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LO SGUARDO DI ERODOTO SULLA “PROSOPOPEA ORFICA”…

Lezione N.: 
4

Prof. Giuseppe Nibbi           Lo sguardo di Erodoto 2006            2-3- 8 (Redi) novembre  2006

LO SGUARDO DI ERODOTO

SULLA “PROSOPOPEA ORFICA”…

     Dall’isola di Itaca la nave Simonia, sul cui albero maestro (o sul cui albero genealogico lessicale) sventola la bandiera della poίhsiς-poίesis- poesia, garrisce il vessillo della sapienza poetica, ci ha trasportato a Delo. Da Itaca, per raggiungere Delo, la nostra bella nave, al comando dal capitano Agenore di Tiro, è entrata nel golfo di Patrasso e poi nel golfo di Corinto. Naturalmente non siamo potuti passare attraverso il canale di Corinto perché al tempo di Erodoto non era stato ancora realizzato (lo si progettava). Però sull’istmo di Corinto, dal VII secolo a.C., era stata costruita un’ampia strada ben lastricata (lunga circa 6 km.): le navi venivano caricate su grandi carri costruiti appositamente sui quali, trainati da buoi, le imbarcazioni potevano passare dal mar Ionio al mar Egeo (pagando un pedaggio ai Corinzi: era una fonte notevole di guadagno per la città) evitando la circumnavigazione del Peloponneso (date un’occhiata all’atlante geografico, leggete l’atlante, è un libro interessante). Delo è una piccolissima isola che si trova tra due isole più grandi: Mikonos a est e Rìnia a ovest.

     L’isolotto di Delo ha le coste alte, frastagliate e granitiche ed è completamente spoglio di vegetazione, il punto più elevato dell’isola è il monte Cinto (112 m. sul livello del mare, sembra comunque alto perché l’isola è piccola). Insieme a Dodona, a Olimpia e a Delfi, Delo è uno dei più importanti centri religiosi dell’antica Grecia. Una visita a Delo è d’obbligo e la possiamo fare utilizzando l’atlante, l’enciclopedia, la guida della Grecia e la rete. Per visitare Delo ci s’imbarca a Mikonos il mattino presto e in quarantacinque minuti si approda e ci si trova di fronte ad una vasta area di scavi archeologici iniziati (dalla Scuola archeologica francese di Atene) nel 1873 e che continuano ancora oggi. Gli scavi archeologici di Delo si estendono in due zone: l’area sacra attorno al santuario di Apollo e l’area civile lungo la costa.

     Purtroppo le razzie che hanno colpito l’isola nei secoli (tutti coloro i quali sono sbarcati qui si sono portati via qualcosa) fanno sì che gli scavi si presentino come una distesa di rovine, e la lettura di queste pietre diventa difficile senza il supporto della sapienza poetica: è la sapienza poetica orfica che fa parlare le pietre; e noi su questo argomento, proprio in funzione della didattica della lettura e della scrittura, supportati da Erodoto, abbiamo cominciato a riflettere e sappiamo di che cosa si tratta (non a caso sulla nave che ci trasporta sventala la bandiera della poίesis- poesia).

     Tuttavia, nonostante le ferite inferte dalla storia a questo luogo, le due vaste aree di rovine conservano un fascino notevole e stimolano l’immaginario del visitatore. Gli edifici più importanti, poi, sono stati sottoposti a un restauro ricostruttivo che permette di conoscere, di capire e di applicarsi su questo significativo paesaggio intellettuale che è il sito di Delo.

     In questo repertorio noi, ora, possiamo solo fare il catalogo degli oggetti più importanti su cui in settimana, soprattutto con il supporto della guida della Grecia, reperibile in biblioteca, possiamo puntare la nostra attenzione e scendere nei particolari.

     La visita di Delo, dopo l’approdo alla banchina dell’antico porto commerciale, inizia dalla zona del santuario in cui si trova il tempio di Apollo ma a noi interessa soprattutto vedere i resti dell’Artemìsion, del santuario di Artemide, che conosciamo perché Erodoto ce ne ha parlato la volta scorsa (e ce ne parlerà ancora questa sera) nei capitoli 32 e 33 del IV libro de Le Storie. «La tomba (di Iperoche e di Laodice) – scrive Erodoto nel capitolo 32 del IV libro de Le Storiesi trova all’interno del recinto sacro ad Artemide, dalla parte sinistra di chi entra e vi è anche spuntato un ulivo …». «… sulla tomba di Opi e di Arge: la quale – scrive Erodoto nel capitolo 33 del IV libro de Le Storie si trova dietro il recinto sacro ad Artemide, volta verso aurora, molto vicina alla sala da convito di quelli di Ceo».

     È certamente un’esperienza emozionante visitare l’Artemìsion camminando nello stesso posto in cui, circa 2500 anni fa,  ha camminato Erodoto: qui ci sono ora due ulivi e, anche se nessuno dei due è più lo stesso, si prova un certo piacere intellettuale nell’accarezzarne le foglie.

     Dopo la zona del santuario si passa alla zona del lago Sacro che era un piccolo bacino ovale che ospitava i cigni e le oche sacre ad Apollo; ora al posto del piccolo lago c’è una palma simbolica che ha sostituito il platano (e noi, esperte ed esperti di sapienza poetica orfica, la sappiamo lunga sui platani), ma i platani non attecchiscono a Delo (potrebbe essere il titolo di un saggio o di un romanzo, un thriller). Nella zona del lago Sacro a noi interessano i resti del Letóon, dell’antico tempio di Latona,  il più antico tempio che sia stato costruito su questo isolotto, perché Erodoto, nel capitolo 35 del IV libro, ci ricorda che in questo luogo è avventa la mitica nascita di Apollo e Artemide… «…Iperoche e Laodice – scrive Erodoto nel capitolo 35 del IV libro de Le Storie erano venute a portare a Ilizia (la dea delle partorienti) il tributo che gli Iperborei s’erano imposto in riconoscenza per il parto agevolato,…». Erodoto allude al difficile parto di Latona, che Ilizia avrebbe facilitato alleviandone i dolori: Latona partorisce in condizioni di grande disagio fisico e psicologico (a breve, se ancora ignoriamo il mito di Latona, capiremo perché).

     Sempre nella zona del lago Sacro si distende la famosa Terrazza dei Leoni, così chiamata per le statue dei felini che la ornano, non sappiamo quante erano in origine queste statue, ne rimangono cinque e sono databili al VII secolo a.C.. Passando attraverso la zona dello stadio, scendendo verso il mare (sulla guida della Grecia troviamo sicuramente una mappa dell’isola), possiamo visitare anche una sinagoga, che è la più antica della Diaspora ebraica finora conosciuta. Di notevole interesse è il quartiere del teatro nel quale ci sono tante case ornate da grandi mosaici pavimentali: a noi interessa la casa di Dioniso e poi la casa delle Maschere detta Prosopopéion, e ancora la casa dei Delfini dove un mosaico raffigura i delfini cavalcati da figure in abiti da cerimonia: ricordiamoci questa immagine perché è l’illustrazione di una scena che ritroveremo sulla scia di Erodoto.Infine non resta che salire sulla cima del monte Cinto dove ci sono i resti dei santuari di Zeus e di Atena Cinzia e da dove si gode un bellissimo panorama sugli scavi e sulle isole Cicladi. A Delo c’è anche un Museo ricco di materiali (avori micenei, statue arcaiche, vasi attici e corinzi a figure nere e rosse, pitture murali e mosaici), ma i pezzi più significativi sono esposti al Museo Archeologico Nazionale di Atene.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

L’elenco che è stato fatto è parziale e naturalmente puoi approfondire la conoscenza di Delo utilizzando l’enciclopedia, leggendo la guida della Grecia e navigando in rete…

Se trovi, nella tua visita virtuale a Delo, un dato, un elemento, una notizia, un’immagine, che ti interessa particolarmente: scrivi quattro righe in proposito

     Erodoto, ne Le Storie, cita dieci volte l’isola di Delo e fa sempre dei riferimenti alla sua storia di luogo sacro e di luogo depositario di cultura. Nel capitolo 64 del libro I de Le Storie possiamo leggere:

LEGERE MULTUM….

