggiola antica dallo schienale diritto, e il giovane, ai suoi piedi, poggiava la testa contro le sue ginocchia. Rispondendo alle sue domande, le raccontava che il padre, capo della gendarmeria in una piccola cittadina era favorevole alla restaurazione dell’arciduca Otto, ritenendola il solo mezzo per impedire che l’Austria, da lui amata con fervore patriottico, fosse assorbita dalla Germania. Nei tre anni seguenti si era attirato l’odio dei nazisti austriaci per il rigore con cui aveva contrastato la loro azione proditoria.
... continua la lettura ...
Ci fermiamo in attesa che arrivi Rowley a portare consiglio, in modo che la prossima settimana potremo andare avanti a leggere.
Secondo il pensiero della Cabala [e tutti i personaggi che abbiamo incontrato finora in questo viaggio sono interessati a studiare questo pensiero] Dio [l’Aleph supremo, l’Uno], in principio, ha creato i simboli [e lo afferma anche Jorge Luis Borges sulla scia di Pico della Mirandola nella raccolta intitolata L’Aleph la cui difficoltà di lettura si attenua almeno un po’ se conosciamo questa idea] e solamente quando la persona è in grado di interpretarli con il proprio Intelletto la creazione si realizza, il mistero della creazione si rivela [«Il simbolo è il più complicato dei labirinti, il metodo della Cabala indica la via per non perdersi» scrive Pico della Mirandola nell’Heptaplus]. E qual è la sequenza simbolica mediante la quale - secondo la Cabala ebraica - si rivela il mistero della creazione? Di questo tema complesso ce ne occuperemo la prossima settimana seguendo ancora l’indice dell’Heptaplus di Pico della Mirandola, sapendo che bisogna procedere sul nostro cammino con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé consapevoli del fatto che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare: «Formulate pure la vostra ipotesi sulla creazione del mondo finito - dice il cabalista - sapendo che poco dopo ne formulerete un’altra che smentirà quella che avete formulato prima perché il senso dell’esistenza sta nel non perdere mai la volontà di imparare».
Ebbene, a noi adesso conviene fare un’ipotesi meno pretenziosa [che svelare il mistero della creazione], meno pretenziosa ma più certa affermando che la Scuola è qui e il viaggio continua, deve continuare anche nel corso di questo nuovo anno…