ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna 15–16-17 marzo 2017
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA
EMERGE LO STILE DI DECORAR MOSTRANDO …
Questo è il diciannovesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” e, oltre ad essere in attesa dell’inizio della primavera ormai imminente, siamo sempre in attesa di poter entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio. È dall’autunno scorso - direte voi - che siamo in attesa di poter varcare la soglia della Cappella più famosa del mondo! Quanto dobbiamo ancora aspettare?
Ebbene, papa Giulio II ha atteso cinque anni prima di poter dare la commissione dell’affrescatura del soffitto della Sistina a Michelangelo e poi altri quattro anni prima di vedere il lavoro finito: per certe cose ci vuole pazienza, ma al pubblico è stato imposto un linguaggio rapido, corredato di codici schizofrenici e superficiali [ad uso dell’addestramento], ma noi sappiamo che sul versante dell’apprendimento permanente l’espediente della carrellata televisiva, per esempio [sugli stessi temi che stiamo studiando in questo viaggio], lascia il tempo che trova! E voi sapete che l’essenza del tempo scolastico non è il cronos [il tempo che passa] ma è il kairòs [il tempo che resta], ed è per questo che siete qui a prendere il passo sulla scia dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale che prevede di affrettarsi con lentezza sul territorio del Rinascimento: di questo concetto - “affrettarsi con lentezza per decorar mostrando” - ne sono consapevoli tanto Giulio II quanto Michelangelo, ma che significato ha questa affermazione [affrettarsi con lentezza per decorar mostrando]?
Come abbiamo studiato nel corso dell’itinerario della scorsa settimana, Giulio II, appena eletto papa il 31 ottobre 1503, comunica che avrebbe appaltato la costruzione di un grandioso mausoleo da collocare dentro la nuova basilica di San Pietro destinato a diventare la sua tomba, e Michelangelo, come sappiamo, aspira a ottenere questa commissione e, infatti, riceve l’invito del papa mentre è impegnato a Firenze con Leonardo nella famosa “sfida degli affreschi delle battaglie di Anghiari e di Cascina”: un progetto che, come ben sappiamo, non è andato a buon fine.
A Roma Michelangelo stipula un contratto con il papa, disegna il Bozzetto del mausoleo [che il papa approva] e, a fasi alterne ma con particolare dedizione, scolpisce con uno stile insolito e insuperabile una serie di statue, ed è molto soddisfatto del suo lavoro, ma, come sappiamo, le cose, per Michelangelo, non vanno per il verso giusto: Giulio II sa fin dall’inizio che non ci sono le risorse per realizzare questo grandioso monumento mentre i lavori di costruzione della nuova basilica di San Pietro, diretti da Bramante, devono continuare, così come deve realizzarsi l’opera di ristrutturazione della Cappella Sistina che sta franando.
Michelangelo non sa che la realizzazione del mausoleo a lui affidata è diventata, nelle intenzioni del papa, una sorta di stratagemma [“lo stratagemma della tomba” viene chiamato] che è servito per attirare lo scultore in Vaticano in modo da poterlo convincere a realizzare, come pittore, l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina che è [questo sì] un lavoro urgente, per il quale ci sono le risorse e che solo Michelangelo è in grado di realizzare.
Quando Michelangelo scopre di essere stato raggirato dal papa - e abbiamo osservato nell’itinerario della scorsa settimana i vari tasselli di un complesso mosaico che rappresenta quella che Fedra Inghirami con intelligente ironia chiama “la tragedia della sepoltura di due protagonisti assai ben vivi” - e che tutti i fondi per la realizzazione della tomba del papa sono stati tagliati, si allontana infuriato da Roma, ma Giulio II, come ben sappiamo, continua a tenersi in contatto con lui [non molla la presa] perché tra i due personaggi - che hanno caratteri simili - si è instaurato un intenso rapporto passionale.
E adesso [nel prendere il passo sull’itinerario di questa sera] riprendiamo il filo del discorso dall’ultimo tassello che abbiamo osservato la scorsa settimana.
Nella tarda estate del 1506 Giulio II sguaina la spada e sconfigge Cesare Borgia cacciandolo dalla Romagna dove aveva creato uno Stato, e poi sottomette il signore di Perugia Gian Paolo Baglioni e il signore di Bologna Giovanni Bentivoglio che si erano ribellati. Ed è da Bologna che Giulio II, in veste di condottiero vittorioso, richiama Michelangelo facendogli sapere [in modo quasi divertito] che i bolognesi vogliono dedicargli un monumento di bronzo che deve essere collocato vicino al portone del duomo, e vogliono che sia lui Michelangelo a realizzarlo. Michelangelo [che a Firenze non si trova propriamente a suo agio] parte per Bologna, si riconcilia con il papa e accetta la commissione.
Come sappiamo, la realizzazione di quest’opera diventa per Michelangelo una sfida, in primo luogo nel cimentarsi nella lavorazione [complessa, rischiosa e lenta] del bronzo, una tecnica non di suo gradimento che conosce poco, in secondo luogo perché il papa sembra volergli fornire l’occasione di rispondere, in modo arguto [Michelangelo sa usare l’arguzia ad arte], al raggiro che l’artista ha subito e a causa del quale sta ancora soffrendo. Michelangelo invia a Giulio II un modellino in cotto della statua che intende realizzare in cui il papa è raffigurato pacatamente seduto con le mani disposte in modo come se dovessero tenere un oggetto, e Giulio II sa che Michelangelo gli sta preparando una sorpresa ma è convinto [mediante la sua capacità di intuizione] di poterla utilizzare come pretesto a suo vantaggio [il papa è una volpe sagace].
Dopo oltre un anno di duro lavoro nel febbraio 1508, Michelangelo effettua la fusione dell’enorme statua in cui il pontefice viene raffigurato in modo del tutto diverso dal modello in cotto, come un tremendo guerriero trionfante con la spada sguainata e terribile nel volto.