Erodoto, Le Storie I 64

oltre a ciò (Pisistrato) procedette alla purificazione dell’isola di Delo, seguendo la volontà degli oracoli e la purificò in questo modo: fin dove poteva spingersi la vista del santuario di Apollo, fatti disseppellire da tutta questa zona i morti, li fece trasportare in un altro luogo dell’isola di Delo.

     Questo fatto viene confermato da (il primo della classe in storia) Tucidide (460-400 circa a.C.) nella sua famosa opera intitolata La guerra del Peloponneso nel libro III al capitolo 104. Tucidide specifica che, all’epoca della campagna siciliana della guerra del Peloponneso, l’isola di Delo fu purificata radicalmente. Nell’anno 426 a.C. la città di Atene, che aveva espanso il suo potere su tutto il mar Egeo e oltre, emise un famoso decreto che “impediva di nascere e di morire a Delo” (per queste funzioni venne deputata la vicinissima isola di Rìnia); inoltre il decreto istituiva le Feste Delie celebrate ogni quattro anni in maggio. Tucidide cita, sempre nel capitolo 104  del libro III de La guerra del Peloponneso, il celebre Inno omerico ad Apollo nel testo del quale si racconta che «…a Delo si riunivano le popolazioni ioniche e di tutta la Grecia per celebrare feste in cui si ricordava il mito di Latona che si era rifugiata sull’isola per partorire Apollo e Artemide».

     Perché Latona deve rifugiarsi, deve nascondersi per partorire? E perché si rifugia proprio a Delo? Latona si rifugia a Delo perché, racconta il mito, l’isola era natante: galleggiava e si spostava sulle acque come una nave (Erodoto, ne Le Storie, cita alcune isole natanti, facendo naturalmente dell’ironia). Da chi deve nascondersi Latona? Intanto, prima di rispondere a questa domanda, dobbiamo dire che Latona o Leto è una delle più antiche figure di divinità femminile (la sua origine è orfico-dionisiaca) che entra, dicono gli antichisti, in prosopopea.

     Che significato ha l’espressione entrare in prosopopea? Abbiamo incontrato questo termine poco fa dicendo che a Delo, nel quartiere del teatro, c’è la casa delle Maschere, il Prosopopéion, e il termine prosopopea lo abbiamo già incontrato nell’itinerario precedente: l’espressione prosopopea deriva dalla parola prósopon che significa maschera (la parola prósopon, nel greco ionico, ha anche un altro significato, ma procediamo con ordine). Oggi al termine prosopopea attribuiamo una valenza negativa: di superbia, di arroganza, di boria, di presunzione. Nella cultura orfica la prosopopea, nel senso (positivo) di rappresentazione, di raffigurazione, di personificazione, definisce la competenza (attribuita alla poesia, posseduta dai poeti, conferita alla sapienza poetica) che permette di creare figure mitiche, fantastiche, straordinarie, fiabesche, favolose. La prosopopea è l’arte che permette ai poeti di creare le maschere (prósoponoi) che servono per recitare gli straordinari racconti rappresentati sul palcoscenico del mito. Le maschere, le figure mitiche, fantastiche e straordinarie, create dalla prosopopea, si presentano come strumenti (come forme poetiche) che sanno dare un senso all’ordinario (al kosmicos), e sanno dare un significato alla realtà delle cose (al fisicos). La prosopopea (nel linguaggio greco ionico) è il modo con cui vengono creati i Racconti delle origini che servono a conferire un ordine al kosmos, al mondo, e a dare un contenuto alla realtà fisica, alla sostanza naturale. La prosopopea è un concetto dinamico perché chi coltiva quest’arte (la poetessa, il poeta) è consapevole del continuo passaggio, dell’ininterrotta trasmissione, dal reale (dal volto) all’immaginario (alla maschera) e dall’immaginario (dalla maschera) al reale (al volto).

     È bene ricordare, a questo punto – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – che, nel greco di Erodoto, la parola prósopon traduce tanto il termine maschera quanto il termine volto.

     Un fenomeno, un avvenimento, un segnale, è reale (ha un volto) solo se c’è un evento ideale (una maschera) che lo sostiene, che lo contiene. Il metodo di interpretazione della realtà, nel mondo greco ionico, è in relazione alla sapienza poetica. La sapienza poetica orfica crea la maschera come supporto per il volto e questi due elementi, la natura (il volto) e la cultura (la maschera), cominciano a sovrapporsi tanto da essere espressi, interpretati, dallo stesso termine: la parola prόsωpon-prósopon.

     Ed ecco che il catalogo delle idee-cardine della sapienza poetica orfica si va formando con le parole-chiave: albero, poesia, maschera, volto. Su queste parole (su L’avventura semiologica) hanno riflettuto gli studiosi contemporanei del linguaggio (ma questo è un argomento che studieremo a suo tempo, sui sentieri del ‘900). Questa sera riportiamo solo una citazione in cui Roland Barthes (1915-1980), un affascinante (un po’ complicato) semiologo contemporaneo, pensa che ci siano, nel catalogo della sapienza poetica orfica, delle parole verticali e delle parole orizzontali. Scrive Roland Barthes ne L’avventura semiologica (1985): «La sapienza poetica orfica ci ha offerto parole in verticale come l’albero, come la maschera e il volto, come la statua, e ci ha donato parole orizzontali come la poesia e la perfezione… Le parole verticali servono a mettere in comunicazione, servono a intrecciare, quelle orizzontali servono a spaziare, servono a tessere…». Capiremo ancora meglio queste quattro righe di Roland Barthes strada facendo. Ecco perché diciamo che la sapienza poetica è opera di mascheramento, è prosopopea, nel senso di rappresentazione, raffigurazione, personificazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

A questo proposito come lettrici e come lettori – sul tema della “maschera” e del “volto” – abbiamo a disposizione un indice lunghissimo… Il repertorio invita a puntare l’attenzione su due opere teatrali sulle quali si può fare ricerca sull’ enciclopedia, in biblioteca o sulla rete… La prima è il dramma in un atto intitolato La maschera scritto nel 1909 dal romanziere e commediografo giapponese Agai Mori (1862-1922), la seconda è la commedia in tre atti La maschera e il volto scritta da Luigi Chiarelli (1884-1947) nel 1913…

Lo spirito della tradizione orfica continua ad aleggiare in questi testi: Orfeo invita alla ricerca…

     La figura di Latona o Leto appartiene alla prima generazione di personaggi che entrano nel mito, che vengono creati (che entrano in prosopopea) in funzione della rete dei Racconti sulle Origini, e rappresenta, raffigura, impersonifica le partorienti, un categoria molto importante ma particolarmente a rischio nell’età degli albori. Di conseguenza: nella narrazione, nella rappresentazione, nella prosopopea del personaggio di Latona, il rischio viene messo in evidenza con effetti fantastici, straordinari, mitici, fiabeschi.

     Il personaggio di Latona  vive in concomitanza (c’è da pensare che all’inizio queste figure si confondano tra loro) con le divinità protettrici del parto, come Ilizia, che rappresentano, che mettono in maschera, che fanno la prosopopea, di un ruolo importante nella società del tempo: quello della levatrice, esperta nel far partorire, esperta nella maieutica, nell’arte di facilitare il parto. Il termine maieutica ha non a caso, con Socrate e con Platone (che ristudieremo prossimamente), un ruolo importante nella Storia del Pensiero Umano. Alle divinità protettrici del parto, come Ilizia, non sono devote solo le partorienti ma anche i poeti che devono partorire la sapienza poetica.

     E quale racconto fantastico, mitico, fiabesco, partoriscono i poeti nei confronti di Latona che investe anche l’isolotto di Delo, sul quale siamo sbarcati? Perché, secondo i mitici Racconti sulle Origini, Latona deve rifugiarsi, deve nascondersi per partorire? E perché si rifugia proprio a Delo? Latona si rifugia a Delo perché, racconta il mito, l’isola è natante: galleggia, si sposta, si cela dietro alle altre isole, come una nave. Da chi deve nascondersi: perché deve scappare, Latona? Latona deve guardarsi dalla dèa Era (la conosciamo anche col nome di Giunone), la sorella e contemporaneamente la moglie di Zeus, il re degli dèi.

