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DALLA SEQUENZA NARRATIVA SU GIUSEPPE AL “PROLOGO” FINALE …

Lezione N.: 
29

Prof. Giuseppe Nibbi       Lo sapienza poetica beritica  2008     28-29-30  maggio  2008

DALLA SEQUENZA NARRATIVA SU GIUSEPPE AL “PROLOGO” FINALE …

     Dal capitolo 25 al capitolo 36 del Libro della Genesi-In principio/Bereshìt troviamo la sequenza narrativa che riguarda il personaggio di Giacobbe. Di questo personaggio noi abbiamo già studiato la caratteristica principale leggendo la seconda parte del capitolo 32 del Libro della Genesi: in questo brano viene raccontato il mito di fondazione dell’epica beritica. Si tratta del famoso episodio in cui Giacobbe lotta con uno sconosciuto, con un angelo [come dice la traduzione greca], dietro le cui sembianze si nasconde Dio stesso difatti uno dei significati del nome di Giacobbe corrisponde all’espressione colui che ha lottato alla pari con Dio.

     Di questo episodio troviamo molteplici rappresentazioni: se volete fare una scappata a Parigi potete ammirare una delle più famose raffigurazioni della Lotta tra Giacobbe e l’Angelo. Consultando una guida di Parigi potete visitare la chiesa di St-Sulpice che si trova sulla piazza omonima e che è la chiesa più grande della città dopo Notre-Dame. La chiesa di St-Sulpice è stata costruita dal 1646 al 1780 e l’ultimo dei vari architetti che vi hanno lavorato è stato il fiorentino Servandoni [quindi è come se fossimo a casa] il quale ha disegnato l’imponente facciata di gusto già neoclassico. Chi entra in St-Sulpice trova, nella prima cappella a destra, gli stupendi affreschi del pittore Eugène Delacroix (1798-1863): sulla volta c’è raffigurato “San Michele che abbatte il demonio”, sulla parete destra “Eliodoro cacciato dal tempio” e sulla parete sinistra “La lotta di Giacobbe con l’Angelo”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

In biblioteca sfogliando un catalogo su Delacroix oppure navigando in rete puoi probabilmente osservare quest’opera significativa

     Gli scrivani del codice Priester mettono in ordine l’episodio della lotta tra Giacobbe e lo sconosciuto in modo tale da inserire l’ampliamento del nome di Giacobbe che, da questo momento, si chiama anche Israele. Il termine Israele diventa quindi il nome dell’eroe intorno a cui ruota tutta la mitologia beritica. Rispetto all’epica orfica [alla Letteratura greca] quella beritica si distingue perché racconta l’epopea di un eroe molto particolare: Israele – abbiamo detto – è un super-eroe che ha, rispetto alle figure della mitologia greco-orfica, una natura complessa perché definisce in modo alterno tanto una persona quanto un popolo, tanto una nazione quanto uno Stato e anche, soprattutto, una categoria dello Spirito. Il ciclo dei racconti relativi a Giacobbe ruota intorno a un elemento centrale: il conflitto col fratello gemello Esaù che si manifesta già nell’utero materno.

      Leggiamo un brano con cui inizia il ciclo di Giacobbe: noi qui a Scuola possiamo leggere solo dei frammenti invitando però ciascuno [oramai sono compiti per le vacanze] a leggere tutti gli undici capitoletti di questa sequenza narrativa.

LEGERE MULTUM….

Libro della Genesi-In principio/Bereshìt   25, 19-34

19 Questo è il racconto della discendenza di Isacco, figlio di Abramo. Abramo aveva generato Isacco.

20 Isacco aveva quarant’anni quando si prese in moglie Rebecca, figlia di Betuèl l’Arameo, da Paddan-Aram, e sorella di Làbano l’Arameo.

21 Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché essa era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta.

22 Ora i figli si urtavano nel suo seno ed essa esclamò: «Se è così, perché questo?». Andò a consultare il Signore.

23 Il Signore le rispose: «Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si disperderanno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo».

24 Quando poi si compì per lei il tempo di partorire, ecco due gemelli erano nel suo grembo.

25 Uscì il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo, e fu chiamato Esaù [Esaù significa “coperto di peli”].

26 Subito dopo, uscì il fratello e teneva in mano il calcagno di Esaù; fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva sessant’anni quando essi nacquero.

27 I fanciulli crebbero ed Esaù divenne abile nella caccia, un uomo della steppa, mentre Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto le tende.

28 Isacco prediligeva Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto, mentre Rebecca prediligeva Giacobbe.

29 Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito.

30 Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito» - Per questo fu chiamato Edom [il Rosso] -.

31 Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura [i diritti di primogenitura sono regolamentati dal Deuteronomio, e in questo Libro al capitolo 21 si dice che al primogenito tocca una parte privilegiata dell’eredità e una speciale benedizione paterna]».

32 Rispose Esaù: «Ecco sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?».

33 Giacobbe allora disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe.

34 Giacobbe diede ad Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura [non ha rispettato la Legge che prevede l’assunzione di responsabilità]

     Mentre nel ciclo narrativo di Abramo – dal capitolo 12 al capitolo 25 del Libro della Genesi di cui ci siamo occupati la scorsa settimana – il tema di fondo è costituito dal rapporto tra padri e figli e l’interesse verte sulla linea verticale che unisce una generazione alla successiva, nel ciclo narrativo di Giacobbe l’attenzione si sposta sui conflitti che sorgono, sul piano orizzontale, tra fratelli. Nel ciclo narrativo di Abramo i conflitti rimangono nell’ambito familiare, mentre nel ciclo di Giacobbe essi tendono ad estendersi alla sfera socioeconomica, fino al punto di sfiorare una guerra tra clan, sullo sfondo di evidenti lotte di interesse e di potere che, come sappiamo, rispecchiano le lotte di interesse e di potere che ci sono al momento della costituzione dello Stato giudaico dopo l’esilio, quando gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] stanno mettendo ordine nelle narrazioni.

     Dal brano che abbiamo letto possiamo capire che ci sono tutti gli ingredienti del racconto mitico: l’ingrediente che spicca di più è quello dell’inganno. Il tema dell’inganno è tipico di tutte le mitologie e nel ciclo narrativo di Giacobbe in ogni episodio compare l’inganno. Il conflitto tra i due fratelli gemelli viene innescato dall’inganno cui ricorre Giacobbe, con la complicità della madre Rebecca, per carpire al primogenito anche la benedizione del padre.  Il punto culminante del conflitto viene toccato quando Esaù medita di uccidere Giacobbe, dopo di che la tensione si allenta e l’incontro finale col fratello, in circostanze mutate, con la conseguente riappacificazione, porta allo scioglimento definitivo dello scontro [anche per il carattere di Esaù].

     Perché la sequenza narrativa vuole che Giacobbe, senza essere il primogenito, venga preferito ad Esaù e quindi diventi lui l’antenato mitico di Israele? Intanto perché, come abbiamo letto, Esaù [anche se tutto sommato è un buon diavolo] non tiene conto del valore della sua primogenitura, e questo suo non considerare rispettabili le norme che regolano il suo status di primogenito dimostra che non ha devozione per la Legge [per il cuore] ma che è piuttosto portato a soddisfare prima di tutto [la pancia] i suoi bisogni personali. Esaù rappresenta la sfera d’attività della caccia, mentre Giacobbe rappresenta quella della vita domestica in cui agisce la madre Rebecca. In effetti Giacobbe ottiene la benedizione paterna grazie all’amore e all’astuzia materna, oltre che per le doti culinarie di Rebecca: e anche Giacobbe è un cuoco eccellente.

