ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna 29–30-31 marzo 2017
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA
DAL SOFFITTO DELLA SISTINA ARRIVA L’INVITO
A LEGGERE IL LIBRO DEL PROFETA ZACCARIA ...
Questo è il ventunesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” e siamo sul punto di entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio, anche se, come abbiamo detto, il verbo “osservare” non si addice propriamente all’esercizio che stiamo per intraprendere: secondo la natura del nostro Percorso “osservare” significa soprattutto indagare sul piano della didattica della lettura e della scrittura per capire quale tipo di investimento in intelligenza è stato fatto [è stato messo in atto].
L’attesa di questi mesi [di cammino ininterrotto, la prossima sarà la Lezione pre-pasquale] non è stata infruttuosa e, strada facendo, come ben sapete, abbiamo studiato in primo luogo l’itinerario della formazione culturale di Michelangelo in modo da poter fare l’inventario delle parole-chiave e delle idee-cardine che costituiscono il patrimonio intellettuale che abbiamo ereditato da quel periodo che chiamiamo “Rinascimento”.
Il Rinascimento è un complesso movimento culturale [che parla il greco, il latino, l’ebraico, l’arabo] che ha inaugurato l’Età moderna immettendo sulla scena della Storia del Pensiero Umano una serie di opere - e la scorsa settimana abbiamo studiato quelle composte da Erasmo da Rotterdam [l’ultimo di una lunga sequenza di personaggi che abbiamo già incontrato sul nostro cammino e che sono autori di opere fondamentali nella Storia del Pensiero Umano] -, che si caratterizzano per aver messo in risalto la parola-chiave “autonomia” [la capacità di investire in intelligenza che ciascuna persona deve acquisire].
Una di queste opere - che mette in risalto la parola-chiave “autonomia” - è anche l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina, ma voi direte che non si tratta di un’opera scritta e, difatti, tecnicamente non lo è ma se andiamo a vedere quanti Libri sono stati dipinti su quel soffitto [e voi lo sapete già] ci rendiamo conto che l’intenzione di Michelangelo e, prima ancora, di papa Giulio II, su consiglio di Fedra Inghirami, è quella di invitarci [se non di obbligarci] a leggere e, di conseguenza, a riflettere.
Come ormai ben sapete, Il 31 ottobre 1512 viene ufficialmente inaugurata quest’opera [l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina e c’è una corrente di pensiero che sostiene che questa è la data d’inizio dell’Età moderna], e noi conosciamo gli avvenimenti relativi alla realizzazione, i commenti pro e contro, la documentazione soprattutto quella epistolare e memorialistica relativa a questa impresa, e sappiamo anche che, meno di quattro mesi dopo, nel febbraio del 1513, papa Giulio II, il committente dell’opera, muore [lasciandola a noi in eredità, un’eredità spirituale e intellettuale].
La prima cosa da dire è che oggi non si entra più nella Cappella Sistina come una volta, oggi c’è un impatto molto diverso da quello che Michelangelo ha concepito perché la grande porta papale d’ingresso è chiusa al pubblico per cui si passa da uno stretto ingresso che si trova dalla parte opposta della Cappella, un ingresso che viene dal labirinto del vasto complesso dei Musei Vaticani. La visita alla Cappella Sistina - che avviene sempre in mezzo ad un nutrito e compatto gruppo di turisti [è come stare in piedi su un autobus nell’ora di punta] - finisce spesso col ridursi a un’intensa stimolazione sensoriale che dura una decina di minuti o un quarto d’ora, e che consiste in una rapida, se pur complessiva, visione degli affreschi anche se in un ordine opposto rispetto a quello progettato da Michelangelo, e non stupisce, quindi, che la maggior parte del significato dell’opera rimanga nel complesso del tutto sconosciuto alle persone in visita.
Per apprezzare l’opera di Michelangelo occorre, in primo luogo, conoscere le intenzioni del committente, rendersi conto della competenza del consulente librario, essere al corrente sulla formazione culturale dell’artista, sul suo apprendistato creativo avvenuto nel fermento intellettuale di Palazzo Medici a Firenze, bisogna conoscere il contenuto dei suoi studi soprattutto sulla tradizione ebraica [guidato da Marsilio Ficino e da Pico della Mirandola]: questi sono i temi che abbiamo studiato in questi mesi.