     I temi che emergono in relazione al vasto argomento della sapienza poetica (i temi che emergono dall’esegesi dei Racconti mitici sulle Origini) sono numerosi. Gli esperti di antropologia culturale (ricordiamoci che Erodoto viene considerato il primo antropologo della Storia della cultura: e se non viene citato si offende) si sono dedicati con interesse allo studio della funzione di strumento di salvaguardia sociale che ha la sapienza poetica. Che cosa significa? Significa che, per salvaguardare la sopravvivenza e la continuità della comunità umana (che è uno dei valori più importanti nell’età degli albori), è necessario rispettare delle regole. Una delle prime regole che, nell’età degli albori, i nostri antenati si sono dati è il divieto dell’incesto: accoppiarsi tra consanguinei, avevano capito, produce un indebolimento del gruppo che mette a repentaglio la continuità, con il rischio dell’estinzione del gruppo stesso.

     Questo elemento antropologico lo si individua nei Racconti sulle Origini. Secondo i Racconti all’interno dei quali si sviluppa la sapienza poetica orfica (l’Orfismo è una dottrina che regolamenta) la dèa Era è la sorella e contemporaneamente la moglie di Zeus e la clausola principale del matrimonio (il matrimonio, dalle origini, è un contratto che riguarda fondamentalmente la fecondità, e la parola matris-monia, che in latino significa i doveri della madre, rende bene l’idea) tra questi due personaggi consanguinei è che non debbano avere figli: possono farseli per conto loro (posseggono una certa onnipotenza), ma non tra loro. Qui, ci suggeriscono gli antichisti, si legge l’eco di un divieto primordiale che la sapienza poetica orfica conserva in funzione di strumento di salvaguardia sociale. Nei Racconti mitici emerge un invito perentorio (la sapienza poetica orfica:  l’Orfismo è una dottrina che regolamenta) a non trasgredire al divieto di accoppiamento tra consanguinei perché questo fatto genera molti guai (e i Racconti mitici confermano ciò).

     La figura di Zeus – nei Racconti sulle Origini – rappresenta prima di tutto l’idea della fecondità. Zeus è un grande inseminatore (è l’immagine del patriarca), e questo attributo è la principale caratteristica di tutte le supreme divinità maschili dell’età degli albori: i patriarchi devono fecondare, devono popolare la Terra (i Racconti sulle Origini della letteratura dell’Antico Testamento sono affini e significativi in proposito). È evidente che questo Zeus – a cominciare dai Racconti della sapienza poetica orfica fino a Ovidio che, nelle Metamorfosi, ci presenta la più straordinaria saga poetica sugli adultèri di Zeus – non sta fermo un momento.

     Quindi, Era, sorella e moglie di Zeus, figlia di Crono e Rea, deve subire, secondo la rete dei Racconti sulle Origini, l’affronto degli innumerevoli tradimenti del marito ai quali risponde con atti di vendetta nei confronti delle sue amanti. Zeus, secondo la rete dei Racconti sulle Origini, inizia la sua carriera di conquistatore rivolgendo la sua attenzione alle dèe, poi quando qualcuno (lo incontreremo anche questo qualcuno…) gli dirà che un figlio divino avrebbe finito per spodestarlo, rivolgerà la sua attenzione solo alle donne mortali per procreare sudditi piuttosto che sodali. Zeus, secondo la rete dei Racconti sulle Origini, rivolge la sua attenzione di conquistatore verso le dèe perché deve, prima di tutto, popolare il Pantheon dell’Olimpo con figure di contorno che rappresentano concetti, funzioni, attributi, e anche Era contribuisce, per conto proprio, al popolamento del Pantheon olimpico.

     A un certo punto, però, la tradizione mitica orfica, nelle sue varie diramazioni narrative, fa riferimento ad una trasgressione, e noi troviamo sempre il concetto della trasgressione (della rottura di un patto, di un equilibrio, di un errore originale) in concomitanza con le Origini. La tradizione mitica orfica riferisce, infatti, di una trasgressione alla principale clausola del contratto che regolamenta il matrimonio tra Zeus ed Era. Questo filone narrativo rielabora saghe, leggende arcaiche, e nomina due divinità: Ebe e Ilizia, che sarebbero nate dall’accoppiamento (severamente vietato tra consanguinei) di Zeus e di Era.

     Che cosa si può dire di queste due figure: Ebe e Ilizia? Ebe viene raffigurata come la copia perfetta di Era (siamo in una prosopopea e il volto e la maschera s’identificano) e rappresenta la giovinezza, la verginità: nella figura di Ebe la dèa Era rimane fanciulla in eterno. La parola ebe-ebe, in greco significa giovinezza. Al personaggio di Ilizia viene affidato il compito di proteggere le partorienti. La dèa Era aveva il compito di proteggere i parti ma dopo i frequenti tradimenti del marito (di Zeus) non garantisce più: di fronte a certe gestanti, inequivocabilmente  fecondate dall’esuberante consorte (lui tende a negare sempre), prevale la rabbia, la gelosia, lo spirito di vendetta, ed ecco che l’ingranaggio dei Racconti sulle Origini (la prosopopea) fa entrare in scena, come protettrice di tutte le partorienti (si può discriminare di fronte a questa situazione?), il personaggio di Ilizia che è già radicato in uno strato di immaginazione più profondo.

     Le figure di Ebe e di Ilizia sono tra le più antiche che la prosopopea abbia creato e vengono molto prima delle figure di Zeus e di Era. Ebe e Ilizia sono figure che arrivano da lontano, che emergono dalle profondità di un periodo arcaico che l’Orfismo definisce l’età di Dioniso. Le figure di Ebe e di Ilizia, nello sviluppo della sapienza poetica orfica, trovano la loro carta d’identità nel rappresentare quattro elementi significativi che affiorano in rapporto al concetto di continuità, strettamente legato all’idea di origine, questi quattro elementi significativi sono: la verginità, la giovinezza, la fecondità e il parto. In questo contesto mitico prende forma la figura di Latona: la sapienza poetica orfica utilizza le figure arcaiche di Ebe e di Ilizia per creare il personaggio di Latona. La figura di Latona rappresenta la partoriente (la controparte) e soprattutto simboleggia le difficoltà, i rischi, i pericoli che la partoriente incontra. Latona, nella tradizione orfica, è il personaggio centrale, il contenuto, che sovrintende ai riti, alle forme cerimoniali, di propiziazione per il parto.

     Dobbiamo ricordare, l’antropologia culturale ce lo suggerisce, che il parto è una delle situazioni che raccoglie, e su cui si concentrano, le parole degli albori: paura-bisogno, ritmo-ciclo, rete-rito, cerimonia-racconto. La partoriente (il volto) si affida a Latona (la maschera) facendo, nel corso della sua gravidanza, offerte votive alla dèa. Latona, secondo la sapienza poetica orfica, è il personaggio mitico sul quale convergono le parole-chiave provenienti dallo stampo delle figure arcaiche di Ebe e di Ilizia: la verginità, la giovinezza, la fecondità, il parto (la dottrina orfica codifica le caratteristiche e i doveri della donna).

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

La verginità, la giovinezza, la fecondità, il parto: quale di queste parole attira di più la tua attenzione?  

Scrivi quattro righe in proposito, ma basta anche una parola sola…

     Che cosa racconta la tradizione orfica sul personaggio di Latona? Su questo personaggio ci sono molti frammenti narrativi ma, nella maggior parte dei casi, sono slegati tra loro (si presentano come citazioni nelle opere della letteratura greca e latina): proviamo a farne una sequenza in funzione della riflessione che dobbiamo fare.