     All’interno del tema conflittuale tra Esaù e Giacobbe se ne inseriscono altri due: dapprima il conflitto tra Làbano e Giacobbe, e cioè tra zio e nipote, un conflitto prevalentemente di carattere socio-economico, che è una variante costruita sullo stesso schema dello scontro tra Esaù e Giacobbe. Questo conflitto inizia con un inganno da parte di Giacobbe, dando luogo ad un crescere di tensione che culminerà nella fuga di Giacobbe e nell’inseguimento di Làbano, per terminare – anche in questo caso – con la riconciliazione. Giacobbe si arricchisce, a spese dello zio Làbano, ancora mediante l’inganno perché con l’uso dell’arte della stregoneria fa crescere in modo consistente il numero delle pecore del suo gregge [formato dai capi striati e scuri]: chi legge la sequenza – se ne consiglia la lettura – scopre questo meccanismo magico basato sulla credenza che la forma del partorito dipende da ciò che ha visto la madre in gestazione.

     Infine, in questa affascinante saga narrativa, troviamo il conflitto tra Lia e Rachele – anche questo scontro viene fomentato da un inganno di Làbano – che costituisce una ripresa del tema del conflitto tra mogli all’interno di una struttura poligamica: anche nella saga precedente di Abramo abbiamo assistito al contrasto tra Sara [la moglie] ed Agar [la concubina]. Il conflitto tra Lia e Rachele è incentrato sulla capacità di fare figli: sono pagine esemplari sul tema della donna considerata come una macchina riproduttiva e sul tema della fecondità che si presenta per le donne contemporaneamente come una benedizione e una maledizione.

     Leggiamo questo frammento ancora una volta per invitare alla lettura di tutta la sequenza narrativa:

LEGERE MULTUM….

Libro della Genesi-In principio/Bereshìt   30, 1-15

1 Rachele, vedendo che non le era concesso di procreare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, se no io muoio!».

2 Giacobbe s’irritò contro Rachele e disse: «Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?».

3 Allora essa rispose: «Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch’io una mia prole per mezzo di lei».

4 Così essa gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei.

5 Bila concepì e partorì a Giacobbe un figlio.

6 Rachele disse: «Dio mi ha fatto giustizia e ha anche ascoltato la mia voce, dandomi un figlio». Per questo essa lo chiamò Dan [ottenere giustizia].

7 Poi Bila, la schiava di Rachele, concepì ancora e partorì a Giacobbe un secondo figlio.

8 Rachele disse: «Ho sostenuto contro mia sorella lotte difficili e ho vinto!». Perciò lo chiamò Nèftali [la vittoria].

9 Allora Lia, vedendo che aveva cessato di aver figli, prese la propria schiava Zilpa e la diede in moglie a Giacobbe.

10 Zilpa, la schiava di Lia, partorì a Giacobbe un figlio.

11 Lia disse: «Per fortuna!» e lo chiamò Gad [la fortuna]

12 Poi Zilpa, la schiava di Lia, partorì un secondo figlio a Giacobbe.

13 Lia disse: «Per mia felicità! Perché le donne mi diranno felice». Perciò lo chiamò Aser [la felicità].

14 Al tempo della mietitura del grano Ruben uscì e trovò mandragore, che portò alla madre Lia. Rachele disse a Lia: «Dammi un po’ delle mandragore di tuo figlio [si pensava che la mandragora fosse un’erba afrodisiaca e favorisse la fecondità; famosa è la commedia – la più straordinaria commedia del Rinascimento, così dicono – di Niccolò Machiavelli (1518 circa) intitolata “La Mandragola”: informatevi in proposito…]».

15 Ma Lia rispose: «È forse poco che tu mi abbia portato via il marito perché voglia portar via anche le mandragore di mio figlio?». Riprese Rachele: «Ebbene, si corichi pure con te questa notte, in cambio delle mandragore di tuo figlio».

     Proseguite voi la lettura di questo capitolo: l’intreccio è romanzesco e oscilla tra la comicità e il dramma.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale], nella sequenza narrativa di Giacobbe, vogliono mettere in evidenza il contrasto che si pone da sempre nella società tra due atteggiamenti opposti: la volontà di ingannare e il dovere di rispettare la Legge uguale per tutti. Questo tema ha continuato a porsi nelle società moderne e continua ancora a porsi nelle società contemporanee.

     Il trionfo di Giacobbe – in quanto mitico capostipite di Israele – dipende dalle sue qualità di cuoco, di mago e di pastore oltre che dalla sua astuzia: a questo proposito il personaggio epico di Giacobbe ricorda un po’ la figura di Ulisse, il primo abile ingannatore della Storia della Letteratura.

     Abbiamo detto che il termine inganno è parola-chiave nella sequenza narrativa di Giacobbe e non è quindi casuale il fatto che nel nome di Giacobbe [Ya’acobh] compaia anche questo significato: in ebraico la parola inganno corrisponde al termine aqobh.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Leggi la sequenza narrativa di Giacobbe dal capitolo 25 al capitolo 36 del Libro della Genesi e osserva tutte le volte in cui compare la parola “inganno” e a quale proposito…

     Però il rapporto privilegiato di Giacobbe con Jahvé, il Dio di Israele, si sviluppa gradualmente in funzione del rispetto della Legge e trova la sua più compiuta espressione nel brano che porta come titolo il sogno di Giacobbe e che troviamo nel capitolo 28 del Libro della Genesi. Questo brano – la cui struttura compare in molte mitologie antecedenti e successive a quella beritica – ha una forte valenza mitica ma, come al solito, gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] sanno far planare il racconto mitico [la leggenda, Aggadah] sul piano umano della legislazione [Halachah, della norma] per richiamare il Libro del Deuteronomio e per mettere in evidenza il significato costituzionale che hanno questi racconti.

     Leggiamo il famoso brano intitolato: il sogno di Giacobbe.

LEGERE MULTUM….

Libro della Genesi-In principio/Bereshìt   28, 10-22

10 Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran.

11 Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo.

12 Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa [la scala ricorda la ziqqurat e questa immagine proviene dalla mitologia della Mesopotamia].

13 Ecco il Signore gli stava davanti e disse: «Io sono il Signore, il Dio di Abramo e di Isacco. La terra sulla quale tu sei coricato la darò a te e alla tua discendenza.

14 La tua discendenza sarà come la polvere della terra e ti estenderai a occidente e ad oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terra.

15 Ecco io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che t’ho detto».

16 Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo».

17 Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo».

18 Alla mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità [gli scrivani del “Codice Priester” [del Codice sacerdotale] non perdono mai l’occasione di dettare norme per il culto].

19 E chiamò quel luogo Betel [la casa di dio], mentre prima di allora si chiamava Luz.

20 Giacobbe fece questo voto: «Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi,

21 se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio.

22 Questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà una casa di Dio, e di quanto mi darà io offrirò la decima parte [la tassazione sui prodotti agricoli e sui prodotti della pastorizia]».