Oggi, abbiamo detto, non si entra più nella Cappella Sistina come una volta, ma noi - che viviamo in un tempo diacronico [cioè scandito sul passo di un Percorso di Storia del Pensiero Umano] - entriamo come una volta perché vogliamo orientarci secondo il progetto predisposto da Michelangelo e da Giulio II, su suggerimento di Fedra Inghirami. Michelangelo presenta al papa uno schema assai complesso sul quale dobbiamo cercare di fare chiarezza.
Se si entra nella Sistina dalla porta principale secondo l’orientamento che Michelangelo ha dato al progetto, si può abbracciare con lo sguardo la Cappella nella sua totalità e, per prima cosa, si ha modo di rendersi conto dell’intera lunghezza dell’edificio e poi, in un secondo momento, gradualmente, un passo dopo l’altro, ci si immerge nel gran numero di immagini affrescate sul soffitto. L’obiettivo di Michelangelo [dell’artista] è duplice: prima di tutto vuole creare l’impatto della veduta d’insieme, in modo da produrre una visione suggestiva che sia fonte di ispirazione e possa donare un piacere a livello sensoriale ed emotivo. Il secondo obiettivo è legato al concetto che abbiamo studiato due settimane fa: il concetto di “decorar mostrando”, per cui i contenuti più profondi dell’affresco e “pericolosi” [per il giudizio negativo che può dare il Sant’Uffizio] sono ben inseriti in un’opera di tale vastità che, anche il recensore critico più esperto [vedi il magistrato inquisitore Giovanni Rafanelli], rimane inizialmente confuso, turbato e disorientato.
Per dare un’idea della quantità di temi, vicende e personaggi che Michelangelo ha rappresentato sul soffitto della Cappella, per non perderci cominciamo col fare un breve elenco delle sue componenti fondamentali dicendo, per prima cosa, che la griglia di fondo è quella di una serie di “colpi d’occhio” architettonici che servono a dividere la vasta superficie in riquadri, e nei riquadri, di varie forme geometriche, troviamo: i quattro interventi in aiuto al popolo ebreo, i profeti, le sibille, i medaglioni, le ghirlande, i grandi ignudi, i nudi bronzei, i putti e le due sezioni iniziali della Torah [dal Libro della Genesi] distinte per episodi. Sono così tanti i contenuti narrativi e decorativi che, sebbene l’affresco del soffitto della Sistina, con i suoi oltre millecento metri quadrati di superficie, sia il più vasto che mai sia stato eseguito, esso appare sovraccarico di immagini, e lo è di proposito. Michelangelo [in accordo con Giulio II] si è comportato come un abile prestigiatore che esegue i suoi numeri, il quale, con una mano fa tanti gesti e movimenti per attirare tutta l’attenzione, in modo che nessuno si accorga del vero trucco eseguito con l’altra mano.
La maggior parte delle immagini presenti nell’affresco ha un significato che rimanda al senso del contenuto generale dell’opera che deve rappresentare per volere papale l’impellente necessità di una riforma strutturale e culturale della Chiesa che deve avvenire promuovendo il ritorno al Vangelo, risalendo alle fonti dell’Alleanza [la berit] stipulata tra Dio e l’Essere umano fin dal momento della creazione così come raccontano i Libri del Primo [o Antico] Testamento.