     La dèa Latona, nei filoni narrativi che i poeti ci hanno lasciato, appare come una giovane fanciulla di Tracia che aspira alla verginità (uno dei doveri a cui le fanciulle sono chiamate). Zeus la vede, s’invaghisce di lei e architetta un piano per farle cambiare idea e per crearsi un alibi perché sa che sua moglie Era è terribilmente gelosa e con lei non si riesce a farla franca. Per mettere in atto il suo proposito adulterino Zeus utilizza le sue due figlie: Ebe e Ilizia: secondo la dinamica della prosopopea, Zeus manda Ebe, che è la copia perfetta di Era, a fare un viaggio in Tracia in modo che il volto di Ebe faccia comparire, da quella parti, la maschera di Era. Poi Zeus manda Ilizia, protettrice delle partorienti, in Tracia ad insegnare alle donne l’arte dell’intrecciare la paglia perché, a quei tempi, tanto le partorienti quanto i neonati giacevano sulla paglia intrecciata e (il corredo) i pannolini, i contenitori, molte suppellettili (anche le maschere rituali che dovevano placare l’ira di Era) erano confezionate con la paglia intrecciata. Uno degli elementi che determina il passaggio da un’età arcaica (l’età di Dioniso) ad un’era di civiltà (l’età di Orfeo) è la conoscenza dell’arte di intrecciare la paglia. A Latona, in Tracia, prima appare Ebe (la verginità, la giovinezza), poi incontra Ilizia (la fecondità, il parto). Ilizia si esibisce in un esercizio che conosce magistralmente (tutte le partorienti devono conoscere questa attività) e Latona rimane affascinata dall’arte dell’intrecciare la paglia di cui è in possesso Ilizia, e allora Zeus, che ha teso la sua trappola, appare a Latona, presso un pagliaio, travestito da bell’intrecciatore il quale ha un volto (o una maschera? Ma nel greco ionico la parola è la stessa) che assomiglia tutto a Ebe. Latona non resiste (le parole-chiave verginità giovinezza fecondità parto, si confondono nella sua mente) e risponde al richiamo del re degli dèi, mascherato da bell’intrecciatore, che sussurra: «Vieni, bella fanciulla, che t’insegno ad intrecciare»…

     Il frutto dell’intreccio, dopo qualche tempo, comincia ad apparire evidente: Era, la sposa tradita, quando lo viene a sapere, s’infuria. Zeus si giustifica dicendo: «Gioia mia (si dice gioia mia in questi casi), io mi sono confuso, siccome c’era Ebe in viaggio da quelle parti, ed Ebe, lo sai, lo dicono tutti, ti assomiglia perfettamente, io ho creduto di vedere te, ho creduto di amare te: è stata quella ragazza a mettersi in mezzo e io non me ne sono neanche accorto». Era lo smaschera subito (la prosopopea di Zeus è molto prevedibile) e lo manda a quel paese (che esisteva già allora…) e naturalmente decide di vendicarsi (la vendetta è uno dei principali motori della storia, ci ricorda Erodoto ridendo sotto i baffi): Era, senza tanti complimenti, decide di eliminare Latona prima che partorisca. Zeus, di nascosto, aiuta Latona a nascondersi, ma Era decreta che renderà arido, spoglio, brullo per sempre, il luogo che darà ospitalità all’amante del marito. Zeus fa nascondere Latona a Delo che è già un’isola arida, spoglia, brulla e, per volere di Era, non cesserà mai di esserlo (il platano, se vogliamo fare della prosopopea, non attecchisce a Delo), e inoltre Delo è un’isola natante e quindi può spostarsi e celarsi meglio nell’Egeo.

     Le donne della Tracia si commuovono e decidono di fare offerte votive (oggetti di paglia di grano intrecciata) a Ilizia, protettrice delle partorienti, perché aiuti la povera Latona: in fondo ha ceduto perché attratta dall’arte dell’intreccio della paglia, un’arte in cui Ilizia eccelle. Ilizia, sfidando le ire della madre Era, decide di assistere Latona.

     Il parto di Latona a Delo è difficoltoso, ma, con la protezione di Ilizia, nascono due bei gemelli, Apollo e Artemide, due maschere (stiamo facendo della prosopopea) che hanno un ruolo centrale nello sviluppo della sapienza poetica orfica e della Storia del Pensiero Umano in generale. Il tema dell’ira di Era contro Latona dà vita ad una vastissima rete di Racconti (prosopopea). Noi ci fermiamo qui nel raccontare: questa sequenza è sufficiente per iniziare, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, una riflessione che contiene un passaggio difficoltoso di carattere specialistico.

     L’episodio mitico della nascita di Apollo e Artemide costituisce un momento fondamentale nella prosopopea (nella creazione dei personaggi immaginari, nell’invenzione della figure fantastiche, nell’ideazione delle maschere) che è la dinamica costitutiva della sapienza poetica orfica.

     L’episodio mitico della nascita di Apollo e Artemide, introdotta da una fitta rete di racconti straordinari, costituisce una sintesi fondamentale, uno snodo basilare nello sviluppo della sapienza poetica greca e della prosopopea (dell’arte di costruire le maschere, i simboli, le allegorie).

    L’episodio mitico della nascita di Apollo e Artemide a Delo rappresenta un punto di arrivo nel lungo itinerario in cui la poesia orfica, portatrice della dottrina orfica, addomestica consuetudini primitive, addolcisce usi e costumi arcaici.

     L’episodio mitico della nascita di Apollo e Artemide determina quindi un momento di passaggio fondamentale nella storia del movimento culturale della sapienza poetica greca e della prosopopea che è il modo (è il motore) che determina la produzione del materiale poetico.

     L’episodio mitico della nascita a Delo dei gemelli di Latona, figli illegittimi di Zeus, mette in primo piano le cosiddette maschere rinnovate o le maschere nuove di Apollo e di Artemide rispetto alle maschere arcaiche di Orfeo e di Dioniso (non è un caso che il quartiere più vasto di Delo sia quello del teatro).

     In questo momento, databile tra il X e il VII secolo a.C., la prosopopea, che è lo strumento attraverso il quale si creano i repertori letterari, che è il dispositivo attraverso il quale s’inventano i Racconti poetici sulle Origini, è soggetta ad un primo sostanziale rinnovamento. La comparsa delle maschere rinnovate di Apollo e di Artemide, affermano gli studiosi della letteratura orfica, dà luogo ad una rivisitazione di tutta la materia dei Racconti sulle Origini. I Racconti sulle Origini vengono interpretati e riscritti con uno stile nuovo, quello delle maschere rinnovate, e si sviluppa, nel movimento culturale della sapienza poetica greca, una nuova fase che viene chiamata deuteroprosopopeica (della seconda fase, della fase successiva). Questa nuova epoca della prosopopea è caratterizzata da una presa d’atto inequivocabile da parte dei poeti. I poeti prendono atto che nelle trame, nelle storie dei Racconti sulle Origini, i volti sono ormai scomparsi per sempre, rimangono solo le maschere, e quindi la deuteroprosopopea, cioè il nuovo stile di narrazione dei Racconti sulle Origini, comincia a procedere da una maschera all’altra; e in questo momento (riconducibile alla costruzione di Delo come luogo di culto) si focalizza l’idea che la letteratura sia il territorio delle cose che non avvengono ma è come se fossero avvenute, delle cose che non avvennero mai, ma sono sempre.

     A questo proposito possiamo citare i nomi di Omero e di Esiodo: citati anche da Erodoto nel testo de Le Storie. Omero ed Esiodo sono due personaggi che rappresentano i cardini su cui ruota la deuteroprosopopea e su cui si sviluppa la sapienza poetica ionica (naturalmente Omero ed Esiodo li incontreremo strada facendo). La deuteroprosopopea, la nuova fase letteraria dell’Orfismo che porta al superamento dell’Orfismo stesso, attribuisce in modo nuovo, in modo rinnovato, ad Apollo gli attributi della figura di Orfeo che la veteroprosopopea (l’antica fase letteraria orfica) aveva già trasformato, da tempo, in una maschera. Quindi la nuova prosopopea scompone l’antica maschera di Orfeo e la ricostruisce creando la nuova maschera di Apollo.

     Che cosa c’è di nuovo, di rinnovato nella maschera di Apollo rispetto alla figura di Orfeo? Orfeo è luce dell’aurora e del tramonto, Apollo è luce del primo pomeriggio. Orfeo è sapienza legata all’intelligenza pratica (prima vengono le mani), Apollo è sapienza legata all’intelligenza teorica (prima viene la mente). Orfeo è musica e poesia lirica (canta l’amore e il dolore), Apollo è musica e poesia epica (canta l’ira e l’onore). Orfeo è la profezia (la rivelazione) che si ascolta nei ritmi della Natura, Apollo è profezia (rivelazione) evocata nei riti dei suoi Santuari.