Il papa - accolto trionfalmente a Bologna per inaugurare il monumento - si mostra soddisfatto di essere stato rappresentato così: terribile, tremendo, spaventoso, privo di clemenza e di misericordia, pronto a colpire con la spada; è contento perché Michelangelo, con la sua sarcastica ironia, gli ha però fornito il pretesto che cercava, e gli dice: «Hai fatto bene, Michelangelo, a rappresentarmi così perché d’ora in avanti tutte le volte che mi guarderanno gli passerà la voglia di ribellarsi! Anche se, so che, in verità, più che mettermi in mano la spada avresti preferito mettermi in mano un Libro, perché tu lo sai che io i Libri li amo e le spade le sopporto!». In effetti, Michelangelo sa che Giulio II avrebbe gradito essere rappresentato con un libro in mano e pensa di castigarlo facendogli impugnare la spada, e invece l’artista dà la possibilità al papa [al Terribile] di fare la sua proposta formulandola come se fosse un ordine piuttosto che una richiesta: «Ebbene, dice Giulio II a Michelangelo, adesso ti voglio dare la possibilità di ritrarmi con un libro in mano [e non me lo puoi negare], e per questo ti aspetto a Roma perché proprio di Libri dobbiamo parlare».
Michelangelo non può che accettare l’invito, e quando il papa lo riceve gli fa trovare aperti, sul suo tavolo [per mezzo del bibliotecario Fedra Inghirami], i Libri sui quali tanto Michelangelo che Giulio II, si sono formati. E noi conosciamo già questo argomento [lo abbiamo studiato prima della vacanza natalizia]: sappiamo che sul tavolo del papa, in quel magazzino che funge da ufficio, ci sono le Opere di Marsilio Ficino, di Pico della Mirandola e il Commento al Commento al De Anima di Aristotele di Alessandro di Afrodisia di Pietro Pomponazzi.
Come sappiamo, il papa condivide l’idea guida di stampo neoplatonico del pensiero di Michelangelo secondo cui la missione dello scultore è quella di liberare l’anima dalla prigionia della materia [per cui lo scultore ha un ruolo superiore a quello del pittore: come se lo scultore fosse in grado di rendere l’anima immortale] ma il papa invita Michelangelo a non sottovalutare il fatto che anche il pittore ha una missione importante che consiste nel mettere colore sulla materia per preservarla dalla sua deperibilità perché sono proprio le cose deteriorabili [come scrive l’aristotelico Pietro Pomponazzi affermando che l’anima ha valore in quanto è mortale perché la mortalità dell’anima impegna la persona a prendersene cura ancor di più che se fosse immortale], perché sono proprio le cose deperibili quelle che dobbiamo tutelare di più, quelle che ci stanno più a cuore, e il papa aggiunge che anche Gesù Cristo ha scelto di donarsi al mondo con due elementi assolutamente deteriorabili: il pane e il vino [e per Michelangelo, a questo punto, diventa difficile controbattere].
Giulio II e Michelangelo si sono confrontati a lungo durante questo incontro [“l’incontro dei Libri aperti”, così lo chiama Fedra Inghirami] e tutto quello che si sono detti noi non lo sappiamo, possiamo fare delle ipotesi [ipotesi che sono state fatte] in relazione alle significative allusioni che emergono dal prezioso Epistolario di Fedra Inghirami e in relazione alle metafore che traspaiono dalle figure dipinte sul soffitto della Cappella Sistina. E quali osservazioni possiamo fare in proposito?
Se Michelangelo accetta la commissione dell’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina Giulio II sa di potergli far realizzare un’opera non semplicemente decorativa ma contenente un messaggio che anche a Michelangelo sta a cuore: l’idea che la Chiesa deve profondamente riformarsi strutturalmente e culturalmente, e per questo motivo c’è bisogno di tornare a riflettere sul profetismo [di risalire ai profeti perché la Chiesa ha messo da parte l’idea del profetismo in nome del trionfalismo per cui rischia di non essere più credibile].
Durante il cosiddetto “incontro dei Libri aperti” Giulio II ha presentato a Michelangelo la sua idea per la realizzazione dell’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina affermando - e ora, dopo cinque anni di rapporto passionale, sa di potersi fidare di Michelangelo - che sotto l’apparenza della decorazione deve esserci un articolato messaggio riformatore che l’artista avrebbe saputo esprimere attraverso gli oggetti parlanti per eccellenza: i Libri; e Michelangelo ha indubbiamente trovato, nel ragionamento del papa, la motivazione per compiere l’opera.
E, a questo proposito, che cosa scrive al Dovizi il nostro informatore Fedra Inghirami? A Fedra Inghirami il papa ha commissionato la ricerca filologica [deve trovare nei testi della Letteratura dei profeti le citazioni adatte a sostenere determinate idee], e Fedra, al quale piace moltissimo il suo lavoro di esegeta ricercatore, di prima mano, scrive in codice a Bernardo Dovizi: «Predisposto che ebbi l’incontro de’ Libri aperti, il Trr [il Terribile, Giulio II] a motivar prese Lupinfabul [Lupus in fabula, Michelangelo] ch’ei era il solo valente a decorar mostrando, ed ei, motivato, ben si dispose alla commessa».