     È significativo constatare come in questo brano mitico di fondazione gli scrivani d’Israele inseriscano il dovere di pagare le tasse che risulta essere cosa sacra. La tassazione – secondo la Letteratura beritica – è un principio costitutivo nella fondazione dello Stato: questo atto virtuoso è radicato nel sogno di Giacobbe per cui il gesto dell’offerta delle decime [la tassazione in favore della collettività] corrisponde ad una situazione nella quale si può provare ad immaginare ciò che ancora non c’è, corrisponde ad una situazione che porta la mente a suggerire novità, a progettare cambiamenti. Nella nostra società ha prevalso una mentalità anti-biblica che tende a svalutare il valore del gettito fiscale.

     Tutte le sequenze narrative del Libro della Genesi sono suggellate dagli interventi legislativi degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale]. Con questi interventi costanti gli scrivani d’Israele vogliono puntualizzare qual è l’intento del racconto mitico beritico, cioè quello di mettere in risalto i due aspetti fondamentali su cui si basa lo Stato e da cui parte e si sviluppa l’itinerario per la costruzione di una società salvata: lo spirito di servizio [la berit] e il senso del dovere [la Toràh]. Gli scrivani d’Israele, tessendo con i due fili, quello della norma [Halachah]” e quello della leggenda [Aggadah]”, vogliono ribadire che se l’essere umano agisce per soddisfare interessi individuali [tribali] costruisce una società dove l’inganno s’impone come lo strumento privilegiato, come il mezzo capace di dare voce a tutti gli egoismi. Gli scrivani d’Israele, tessendo con i fili della norma e della leggenda, vogliono mediare tra la natura dell’individuo portato a fare i propri interessi [la pancia: per usare una metafora della Scuola egizia di Menfi] e la cultura della collettività che deve guardare all’interesse generale [la cultura del cuore: per usare una metafora sempre della Scuola egizia di Menfi].

     Tutti i personaggi principali della sequenza narrativa di Giacobbe, oltre al protagonista, sono – come possiamo capire anche solo dai frammenti che abbiamo letto – molto significativi e hanno costituito validi modelli per la Storia della Letteratura. Chi legge la saga di Giacobbe incontra, prima di tutto, il personaggio di Esaù, che viene presentato con caratteristiche opposte a quelle di Giacobbe.  Giacobbe è tenace, è accorto ed è anche subdolo nel realizzare i suoi obiettivi, Esaù ha una natura violenta ma generosa, è incapace di fare calcoli ed è incapace di conservare a lungo dei rancori. Il personaggio di Esaù viene presentato non privo di colpe [ha preferito beni materiali, il famoso piatto di lenticchie, al rispetto della Legge svalutando la sua primogenitura”], ma possiede anche una primitiva bontà: è una figura malinconica con cui gli scrivani d’Israele vogliono rappresentare la inadeguatezza umana, quando l’essere umano non si assume la responsabilità del proprio ruolo.

     Poi, tra i personaggi della sequenza narrativa di Giacobbe, c’è quella che viene considerata la figura femminile più significativa della Letteratura beritica e anche una delle figure femminili più importanti della Storia della Letteratura di tutti i tempi: Rachele. Rachele, la moglie di Giacobbe, rappresenta una toccante e umanissima personificazione di tutte quelle donne alle quali non è stato concesso di vivere serenamente l’amore, ma si sono trovate al centro di umilianti e dolorosi contrasti: e l’elenco delle opere che nella Storia della Letteratura trattano questo tema è lunghissimo. Rachele, all’opposto di altre creature poetiche della Letteratura beritica [come per esempio Rebecca], viene presentata come una persona molto concreta e provvista di una grande vitalità soprattutto per il dolore che è chiamata a sopportare.

     Chi legge – e la Scuola rinnova, ancora una volta, l’invito [si tratta ormai di compiti per le vacanze] a compiere questo esercizio – la sequenza narrativa di Giacobbe non può rimanere insensibile al fascino della figura di Rachele: dalla sua comparsa come bellissima pastorella in mezzo al suo gregge, al momento in cui, dopo anni e anni di gelosie e di contrasti [come abbiamo letto], riesce a dare alla luce il suo primogenito, Giuseppe [il protagonista di quello che è un vero e proprio romanzo della Letteratura beritica], fino al momento della sua morte causata da un secondo parto, quello di Beniamino, per il quale da una parte è orgogliosa ma dall’altra è stizzita: la figura di Rachele è l’emblematico simbolo doloroso dei limiti dell’amore terreno, fatalmente impotente a mantenere tutte le sue lusinghe e tutte le sovrumane promesse che mai potranno essere mantenute e di cui le donne, spesso, sono le prime vittime.

     Questi personaggi, come abbiamo detto – Giacobbe, Esaù, Rachele – sono entrati nella Storia della Letteratura e sono stati interpretati e rielaborati dalle scrittrici e dagli scrittori moderni e contemporanei. Un esempio poco conosciuto ma significativo e che quindi non può passare inosservato in funzione della didattica della lettura e della scrittura è un romanzo che, esplicitamente, s’intitola Esaù e Giacobbe pubblicato nel 1904 e scritto da Joaquim Maria Machado de Assis (1839-1908) che è uno dei più importanti scrittori della Letteratura brasiliana, autore di opere famose – che hanno avuto e che hanno una rinomanza mondiale – come Memorie postume di Braz Cubas (1881), Quincas Borba (1891) e Don Casmurro (1899). Joaquim Maria Machado de Assis è un narratore che ha fatto scuola nella Letteratura latino-americana e non solo: infatti scrive con uno stile permeato di grande scetticismo ma che conserva una particolare leggerezza perché velato da un carattere sorridente e bonario, ricco di ironia che riprende anche le forme del movimento della sapienza poetica beritica.

     I protagonisti del romanzo intitolato Esaù e Giacobbe sono due fratelli che, ironicamente, si chiamano Pietro e Paolo, sono gemelli figli di Natività, una bellissima ragazza che, mossa dalla naturale curiosità di conoscere l’avvenire delle sue creature, consulta una chiromante, Barbara, la quale, con ambigue parole, predice che per questi bambini ci saranno: grandi cose future. La madre confida che saranno vittoriosi nella vita, ma i due gemelli, man mano che crescono, dimostrano un sempre maggiore contrasto tra di loro, come se la loro storia fosse la ripetizione di quella di Esaù e di Giacobbe. Pietro e Paolo non si scontrano né per ambizione di primogenitura né per brama di ricchezze, ma per una profonda divergenza di caratteri, di sentimenti e di idee. Da bambini non fanno che prendersi a pugni, da adolescenti sono contrari in tutto, anche nelle opinioni politiche: uno è monarchico, l’altro è repubblicano.

     La sola volta che concepiscono lo stesso sentimento è per innamorarsi entrambi di Flora, unica figlia della irrequieta e ambiziosa donna Claudia. Flora è una fanciulla, all’apparenza, bella è buona, ma, a giudizio d’un amico di casa, il Consigliere Aryas, è una persona incomprensibile, misteriosa, indecifrabile. I gemelli amano lei, ed ella – apparentemente con grande naturalezza – li ricambia senza preferenze.

     Ma ora non si può più raccontare oltre per non svelare la trama a chi volesse leggerlo questo romanzo. Il valore di questo libro sta soprattutto nell’arte con cui Machado de Assis dipinge i suoi personaggi, ne fissa i caratteri, ne mette in evidenza le contraddizioni, con estrema coerenza di immagini e con analisi acuta, mentre descrive l’ambiente di Rio de Janeiro e l’epoca in cui si svolge l’azione, creando un’opera tipicamente brasiliana, anzi carioca, ma dal carattere universale così come lo sono i racconti della Letteratura beritica.