     La nuova maschera di Apollo, però, non può stare da sola sulla scena, si deve misurare con le Origini. I poeti, in un primo momento, creano la nuova maschera di Apollo, con lo stile della prosopopea, componendo e cantando gli Inni orfici: possediamo i testi di trentaquattro Inni cosiddetti omerici (tra cui l’Inno ad Apollo, ad Afrodite, a Delo). I poeti con la figura di Apollo celebrano, per il palcoscenico sacrale di Delo, i valori della ragione, dell’equilibrio, dell’armonia, dell’euritmia; ma subito dopo devono ricostruire anche una maschera antica (per la quale si conia il nome di Dioniso) che raccoglie la memoria (più immaginaria che reale) dei caratteri – l’istinto, l’animalità, la passionalità – considerati tipici di un mondo arcaico, alternativo al mondo riformato, che la dottrina dell’Orfismo ha mitigato ma non ha eliminato dal cuore degli esseri umani: la sapienza poetica, nel suo sviluppo, continua a registrare il fatto che l’essere umano non cessa di dibattersi tra istinto e ragione, tra natura e cultura, tra passione e impassibilità, tra materia e spirito.

     Il movimento poetico orfico si esprime, quindi, attraverso una prima generazione di anonimi cantori (gli aedi, i citaredi) che creano figure di fantastici poeti (Orfeo, Museo, Lino, Olimpo) ai quali attribuiscono la composizione delle loro opere (gli Inni orfici): così, nel momento in cui questi cantori mettono la maschera a se stessi, ha inizio l’uso della prosopopea, quella che chiamiamo l’epoca della veteroprosopopea in cui gli ignoti cantori mettono a se stessi la maschera dei poeti (dei sapienti) e cominciano a produrre sapienza poetica (dottrina orfica).

     Una seconda generazione di sconosciuti cantori (i rapsodi), attraverso lo sviluppo della sapienza poetica (dei Racconti sulle Origini, degli Inni orfici), fa emergere la figura del mitico poeta Orfeo. Questi diventa il volto riformatore, il depositario dei valori (ragione, equilibrio, armonia, euritmia) costitutivi di un nuovo ordine sociale che si materializza nella polis (nella città-Stato); ma Orfeo si manifesta anche come il conservatore dei caratteri (l’istinto, l’animalità, la passionalità) attribuiti al mondo arcaico della ruralità, caratteri che la polis, come nuova istituzione egemone (Delo ne è il modello mitico), sta rimuovendo senza però poter eliminare del tutto. Orfeo (ogni tanto, periodicamente, in modo rituale) fa calare sul suo volto la maschera di Dioniso perché lo spirito riformatore (Orfeo) ha bisogno di misurarsi periodicamente con ciò che deve riformare (Dioniso).

     In questo contesto si apre l’epoca della deuteroprosopopea (una fase nuova della sapienza poetica) in cui i poeti (i sapienti) prendono atto che il volto di Orfeo è ormai scomparso per sempre: di lui rimangono le maschere. I poeti (i sapienti) prendono atto che il genere letterario antico (la veteroprosopopea che si manifesta negli Inni orfici) non è più adeguato ai tempi: le maschere di Orfeo devono essere rinnovate. L’opera di rinnovamento (la nuova prosopopea, i Racconti interpretati e riscritti, l’Epica, la nascita della Lirica, la Tragedia) fa sì che il nome di Orfeo, a Delo, venga sospinto sotto traccia e la sua figura, a Delo, venga sepolta: il volto riformatore di Orfeo, a Delo, si scinde e si traduce definitivamente nella nuova maschera di Apollo e nella nuova maschera di Artemide. Apollo, secondo il racconto mitico, nasce dal parto di Latona in coppia con Artemide e la figura di Artemide si sovrappone alla maschera di Dioniso, frutto della veteroprosopopea orfica ormai superata ma pur sempre alla base della nuova sapienza poetica. La figura di Artemide, infatti, riassume in sé l’antico repertorio della natura selvaggia, della vegetazione, degli animali, della fredda luce lunare. 

     Questo antico repertorio (questa veteroprosopopea) è stato ricostruito dalle prime generazioni dei poeti orfici che hanno osservato, nella società rurale tra il X e il VII secolo a.C., ciò che rimaneva degli antichi rituali arcaici e primitivi, e hanno raccolto questo materiale nei loro Inni, tramandandolo e inventando la figura di Dioniso (istintiva, selvaggia, sensuale) in contrapposizione a quella di Orfeo (razionale, civile, sentimentale). Per esaltare i valori di Orfeo e superare i caratteri arcaici e primitivi della ruralità hanno creato una maschera potentissima, quella di Dioniso, che, sotto traccia, nello sviluppo della sapienza poetica ha sempre continuato a fare le sue apparizioni. I poeti orfici, che creano la maschera di Dioniso, collocano questo mitico personaggio alle Origini: Dioniso, cantano gli Inni orfici, sta prima di Orfeo, prima di Apollo, prima di Zeus (sebbene Dioniso lo si presenti come figlio di Zeus). Dioniso, cantano gli Inni orfici, sta nel profondo delle cose, e senza Dioniso non ci sarebbe Orfeo, non ci sarebbe Apollo, non ci sarebbero gli dèi.

     I poeti orfici studiano i riti arcaici e primitivi che si celebrano nelle campagne dell’Ellade e creano, con i loro Inni liturgici, un genere letterario che dà vita a questo mitico personaggio. Il personaggio (la maschera) di Dioniso, creato dalla sapienza poetica orfica, contribuisce notevolmente alla nascita dell’epica, della lirica e della tragedia.

     Ora non ci possiamo fermare ulteriormente sulla figura di Dioniso perché abbiamo a lungo descritto questo mitico personaggio nel Percorso dell’anno 2003, dieci itinerari nel territorio della tragedia che si possono leggere sul sito www.inantibagno.it.

     Dioniso ricompare a Delo nella figura (sotto la maschera) di Artemide con una novità: questa novità inserisce Artemide nella nuova cultura che celebra l’Olimpio come sede delle divinità elleniche (e Delo rappresenta un’immagine visibile dell’Olimpo), la novità consiste nel fatto che Artemide è vergine (come Era, come Ebe) ed è patrona della castità. Le dèe dell’Olimpo aspirano alla verginità che è segno di completezza, di perfezione. La figura di Artemide conserva tuttavia le caratteristiche dionisiache e, nel Racconto mitico, fa sbranare (le donne-le menadi negli arcaici culti dionisiaci sbranavano, una volta all’anno, gli animali: era un ammonimento per i maschi) dai suoi stessi cani il povero cacciatore Atteone perché si è attardato a guardarla mentre, nuda, sta facendo il bagno in un ruscello. Artemide, nel Racconto mitico, è quella che crea un feroce cinghiale il quale devasta le terre di Calidone perché da quelle parti non si ricordavano abbastanza di lei (non rispettavano troppo la castità).

     Secondo il nuovo stile, secondo la deuteroprosopopea, sotto la maschera rinnovata di Apollo c’è la maschera arcaica di Orfeo, sotto la maschera rinnovata di Artemide c’è la maschera arcaica di Dioniso e così a Delo, con il parto di Latona, viene anche partorita una delle sintesi portanti della sapienza poetica orfica: le figure di Apollo (nuova maschera di Orfeo) e di Dioniso (sotto la maschera di Artemide) sono unificate in un santuario, vengono unite, a Delo, nella figura di Latona.

     La prosopopea (vetero e deutero) è un metodo di raccontare (per Inni, per Canzoni di gesta, per Narrazioni mitiche, per Composizioni liriche) che determina lo sviluppo del movimento della sapienza poetica e si dipana in un lungo itinerario intellettuale, in una lunga trasmissione culturale, che, nella notte dei tempi, nell’età degli albori, parte dalla Tracia (il mito narra che: dalle coste della Tracia, arriva in Ionia, sull’isola di Lesbo, la testa di Orfeo che è stato fatto a pezzi dalle donne di quel luogo e gettato in mare) e che termina a Delo agli esordi dell’Età assiale della storia.

     I resti del Letóon, del santuario di Latona, a Delo, sono quelli del tempio più antico, lì arrivano le offerte. E il tema della trasmissione delle offerte rappresenta il tema dello sviluppo della sapienza poetica ionica, che abbiamo tentato, faticosamente (è un argomento da specialisti quello della vetero e della deutero prosopopea) di illustrare a grandi linee: che cosa significa che il tema della trasmissione delle offerte rappresenta il tema dello sviluppo della sapienza poetica ionica?