Michelangelo [finalmente!] accetta di affrescare il soffitto della Cappella Sistina pronto [in accordo con Giulio II] a “decorar mostrando”; e questa dicitura descrive lo stile pittorico di Michelangelo nella Cappella Sistina [uno stile che diventa “un genere” non solo nell’ambito della pittura ma anche nel campo della Storia del Pensiero Umano] per cui la decorazione perde il semplice ruolo di ornamento, di addobbo, di guarnizione per diventare uno strumento che - sebbene con la dovuta circospezione mediante l’azione del decorare - possa “mettere in mostra [decorar mostrando]” un messaggio ben articolato e basato su metafore di natura filologica [che rimandano ai testi biblici] utili per innescare una necessaria riflessione sul cammino riformatore da intraprendere.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di questi verbi sinonimi di “mettere in mostra” – presentare, indicare, segnalare, dichiarare, esporre, dimostrare, rivelare, manifestare - attira maggiormente adesso la vostra attenzione?...
Scrivete il verbo che preferite perché con questa riflessione ci si prepara a entrare nella Cappella Sistina per riflettere sugli esiti dell’azione del “decorar mostrando”...
Giulio II ha avuto, fin dalla sua elezione, il problema di eludere il controllo dei membri del Sant’Uffizio che non si fidano di lui in quanto cultore del pensiero dei maestri [Marsilio Ficino, Pico della Mirandola] della corrente pedagogica del neoplatonismo [che sono adozionisti!] e, difatti, con grande abilità, come al solito, ha da subito provveduto a prevenire, per quanto è possibile, le mosse degli inquisitori. La sua precauzione è servita in vari momenti e si dimostra più che mai utile a proposito dell’azione del “decorar mostrando” che deve svolgere Michelangelo nell’affrescare il soffitto della Cappella Sistina.
Come ha provveduto Giulio II per superare il giudizio negativo del Sant’Uffizio nei confronti di molte delle sue scelte e per non innescare un aperto conflitto con il tribunale dell’Inquisizione nel quale avrebbe dovuto spendere molte energie per mantenersi saldo al potere? Quali mosse ha effettuato? Dobbiamo ricordare che i suoi avversari [la maggioranza dei cardinali], con la complicità del re di Francia Luigi XII, convocano un concilio a Pisa e poi a Milano per dichiararlo decaduto ma lui reagisce convocando a sua volta il V concilio lateranense nel 1511 nel quale difende davanti al sacro collegio [ribadendone l’ortodossia] tutte le sue posizioni: teologiche, politiche, artistiche, intellettuali e non solo non perde il potere ma lo consolida perché ha scelto, anche in questo caso, i collaboratori giusti.
Giulio II, per tutelarsi dal controllo pressante dei membri del Sant’Uffizio che non si fidano di lui, provvede appena eletto a nominare suoi consulenti teologici due ecclesiastici - due membri autorevoli dell’Inquisizione - molto conservatori, molto conformisti e anche un po’ reazionari che, però, sul piano umano, vanno d’accordo con lui [perché lui li sa blandire e sa utilizzare, con spregiudicatezza, le loro competenze]: sono il cardinale Francesco Alidosi e il predicatore Egidio da Viterbo [l’uomo alle dipendenze dell’inquisitore Giovanni Rafanelli che avrebbe dovuto spiare il papa per conto del Sant’Uffizio].
Egidio, pur avendo studiato superficialmente la Cabala ebraica [e questo fatto lo avvicinava a Giulio II che era esperto di Cabala], è tutt’altro che un umanista neoplatonico, ed è invece ostile agli ebrei e teorico della supremazia dell’unica e vera Chiesa. Egidio da Viterbo è noto per le sue lunghe prediche che potevano durare anche alcune ore, in cui ripercorreva la Storia della creazione e dell’universo, passando attraverso la punizione degli ebrei che non avevano creduto al vero messia.
Giulio II - che non condivide nulla del suo pensiero - lo gratifica facendolo spesso predicare al suo posto e, intanto, lo tiene in pugno; e, soprattutto, gli fa credere di aver ordinato a Michelangelo di dipingere sul soffitto della Cappella Sistina “la storia della punizione degli ebrei che avevano ucciso il vero messia” e, quindi, lo invita a farsi garante presso il Sant’Uffizio di cui è membro della bontà del lavoro di Michelangelo che avrebbe decorato la volta della Sistina con i segni della Gloria di Gesù Cristo.
Il papa, quindi, ai primi di maggio del 1508, fregiandosi della consulenza del cardinale Francesco Alidosi e dell’autorevole predicatore Egidio da Viterbo, illustra a Giovanni Rafanelli [il supremo magistrato dell’Inquisizione] e ai membri del Sant’Uffizio il progetto completo di decorazione del soffitto della Cappella Sistina che Michelangelo dovrà realizzare: sulla porta principale, a benedire l’ingresso del pontefice e del suo seguito, avrebbe dovuto essere raffigurato Gesù. I dodici triangoli lungo il perimetro avrebbero ospitato le figure degli Apostoli. Nella parte centrale, in mezzo ad una fantasia geometrica di rombi e di rettangoli, ci sarebbero state delle immagini provenienti dalla Letteratura biblica e Giulio II lascia che sia proprio Egidio a proporre un elenco di episodi tratti dell’Antico Testamento, per lo più dai due Libri dei Re, dove si descrivono scene particolarmente violente che illustrano l’idea dell’autorità di Dio che si manifesta in modo vendicativo contro il popolo ebreo.
Il Sant’Uffizio approva il progetto e Giulio II e Michelangelo annuiscono, ma hanno già concordato [come sappiamo] un ben altro programma. Giulio II - a garanzia del pittore - fa presente che nella realizzazione di quest’opera ci sono delle difficoltà quasi insormontabili che solo un artista come Michelangelo sarebbe stato in grado di superare: l’affresco sarebbe stato il più vasto mai realizzato dovendo coprire una superficie di oltre mille e cento metri quadrati, le condizioni in cui il pittore avrebbe dovuto lavorare erano proibitive e poi l’opera di Michelangelo doveva risaltare perché sarebbe stata paragonata con gli straordinari affreschi, dedicati a Mosè e a Gesù, che, al tempo di Sisto IV, circa venticinque anni prima, erano stati realizzati sulle pareti della Cappella Sistina dai più grandi artisti del tempo: Sandro Botticelli, Cosimo Rosselli, il Perugino, il Pinturicchio, Luca Signorelli, Biagio D’Antonio, Bartolomeo della Gatta e naturalmente il Ghirlandaio [il primo maestro di Michelangelo]. Il lavoro di Michelangelo doveva essere all’altezza delle opere [inaugurate nel 1481] di questi maestri tra i più importanti del Quattrocento.