Il Sant’Uffizio, che come sappiamo avversa le scelte teologiche, dottrinali e politiche di Giulio II, ritiene che la Chiesa non abbia bisogno di riforme né strutturali né culturali ma vada governata in modo autoritario attraverso le rigide regole del Diritto canonico che, però, spesso sono in contrasto con i principi evangelici e con lo spirito profetico che nella Chiesa si deve manifestare, e la scorsa settimana abbiamo studiato l’atteggiamento critico di Erasmo da Rotterdam nei riguardi di questa visione legalistica: i suoi studi esegetici sull’interpretazione dei Libri dei profeti biblici [prodotti e pubblicati in diversi volumi prima del 1504] sono già presenti sugli scaffali della biblioteca vaticana per merito di Fedra Inghirami che li studia e poi li utilizza [con il consenso del papa] per orientare meglio, sul piano letterario, il lavoro pittorico di Michelangelo.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Su uno dei tanti cataloghi e navigando in rete andate ad osservare in uno sguardo d’insieme l’affresco del soffitto della Cappella Sistina per abbracciarlo nella sua totalità…
Tra tante immagini raffigurate c’è un particolare che vi colpisce?...
Scrivete quattro righe in proposito ...
La descrizione particolareggiata del soffitto della Cappella Sistina è un esercizio difficile da fare e noi ci proviamo [nel modo più complicato] con l’intento - così come è nell’intenzione di Michelangelo, di Giulio II e di Fedra Inghirami - di utilizzare la variopinta e multiforme saga delle immagini per far emergere i presupposti della natura del nostro Percorso che è in funzione del didattica della lettura e della scrittura; d’altra parte, se noi ignoriamo il significato letterario contenuto nelle figure dipinte, la nostra esperienza di osservatrici e di osservatori rimane circoscritta alle emozioni invece di espandersi sul piano degli investimenti in intelligenza: il committente, il pittore e il consulente librario vogliono invitarci ad osservare per invitarci a leggere e a riflettere [secondo l’obiettivo pedagogico e filologico del decorar mostrando].
Entrando nella Cappella Sistina dal portone principale [secondo l’orientamento che Michelangelo ha dato al suo lavoro], alzando gli occhi, qual è la prima immagine che noi vediamo? La prima immagine che noi vediamo entrando nella Cappella Sistina dal portone principale rappresenta qualcosa di sconcertante [di strano, di inatteso, di inaspettato, di imprevisto].
La prima immagine che noi vediamo, entrando nella Cappella Sistina dal portone principale, rappresenta la figura del primo dei sette profeti raffigurati sul soffitto: il profeta Zaccaria, e sappiamo che si tratta del profeta Zaccaria perché il suo nome [Zacherias] è scritto, così come il nome di tutti i personaggi principali, sotto l’immagine in un riquadro retto da un putto. Il profeta Zaccaria è il primo dei cosiddetti “dodici veggenti” - sette profeti biblici e cinque sibille pagane - che Michelangelo ha posto tutt’intorno alla volta, seduti su troni sospesi che danno l’illusione di sporgersi nel vuoto [e questa è una delle invenzioni più grandiose in assoluto del pittore Michelangelo che continua ad avere lo sguardo di uno scultore].
Questa alternanza tra profeti biblici e sibille pagane [che preannunciano la venuta di Gesù Cristo] è una precisa scelta ideale che ricalca il pensiero della corrente pedagogico-filologica del neoplatonismo [animata da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola] per cui la figura di Gesù Cristo, che non è raffigurata sul soffitto ma è categoricamente sottintesa ed è presente in potenza secondo la logica e la metafisica di Aristotele, acquista il suo valore salvifico alla luce del fatto che il suo avvento [la comparsa del messaggio evangelico] non fa del cristianesimo l’unica “vera religione depositaria della Verità” ma diventa il coronamento dell’unità spirituale che esiste tra la dottrina cristiana, la tradizione biblica del mondo ebraico e la cultura classica del mondo pagano nella logica dell’Universalismo intellettuale che è una caratterista del pensiero del Rinascimento agli albori dell’Età moderna per cui il cristianesimo non rappresenta l’ideologia che sovrasta tutte le altre ma è “un frutto maturo” che, con i suoi principi, dà sapore a tutte le culture precedenti che hanno voluto e saputo far progredire l’idea del Bene [Gesù Cristo non trionfa ma fa lievitare l’idea della salvezza].