     Qui rientra in gioco Erodoto e la sua opera. Erodoto, infatti, ha documentato per primo (è o non è il primo antropologo della storia della cultura?) l’itinerario, la trasmissione, la trafila dalla prosopopea arcaica a quella rinnovata.

     Ancora una volta seguiamo l’indicazione di Friedrich Nietzsche, il quale nel suo saggio La nascita della tragedia del 1872 scrive che: la questione della sviluppo della sapienza poetica, con la conseguente creazione delle figure di Apollo e Dioniso (Artemide) è legata al tema della trasmissione delle offerte in Erodoto.

     Ed è proprio a questo proposito che siamo venuti a Delo: siamo sbarcati a Delo per raccogliere una serie di indicazioni che ci possano essere utili per capire meglio e per rispondere alle domande che, nello scorso itinerario, abbiamo lasciato in sospeso dopo la lettura dei capitoli 32 33 34 35 del IV libro de Le Storie. Il testo di questi capitoli risulta molto significativo ma di non facile comprensione perché Erodoto, come fa spesso, gioca con le parole: allude, e sappiamo che un’allusione è un invito alla ricerca di una precisazione.

     Erodoto, secondo gli antichisti, allude al fatto che lo sviluppo della sapienza poetica avviene non per cause soprannaturali e straordinarie: non è il soprannaturale e lo straordinario che crea la sapienza poetica, che crea la poesia, ma è la sapienza poetica, è la poesia, che (come metodo di interpretazione della realtà) dà origine all’evento soprannaturale creando il racconto straordinario. Ed è così che il soprannaturale s’intreccia col naturale (in greco fisicos), ed è così che lo straordinario s’intreccia con l’ordinario (in greco kosmicos).

     Ma come avviene, secondo Erodoto, lo sviluppo della sapienza poetica che trova nell’Orfismo il primo canale di trasmissione? Lo sviluppo della sapienza poetica si attua, secondo Erodoto, attraverso una trafila di rapporti comunicativi che lega (in pace e in guerra, nei commerci e nei viaggi) un popolo all’altro; e a questa trafila comunicativa si deve la trasmissione delle parole-chiave, il passaggio delle idee-cardine da una nazione all’altra, da una regione all’altra, da una tradizione all’altra, da una generazione all’altra: questa operazione di trasferimento (in greco pros-féro), questa azione di passarsi la parola e di divulgare le idee (in greco pros-fonéo) è affidata ai poeti. E anche per i poeti vale il fatto che il soprannaturale s’intreccia col naturale (col fisicos) e lo straordinario s’intreccia con l’ordinario (col kosmicos), infatti i poeti reali in carne ed ossa (che nella maggior parte dei casi rimangono sconosciuti, esclusi) creano mitiche, straordinarie, fantastiche figure di poeti (Orfeo, Museo, Lino, Olimpo) a cui attribuire le loro opere, per avvalorare la loro poesia, per dare un senso al kosmicos, per attribuire un significato alla realtà delle cose, al fisicos.

     Ecco perché diciamo che la sapienza poetica è, in un certo senso, opera di mistificazione (c’è la parola mistero, culto, rito in questo termine), ecco perché diciamo che la sapienza poetica è opera di mascheramento, è prosopopea (dal greco ionico prósopon che significa la maschera ma anche il volto) nel senso di rappresentazione, raffigurazione, personificazione.

     E ora rileggiamo il testo di Erodoto sul quale, contrassegnate da un asterisco, compaiono delle note che dovrebbero essere delle risposte alle (innumerevoli) domande che ci vengono in mente leggendo questo testo.

LEGERE MULTUM….

Erodoto, Le Storie IV 32 33 34 35

Questo che ho detto è quanto si racconta intorno alle regioni più remote; ma degli Iperborei né gli Sciti fanno cenno, né alcun altro di quelli che vivono da quella parte; a meno che non ne sappiano qualcosa gli Issedoni. Secondo me, però, nemmeno questi ne parlano, poiché ne parlerebbero anche gli Sciti, come raccontano degli uomini che hanno un occhio solo.

* Il termine Iperborei – visto che la parola Borèa indica il settentrione – designa la gente dell’estremo nord, a nord-est del Mar Nero… Lo sviluppo della “sapienza poetica” si attua – secondo Erodoto – attraverso una trafila di rapporti comunicativi che lega (in pace e in guerra, nei commerci e nei viaggi) un popolo all’altro e che segue un itinerario da nord verso sud: da Borèa verso il cuore del mar Egeo …

Ma è da Esiodo che sono nominati gli Iperborei; come pure da Omero, negli Epigoni, se pure in verità non si può dire che sia Omero ad aver composto questo poema.

* Esiodo e Omero li incontreremo strada facendo… Erodoto pone questi due personaggi in origine ad una nuova fase dello sviluppo della “sapienza poetica” 

Però, quelli che a loro riguardo, tramandano di gran lunga le più numerose notizie sono gli abitanti di Delo, i quali raccontano che le offerte sacre (prosforá), avviluppate in paglia di grano, portate dagli Iperborei giungono tra gli Sciti; a cominciare da questo paese, ogni popolo, ricevendole dal popolo vicino, le porta verso occidente il più lontano possibile, fino sulle rive dell’Adriatico. Di qui, avviate verso mezzogiorno le accolgono, primi fra i Greci, quelli di Dodona; dal paese di costoro le offerte scendono verso il golfo Maliaco e passano nell’Eubea dove, da una città all’altra, si fanno giungere a Cáristo.

Dopo questa città, lasciano da parte Andro, poiché sono gli abitanti di Cáristo che le portano a Teno e quelli di Teno le accompagnano a Delo.

* Questo bell’itinerario che Erodoto ci indica da Dodona alla cittadina di Káriston nell’isola Eubea, dall’isola di Tìnos fino all’isola di Delo non è solo la descrizione di un pellegrinaggio da un santuario all’altro ma è anche un percorso intellettuale (un viaggio metaforico) che indica le tappe della trasmissione culturale…

Come ci suggerisce Friedrich Nietzsche la questione della sviluppo della “sapienza poetica” è legata al tema della trasmissione delle offerte in Erodoto …

Il fatto che le “offerte” (potremmo dire la “poesia”) siano avvolte in paglia di grano è un chiaro riferimento – lo abbiamo studiato prima – al mito di Ilizia e di Latona che sta alla base, sta in origine, al processo di trasmissione…

In questo modo, dicono, le sacre offerte arrivano a Delo; ma la prima volta gli Iperborei avevano mandato a portarle due fanciulle, cui i Delii danno i nomi di Iperoche e Laodice.

* Ecco che il soprannaturale s’intreccia col naturale (col fisicos) e lo straordinario s’intreccia con l’ordinario (col kosmicos), infatti Iperoche e Laodice sono nomi che rappresentano due attributi (inviolata, intatta) della dea Artemide …

Insieme con queste fanciulle, per ragioni di sicurezza, gli Iperborei avevano mandato, come accompagnatori, cinque dei loro cittadini, quelli che vengono chiamati “perferei” (sovrintendenti…) e ricevono in Delo grandi onori.

Siccome, però, questi inviati non volevano più ritornare al loro paese, gli Iperborei, ritenendo intollerabile che dovesse sempre capitar loro di non veder tornare quelli che inviavano, da quel momento avrebbero portato, dicono, ai propri confini le offerte sacre avvolte in paglia di grano, e raccomandato ai loro vicini di farle inoltrare dal loro, nel paese d’un altro popolo. In questo modo, dicono, passando di mano in mano, giungono a Delo.

* I  mitici personaggi inviati dagli Iperborei a Delo a portare le offerte non ritornano perché la trafila culturale che parte da Borèa (dal nord) si conclude a Delo che diventa il deposito, la sintesi della “sapienza poetica orfica”…

Io so per conoscenza diretta che c’è questo costume il quale si può raffrontare con tale modo di presentare le offerte: le donne di Tracia e di Peonia, quando offrono un sacrificio in onore di Artemide Regina non tengono tra le mani le sacre offerte se non hanno anche della paglia di grano.

E che queste donne abbiamo l’abitudine di fare così lo so di sicuro.