Gli affreschi sulle pareti della Cappella Sistina illustrano l’idea, propugnata da Sisto IV, della successione delle fedi e dimostrano come la Chiesa sia l’unica erede del monoteismo avendo rimpiazzato l’ebraismo, e per questo ad ogni pannello del ciclo di Mosè [sulla parete destra] corrisponde un pannello del ciclo di Gesù [sulla parete sinistra], e risultano così otto coppie di dipinti con l’intenzione di mostrare come la vita di Mosè non sia altro che la prefigurazione della vita di Gesù.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete andate a osservare i dipinti del ciclo di Mosè e del ciclo di Gesù affrescati sulle pareti [di destra e di sinistra] della Cappella Sistina…
Cosimo Rosselli aveva un cagnolino che è diventato la mascotte della squadra di pittori [quasi tutti fiorentini inviati da Lorenzo il Magnifico]: verificate se questo cagnolino compare negli affreschi...
La data d’inizio del lavoro di “decorazione” del soffitto della Sistina è fissata per il 10 maggio 1508 e Giulio II comunica al Collegio cardinalizio che la Cappella avrebbe continuato a essere utilizzata per le funzioni liturgiche [anche venti volte al mese] per cui i ponteggi non sarebbero stati di tipo tradizionale. L’incarico di occuparsi dei ponteggi viene dato a Bramante che propone una struttura sospesa retta da corde ancorate al soffitto tramite profonde fenditure, ma si capisce che i fori di una certa ampiezza avrebbero danneggiato il soffitto. Bramante allora escogita un’altra soluzione: un ponteggio piuttosto macchinoso in cui solo pochissimi punti d’appoggio delle impalcature toccavano il pavimento, ma questa costruzione alquanto sbilanciata crolla prima che possa essere utilizzata, e per fortuna nessuno si fa male.
E, infine, per risolvere il problema del ponteggio deve intervenire Michelangelo che, durante la sua permanenza a Roma, aveva dedicato parte del suo tempo a studiare l’antica architettura romana e, in base alle sue osservazioni e ai suoi calcoli, propone una rivoluzionaria impalcatura che sfrutta la tecnica del ponte ad arcata, basata sul principio dell’arco romano in cui il peso si scarica sulle strutture laterali che congiunge e, inoltre, questa ingegnosa costruzione si inserisce in pochi e piccoli fori praticati nelle pareti e, quindi, il peso si scarica sulle pareti stesse [rinforzate dal restauro del Bramante] anziché sul pavimento.
Michelangelo costruisce il ponteggio e poi fissa un robusto telone all’impalcatura per evitare che la polvere e i colori cadano sulle celebrazioni dei riti e sui capolavori quattrocenteschi che ornano le pareti sottostanti, ma naturalmente la ragione principale della montatura del tendone e di altri tendoni è quella di evitare che occhi indiscreti vedano la trama della composizione.
Per essere supportato nel lavoro Michelangelo fa assumere cinque suoi amici, tutti artisti con una solida esperienza in fatto di affresco e tutti fiorentini, e il papa si fida del fatto che, in questo modo, non potrà giungere a orecchie indiscrete quello che Michelangelo sta veramente dipingendo. Michelangelo affronta il lavoro di affrescatura della volta della Sistina con un’irruenza ancora superiore a quella che mette nello scolpire. Dall’alba al tramonto lavora in Cappella e la notte mette a punto gli schemi che - dopo essersi consultato con il papa - deve riportare sulla parete.
Secondo la volontà del papa, come sappiamo, l’obiettivo di Michelangelo è quello di creare non tanto una banale e corretta decorazione del soffitto della Cappella ma è quello di realizzare [decorar mostrando] un vero e proprio “manifesto di carattere teologico e politico” che trasmetta il disgusto per l’ipocrisia e per gli abusi commessi da molta parte del potere ecclesiastico, e la realizzazione di questo programma deve avvenire utilizzando il patrimonio che la Sacra Scrittura [in particolare La letteratura dei profeti] ha lasciato in eredità alla cristianità in modo che sia la Tradizione stessa a richiedere una radicale riforma della Chiesa in nome del profetismo secondo le parole della Letteratura dei Vangeli quando Gesù afferma: «Non sono venuto ad abolire la Legge e i Profeti ma a umanizzare la Legge e a ravvivare la voce dei Profeti».
Per raggiungere questo obiettivo Michelangelo [l’artista che deve affrescare], Giulio II [il committente che, con la sua autorità, deve garantire la realizzazione dell’opera], Bramante [l’architetto che, con la sua competenza, deve sorvegliare sulla stabilità della Cappella] e Fedra Inghirami [il filologo che deve reperire il materiale librario da inserire nell’opera] sono uniti, ciascuno nel proprio ambito, dalla loro cultura comune basata sullo studio della Cabala, del Talmud e del Midrash [uno studio al quale, nei suoi aspetti basilari, ci siamo dedicate e dedicati anche noi strada facendo]. Ancora una volta dobbiamo citare l’apporto fondamentale che alla realizzazione dell’opera ha dato Fedra Inghirami, un apporto filologico che è stato certamente determinante, come lo è stato per la realizzazione de La Scuola di Atene di Raffaello. C’è poi un altro personaggio [che Fedra Inghirami cita, in due sue Lettere, chiamandolo “Medicus (il Medico)”] che partecipa in veste di consulente all’Operazione-Sistina: è il medico ebreo del pontefice e si chiama Schmuel Sarfati. Anche se il Sant’Uffizio vieta agli ebrei di curare i malati cristiani questo è l’unico medico di cui Giulio II si fida.