     C’è poi anche un romanzo della famosa scrittrice inglese Virginia Woolf (1882-1941) che s’intitola La stanza di Giacobbe e che, come altri romanzi di questa scrittrice, non ha una vera e propria trama, ma è una specie di educazione sentimentale, che ha come protagonista un giovane inglese, una figura che rimanda al personaggio del Giacobbe biblico nella sua attesa di potersi realizzare quando finalmente potrà incontrare Rachele. Virginia Woolf ci mostra la vita di Giacobbe per contorni appena abbozzati: nella sua prima infanzia, durante gli studi universitari e durante la sua vita a Londra e, poi, nell’itinerario alla ricerca della saggezza, fino alla sua scomparsa nella prima guerra mondiale. C’è come al solito una sensibilità acuta e attentissima nella scrittura di Virginia Woolf: un gioco sottile, talvolta febbrile, sempre raffinatamente complesso che non si può capire se non si conoscono le dinamiche formali e i contenuti delle sequenze della Letteratura beritica.

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Puoi cercare in biblioteca o sulla rete questi due romanzi e leggerne qualche pagina

     Come abbiamo detto la figura di Rachele – nella sequenza narrativa di Giacobbe –serve, dal punto di vista letterario, per introdurre uno dei personaggi più importanti creati dal movimento della sapienza poetica beritica: il personaggio di Giuseppe. La seconda parte del Libro della Genesi – dal capitolo 37 al capitolo 50 – contiene un vero e proprio romanzo: La storia di Giuseppe che si presenta come un racconto molto particolare tanto per struttura quanto per ambientazione. Questa storia non è costruita come un mosaico fatto di episodi diversi ma è un racconto dalla trama unitaria, è un romanzo breve. Rispetto alle altre sequenze narrative patriarcali La storia di Giuseppe è quella meno legata alla topografia palestinese: lo scenario [tanto geografico quanto culturale] che fa da sfondo a questo racconto è l’Egitto.

     Giuseppe è anche la figura meno legata al panorama tribale: chi ha scritto questo romanzo breve vuole che il personaggio di Giuseppe faccia pensare all’unità della nazione messa sempre in discussione dalle rivalità, dagli interessi, dalle gelosie interne. La celebre narrazione della vendita di Giuseppe come schiavo [ad opera dei fratelli gelosi] ad una carovana di mercanti ismaeliti o madianiti [il testo cita tutte e due le possibilità], che lo deportano in Egitto, e la storia della sua ascesa da schiavo a consigliere e visir del faraone, appartiene con tutta evidenza al genere della novellistica di intrattenimento, ma è stata collocata, dagli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale], in questo punto della sequenza patriarcale perché ben si presta a porre i presupposti per la vicenda dell’Esodo, del ritorno dall’Egitto in Palestina: vicenda che, come sappiamo, rappresenta la metafora del ritorno dall’esilio a Babilonia verso la terra di Canaan per costituire il nuovo Stato giudaico.

     Il contenuto de La storia di Giuseppe è realistico nel senso che si rifà ad una consuetudine materiale molto diffusa: quella della vendita di schiavi palestinesi in Egitto. A questo proposito abbiamo una serie di testimonianze nella Letteratura ugaritica: un testo di Ugarit [importante città-stato in territorio fenicio che traffica con l’impero egiziano] riporta il caso di una persona «che il suo (stesso) compagno ha venduto agli Egiziani, abbandonandolo e impossessandosi delle sue cose, dei suoi beni». E un altro testo proveniente da Ugarit prevede che certi garanti, se non potranno pagare l’indennità prevista «saranno venduti (come schiavi) in Egitto».

     Per quanto riguarda la città di Ugarit, che abbiamo citato più volte perché la cultura di questo luogo è presente in molte fonti della Letteratura beritica, dobbiamo dire che è un sito importantissimo. Il sito archeologico di Ugarit – oggi si trova in Siria nei pressi della città di Laodicea – è stato scoperto nel 1929 e questo ha permesso una serie di ritrovamenti di testimonianze scritte di straordinaria importanza perché la città di Ugarit è stata punto d’incontro dei popoli hurrita, egiziano e ittita.

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Per saperne di più [sono compiti per le vacanze] consulta l’enciclopedia, la biblioteca o la rete e fai una visita a Ugarit …

     L’Egitto è stato senza dubbio il maggiore mercato di schiavi lungo tutto il corso della storia antica e chi ha scritto La storia di Giuseppe utilizza questo pretesto per inserire nel racconto – oltre ad elementi di intrattenimento – una serie di valenze morali: questo fatto trova dei paralleli che incontriamo in diversi ambiti culturali. Per esempio, in ambiente persiano è stato scritto, nel V secolo a.C., un romanzo intitolato La storia di Ahiqar. Questo romanzo è ambientato alla corte assira e narra la storia del sapiente Ahiqar che [come Giuseppe] assurge, da umili origini, al ruolo di consigliere privilegiato e visir del re Esarhaddon (681-669 a.C.). Altro esempio significativo – che molti di noi dovrebbero ricordare – è La storia di Democede che abbiamo incontrato, lo scorso anno scolastico, nel III libro de Le Storie di Erodoto. Su questa narrazione ci siamo soffermati nel febbraio del 2007 [chi conserva i materiali dei Percorsi in compagnia di Erodoto può andare a ripassare questo episodio, utilizzando anche il nostro sito] e racconta di un medico greco, Democede di Crotone, portato schiavo alla corte del re persiano Dario che è poi assurto [come Giuseppe], per la sua competenza, al rango di commensale del re.

     Tutte le studiose e gli studiosi di filologia biblica sono oggi concordi nel dire che La storia di Giuseppe è stata scritta dagli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] dopo l’esilio. Questo romanzo breve, ha un carattere sapienziale e questa caratteristica si basa sul fatto che è la sapienza di Giuseppe a fargli superare le avversità e a farlo assurgere al potere: questa sapienza si esplica nell’interpretare i sogni ma anche nel resistere saggiamente alle offerte della moglie di Potifar [non è che lui non la desideri ma riflette sulle conseguenze che un suo assenso potrebbe comportare], e poi soprattutto utilizza la sapienza nel predisporre misure economiche che salvano il paese dalla carestia [i famosi «sette anni di vacche magre»].

     Su quest’ultimo punto è utile il confronto con un altro sapiente famoso del VI secolo a.C. [uno dei «sette saggi» della Grecia della sapienza poetica orfica], uno che molti di noi conoscono bene: Talete di Mileto che, secondo una tradizione [riportata da Diogene Laerzio, ma sconosciuta ad Erodoto], si arricchisce avendo previsto, grazie alle sue competenze astronomiche e meteorologiche, un buon raccolto di olive, poi affitta tutti i frantoi della zona per cederli, in seguito, a prezzo maggiorato al momento della maggiore richiesta.

     Dobbiamo notare che le competenze dei due saggi [Talete e Giuseppe] sono analoghe, ma che il loro agire si conforma a modelli ben diversi: Talete agisce a proprio vantaggio personale e utilizza i procedimenti dell’economia di mercato, mentre Giuseppe agisce a vantaggio dello Stato e utilizza i procedimenti dell’economia redistributiva. L’esito dell’azione amministrativa di Giuseppe consiste in un accentramento di tutte le terre nelle mani del Faraone [dello Stato], salvo le terre dei sacerdoti [come mettono in evidenza gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale]] a tutela dell’autonomia economica del Tempio rispetto all’amministrazione imperiale [“libera Chiesa in libero Stato, direbbe Cavour]. In questo senso La storia di Giuseppe – secondo la visione degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – è l’allegoria del tipo di struttura economica che il nuovo Stato giudaico in costituzione dopo l’esilio dovrebbe avere.

