Prof. Giuseppe Nibbi La sapienza poetica e filosofica dell’età tardo-antica 6-7 giugno 2013
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ TARDO-ANTICA
C’È LA LEZIONE CONVIVIALE PER GETTARE LO SGUARDO VERSO IL POST-ANTICO ...
Nel corso del viaggio che si è appena concluso, con il quale abbiamo attraversato il territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età tardo-antica” [i primi cinque secoli del primo millennio post cristiano] , sono molti i temi e i personaggi con i quali siamo venute e venuti in contatto. La scorsa settimana abbiamo incontrato due figure significative [e molto diverse tra loro], due figure che quasi tutte le studiose e gli studiosi collocano già in Età medioevale: la scienziata neoplatonica Ipazia di Alessandria e il filosofo cristiano Agostino di Ippona.
Sappiamo che Ipazia è stata trucidata in Alessandria durante la quaresima del 415 e la responsabilità del suo omicidio ricade sul vescovo Cirillo, il rappresentante più influente della corrente intransigente e fondamentalista del Cristianesimo del V secolo, una corrente ben strutturata che condizionerà [spesso in modo negativo] la Storia del Pensiero Umano. Cirillo acconsente che Pietro il Lettore organizzi l’assassinio di Ipazia: questo monaco è il braccio destro di Cirillo ed è il capo di una confraternita religiosa con caratteristiche paramilitari [di cui Cirillo aveva propiziato la nascita nel monastero della montagna della Nitria, nel deserto di San Marco dove si era ritirato per cinque anni] i cui membri [che viaggiano armati, in divisa, vestiti di nero] prendono il nome di “parabolani [dal verbo greco “parabàllein, stare accanto”: coloro che si muovono fianco a fianco, come i soldati in battaglia]”. Questa milizia fa da guardia del corpo al vescovo Cirillo e sfrutta ogni occasione per colpire le altre comunità alessandrine: gli ebrei, i nestoriani, i novaziani e, in primo luogo, i pagani neoplatonici. Cirillo ritiene che Ipazia – che è astronoma, matematica, filosofa, musicologa, medica, “madre” della scienza sperimentale – vada eliminata perché è una scienziata con una dirittura morale irreprensibile [l’avrebbe desiderata peccatrice], la quale, al termine d’una giornata di studio e di ricerca, veste il tribon [il mantello verde oliva dei filosofi neoplatonici] e va in giro per Alessandria [secondo lo stile didattico della Scuola di strada di Ammonio] a spiegare alla gente – con ingegno e saggezza – che cosa significhi coltivare la libertà di pensiero e fare buon uso della ragione.
Dopo il massacro di Ipazia, il prefetto romano Oreste [un intellettuale ebreo molto vicino affettivamente alla scienziata] invia a Bisanzio, all’imperatore Teodosio II, un rapporto sui drammatici fatti accaduti [vuole che si faccia giustizia], ma i curiali che partono per Costantinopoli non sono quelli che ha scelto lui, ma sono fedeli del vescovo Cirillo. La corte di Costantinopoli invia ad Alessandria il commissario Edesio ma Cirillo lo corrompe salvando così se stesso e il suo sodale Pietro il Lettore. Cirillo governa Alessandria da padrone assoluto per i successivi trent’anni [poi sarà anche fatto santo].
I Libri di Ipazia [con la sola eccezione del suo commento alla Syntaxis] e i Libri di tutta la Scuola alessandrina vengono bruciati, ma la memoria di Ipazia non è stata cancellata: “il pensiero ha le ali” scrive Averroè [che rincontreremo strada facendo sulle vie che attraversano l’enorme territorio medioevale].
Le notizie che possediamo su Ipazia ci vengono da quello che è rimasto dell’opera di uno dei suoi allievi più autorevoli: Sinesio di Cirene, vescovo di Tolemaide ed esponente della corrente conciliativa del Cristianesimo. Dalle sue Lettere indirizzate alla maestra si apprende che Ipazia è stata la madre della scienza moderna perché, all’analisi teorica dei problemi di fisica e di astronomia, faceva seguire la sperimentazione pratica.