Il papa stima Schmuel Sarfati perché, oltre a essere un competente terapista e anatomista, è una persona di raffinata cultura: un poeta, uno studioso della Torah, del Talmud e della Letteratura ebraica [del Midrash], oltre che esperto cabalista. Per questo la comunità ebraica romana ha scelto Schmuel Sarfati per comunicare ufficialmente con il papa, in più viene da Firenze come Michelangelo e si presume che i due si siano conosciuti prima a Firenze che a Roma.
Nelle cronache del tempo leggiamo che nel 1511 - mentre Michelangelo sta affrescando il soffitto della Sistina - Giulio II si ammala gravemente e non è più in grado né di alimentarsi né di parlare, e tutti in curia [specialmente i suoi numerosi nemici] sono in attesa che finalmente muoia. Se fosse morto c’era anche la concreta possibilità che il successore bloccasse il lavoro di Michelangelo. Il medico Schmuel Sarfati - mentre gli altri medici dicono che ormai non c’è più nulla da fare - mette a bollire alcune pesche insieme a un preparato da lui confezionato e lo somministra al papa che, nel giro di quarantotto ore, in barba ai suoi nemici, a poco a poco riprende forza e dopo settantadue ore è di nuovo in piedi più terribile che mai: questo significa che il medico ebreo di Giulio II ha contribuito anche a salvare gli affreschi di Michelangelo, e l’artista, viste le precarie condizioni di salute del papa, ha sempre lavorato con una certa preoccupazione addosso.
Michelangelo esegue l’intero affresco praticamente da solo, con pochi aiutanti fidati [come abbiamo detto] che gli preparano l’intonaco e i colori, e viene spronato quasi quotidianamente dal papa cosciente delle sue precarie condizioni di salute, che è solito, davanti a più testimoni, colpire Michelangelo con il bastone pastorale per sollecitarlo [una sceneggiata così ben orchestrata dai protagonisti che ha sempre attirato l’attenzione della letteratura e del cinema]. Michelangelo, quindi, è ansioso di terminare quest’opera e, di conseguenza, a volte lavora per giorni di seguito senza lavarsi e senza neanche cambiarsi. Non è vero che dipinge sempre rimanendo sdraiato sulla schiena e, in proposito, possediamo un suo autoritratto, quasi una caricatura che lo raffigura mentre dipinge in piedi, realizzato sul foglio di una Lettera a fianco del testo di una poesia [un Sonetto] dai toni tragicomici sulle sue sofferenze sopra il ponteggio: è una Lettera inviata al suo amico umanista Giovanni da Pistoia, e sia lo Schizzo che il Sonetto provano che il povero Michelangelo ha lavorato in modo assai scomodo, costretto ad assumere le posizioni più insane per quattro anni e mezzo di duro lavoro.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Visitando “Casa Buonarroti” e navigando in rete potete osservare il foglio de “La Lettera di Michelangelo contenente il Sonetto a Giovanni da Pistoia con lo schizzo caricaturale”...
Sarà capitato anche a voi di fare un lavoro in posizioni assai scomode: scrivete quattro righe in proposito...
Michelangelo, nel Sonetto indirizzato al suo amico umanista e giurista Giovanni da Pistoia [Michelangelo pensa di aver bisogno di un avvocato difensore], descrive con ironia come il lavoro di affrescatura del soffitto della Cappella Sistina si svolga ai limiti della resistenza fisica e come il suo corpo sia sottoposto degli sforzi che lo fanno diventare quasi irriconoscibile: gonfio per la ritenzione di liquidi, con la testa piegata all’indietro in modo del tutto innaturale, con il corpo simile ad un pavimento tutto macchiato di gocce di colore, con i lombi che entrano nella pancia, con il sedere e la schiena in continuo equilibrio precario, e muovendo passi al buio senza sapere dove mettere i piedi con il pericolo di precipitare facendo un volo di venti metri. Michelangelo conclude il Sonetto in tono preoccupato: un tono che ci fa capire come desideri concludere al più presto questo lavoro “pericoloso” tanto per la sua salute quanto per il messaggio che sta componendo, un messaggio che può costargli una condanna di eresia se il papa viene meno.
Michelangelo è impaziente di fuggire da quel «luogo non bon [pericoloso]» e, quindi, alla fine dell’esecuzione dell’affresco - per guadagnare tempo - si serve sempre meno di cartoni preparatori e di schizzi per muovere il pennello sull’intonaco ancora umido, e comincia a fare qualcosa che nessun artista aveva mai osato prima di lui: affrescare a mano libera. Se, quindi, i primi pannelli sono il risultato di mesi di intenso lavoro preparatorio, il pannello della Creazione, sopra la parete dell’altare, lo esegue in un solo giorno, completamente a mano libera e quasi a secco. Michelangelo deve finire il lavoro prima che muoia il papa, e perché capisce che la sua salute fisica corre dei gravi rischi: sta soffrendo di scoliosi, di reumatismi, di difficoltà respiratoria, di ritenzione di liquidi, e ha problemi alla vista.
E ora leggiamo un frammento tratto dal Sonetto inviato a Giovanni da Pistoia nel 1510.
LEGERE MULTUM….
Michelangelo Buonarroti, Sonetti
E ‘l pennel sopra ‘l viso tuttavia
E 'l pennel sopra 'l viso tuttavia
mei fa [fa di me], gocciando, un ricco pavimento.