     La storia di Giuseppe racconta che in Egitto tutte le terre sono di proprietà nominale del Faraone e i possessori non sono che assegnatari tenuti a corrispondere un canone assai elevato. Nella nuova nazione giudaica la terra è dello Stato e gli assegnatari devono corrispondere un canone che serve ad organizzare i servizi a disposizione di tutti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

 “La storia di Giuseppe” – dal capitolo 37 al capitolo 50 del Libro della Genesi – di cui naturalmente si consiglia la lettura, è contenuta in sole venti pagine ma dense di significati: venti pagine ricalcate poi in migliaia e migliaia di pagine dalle scrittrici e dagli scrittori di tutti i tempi…

     Per quanto riguarda lo studio della Storia del Pensiero Umano il romanzo di Giuseppeè molto importante perché contiene una delle quattro parole-chiave più significative dell’Età assiale della storia. Siccome molte volte abbiamo studiato nei nostri Percorsi questo tema, ci limitiamo ad una citazione: la storia di Giuseppe contiene la parola sogno, in ebraico khalom, che insieme alle parole destino, ordine e iracostituisce uno dei cardini del pensiero dell’Età assiale.

     La storia di Giuseppe [anche se in pochi l’hanno letta] la conoscono tutti [raccontiamola comunque molto brevemente: se qualcuno non la ricordasse] e questa sequenza narrativa racconta che Giacobbe vuole bene in modo particolare a Giuseppe proprio perché è il figlio di Rachele e assomiglia a Rachele. Gli altri figli di Giacobbe, gli altri fratelli di Giuseppe, sono gelosi tanto che un giorno, mentre sono tutti a far pascolare le pecore lontano dall’accampamento decidono di eliminarlo, di farlo fuori: non ne possono più di questo sognatore. Ma, nel mentre, passa una carovana di mercanti diretta in Egitto e allora pensano di vendere Giuseppe a questi mercanti come schiavo, lo vendono e, tornati all’accampamento, raccontano a Giacobbe che Giuseppe è stato sbranato da un animale feroce: Giacobbe si dispera. In Egitto Giuseppe viene venduto a un ricco signore, Potifar, consigliere del faraone, del quale Giuseppe, che è intelligente e fedele, diventa il segretario particolare. Ma Giuseppe è anche un bel giovane e la moglie di Potifar si innamora e cerca di sedurlo, ma lui, per non tradire il suo padrone, rifiuta le proposte della signora la quale, impermalita, si vendica denunciandolo, dicendo che lui la voleva violentare. Potifar fa mettere il povero ragazzo in prigione e in prigione Giuseppe rivela una dote particolare: sa interpretare i sogni e ne dà prova. Questa notizia arriva alle orecchie del Faraone che aveva fatto dei sogni strani e nessuno dei suoi consiglieri sapeva esattamente interpretare. Così viene chiamato Giuseppe il quale, non solo interpreta i sogni del Faraone, ma è anche capace di proporre in modo saggio un programma economico per salvare l’Egitto dalla crisi, dalla imminente carestia. Giuseppe diventa il grande amministratore dell’Egitto e quando, infatti, arriveranno tempi di carestia [di vacche magre”], i granai del Paese sono pieni perché Giuseppe aveva saputo essere previdente: sognare – e gli scrivani di Israele fanno propria questa idea nel momento in cui mettono per iscritto i propri sognisognarenon significa fantasticare ma significa costruire il futuro, progettare l’avvenire.  Anche Giacobbe con i suoi figli, i fratelli di Giuseppe, sono costretti a emigrare in Egitto per cercare di sopravvivere e lì, non lo riconosceranno subito, ma poi – attraverso questo straordinario racconto ricco di espedienti narrativi – ci sarà il riconoscimento, il perdono, la riconciliazione e i figli di Giacobbe resteranno in Egitto.

     La figura di Giuseppe – secondo l’intento degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – serve per convalidare maggiormente i rapporti tra l’Egitto e la terra di Canaan e diventa l’anello di congiunzione tra i Patriarchi antichi [Abramo, Isacco, Giacobbe] e Mosè. La figura di Giuseppe è il tassello fondamentale attraverso il quale il concetto della berit [del patto di solidarietà tra Dio e gli antichi patriarchi] si lega a quello della toràh [la Legge uguale per tutti, nella versione del Deuteronomio].

     Ma a noi, ora, interessa capire – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – più che la trama, che tutti conosciamo [e che possiamo acquisire leggendo il testo della seconda parte della Genesi], quali sono le fonti di questo racconto, da dove attinge il testo del romanzo di Giuseppe. Gli scrivani d’Israele, per comporre La storia di Giuseppe, hanno attinto anche da un racconto della tradizione egizia che era sicuramente famoso nell’area mediorientale. Quest’opera narrativa noi la conosciamo perché è riportata dal celebre papiro Orbiney che è stato il primo testo letterario dell’Egitto antico conosciuto in Europa. Questo papiro risale alla fine della XIX dinastia (1345-1200 a.C.) e fu acquistato dalla signora inglese Elizabeth Orbiney e attualmente è conservato nella sezione egizia del Museo Britannico. Il testo di questo papiro contiene una significativa opera narrativa intitolata Il racconto dei due fratelli.

     Leggiamo quello che le esperte e gli esperti di papirologia hanno potuto tradurre di questo testo [certe parti sono illeggibili, purtroppo] in modo che noi possiamo cogliere alcune significative affinità che legano il testo de Il racconto dei due fratelli, La storia di Giuseppe e anche L’Epopea di Gilgamesh e del Papiro Smith.

LEGERE MULTUM….

Papiro Orbiney.  Il racconto dei due fratelli  (1345-1200 a.C.)

Questa è la storia di due fratelli che differiscono tra loro per età e per condizione:

il maggiore, Anûp, possiede una casa e ha una moglie; il minore, Biti, convive con Anûp

come uomo di fatica. Un giorno, nella stagione della semina, il fratello maggiore invia Biti a casa per rifornirsi di semente.

Nella casa, la moglie è intenta ad accomodarsi la pettinatura. Essa guarda con ammirazione il giovane che,

vigoroso, trasporta senza sforzo sulle spalle un forte carico, e non può trattenersi dall’esprimergli il desiderio d’amore

che la pervade: ma il giovane, all’invito allettante, s’irrita come un leopardo del sud e la rimprovera per questa proposta insinuante.

Tornato nel campo, prosegue a lavorare alacremente, per sfuggire

ai pensieri, fin sul tardi.  A sera, il maggiore, rincasato per primo, trova la moglie stesa

a terra, che simula di essere stata percossa: Biti – dice – l’ha maltrattata, dopo aver tentato inutilmente di farle violenza.

Anûp affila il coltello e si colloca dietro alla porta della stalla per uccidere il fratello minore,

quando ritornerà con le vacche radunate dal pascolo.

Le vacche scorgono Anûp dietro la porta e ne danno notizia a Biti, che si lancia a corsa pazza invocando l’aiuto del dio Rîe-Haràhte:

tra l’inseguito e l’inseguitore che lo incalza si forma improvvisamente un ampio tratto d’acqua, popolato di coccodrilli.