La prima cosa che viene da chiedersi è: perché è stata collocata all’ingresso della Cappella Sistina la figura di Zaccaria che è uno degli ultimi e meno conosciuti profeti biblici? Perché Michelangelo e Giulio II, su consiglio di Fedra Inghirami, hanno preso questa decisione? Per rispondere alla domanda dobbiamo dire che le figure dei profeti dipinte sul soffitto della Sistina valgono in quanto sono rappresentative di un Libro, del Libro che porta il loro nome e, difatti, i profeti sono dipinti con un Libro o un rotolo in mano [o di fianco come nel caso di Geremia] meno Giona [l’ultimo profeta dipinto dalla parte opposta di Zaccaria, ma l’oggetto che accompagna l’immagine di Giona è, come vedremo, come se fosse un Libro], e anche le sibille hanno tutte e cinque un Libro in mano, e, come abbiamo già detto e ripetuto, il soffitto della Sistina vuole esaltare la funzione della biblioteca [ed è anche un omaggio reso alla disciplina filologica, all’esercizio della lettura e, di conseguenza, un atto di riconoscenza di Michelangelo verso i suoi maestri].
Il primo elemento sconcertante è che il volto del profeta Zaccaria, dipinto da Michelangelo di profilo, è quello di papa Giulio II, ma noi che conosciamo l’antefatto non ci scomponiamo: infatti, quando Michelangelo a Bologna [ricordate?] ha realizzato la statua in bronzo del pontefice guerriero - rappresentandolo in veste di terribile condottiero vittorioso con la spada in mano dopo aver sottomesso il signore della città Giovanni Bentivoglio che si era ribellato - il papa si mostra soddisfatto di essere stato rappresentato così, ed è contento perché Michelangelo, con la sua ironia, gli ha fornito il pretesto che cercava per affidargli la commissione dell’affrescatura del soffitto della Sistina, e gli dice: «Hai fatto bene, Michelangelo, a rappresentarmi così anche se so che, più che mettermi in mano la spada, avresti preferito mettermi in mano un Libro, perché tu lo sai che io i Libri li amo e le spade le sopporto! Ebbene, dice Giulio II a Michelangelo, adesso ti voglio dare la possibilità di ritrarmi con un Libro in mano [e non me lo puoi negare], e per questo ti aspetto a Roma perché proprio di Libri dobbiamo parlare». E la figura del profeta Zaccaria dipinta da Michelangelo all’ingresso della Cappella Sistina con il volto di papa Giulio II tiene naturalmente un Libro in mano e, quindi, la richiesta del papa si realizza nel senso che il pontefice, con questo volume tra le mani, intende ribadire che lui non vuole sostituire la propria immagine a quella di Gesù Cristo ma intende proclamare, attraverso la Letteratura biblica dei profeti, il carattere universale della figura di Gesù, e il Libro del profeta Zaccaria si presta per questa operazione intellettuale.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Utilizzando uno dei tanti cataloghi che riportano le immagini del soffitto della Cappella Sistina [che trovate in biblioteca] e navigando in rete osservate come è stata rappresentata [la forma, il colore, la posizione] la figura di Zaccaria, e qui se ne riporta una riproduzione fa da riferimento nella ricerca...
Perché il Libro di Zaccaria si presta per introdurre il messaggio che contiene l’affresco del soffitto della Cappella Sistina?
Intanto dobbiamo dire che il messaggio contenuto nell’affresco del soffitto della Sistina è anche il testamento ideologico di Giulio II che muore dopo quattro mesi dall’inaugurazione dell’opera ma per quattro anni e mezzo ne ha seguito la realizzazione.
Il Libro di Zaccaria appartiene al settore dei Libri dei profeti [in ebraico “nebiyim”], un settore che è diviso in due sezioni: la prima sezione è quella dei Profeti anteriori [che consta di sei opere: il Libro di Giosué, quello dei Giudici, il Primo e il Secondo Libro di Samuele e il Primo e il Secondo Libro dei Re], e la seconda sezione è quella dei Profeti Posteriori [quindici scritti] con i Libri di Isaia, di Geremia, di Ezechiele, di Osea, di Gioele, di Amos, di Abdia, di Giona, di Michea, di Naum, di Abacuc, di Sofonia, di Aggeo, di Zaccaria e di Malachia [andate a rileggere l’elenco di questi Libri sull’indice del volume della Bibbia che avete nella vostra biblioteca domestica: è un esercizio di catalogazione].