Sappiamo che il programma di studio della Scuola di Ipazia [che viene frequentata da molti giovani] era fondato sulla filosofia di Platone e di Aristotele, sul pensiero dei Cinici e degli Stoici con l’obiettivo di dare una formazione molto ricca sotto il profilo intellettuale e, parimenti, di insegnare a praticare uno stile di vita frugale ed essenziale dal punto di vista materiale secondo l’esempio di Diogene e di Epitteto [abbiamo letto il Manuale di Epitteto]. Il vescovo Sinesio ci fa capire [e lui è affascinato da questo fatto] che Ipazia aveva l’ardire [prendendo spunto dal Timeo di Platone e dalla Metafisica di Aristotele] di trovare una relazione tra la Fede e la Matematica come se fossero due materie complementari: su questa significativa operazione intellettuale Sinesio non ci dà molti ragguagli [ammette di far fatica a capire la profondità della riflessione di Ipazia]. Ipazia cerca di dimostrare l’esistenza di Dio in termini teoretici attraverso una serie di ragionamenti matematici senza far ricorso né all’immaginazione né al sentimentalismo ma partendo dall’esistenza del Creato [un’Entità riducibile in dati numerici] per risalire, operazione dopo operazione, al concetto di Creatore [o di Valore Universale].
Quindi le Lettere del vescovo Sinesio a Ipazia dimostrano come sia frutto di una mentalità distorta l’odio di Cirillo e dei suoi seguaci nel confronti della scienziata neoplatonica la quale – pur non essendo cristiana – ha perseguito, con spirito libero, la ricerca teologica e metafisica fornendo preziosi strumenti alla filosofia medioevale chiamata “Scolastica” [il grande un movimento culturale che studieremo].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Proponiamoci di ripartire ad ottobre per un nuovo viaggio sotto le stelle del Medioevo che prevede l’osservazione di quattro grandi paesaggi intellettuali: il paesaggio della conservazione della cultura antica, il paesaggio della filosofia neoplatonica in esilio verso l’oriente persiano, il paesaggio della nascita della Letteratura del Corano e il paesaggio della nascita della filosofia Scolastica cristiana… Come sarà possibile avvicinarsi a questi ricchi scenari facendo un solo viaggio non sono in grado ancora dirlo, ma ci proveremo…
E adesso per avvalorare ciò che abbiamo detto su Ipazia leggiamo un frammento molto interessante da una delle Lettere scritte da Sinesio alla scienziata dove si parla di due argomenti che, sul territorio del Medioevo, diventano temi di grande interesse perché collocati in tutti e quattro i paesaggi intellettuali che abbiamo citato or ora: la dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio e la sperimentazione scientifica.
LEGERE MULTUM….
Sinesio di Cirene, Lettere
Cara Ipazia ti scrivo subito per verificare se il mio intelletto è stato capace di trarre vantaggio dalla tua Lezione. Mi hai davvero sorpreso, Ipazia, con la tua domanda: «Credete sia possibile grazie alla matematica dimostrare l’esistenza di Dio?». E, di fronte al nostro sguardo meravigliato, hai aggiunto: «Dimostrare no, ma intuire sì».
Ci hai spiegato che, in natura, non c’è nulla che sia uguale a zero o a infinito. Queste due entità, infatti, non sono due numeri, ma due limiti, due traguardi non alla portata dei nostri sensi. Il massimo che possiamo trovare è un qualcosa che tende allo zero o all’infinito senza, però, mai raggiungerli.