E’ lombi entrati mi son nella peccia [la pancia],
e fo del cul per contrapeso groppa,
e passi senza gli occhi [senza vedere] muovo invano. …
La mia pittura morta difendi orma’, Giovanni [Giovanni da Pistoia],
e ‘l mio onore, non sendo in loco bon, né io pittore.
Uno dei crucci di Michelangelo è quello di dover rappresentare la figura di Dio. Sappiamo [e anche Michelangelo lo sa] che Giulio II ha fatto credere ai suoi due consulenti teologici piuttosto antisemiti - il cardinale Francesco Alidosi e il predicatore Egidio da Viterbo [che il papa ha scelto in quanto particolarmente conservatori e tradizionalisti in modo da rassicurare i membri del Sant’Uffizio, in primis il grande inquisitore Giovanni Rafanelli] - di aver ordinato a Michelangelo di dipingere sul soffitto della Cappella Sistina “la storia della punizione divina degli ebrei che non hanno creduto al vero messia” e, quindi, l’eventuale rappresentazione della figura del Creatore avrebbe dovuto avere le sembianze del “dio del massacro” piuttosto che di un “Dio di misericordia”. Ma naturalmente Giulio II confida nel talento di Michelangelo e pensa che l’artista sia in grado di trovare la formula giusta per rappresentare il Creatore non tanto come “dio del massacro” quanto piuttosto come “Dio di giustizia”, pronto alla clemenza e alla misericordia ma tuttavia severo con chi approfitta del potere ecclesiastico e Michelangelo ha delle idee in proposito.
Per noi l’affermazione “dio del massacro” come ben sapete rimanda al titolo della commedia di Yasmina Reza che stiamo leggendo. Come ben sappiamo, si tratta di una commedia [comica ma dai risvolti drammatici] ambientata in un salotto dove due coppie di genitori [la scrittrice Véronique e il commerciante Michel, che sono i padroni di casa e la consulente patrimoniale Annette e l’avvocato Alain, che sono gli ospiti] s’incontrano per poter risolvere, da persone civili [quali pensano di essere], una questione: la lite scoppiata ai giardinetti tra i rispettivi figli, nella quale uno dei due [Bruno], il figlio dei padroni di casa [Véronique e Michel], ha avuto la peggio [ci ha rimesso un dente] colpito con un bastone [da Ferdinand] dal figlio degli ospiti [Annette e Alain]. L’incontro tra queste quattro persone inizia all’insegna delle buone maniere ma poi, con il procedere della conversazione, la buona creanza, la correttezza politica, l’apertura mentale, che i protagonisti si sforzavano di mostrare, lasciano il posto allo spirito della divinità, efferata ed oscura, che governa i rapporti tra gli umani fin dalla notte dei tempi: il dio del massacro [metafora dell’incapacità di comunicare in modo civile]. Come sappiamo, l’autrice fa conversare sarcasticamente i quattro personaggi utilizzando un linguaggio volutamente leggero fatto di luoghi comuni e di battute spesso pronunciate fuori luogo che, invece di alleggerire i rapporti, fanno aumentare la conflittualità anche all’interno delle stesse coppie e contribuiscono pure a fomentare lo scontro di genere. Uno dei motivi che provoca il conflitto di genere diventa l’accesso a una bottiglia di rum perché quando Michel, il padrone di casa, mette a disposizione degli ospiti una bottiglia di rum [con quindici anni d’invecchiamento] succede che la libagione diventa un fatto riservato agli uomini [a lui e ad Alain] ma le due donne rivendicano di poter bere anch’esse contestando il fatto che, secondo la pubblicità, il rum sarebbe una bevanda da maschi, per cui le signore eccedono. Il secondo motivo di conflitto dipende dal fatto che l’avvocato Alain deve rispondere spesso al telefono per via di una causa intentata contro una grande ditta farmaceutica che lui difende, e la moglie Annette lo accusa di essere disattento e di non essere partecipe ai problemi che riguardano il figlio, delegando, con la scusa del suo lavoro, tutto a lei.
La scorsa settimana abbiamo interrotto la lettura quando il cellulare di Alain vibra per l’ennesima volta e lui si appresta a rispondere, al che Annette [la moglie] lo minaccia e anche Véronique lo richiama all’ordine, ma Alain commette l’errore di rispondere, e quali sono le conseguenze? E ora leggiamo la parte finale della commedia.
LEGERE MULTUM….
Yasmina Reza, Il dio del massacro
ALAIN Annette, ma che dici! …Sei già ubriaca? …
Il cellulare di Alain vibra e lui si appresta a rispondere
ANNETTE Tu prova a rispondere al telefono e vedrai se sono ubriaca! …
ALAIN (lui risponde) Va bene, Serge … Un’idea interessante … Sì, no, niente interviste prima che venga diffuso il comunicato …
VÉRONIQUE Signor Alain, non se ne può più, sua moglie ha ragione, le intimo di interrompere questa conversazione!
ALAIN … Assolutamente no … Gli azionisti se ne sbattono … Ricordagli il principio di sovranità dell’azionariato …
Annette si dirige verso Alain, gli strappa di mano il cellulare e ... dopo aver brevemente cercato dove metterlo ... lo butta nel vaso dei tulipani.
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Quando Michelangelo termina il lavoro, nell’autunno del 1512, la prima cosa che fa [anche su pressione papale] è quella di distruggere il geniale ponteggio da lui progettato e di bruciare tutti i quaderni di appunti e gli schizzi relativi alla realizzazione dell’opera, e abbiamo perso un bel capitale! Ma non dovevano rimanere testimonianze, in particolare sull’accordo segreto tra Giulio II e Michelangelo.