Che caratteristiche ha il Libro del profeta Zaccaria? In primo luogo dobbiamo dire che lo sviluppo della disciplina filologica, durante il Rinascimento agli albori dell’Età moderna [da Lorenzo Valla in avanti, dal 1440], ha favorito lo studio e l’interpretazione soprattutto dei Libri dei profeti perché gli Umanisti hanno trovato nei testi di questa Letteratura i motivi, i presupposti e le ragioni per auspicare e per proporre una riforma strutturale e culturale della Chiesa che aveva perso lo spirito profetico assumendo atteggiamenti trionfalistici, nocivi alla predicazione dei valori umanistici del Vangelo [uguaglianza, giustizia, pace, solidarietà, misericordia]. Il lavoro di traduzione e gli studi esegetici di Erasmo da Rotterdam sulla Letteratura dei profeti prima del 1504 hanno, senza dubbio, influenzato la scelta, da parte di Fedra Inghirami, Giulio II e Michelangelo, dei personaggi da raffigurare sul soffitto della Sistina a cominciare da Zaccaria; e che caratteristiche ha il Libro del profeta Zaccaria, il primo personaggio che, entrando, vediamo dipinto sul soffitto della Sistina?
In tutti i Libri dei profeti si trovano descrizioni di visioni, di gesti e di segni simbolici la cui interpretazione è sempre piuttosto chiara [i riferimenti sono documentabili] e questo stile letterario serve per dare forza e per infondere speranza alle persone che leggono il testo, e anche il Libro di Zaccaria ha questo intento, però ci si trova di fronte alla narrazione di scene piuttosto confuse la cui interpretazione rimane e rimarrà sempre incerta perché le visioni descritte nel testo di questo Libro richiamano oggetti che hanno un valore simbolico nei confronti di situazioni che noi non conosciamo, e sono anche raccontate con un linguaggio che possiede un alto potenziale poetico ma che presenta un ventaglio ampio di espressioni per le quali sono possibili traduzioni diverse, per cui il Libro di Zaccaria è uno dei più sconcertanti della Letteratura biblica e, di conseguenza, più che voler capire ogni particolare, è meglio [come prescrive Erasmo nel suo commento alla Letteratura dei profeti] puntare l’attenzione sul significato complessivo del testo che, pur presentandosi diviso in due parti ben distinte e composte in periodi diversi, appare tuttavia ben chiaro: il profeta Zaccaria - in nome di Dio - ha il compito di rimproverare severamente i corrotti sacerdoti del Tempio [del Secondo Tempio, quello ricostruito dopo l’esilio babilonese dal 538 a.C.] ordinando loro di “convertirsi per non scatenare l’ira del Signore”.
Se apriamo il Libro di Zaccaria - nello stesso modo in cui Michelangelo lo fa aprire al profeta che ha dipinto con il volto di Giulio II [e, quindi, il messaggio lo lancia il papa] - possiamo leggere i primi 3 versetti del capitolo 11, e perché proprio questi? Le indicazioni di lettura ce le fornisce il dipinto stesso, e abbiamo una testimonianza diretta che possiamo leggere in una delle tante Lettere che Michelangelo ha scritto a Giovanni da Pistoia: «Fo con le mani e coi corpi misura alla lettura» e, quindi, la figura di Zaccaria tiene il Libro omonimo in modo che la mano destra possa indicare con le dita [il pollice e l’indice affiancati] il numero 11, il numero del capitolo, mentre le altre tre dita sono piegate e indicano il numero dei versetti.