Sappiamo che, quando moltiplichiamo un numero qualsiasi per zero e per infinito, questo numero diventa sempre uguale a zero e a infinito, mentre se moltiplichiamo lo zero per l’infinito, o viceversa, nessuno dei due può prevalere e il risultato appare indefinito, ebbene, noi possiamo immaginare Dio come il prodotto di zero per infinito e poi hai aggiunto: «Ricordatevi che non abbiamo dimostrato nulla e che abbiamo solo intuito un “qualcosa” sul quale sembra non sia possibile far seguire la sperimentazione pratica». Nei nostri prossimi incontri di studio, o Ipazia, m’impegnerò, anche in nome della Fede che coltivo, nel cercar di capire la natura di questo “qualcosa” di cui ci hai rivelato l’esistenza.
Ti dico arrivederci e, insieme alla mia consorte, ti saluto con l’affetto che ti dobbiamo, tuo Sinesio …
La figura di Ipazia fa risaltare lo “spirito della ricerca” e lo spirito della ricerca è un concetto direttamente collegato all’idea dell’apprendimento permanente: lo “spirito della ricerca” è la linfa che nutre la volontà di ripartire per un nuovo viaggio.
Nell’anno 2000 l’UNESCO, dietro richiesta di 190 Stati membri, ha creato un progetto internazionale che intende favorire piani scientifici al femminile nati dall’unione delle donne di tutte le nazionalità perché, se si vuole che la Scienza sia davvero al servizio dei reali bisogni dell’Umanità, è necessaria l’urgente realizzazione di un migliore equilibrio nella partecipazione di entrambi i sessi alla scienza e al suo progresso. Attualmente, nell’ambito della scienza, solo il 5% delle donne è ai vertici, e l’UNESCO ha chiamato questo progetto internazionale con il nome di “Ipazia”. Questo progetto è importante, però guarda ai vertici della piramide, e non bisogna dimenticare che alla base è necessario promuovere per tutti, uomini e donne, percorsi di alfabetizzazione culturale e funzionale, e non dimentichiamoci che Ipazia è sempre voluta stare alla base della piramide.
Agostino non sa nulla del delitto di Ipazia? È una bella domanda alla quale non sappiamo dare una risposta, però sappiamo che c’è stato un depistaggio sull’assassinio di Ipazia e, quindi, la notizia di questo avvenimento è circolata poco e in modo distorto. Cirillo, con la sua milizia, va a caccia di presunte peccatrici e peccatori finendo per odiare, più che amare, il suo prossimo, mentre Agostino [e non solo nelle Confessioni] riflette sulla sua capacità di essere un peccatore che, dando un cattivo esempio, danneggia il suo prossimo che va amato proprio perché soggetto al peccato, al male, alla sofferenza, all’ingiustizia, all’indigenza, alla cattiva volontà.
Agostino, soprattutto nell’opera intitolata De civitate Dei [La città di Dio], riflette su un argomento che è uno dei cavalli di battaglia [usiamo questo modo di dire perché è tipicamente medioevale] della cultura dell’Età di mezzo: il tema dell’Al di là. Duemilacinquecento anni fa tutte le culture dell’Età Assiale della storia [sumera, assira, babilonese, ebraica, persiana, indiana, cinese, orfico-dionisiaca] si erano già poste, con dovizia di particolari, il tema dell’Oltretomba, dell’Altromondo, il tema escatologico: un argomento che viene sviluppato soprattutto [quando è Socrate che parla] nei Dialoghi di Platone [Apologia di Socrate, Fedone, Gorgia, Fedro]. In Età tardo-antica gli intellettuali cristiani, soprattutto sulla scia del pensiero neoplatonico, hanno iniziato a riflettere su questo tema dando, come al solito, risposte diversificate e, per tutta l’Età medioevale, ci sarà un dibattito serrato sulla forma da dare al mondo ultraterreno [e il vivace dibattito sul tema non passa inosservato].
Naturalmente Agostino ci ha messo del suo e lo ha fatto con la solita passione perché il primo modello dell’Aldilà cristiano, quello codificato dal neoplatonico Origene, lo mette particolarmente in ansia. Come mai? Origene, per riflettere sul tema dell’Aldilà, ha preso spunto da un celebre mito di Platone, il mito di Er, che anche Agostino conosce. Che cosa narra il mito di Er e dove lo troviamo?