La fastosa cerimonia di inaugurazione [come voi ben sapete dall’autunno scorso] ha avuto luogo il 31 ottobre 1512, nel nono anniversario dell’elezione del pontefice. Quel giorno l’arte occidentale ha voltato pagina e molte e molti studiosi sostengono che da questo momento ha inizio l’Età moderna. Lo scultore Michelangelo [così si è sempre firmato!] aveva dipinto oltre trecento figure che sembravano quasi scolpite sul soffitto bidimensionale: e sono sempre lì. E noi dall’ottobre scorso siamo al corrente [secondo la testimonianza di Fedra Inghirami] dell’affermazione risentita del supremo magistrato dell’Inquisizione Giovanni Rafanelli che, dopo aver osservato il soffitto affrescato della Sistina, rivolto verso il papa [sa che è lui il primo responsabile] dichiara: «È come se la bestia immonda dell’Apocalisse fosse entrata in questo sacro Tempio e avesse profanato il tabernacolo mangiandosi le Ostie consacrate».
Giulio II, dopo aver inscenato la bastonatura di Michelangelo inginocchiato davanti a lui [Michelangelo in realtà è ben contento che il papa si sia rimesso in piedi, usi bene il pastorale come un bastone e sia ancora vivo a proteggerlo], dopo la sceneggiata della bastonatura concordata con Michelangelo, risponde all’affermazione pittoresca di Rafanelli [a ottobre noi ci eravamo fermate e fermati qui] in modo lapidario dicendo: «Mi pare che nell’opera vi sia più devozione che blasfemia». Ma, qualche giorno dopo, il supremo magistrato dell’Inquisizione risponde a sua volta al papa, per iscritto, esplicitando in modo articolato il suo pensiero.
Il supremo magistrato dell’Inquisizione Giovanni Rafanelli, qualche giorno dopo l’inaugurazione del soffitto della Cappella Sistina, diffonde un comunicato con un suo commento sull’opera realizzata da Michelangelo. Rafanelli scrive di non aver compreso pienamente il giudizio del papa quando definisce il lavoro di Michelangelo «ricco di devozione» in quanto, dichiara Rafanelli, «se si trattasse effettivamente di un’opera così devota, perché l’artista vi ha dipinto almeno tre gesti volgari indirizzati al Santo Padre? » [Rafanelli intuisce che questi gesti - come vedremo strada facendo - più che indirizzati al papa sono indirizzati dal papa al Sant’Uffizio]. E poi, dichiara Rafanelli, «se è un’opera così profondamente devota, perché nessuna delle trecento figure che sono rappresentate è cristiana?»,
E Rafanelli, in proposito ha ragione, perché sul soffitto della Sistina non c’è niente di cristiano e, in particolare, non ci sono né simboli né immagini legate alla dottrina di Cristo. «Dove sono [domanda al papa Giovanni Rafanelli, come se lo mettesse in stato d’accusa] le figure di Gesù e della Madonna che erano state annunciate al centro dell’affresco?». «Un affresco [dichiara severo Rafanelli] la cui superficie, di oltre mille e cento metri quadrati, per circa il cinque per cento è occupata da simboli pagani e non religiosi, mentre il restante novantacinque per cento da soggetti, tematiche e personaggi ebraici». Se Giulio II non fosse stato il papa, Rafanelli avrebbe chiesto per lui la condanna al rogo e l’avrebbe chiesta anche per Michelangelo se l’artista non fosse stato protetto dal pontefice il quale, con l’autorità pastorale che la Cattedra di San Pietro gli conferisce, risponde a sua volta al supremo magistrato dell’Inquisizione.
La risposta di Giulio II alle considerazioni di Rafanelli [e, quindi, del Sant’Uffizio] è un capolavoro di diplomazia che rivela il senso del messaggio contenuto nell’opera commissionata a Michelangelo: la Chiesa [proprio perché ambisce a possedere l’unica vera dottrina] deve, in attesa della venuta del Salvatore, purificarsi di volta in volta [indĭdem], deve riformarsi costantemente [sarà per questa mancanza di purificazione che il Signore tarda a venire?]. Scrive Giulio II a Rafanelli [certamente con la consulenza di Fedra Inghirami]: «Il pittore, del quale garantiamo la fede, ha voluto rappresentare la creazione del mondo, il peccato originale, il diluvio, l’ebbrezza di Noè, le sibille pagane, i profeti degli ebrei in modo che questi avvenimenti e questi personaggi alludano inevitabilmente [necessariē] alla venuta del Salvatore, e indicano certamente [procul dubio, senza dubbio] la missione dell’unica vera Chiesa, che deve tuttavia [indĭdem, di volta in volta] purificarsi proprio in attesa che si compia la beata salvezza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo».
Poi Giulio II sponsorizza la realizzazione dell’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina: fa sapere al mondo che l’opera è stata compiuta, e così molti artisti e molti appassionati di arte cominciarono ad arrivare da ogni parte per poter contemplare con stupore e totale ammirazione il risultato di questa impresa sovrumana, e questo fenomeno continua ad avvenire anche a cinque secoli di distanza e, contro ogni sfida, ogni ostacolo e ogni dubbio, Michelangelo, supportato decisamente da Giulio II, ha trionfato anche come pittore.
Si sa che per Giovanni Rafanelli - il quale è costretto a prendere atto delle dichiarazioni ineccepibili del papa - risulta insopportabile il fatto che, entrando nella Cappella, la prima figura che appare sotto la porta principale è quella di un profeta raffigurato con il volto di Giulio II. Questo personaggio, che ha il volto del pontefice, tiene in mano un Libro così come molte altre figure tengono in mano un Libro e, di conseguenza, per poter scendere nei particolari, ci dobbiamo domandare: che cosa raffigura, prima di ogni altra cosa, l’affresco realizzato sul soffitto della Cappella Sistina? L’affresco realizzato sul soffitto della Sistina raffigura, prima di tutto, lo spazio, l’area, il campo, la superficie, l’estensione, l’ambito di una biblioteca [e, a questo proposito, bisogna pensare alla soddisfazione che prova Fedra Inghirami a guardare il soffitto].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Se avete fatto una visita alla Cappella Sistina che cosa ricordate in particolare ...