La mattina seguente, il minore si discolpa; egli, prosegue

a dire, non convivrà col fratello. Se ne andrà tutto solo nella Valle del Cedro

e collocherà il suo cuore [pthat] sulla sommità del fiore del cedro. Sarà in vita finché l’albero non verrà abbattuto

e il suo cuore non cadrà a terra. Anûp sarà avvertito della sua morte da un certo segnale:

in tal caso, muova subito alla ricerca del cuore, anche se la ricerca debba protrarsi per anni.

Appena l’avrà trovato, lo collocherà in un vaso d’acqua fresca ed egli, Biti, vivrà di nuovo.

Indi i due fratelli si dividono. Anûp torna a casa triste in cuore, uccide la moglie e ne getta ai cani le membra.

Gli dèi si interessano dei casi e della solitudine in cui Biti passa i suoi giorni

nella Valle del Cedro e gli creano una donna come compagna, bellissima, cui le sette dee Hathór

profetizzano che morrà di morte violenta. Un ricciolo di questa donna, strappatole dall’albero del cedro,

viene trasportato dal fiume in Egitto, anzi nell’interno della lavanderia reale. Il faraone dispone ricerche perché venga condotta

a Corte la donna cui appartiene il mirabile ricciolo. La donna stessa, scoperta

dagli inviati, suggerisce di abbattere l’albero del cedro, il cuore di Biti cade a terra

e l’uomo muore. Anûp, avvertito dal segnale concordato dell’avvenuta morte di Biti, riesce a ritrovarne il cuore

che tuffa in un vaso d’acqua fresca. Tornato in vita, Biti, allo scopo di poter essere accolto a Corte

e di poter parlare con colei che fu già destinata a lui come compagna, assume dapprima l’aspetto di un toro divino e, poi,

di due piante di cedro. Mentre i legnaioli abbattono le due piante per farne mobili,

una scheggia penetra nella bocca della donna, la quale concepisce

e dà alla luce un bambino che viene nominato principe ereditario e che, a suo tempo, salirà al trono d’Egitto.

     Questo testo – nel quale, abbiamo detto, ci sono molte lacune – è pieno di spirito inventivo e di immaginazione, è stato composto per il piacere di raccontare [è novellistica di intrattenimento], e ci sono tutte le componenti narrative utili per attirare l’attenzione. Gli scrivani d’Israele utilizzano la scena della seduzione, che è la scena madre, proprio per attribuire un tono romanzesco al loro racconto, per dare un certo brio a La storia di Giuseppe.

     La storia di Giuseppe – per le sue caratteristiche di episodio insieme meraviglioso, patetico e morale – dal Medioevo in poi ha ispirato moltissime opere di poesia, di pittura e di musica. Una delle più antiche e caratteristiche è il Poema de Yuçuf o di José, scritto da un anonimo autore moresco aragonese tra il 1200 e il 1300 sul metro della cuaderna via [quartine in rima di quattordici sillabe]. Questo notevole frammento appartiene alla Letteratura detta aljamiada, scritta cioè in lingua spagnola da Arabi di Spagna che di solito per la trascrizione si servono di caratteri arabi. Questo autore narra la storia di Giuseppe secondo l’interpretazione che ne dà la Letteratura del Corano nella XII sura. La storia di Giuseppe secondo l’interpretazione che ne dà la Letteratura del Corano è stata tramandata anche in due poemi persiani intitolati Yusuf e Zalikha scritti da due grandi poeti: Firdusi e di Giami. Il poeta Giami è morto nel 1492, mentre Firdusi è più antico, è morto nel 1020, ed è il celebre autore del famoso Libro persiano dei Re. Firdusi, in vecchiaia, quasi a espiazione per aver cantato gli eroi pagani nel Libro dei Re, ha messo in versi la leggenda ebraico-islamica di Giuseppe.

     Quali sono le caratteristiche della leggenda ebraico-islamica di Giuseppe? La Letteratura del Corano riporta la storia di Giuseppe attraverso il commento che ne fa il Talmud ebraico [sappiamo che cos’è il Talmud] ed è per questo che si parla di leggenda ebraico-islamica di Giuseppe.

     Per capire meglio che cosa racconta la Leggenda ebraico-islamica di Giuseppe approfittiamo del lavoro di un intellettuale arabo che si chiama Ibn Jubayr, uno dei più grandi scrittori di viaggi della Storia della Letteratura. Ibn Jubayr ha scritto una famosa Relazione di viaggio: egli parte il 3 febbraio 1184 da Granata, in Andalusia, e ritorna a casa il 25 aprile 1185. Ogni pagina della sua Relazione è pervasa da quello che si chiama lo spaesamento mistico, che è uno degli stili con cui è scritta la Letteratura del Corano, inoltre fa moltissime citazioni e tra queste c’è anche una sintesi del poema Yusuf e Zalikha di Firdusi: adesso leggiamo questo brano.

LEGERE MULTUM….

Ibn Jubayr,  Relazione di viaggio  (1185)

Il saggio Firdusi scrive in versi sublimi che Yusuf (Giuseppe), venduto dai fratelli invidiosi, capita in Egitto ed è fatto tesoriere in casa del gran visir (Putifarre), la cui moglie Zalikha [nel poema di Firdusi compare per la prima volta questo nome] si innamora di lui.

Zalikha invita tutte le donne egiziane a contemplare la bellezza di Giuseppe, da cui tanto restano affascinate che non si accorgono di tagliare coi coltelli, durante il convito, le proprie stesse mani invece della frutta.

Zalikha, cacciata con un bando col marito al rivelarsi dell’innocenza di Giuseppe, lo rivede al colmo della gloria quando ella è ormai invecchiata e vedova, e per intercessione di Giacobbe è fatta ringiovanire e sposata dall’uomo che ella aveva tanto amato.

     Firdusi, nel suo poema, prevede un lieto fine, e c’è un lieto fine anche nel poema di Giami, perché questa coppia, Yusuf e Zalikha, rappresenta un esempio classico di amore contrastato e fedele, e non è il solo esempio nella Letteratura islamica.

     La storia di Giuseppe – come abbiamo detto – ha ispirato molte opere musicali. Dobbiamo ricordare, a questo proposito, il dramma sacro composto da Pietro Metastasio (1698-1782) intitolato Giuseppe riconosciuto e rappresentato a Vienna nel 1733 nella cappella di Corte, con la musica di Giuseppe Porsile. Celebre è anche l’opera lirica in tre atti intitolata Giuseppe in Egitto di Ètienne-Nicolas Méhul (1763-1817) su libretto di Alexandre Duval (1767-1842), la cui prima esecuzione è avvenuta a Parigi nel 1807. Fra le tante opere musicali è notevole la pantomima intitolata Leggenda di Giuseppe di Richard Strauss (1864-1949), rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1914.  Queste annotazioni servono per chi ama l’ascolto e voglia fare una ricerca tanto sull’enciclopedia o in biblioteca o sulla rete.