Nel dialogo intitolato Repubblica, alla fine del Libro X [che è l’ultimo di quest’opera], Platone racconta il mito di Er. Adesso noi ci soffermiamo solo su alcuni elementi del mito di Er [che è molto complesso] e che, in Età medioevale, affascina molte persone studiose che incontreremo. Il mito di Er è considerato uno dei più importanti racconti escatologici [“eskaton eskaton” è il tempo che verrà] contenuti nei Dialoghi di Platone. In questa narrazione [in questo mito] Platone utilizza dati culturali che s’ispirano in maniera rilevante al tema orfico-pitagorico della metempsicosi [la trasmigrazione delle anime, poi rimossa dalla dottrina cristiana], e contiene anche un’importante riflessione sulla responsabilità etica nei confronti del destino umano dopo la morte.
Platone narra che Er [Er è un nome di tradizione ebraica] – un guerriero valoroso, figlio di Armenio e originario della Panfilia – muore in battaglia e il suo corpo viene raccolto [dopo dieci giorni è ancora in buon stato di conservazione] e portato sul rogo per la cerimonia funebre ma, mentre sta per essere arso, si ridesta dal sonno eterno e racconta quello che ha visto nell’aldilà. Er ha visto quattro voragini attraverso le quali le anime passano nel mondo ultraterreno: due delle quali vanno sotto terra e le altre due, in perfetta corrispondenza, vanno in cielo. Le anime dei giusti vanno nei prati celesti tra delizie e musiche bellissime, mentre quelle cattive sprofondano nell’Ade tra i tormenti. Nel mezzo delle voragini ci sono i giudici che emettono le sentenze e ordinano ai giusti di dirigersi in alto [in cielo] e agli ingiusti di andare in basso [sotto terra]. Questa condizione [narra Platone] dura mille anni al termine dei quali le anime, senza un ordine logico e prestabilito [tirando a sorte], si devono reincarnare e possono scegliere il corpo in cui reincarnarsi. Platone vuole mettere in evidenza che, nonostante la casualità della vita, siamo noi gli artefici del nostro destino e, quindi, dobbiamo stare attenti a compiere una scelta giudiziosa [a scegliere una vita teoretica] e a non lasciarci abbagliare dall’apparenza brillante di certe vite [lussuose], che celano il peccato e l’infelicità.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il racconto del mito di Er lo trovate al capitolo XIII del Libro X del dialogo di Platone intitolato Repubblica: cercatelo in biblioteca e sulla rete, e leggetelo, occupa una pagina e mezza e occorrono dieci minuti di tempo…
È sulla base del “mito di Er” che il neoplatonico Origene, nella sua opera Peri Archon [Sui Princìpi], ipotizza un Aldilà cristiano e parla di un Inferno e di un Paradiso: Origene prevede per le anime buone una collocazione in cielo [un Paradiso] e per quelle cattive una reclusione sotto terra [l’Inferno] e ipotizza che, nella vita dopo la morte, l’anima sia sottoposta a un giudizio divino che prevede un premio o un castigo. Ebbene, Agostino è preoccupato: lui ritiene di essere stato un grande peccatore e sebbene sappia che Dio è “bontà e misericordia” tuttavia sa anche che è la fonte suprema della giustizia e, quindi, è molto preoccupato e teme di essere condannato. Agostino vorrebbe che ci fosse nell’Aldilà una via di mezzo, uno spazio dove ci si potesse riscattare, ci si potesse purgare attraverso un percorso di purificazione, severo e proficuo, in modo che l’anima, tornata pura, potesse risalire verso il Bene Supremo [Agostino pensa all’epistrophé, al viaggio di ritorno, secondo le Enneadi di Plotino?].