* La citazione delle donne di Tracia e di Peonia (fatta con un tono molto deciso) è  un chiaro riferimento alla cultura orfica che sta sotto, che sta alla base, che sta alle radici della “sapienza poetica greca”…

In onore di queste vergini che, venute dagli Iperborei, hanno finito la loro vita a Delo, si tagliano i capelli sia le fanciulle sia i giovani: le fanciulle, prima delle nozze, si recidono un ricciolo e, avvoltolo intorno a un fuso, lo depongono sulla tomba delle due vergini (la tomba si trova all’interno del recinto sacro ad Artemide, dalla parte sinistra di chi entra e vi è anche spuntato un ulivo);

* Questi due simboli – il fuso e l’ulivo – non sono casuali: rappresentano la dèa Atena… Erodoto vuole che si riconosca il potere- politico e culturale - della polis di Atene …

i giovani di Delo avvolgono dei loro capelli intorno a un ciuffo d’erba verde e lo depongono anch’essi sopra la tomba.

* L’erba verde rappresenta una nuova generazione che sente il dovere di riconoscere e di continuare a trasmettere i valori dell’antica “sapienza poetica orfica” ormai sepolta ma indimenticabile e indispensabile …

Questo è l’onore che ricevono quelle vergini dagli abitanti di Delo.

Gli stessi Delii, però, raccontano che, prima ancora di Iperoche e Laodice, erano giunte a Delo, passando attraverso gli stessi popoli di cui si è parlato, anche Arge (la splendente, Elena?) e Opi (la veggente, Cassandra?), vergini provenienti dagli Iperborei. Senonché, mentre Iperoche e Laodice erano venute a portare a Ilizia (la dea delle partorienti) il tributo che gli Iperborei s’erano imposto in riconoscenza per il parto agevolato (il parto di Latona, che Ilizia avrebbe facilitato alleviandone i dolori), Arge e Opi erano giunte in compagna delle stesse dèe.

* I racconti che la “sapienza poetica orfica” ha saputo trasmettere hanno varie stratificazioni, molte diramazioni …

Dicono, poi, che altre testimonianze di onore vengono tributate ad Arge e Opi dagli abitanti di Delo: infatti, le donne fanno per esse delle collette, invocandone i nomi nell’Inno che per loro ha composto Oleno, poeta di Licia.

* Oleno è un misterioso poeta (la parola-chiave “ poeta” – insieme alla parola-chiave “poesia” – è la prima nel catalogo della cultura orfica), che non compare nelle storie della letteratura, che non compare nelle antologie … 

Erdoto sa che i poeti reali in carne ed ossa – che nella maggior parte dei casi rimangono sconosciuti, esclusi – creano mitiche, straordinarie, fantastiche figure di cantori a cui attribuire le loro opere, per avvalorare la loro poesia, per dare un senso al kosmicos, per attribuire un significato alla realtà delle cose…

Gli isolani e gli Ioni avrebbero ricevuto dagli abitanti di Delo l’uso di inneggiare a Opi e ad Arge, chiamandole per nome e facendo collette (poiché questo Oleno venuto dalla Licia, compose anche altri Inni che vengono cantati in Delo), e quando le cosce delle vittime vengono bruciate sull’altare, la cenere che ne deriva viene tutta adoperata per spargerla sulla tomba di Opi e di Arge: la quale si trova dietro il recinto sacro ad Artemide, volta verso aurora, molto vicina alla sala da convito di quelli di Ceo.

* A Delo tutti gli Stati ionici, tutte le polis, possedevano un edificio che ospitava i cittadini di quello Stato, di quella polis, quando vi si recavano in pellegrinaggio

Tutti infatti, con le loro “offerte”, hanno partecipato allo sviluppo della “sapienza poetica” custodita a Delo sotto le specie di Apollo e Artemide (Dioniso) figli di Latona…

     Alcune di queste indicazioni comportano un’ulteriore riflessione. Tutto il ragionamento che (qui a Delo) abbiamo fatto questa sera è in funzione, secondo la natura del nostro Percorso, della didattica della lettura e della scrittura. In questo itinerario abbiamo ribadito che le prime due parole-chiave del catalogo della cultura orfica sono: poesia e poeta. Quando Erodoto, nel testo de Le Storie, usa la parola poίesis, poesia, è consapevole del fatto che questo termine ha la stessa radice del verbo poiéo che significa fare, che significa creare. Infatti per Erodoto la poίesis, la poesia, s’identifica con la creatività ed è in Principio: è la poesia che dà inizio ai Racconti sulle Origini. La poίesis, la poesia, è, secondo Erodoto, la forma (eìdos) necessaria per dare un senso al contenuto: quindi la poesia è innanzi tutto una forma che detiene un primato nei confronti del contenuto.

     Erodoto utilizza con parsimonia la parola poesia, la utilizza una volta sola. E, con altrettanta parsimonia, solo cinque volte, utilizza la parola poietés, il poeta. Erodoto, nel capitolo 33 del IV libro de Le Storie, che abbiamo letto, nel descrivere il procedimento, l’itinerario,  della trasmissione delle offerte, allude e  gioca con le parole. Erodoto descrive il trasferimento delle offerte, che avviene da un popolo all’altro, che le riceve e le trasmette, a partire dagli Iperborei, a partite dalla gente dell’estremo nord (di cui nessuno sa niente di preciso e il mistero fa pensare a Dioniso) fino a Delo, fino al Santuario di Apollo. Erodoto specifica che le offerte partono dal nord (da Borèa) «avvolte in paglia di grano» cioè partono con il segno della ruralità, procedono con il marchio della dèa Ilizia (la grande levatrice padrona della maieutica) e della dèa Latona (la divina partoriente, la quale, all’inizio, è una fanciulla che, fecondata dal dio supremo Zeus, partorisce due divinità riconosciute (Apollo e Artemide) e, per questo motivo, a sua volta viene assunta nel Pantheon divino).

     Dobbiamo cogliere l’allusione al fatto che l’arte dell’intrecciare (l’arte che definisce il passaggio da una società primitiva ad una società civile) riguarda la paglia come riguarda le parole, e riguarda il parto come riguarda la poesia. La stessa parola offerta, che nel greco di Erodoto corrisponde al termine prosforá, deriva dal verbo pros-féro che significa trasferire, portare attraverso e dal verbo pros-fonéo che significa passarsi la parola, divulgare le idee. La parola prosforá, offerta, contiene in sé l’idea della trafila, dell’iter, della trasmissione del dono (dell’Inno sacro), e il dono (l’Inno sacro) è un oggetto che serve per creare relazioni. Quando Erodoto pronuncia, nella sua lingua ionica, l’espressione «trasmissione delle offerte» (Erodoto utilizza diciotto volte la parola offerte) vuole riferirsi all’idea dello sviluppo della sapienza poetica. Con l’espressione «trasmissione delle offerte» il testo di Erodoto allude all’idea dello sviluppo della sapienza poetica orfica da una fase arcaica (la veteroprosopopea di stampo orfico-dionisiaco che ha le sue radici nella Tracia rurale dove vengono prodotti i fantastici Racconti orali sulle Origini, attraverso l’intreccio della parola detta e cantata, ad una fase rinnovata, la deuteroprosopopea di stampo orfico-apollineo che ha la sua sede in Delo, “metafora vivente della polis” (così si canta negli Inni sacri ad Apollo), che produce (attraverso la tessitura della parola scritta) Inni sacri, Canzoni di gesta, Poemetti ciclici, Composizioni liriche (quella che viene chiamata la letteratura greca-ionica).

     Erodoto poi, nel capitolo 35 del IV libro de Le Storie, che abbiamo letto, allude al misterioso poeta di nome Oleno di Licia. Chi si nasconde dietro la maschera di questo misterioso poeta? Erodoto, ne Le Storie, allude spesso alla sua visione delle Origini e soprattutto, ci suggeriscono gli studiosi, vuole smascherare il fatto che la chiave delle Origini sia nel ciò che si narra, sia nei contenuti, piuttosto che nel come si narra. In principio, sostiene Erodoto, c’è sempre lo schema del canto, l’elemento formale, creato da un poeta misterioso, non rintracciabile, escluso: non è forse questo il significato del nome di Orfeo, l’escluso?