Quindi, dobbiamo leggere i primi 3 versetti del capitolo 11 del Libro di Zaccaria che dicono: «Apri le tue porte, o Libano, che il fuoco possa divorare i tuoi cedri. Gemete cipressi d’Egitto, che i cedri sono abbattuti, che quegli alberi maestosi sono distrutti. Gemete, querce della regione di Basan, la vostra foresta impenetrabile è stata rasa al suolo. Si sentono gemere i pastori dei popoli, la loro gloriosa potenza è distrutta. Si sentono ruggire i leoni, la rigogliosa boscaglia lungo il Giordano è devastata». Il profeta [facciamo l’esegesi di ciò che abbiamo letto] avverte i religiosi che, se non avessero abbandonato la loro condotta traviata e poco spirituale, il nemico in armi sarebbe penetrato nel santuario con la forza e il Tempio, costruito con il legno dei cedri libanesi, con il legno dei cipressi egiziani e con il legno delle querce dell’altopiano di Basan [a est del lago di Genesaret] sarebbe stato dato alle fiamme: allo stesso modo lo Zaccaria dipinto da Michelangelo con il volto di Giulio II avverte i religiosi cristiani che se gli ecclesiastici [i primi responsabili sono loro] non abbandonano la loro condotta traviata e poco spirituale e se la Chiesa non viene riformata strutturalmente e culturalmente ci penserà il Signore a scatenare la sua ira e la scatenerà anche contro [aggiunge il Giulio II - Zaccaria] i re [i pastori dei popoli] delle potenze [la Francia e la Spagna] che, in questo momento, si contendono il potere in Europa e, in particolare, affamano e saccheggiano l’Italia [e Giulio II ha sempre cercato di contrastare l’ingerenza delle due potenze con una politica spesso molto spregiudicata].
Il Libro che il profeta Zaccaria tiene in mano è dipinto posizionato in modo che anche le dita della mano sinistra diano un’indicazione di lettura: il pollice non è visibile mentre l’indice, che indica il capitolo 1, compare staccato dalle altre tre dita [medio, anulare e mignolo] che indicano i primi 3 versetti del capitolo 1 [l’incipit del Libro]: che cosa leggiamo nei primi 3 versetti del capitolo 1 del Libro di Zaccaria? Leggiamo il perentorio invito iniziale alla conversione che Zaccaria rivolge agli Israeliti: «Nel secondo anno del regno di Dario, durante l’ottavo mese, il Signore parlò al profeta Zaccaria, figlio di Barachia e nipote di Iddo. Gli ordinò di riferire agli Israeliti queste parole: “Io, il Signore dell’universo, mi sono veramente adirato con i vostri antenati per il loro comportamento perverso e per le loro azioni malvagie. Ma voi ritornate da me e io ritornerò da voi”» e questo invito Giulio II, per opera di Michelangelo, lo rivolge ora ai cristiani [a cominciare dagli ecclesiastici] dal soffitto della Sistina.
Alle spalle del profeta, Michelangelo ha dipinto due bellissimi putti o angioletti, e queste due figure sono una sorta di comparse di cui, però, Michelangelo si serve per rafforzare la citazione contenuta nell’incipit del Libro di Zaccaria, e Michelangelo compie questa operazione in modo estemporaneo, giocando sul significato che, a seconda delle situazioni, un particolare gesto può assumere: che cosa significa? Non sfugge all’osservazione il fatto che l’angioletto biondo [quello dipinto accanto alla parete] mentre si appoggia al compagno, cingendogli con il braccio le spalle, compie con la mano destra un gesto curioso: col pugno quasi chiuso, infila il pollice tra l’indice e il medio in un gesto che è noto come “fare i fichi o le fiche” [l’equivalente rinascimentale dell’alzare il dito medio in segno di dileggio] per cui i commentatori, quelli che ritengono di essere i più trasgressivi, sostengono, con una buona dose di imbecillità, che Michelangelo avrebbe lanciato un insulto nei confronti del papa [lì per lì lo pensa anche l’inquisitore Rafanelli, ma la ricerca documentale del secolo scorso ha dimostrato che Michelangelo e Giulio II litigano e discutono animatamente perché hanno lo stesso carattere ma sul piano ideologico vanno perfettamente d’accordo e, quindi, si può solo pensare che anche la dipintura di questo gesto l’abbiano concordata insieme come tutto il resto].