Nel libro XXI della De civitate Dei [La città di Dio] Agostino scrive:
LEGERE MULTUM….
Agostino di Ippona, De civitate Dei [La città di Dio]
O Signore, abbi pietà di me: io so di aver peccato e di non poter sperare nel Paradiso, e spero di non essere stato così cattivo da meritarmi l’Inferno. Avrei bisogno di un luogo di mezzo, un luogo dove poter espiare le colpe che ho commesso, per venire, poi, accolto tra le anime beate. …
E che altro può essere questo luogo “di mezzo” se non il Purgatorio? È stato Agostino ad inventare il Purgatorio? [ci hanno pensato in tanti].
Per rispondere a questa [e a molte altre domande] bisogna partire, occorre intraprendere un viaggio, un nuovo percorso di studio per inoltrarsi sotto le stelle del Medioevo. L’invenzione del Purgatorio è, fondamentalmente, un fatto corale e Dante [Dante Alighieri, maestro di coralità] ringrazia i coristi, e il suo ringraziamento – stilato nel cuore del Medioevo [all’inizio del Trecento] – è un cantico di esaltazione della “sapienza poetica e filosofica dell’Età tardo antica”.
E, quindi, il nostro punto di arrivo – che è, contemporaneamente, anche un punto di partenza – si materializza ora proprio nel testo dell’incipit della seconda Cantica [Purgatorio] della Divina Commedia, un’opera straordinaria che [come scrive Dante] senza la “saggezza poetica e filosofica dell’Età tardo antica” non ci sarebbe mai potuta essere e, attraversando [in otto mesi di viaggio] il territorio di quest’Epoca, ce ne siamo certamente rese e resi conto. Il nostro punto di arrivo è leggibile: leggiamolo.
LEGERE MULTUM….
Dante Alighieri, Purgatorio Incipit
Per correr miglior acqua alza le vele
ormai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele.
E canterò di quel secondo regno,
ove l’umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno. …
Alla fine di questo viaggio ci troviamo nei pressi del vasto territorio medioevale e sappiamo che – tra il tardo-antico e il medioevo – non esiste una linea di confine, una frontiera, difatti le studiose e gli studiosi, nei secoli, hanno fatto più di cinquecento ipotesi sulla data e sul punto d’inizio del Medioevo.
Nel nostro caso quando inizia il Medioevo? Secondo la natura dei Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura, il Medioevo ha inizio quando un certo numero di studiosi – vista la situazione di totale degrado – comincia ad affermare che è necessario salvare e preservare le opere “antiche”. Con questa affermazione dichiarano che l’Antichità è finita: e guai a perderne la memoria. Nasce, con questi personaggi, un metodo filologico con caratteristiche nuove non più “tardo-antiche” ma “post-antiche” e, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, il Medioevo inizia qui.
E, di conseguenza, nel viaggio che parte il prossimo autunno ci dovremmo occupare del movimento di salvaguardia delle antiche opere letterarie e filosofiche, e poi dell’esilio dei filosofi neoplatonici che fuggono in Persia per evitare le persecuzioni, e poi della nascita della Letteratura del Corano, e poi ancora della nascita della corrente filosofica cristiana detta “scolastica”.
Tutti questi temi – che stanno sotto le stelle del territorio alto-medioevale – potranno essere toccati con un solo viaggio? A questa domanda – che mi sto facendo anch’io adesso – non so rispondere.
So, però, che è bene ripartire, intanto perché ho già cominciato a preparare il prossimo rituale della partenza, e poi perché so – e lo sapete bene anche voi – che imparare ad apprendere è un diritto che la Scuola pubblica degli Adulti deve garantire a tutte le cittadine e i cittadini in virtù dell’art. 34 della Costituzione, e lo deve garantire soprattutto a chi, come voi, sentite il bisogno, la necessità, il desiderio, il piacere di investire in intelligenza.
Buona vacanza di studio a tutte e a tutti voi…