     Dobbiamo specificare, ci spiegano i filologi (ma basta consultare un vocabolario di greco antico), che la parola Oleno fa riferimento al termine olωs-olos, un avverbio che significa ‘in generale’, vale a dire che la parola Oleno non definisce il nome proprio di un poeta, ma indica genericamente il termine poeta. In principio c’è sempre un poeta (un Oleno, un Orfeo) che canta; e la forma del suo canto (il suo canto sotto forma di Inno) costituisce l’elemento strutturale, concreto, che determina la trasmissione della sapienza poetica. La trasmissione della sapienza poetica è determinata, in origine, dalla struttura formale dell’Inno (dal modo, allude Erodoto, in cui vengono intrecciate le parole). La forma costituisce l’elemento reale: la forma, la forma poetica (la struttura dell’Inno), è il principio che va collocato in Origine, e il contenuto cantato (il mito di Apollo) assume valore reale a diretto contatto con la forma. La forma s’identifica con la realtà e il contenuto, anche se risulta essere una finzione, assume, attraverso la forma, i connotati della realtà. Il contenuto immaginato (la figura di Apollo) viene percepito come reale attraverso una forma (attraverso la struttura poetica dell’Inno sacro): il contenuto immaginato, nel momento in cui viene messo in forma, non è più falso (non risulta una bugia, una menzogna, un contraffazione) ma è finto (appare come una maschera).

     Questo concetto lo si capisce meglio se si consulta il vocabolario ionico di Erodoto. Nel greco ionico di Erodoto il termine falso corrisponde all’espressione speudés che traduce il concetto negativo di contraffazione della realtà, l’intento di nascondere la realtà, mentre il termine finto corrisponde all’espressione prosωpήs-prosopés che traduce l’idea di costruire una maschera (prósopon) per poter dare alla realtà un volto ((prósopon), in modo che la realtà si riveli (apokalúpto) comunque.

     La sapienza poetica orfica – che si manifesta attraverso la struttura (la forma) degli Inni, delle Canzoni di gesta, delle Liriche e delle Narrazioni epiche – mette in evidenza la distinzione tra ciò che è vero, ciò che è falso e ciò che è finto. Verità, falsità e finzione sono tre nozioni interdipendenti che segnano e segneranno l’evoluzione della Storia del Pensiero Umano, della cultura e della letteratura. Il concetto di finzione, nello sviluppo della sapienza poetica orfica, assume il nome di prosopopea, e la prosopopea diventa lo strumento per cui, attraverso la forma poetica, un contenuto falso (fantastico, immaginario) diventa finto cioè assume una maschera che lo rende adatto ad essere pensato come vero, reale, effettivo. La sapienza poetica orfica, ed Erodoto allude mettendoci a disposizione il suo vocabolario ionico, insegna che si mette in atto una falsificazione, si falsifica, per nascondere qualcosa, e si mette in atto una finzione, si finge, per rivelare qualcosa. Il concetto della falsificazione è legato al nascondimento, all’occultamento, mentre il concetto della finzione è legato alla rivelazione (alle Scritture sacre, agli Inni sacri), alla divulgazione, alla diffusione, alla manifestazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Le studentesse e gli studenti (le corsare e i corsari) di vecchia data conoscono già un libricino che s’intitola “Il poeta è un fingitore” che contiene una serie di pensieri (di citazioni scelte e catalogate da Antonio Tabucchi) dello scrittore portoghese Fernando Pessoa (1888-1935)…

Se vuoi puoi cercare questo libro in biblioteca e leggerne qualche pagina: se trovi un pensiero che ti piace puoi scriverlo… Se vuoi puoi anche firmarlo col tuo nome questo pensiero!  Finzione più, finzione meno… L’importante è che il pensiero che ti piace si manifesti… Fernando Pessoa ha scritto la maggior parte della sue opere sotto “finto” nome (Àlvaro de Campos, Alberto Caeiro, Ricardo Reis): il poeta è un fingitore…

      Ora, per concludere, facciamo un’incursione nella letteratura contemporanea: leggiamo ancora una volta perché molti di voi lo conoscono già (ma è probabile che qualcuno non lo conosca: noi ci dobbiamo anche dedicare, periodicamente, alle riletture) un racconto tratto dal romanzo Gli asparagi e l’immortalità dell’anima (1974) di Achille Campanile. Achille Campanile (1900-1977) è uno dei maggiori scrittori umoristi della nostra letteratura. C’è da dire che Campanile è stato un profondo conoscitore della Letteratura greca e del meccanismo della prosopopea, visto come dispositivo da usare per attuare lo smascheramento dalle ipocrisie e dalle infingardaggini, e poi Campanile non si è mai lasciato sfuggire l’occasione di descrivere l’ironica presenza di Apollo e di Dioniso intorno a noi. Che cosa succede quando un marito viene colto (nel senso di preso) da una violenta passione per l’Arte (in particolare per la pittura)? La figura (la maschera) di Apollo a Delo è proprio quella del dio dell’Arte. Ma noi sappiamo, e con Campanile ce lo conferma tanto Erodoto quanto il capitano Agenore di Tiro, che, dove si manifesta Apollo, fa sempre capolino anche Dioniso. Che cosa succede quando un marito preso dalla passione per le “forme” artistiche vuole mettere la maschera di Apollo addosso a quella di Dioniso?

LEGERE MULTUM….

Achille Campanile, La modella da Gli asparagi e l’immortalità dell’anima (1974)

Mi ero spesso domandato come avvenga che alcuni, i quali fino a una certa età non ci pensano nemmeno lontanamente, a un tratto, quasi per un’improvvisa conversione, si dedichino alla pittura. L’avevo saputo di molti. Tipi che avevano doppiato il capo dei quarantacinque e magari quello dei cinquant’anni e che per tutta la vita s’erano occupati d’altro, a un tratto inesplicabilmente avevano sentito la vocazione pittorica. Ebbi la spiegazione dell’enigma quando, recatomi a far visita al mio vecchio amico Cesare, sua moglie, indicandomi la scala della soffitta e la porta chiusa di questa, mi disse :

«Non si può entrare, ha la modella ».

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     Sul suolo sacro e purificato dell’isola di Delo non si può passare la notte, e il capitano Agenore di Tiro c’invita a prendere posto sulla Sidonia: dobbiamo, infatti, riprendere il nostro viaggio. Appena lasciato l’approdo dell’isola sacra ad Apollo e ad Artemide, sotto le cui figure (le loro statue) si celano i personaggi di Orfeo e Dioniso, la nostra nave punta la sua prua verso est-nord est: dobbiamo attraversare il Mar Egeo ed avvicinarci alle costa dell’Anatolia che allora si chiamava Ionia. La nostra meta è un’isola, l’isola più vicina al territorio della Ionia (appena due chilometri dalla costa dell’Anatolia): l’isola di Samo. Sull’isola di Samo dobbiamo visitare una Scuola: una delle più importanti Scuole della cultura ionica dell’Età assiale della storia, e dobbiamo incontrare alcuni personaggi. Erodoto è lieto di navigare verso Samo perché questa bella isola gli ricorda la sua giovinezza: lì ha certamente frequentato la Scuola di cui stiamo parlando.

     Usciti dal porticciolo di Delo, mentre il sole sta tramontando alle nostre spalle, cominciamo a navigare costeggiando la costa meridionale dell’isola di Mikonos con le sue belle spiagge dorate (di Ornós, Psárou, Platís Gialós, Ilía) e con i caratteristici mulini a vento. Sull’albero maestro della nostra nave sventola ancora la bandiera della poίhsiς-poίesis, della poesia; questo sventolìo è un invito, un invito ad accorrere perché il viaggio continua …

     Il viaggio, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, è finto ma risponde,  come scrive Fernando Pessoa,  alla paradossale autenticità della finzione vera come viene definita dal poeta in quelli che, forse, sono i suoi versi più celebri:

LEGERE MULTUM….

Fernando Pessoa, Il poeta è un fingitore (1988)

Il poeta è un fingitore.

Finge così completamente

che arriva a fingere che è dolore

il dolore che davvero sente.

                                                                                                             (da Una sola moltitudine)

     La Scuola – « finzione vera,  paradossale autenticità » – è qui: animatela …

 

 

 

Lezione del: 
Mercoledì, Novembre 8, 2006