     E ora, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, a proposito del tema che stiamo trattando, dobbiamo tirare in ballo uno scrittore che si chiama Thomas Mann (1875-1955) e che tutti abbiamo sentito nominare. La storia di Giuseppe ha ispirato a Thomas Mann una celebre tetralogia [quattro romanzi] intitolata Giuseppe e i suoi fratelli che rappresenta il documento più consistente, nella letteratura, dell’opposizione tedesca al terzo Reich. Thomas Mann – non in termini caricaturali ma attraverso tutto il peso della cultura – contrappone alla squallida figura del dittatore, che ha in odio l’intelligenza e pretende di imporre un unico pensiero, il personaggio di Giuseppe che sa produrre sollecitazioni per l’intelletto in modo da stimolare una pluralità di pensieri. La tetralogia comprende: Le storie di Giacobbe (1933), Il giovane Giuseppe (1934), Giuseppe in Egitto (1936) e Giuseppe il Nutritore (1943).

     Thomas Mann ha ripreso questa sequenza narrativa senza togliere nulla alla tradizione ma utilizzandola in tutta la sua molteplice varietà, appoggiandosi non solo al Libro della Genesi e ai suoi commenti, ma anche alle fonti storiche, soprattutto alla religione, ai miti, alla cultura egizia, babilonese e assira, ha sfruttato le poche notizie intorno alle tribù nomadi semite, ha attinto alla versione coranica della storia di Giuseppe [di cui abbiamo parlato un momento fa] e alla tradizione orale intessuta di leggenda, che i pastori si raccontano sotto le stelle nelle notti campestri. Con uno di questi colloqui fra Giacobbe e il figlio prediletto, primogenito di Rachele, comincia infatti il primo romanzo, al pozzo presso l’albero degli ammaestramenti sulle colline di Hebron.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

La Scuola ha il dovere di consigliare la lettura di questi quattro romanzi anche se lo stile della narrazione, che è sempre elevato, mette a dura prova la costanza della lettrice e del lettore, che, a volte, desidererebbe una maggiore leggerezza …

Il sistema del “legere multum” – quattro o due pagine al giorno – è il più efficace per affrontare la tetralogia di Thomas Mann tenendo anche conto del fatto che quest’opera tratta un tema di cui possediamo molte chiavi: infatti, strada facendo sulla scia di questo Percorso che sta per concludersi, abbiamo potuto conoscere molti argomenti, molti personaggi, molti aspetti fondamentali della Letteratura beritica che lo scrittore tedesco riprende e sviluppa …

Quindi la lettura della tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann è impegnativa ma per chi ha affrontato i temi presentati in questo Percorso, altrettanto impegnativo, risulta un esercizio significativo e anche piacevole…

     Naturalmente la leggenda di Giuseppe ha trovato un posto di rilievo anche nella pittura e ora non possiamo che citare le opere più note: tra queste ci sono la serie di affreschi di Benozzo Gozzoli al Camposanto di Pisa, e di Raffaello nelle Logge vaticane. Nella galleria a Palazzo Pitti, a Firenze, esistono sull’argomento due tele di Andrea del Sarto, agli Uffizi il più celebre è il quadro del Pontormo intitolato Giuseppe presenta il padre al Faraone. Nella galleria di Dresda e al Louvre a Parigi i quadri sulla storia di Giuseppe sono molti, al Louvre il più noto è quello di Flandrin dal titolo Giuseppe venduto dai fratelli. A Madrid al Prado la più famosa su questo tema è una tela di Rubens dal titolo Giuseppe nominato re d’Egitto. Rembrandt ha trattato molte volte l’argomento in stampe, acqueforti e quadri di cui uno, Giuseppe e la moglie di Putifarre, è a San Pietroburgo. Più recentemente il tema ha interessato i preraffaelliti [Overbeck, Cornelius, Veit...] che hanno dipinto alla villa Bartholdy a Roma.

     Il nostro viaggio si avvia verso la conclusione.

     Siamo partiti, a ottobre dello scorso anno, da Alessandria dove abbiamo partecipato alle attività di traduzione in greco dei Libri della Letteratura beritica e alle dispute tra filotraduzionisti e controtraduzionisti.

     Poi siamo stati a Babilonia, in esilio, nel pieno della fioritura delle Scuole di costruzione del testo intitolate ad Amos, a Geremia e ad Isaia.

     Dopo l’Editto di Ciro abbiamo partecipato, a Gerusalemme, alla grande attività costituzionale per la costruzione del nuovo Stato giudaico: lo Stato giudaico, praticamente, non è nato mentre la costituzione” [il canone giudaico-palestinese] è rimasta come patrimonio culturale nella Storia del Pensiero Umano.

     Il nostro Percorso ha toccato quindi, itinerario dopo itinerario, Alessandria, Babilonia e Gerusalemme: dove si conclude il nostro viaggio? Il nostro viaggio si conclude a Ferrara perché, in questa città, ci aspetta uno scrittore che di conclusioni, o meglio, di riflessioni su ciò che sta per concludersi, se ne intende: questo scrittore si chiama Giorgio Bassani. Giorgio Bassani è nato a Bologna nel 1916 in una famiglia ebrea ferrarese, e difatti sarà sempre legato affettivamente a Ferrara. A Bologna Bassani ha studiato ed è cresciuto culturalmente e la sua formazione non si basa tanto su l’atavica fede biblica – anche se la Letteratura beritica emerge sempre nelle sue opere – quanto piuttosto sulla fede laica del liberalismo sostenuta da Benedetto Croce. Nel 1938 la famiglia Bassani viene colpita dalle persecuzioni razziali e Giorgio [che si è laureato nel 1939 discutendo una tesi su Niccolò Tommaseo] è costretto a pubblicare il suo primo libro intitolato Una città di pianura (1940), sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi. Nel 1942 ha inizio l’attività clandestina di Bassani nella Resistenza [insieme ad altri scrittori come Vittoriani, Calvino, Fenoglio]. Bassani viene arrestato nel 1943 e quando viene liberato, dopo due mesi, da Bologna si trasferisce a Firenze, dove è vissuto sotto falso nome svolgendo il lavoro clandestino con gli esponenti del Partito d’Azione nell’organizzazione Giustizia e Libertà. Intanto i suoi parenti ferraresi finiscono nel campo di sterminio di Buchenwald, ed è questo l’evento traumatico che ispira le pagine più memorabili della produzione di Bassani. Dopo la Liberazione si trasferisce a Roma e fa diversi mestieri, lavora anche come sceneggiatore cinematografico e perfino come attore: nel film di Emmer Le ragazze di Piazza di Spagna ha avuto una particina, nel ruolo di professore, che ha interpretato benissimo perché quello era il suo aspetto.

     Bassani è stato redattore di due importanti riviste letterarie: Botteghe Oscure diretta da Roberto Longhi e poi di Paragone diretta da Anna Banti. Bassani si è dedicato al giornalismo, è stato consulente di case editrici e, a questo proposito, lo abbiamo incontrato nel Percorso dello scorso anno perché a lui si deve, su mandato della casa editrice Feltrinelli, la scoperta e la pubblicazione (1958) del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, che è stato per noi oggetto di studio e di riflessione. La produzione di Giorgio Bassani, come scrittore, è molto vasta ed è formata da raccolte di poesia, da saggi e soprattutto da racconti e romanzi brevi: ricordiamo le Cinque storie ferraresi (1956) e Il romanzo di Ferrara.