Scrivete quattro righe in proposito...
Avete notato quante figure nell’affresco realizzato sul soffitto da Michelangelo tengono in mano un Libro?... La Cappella Sistina è anche una virtuale e una virtuosa biblioteca...
Ma come già ben sapete, il fatto che Michelangelo abbia ritratto, sotto la porta d’ingresso della Cappella, un personaggio con il volto del pontefice con un Libro in mano fa parte di un avvenimento che conosciamo: nel febbraio del 1508, dopo oltre un anno di fatiche, Michelangelo ha completato, a Bologna, la realizzazione dell’enorme statua in bronzo dedicata a Giulio II, che, due anni prima, aveva riconquistato, alla testa dell’esercito pontificio, la città. Sapete che Michelangelo raffigura il papa in modo ironico presentandolo come un tremendo guerriero trionfante con la spada sguainata e terribile nel volto. Quando Giulio II inaugura il monumento [che a lui piace] si rivolge cordialmente a Michelangelo perché l’artista gli ha fornito il pretesto per commissionargli l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina, e gli dice: «Io lo so che tu, in verità, più che mettermi in mano la spada, avresti preferito mettermi in mano un Libro, perché tu sai che io i Libri li amo e le spade le devo sopportare!» e, in effetti, Michelangelo deve ammettere di averci pensato, e allora il papa [il Terribile] formula la sua richiesta: «Ebbene, dice Giulio II, adesso ti voglio dare la possibilità di ritrarmi con un Libro in mano, e per questo ti aspetto a Roma perché proprio di Libri dobbiamo parlare». A questo punto Michelangelo non può che accettare l’invito; ed ecco che, sul soffitto della Sistina, la cosa si è realizzata: si entra nella Cappella passando sotto alla figura di un personaggio che ha il volto di Giulio II e ha un Libro in mano; e, a breve, torneremo su questa figura.
La statua di bronzo di Giulio II che stava a lato della porta del duomo di Bologna oggi non c’è più: che fine ha fatto? Quattro anni dopo, nel 1511, approfittando del fatto che Giulio II era in fin di vita [e conosciamo questo episodio], i feudatari bolognesi si sono nuovamente ribellati al papa e hanno fuso la grande statua pontificia di bronzo utilizzando il metallo per fabbricare una grossa bombarda con cui difendere la città, che, sarcasticamente, è stata battezzata con il nome di “Giulia”, la quale però non ha mai sparato, e la ribellione si è conclusa quando è arrivata la notizia che il Terribile [Giulio II] si era rimesso in piedi [ben curato dal dottor Sarfati] ed era più vispo che mai.
Ma anche il destino dei pontefici è quello di non essere immortali, e meno di quattro mesi dopo l’inaugurazione del soffitto della Cappella Sistina il papa guerriero muore [nel suo letto] nella sua branda da campo. Le sue ultime parole sono state: «Io vado, ma sono convinto che San Pietro non mi farà entrare e mi rimanderà indietro. Sì, non ho giustificazioni, ma vorrei vedere Lui qui in terra a governare la Chiesa di oggi». Qualcuno ha tenuto conto dell’affermazione di Giulio II in punto di morte [«Io vado, ma sono convinto che San Pietro non mi farà entrare...»] e ha preso lo spunto per scrivere un libretto in cui si racconta che San Pietro non lo fa entrare nel Regno dei Cieli, denigra la sua condotta e lo manda via. Il fatto è che, a distanza di tempo [dopo la rivalutazione storica di Giulio II, dopo cinquecento anni], le decisioni che ha preso Giulio II meritano più un elogio che un biasimo. Chi ha scritto [firmandosi anonimo] questo libretto per denigrare Giulio II? Viene attribuito a un grande intellettuale contemporaneo del papa [che però ha sempre negato di averlo scritto], ma ne parleremo la prossima settimana.
Circa un mese e mezzo prima di morire Giulio II [alla fine dell’anno 1512] chiama Raffaello, si veste in alta uniforme [berretta, mantella e anelli] e si fa ritrarre per entrare negli annali della Chiesa. Dà un ordine perentorio a Raffaello: «Guai a te se m’imbellisci! Fammi come sono, malinconico. E fa’ presto che non ho tempo da perdere seduto su questa sedia!». E Raffaello, che ha la straordinaria abilità di imbellire e addolcire ogni viso, esegue però l’ordine del papa e lo ritrae così com’è: brutto, vecchio, malato e malinconico, con un fazzoletto nella mano destra e con la mano sinistra aggrappata con forza alla sedia nel gesto di chi si vuole alzare.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Su un Catalogo delle opere di Raffaello [che trovate in biblioteca] e navigando in rete andate a osservare il Ritratto di Giulio II conservato a Londra alla National Gallery, ma ce n’è una copia anche alla Galleria degli Uffizi e un’altra, copiata da Tiziano, a Palazzo Pitti...
La prossima settimana [dopo cinque mesi di attesa] saremmo sul punto di entrare nella Cappella Sistina ma dovremo rimandare perché ci dobbiamo intrattenerci con un personaggio con il quale abbiamo appuntamento: questo personaggio arriva da Rotterdam apposta per noi per spiegarci che cos’è “un adagio”: sapete perché sono importanti “gli adagi”? Come si può attraversare la modernità e vivere nella post-modernità senza saperlo?
Per questo la Scuola è qui, e il viaggio continua: è primavera e, di conseguenza, insieme a “gli adagi” sboccia anche, più rigogliosa che mai, la volontà di imparare, e voi coltivatela, la parola “cultura” deriva dal verbo “coltivare”!...