     Con il titolo Il romanzo di Ferrara Bassani raccoglie (1974) in un’opera unica tutti i romanzi e i racconti che sono ambientati a Ferrara e che vedono come protagonisti i personaggi della comunità ebraica che erano perfettamente inseriti, da secoli, in questa bellissima città [nessuno sapeva neppure che ci fossero gli Ebrei a Ferrara prima delle nefande leggi razziali. De Il romanzo di Ferrara fa parte oltre a Gli occhiali d’oro (1958), a Dietro la porta (1964), a L’airone (1968), a L’odore del fieno (1972), a Dentro le mura (1973) anche Il giardino dei Finzi-Contini (1962). Ed è proprio qui, in questo giardino, che vogliamo concludere il nostro viaggio.

     Il movimento della sapienza poetica beriticaha prodotto – come abbiamo studiato – un patrimonio inestimabile di opere letterarie che raccontano tante storie, ordinate in sequenze dagli scrivani d’Israele, e che hanno come filo conduttore due parole-chiave: la berit (il patto di solidarietà) e la toràh (la Legge uguale per tutti). Il cammino, l’itinerario culturale, di queste due parole-chiave, di questi due concetti cardine, comincia da un giardino, ed è per questo motivo che la conclusione di questo nostro Percorso non può che passare per un giardino.

     Il Giardino dei Finzi-Contini è un’opera di ampio respiro, che si pone nella dimensione della memoria individuale [autobiografica] che si fonde con la storia. Questo romanzo evoca infatti la vicenda della giovinezza di colui che narra e del suo inappagato amore per Micòl [la protagonista del romanzo], una fanciulla appartenente alla ricca famiglia ebrea ferrarese dei Finzi-Contini e, attraverso la sorte di questa famiglia, il romanzo documenta la persecuzione degli ebrei in Italia dopo la promulgazione delle leggi razziali del 1938 [da questo romanzo è stato tratto l’omonimo film diretto da Vittorio De Sica].

    Nel capitolo V del romanzo hanno inizio le ricognizioni nel giardinoche, in realtà, è un grandioso parco, con esotiche piante centenarie, puntigliosamente nominate con i loro esatti termini scientifici da Micòl, che non disdegna però le parole dialettali: i pum, i figh, i pèrsagh.

     Il giardino è – secondo il pensiero dell’autore – il centro ideale del romanzo, e non può che diventare un incantato paradiso fuori dal quale sta per iniziare una terribile tragedia: anche Micòl e il suo innamorato verranno cacciati fuori dal giardino ma non da un Dio creatore, che ricorda a tutti gli esseri umani che è necessario rispettare i patti di solidarietà e gli accordi presi, ma dall’idolo del razzismo, della xenofobia, dell’intolleranza.

     Il giardino del romanzo di Bassani ricalca quello della Genesi, ed è carico di mistero non solo per le sue piante esotiche, ma per la sua stessa anima segreta che ricalca l’allegoria del principio e della fine, e anche questo giardino – come quello in Eden – finisce davvero con l’essere abbandonato e travolto quando, durante la guerra, le sue piante secolari saranno abbattute per ricavarne legna da ardere: la colorazione ammaliante e funebre di questo giardino esercita un fascino che spesso, quando si va a Ferrara [conoscete questa città?], non può non venire in mente l’idea di visitare il giardino dei Finzi-Contini pur sapendo che, ormai, si tratta di una metafora. Per fortuna c’è la scrittura e per fortuna c’è la lettura a dare forma alle rovine delle civiltà perdute: leggiamo un frammento dal capitolo quinto.

LEGERE MULTUM….

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini (1962)

Volle essere Micòl a mostrarmi il giardino. Ci teneva. «Mi sembra di averne un certo diritto», aveva sogghignato, guardandomi.                                  

Con poche varianti di percorso, queste esplorazioni a largo raggio le ripetemmo diverse altre volte nei pomeriggi successivi. Quando lo spazio lo consentiva, pedalavamo appaiati. E intanto parlavamo: di alberi, soprattutto, almeno da principio. In materia non sapevo nulla, o quasi nulla, e la cosa non finiva mai di meravigliare Micòl. Mi squadrava come se fossi un mostro. «Possibile che tu sia così ignorante?», esclamava. «L’avrai pure studiata, al liceo, un po’ di botanica!» «Sentiamo», chiedeva poi, già preparata a inarcare le sopracciglia dinanzi a qualche nuova enormità. «Potrei sapere, per favore, che specie di albero Lei pensa che sia, quello laggiù?»...

     Nel significativo Prologo di questo romanzo si racconta di una gita fatta dal narratore, con un gruppo di amici, in una domenica di primavera del 1957, e della visita alle millenarie tombe etrusche di Cerveteri. La necropoli, massiccia come una fortificazione, suggerisce allo scrittore l’immagine consolatrice di un’eternità in cui tutto rimane immobile. Il silenzio della campagna riconduce il narratore al ricordo del favoloso Barchetto del Duca, cioè alla casa e al parco dei Finzi-Contini, che vissero aristocraticamente appartati, quasi come gli antichi etruschi, e finirono – sfrattati dal giardino – nell’orribile inferno dei campi di sterminio attraverso l’abominio di leggi che – al contrario della toràh – osavano decretare che gli esseri umani non sono tutti uguali.

LEGERE MULTUM….

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini (1962)

Prologo

Da molti anni desideravo scrivere dei Finzi-Contìni – di Micòl e di Alberto, del professor Ermanno e della signora Olga -, e di quanti altri abitavano o come me frequentavano la casa di corso Ercole I d’Este, a Ferrara, poco prima che scoppiasse l’ultima guerra. Ma l’impulso, la spinta a farlo veramente, li ebbi soltanto un anno fa, una domenica d’aprile del 1957. Fu durante una delle solite gite di fine settimana. Distribuiti in una decina d’amici su due automobili, ci eravamo avviati lungo l’Aurelia subito dopo pranzo, senza una meta precisa. A qualche chilometro da Santa Marinella

... continua la lettura ...

     Questo arduo Percorso scolastico, dell’anno 2007-2008, termina dal punto di vista del contenuto con un doveroso richiamo alla memoria e per quanto riguarda la forma si conclude con un prologoche deve servire da auspicio per intraprendere – dopo la vacanza estiva – un nuovo viaggio di studio.

     Quale territorio attraverseremo nel prossimo anno scolastico? A questo proposito possiamo osservare il programma sul quale troviamo – per orientarci – una significativa Storiella ebraica. Leggiamola:

LEGERE MULTUM….

A cura di Ferruccio Fölkel,  Storielle ebraiche

Un ebreo e un greco, primedonne della cultura, rivaleggiano sui talenti dei rispettivi popoli. 

Dice il greco: «Cosa vuoi sapere tu? Noi greci abbiamo scavato, scavato, scavi archeologici sotto Atene e abbiamo trovato fili. Perché già a quei tempi avevamo il telegrafo».

«Cosa vuol dire questo?» replica l’ebreo. «Anche noi abbiamo fatto scavi archeologici, abbiamo scavato, scavato, scavato sotto Gerusalemme. Non abbiamo trovato niente! Perché già avevamo il telegrafo senza fili!».

     Nel corso di quest’anno scolastico abbiamo ascoltato i messaggi provenienti dal telegrafo beritico senza fili, nel percorso del prossimo anno scolastico ascolteremo i messaggi del telegrafo orfico con i fili. Cammineremo in equilibrio [almeno, ci proveremo] sui fili tesi tra un Dialogo e l’altro da Socrate e da Platone e sui fili tesi tra la Fisica e la Metafisica da Aristotele.

     Buone vacanze e buoni compiti per le vacanze perché senza studium et cura che vacanza è?

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 30, 2008