La posizione delle dita in questo gesto vuole rafforzare la citazione contenuta nell’incipit del Libro di Zaccaria: il pollice, infilato tra l’indice e il medio, ha la funzione di una virgola che divide il dito indice che segnala il capitolo 1 dalle altre tre dita che richiamano i 3 versetti del capitolo 1 e, se mai, il gesto scortese rafforza il giudizio negativo che, nell’incipit del Libro di Zaccaria, Dio stesso esprime nei confronti del comportamento perverso e delle azioni malvagie compiute da sacerdoti e governanti corrotti che, quindi, devono convertirsi.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quando, come, perché e da parte di chi siete state e siete stati vittime di un gesto poco cortese?... E voi avete risposto in modo altrettanto sgarbato?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Il Libro di Zaccaria è opera di due diverse Scuole di scrittura. I testi della Bibbia [e nell’anno 2007-2008 abbiamo compiuto un viaggio sul territorio della Letteratura beritica] sono stati composti da Scuole di scrittura che sono Associazioni [nate durante l’esilio a Babilonia dal 587 al 538 a.C.] di scrivani che spesso hanno una funzione sacerdotale e politico-amministrativa, e, per quanto riguarda la composizione dei Libri dei profeti, l’intestazione e l’indirizzo del programma di queste Associazioni [di queste Scuole] corrisponde al nome del profeta che serve anche da titolo per il Libro.
Il Libro di Zaccaria è opera di due diverse Scuole di scrittura, e il nome “Zaccaria” significa “il Signore si ricorda” e questa è anche l’intestazione e l’indirizzo del programma delle due Scuole di scrittura che, in due momenti diversi, a distanza di circa tre secoli l’una dall’altra, lo hanno prodotto. Il dato filologico della ripartizione del Libro lo si coglie osservando la figura di Zaccaria dipinta da Michelangelo perché il modo in cui il profeta, con il volto di papa Giulio II, sfoglia il volume che ha in mano ci fa capire che questo Libro è - dal punto di vista della sua struttura - formato da due parti ben distinte [e gli Umanisti come Lorenzo Valla, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Erasmo da Rotterdam lo hanno ben messo in evidenza questo fatto nella loro esegesi moderna che è entrata in circolo diventando patrimonio culturale di Giulio II, di Michelangelo e di Fedra Inghirami che fornisce assistenza filologica alla realizzazione del soffitto della Sistina].
Il Libro di Zaccaria è composto da 14 capitoli, e la prima parte del Libro [la più antica] comprende i primi 8 capitoli ed è stata scritta tra il 520 e il 518 a.C. [e può essere datata facilmente per i riferimenti storici presenti dall’inizio del testo]. La seconda parte del Libro - quella sulla quale ha gli occhi il profeta Zaccaria dipinto da Michelangelo con il volto di Giulio II - comprende i capitoli dal 9° al 14° ed è stata scritta da un’omonima Scuola di scrittura [intitolata“il Signore si ricorda”] circa tre secoli dopo la prima [abbiamo detto] quando lo Stato d’Israele è sotto l’influsso della dominazione greco-ellenistica e, quindi, la visione del mondo degli scrivani della seconda parte è assai diversa da quella degli scrivani della prima.
Nella seconda parte [dal capitolo 9 al 14] il profeta si presenta con una nuova mentalità e un linguaggio diverso rispetto alla prima [una mentalità che guarda oltre i confini del lacerato Stato israelita per raggiungere le numerose comunità della diaspora ebraica insediatesi sul territorio dell’ellenismo soprattutto nelle grandi città] e, quindi, il profeta annuncia che anche le altre nazioni, dopo aver subito il giudizio, faranno parte del popolo di Dio che regnerà su tutta la terra portando pace e prosperità. Nella seconda parte del Libro [quella che sta leggendo Zaccaria con il volto di Giulio II sul soffitto della Sistina] prende rilievo la figura di colui che instaurerà il regno di Dio, e costui è presentato come un re umile e vittorioso che cavalca un asino, come un pastore buono, come un uomo trafitto e messo a morte ed è chiaro che gli evangelisti hanno ripreso anche da questo testo gli elementi per presentare la persona e la missione di Gesù, specialmente nei racconti della passione.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In proposito potete osservare sul Vangelo secondo Marco al capitolo 14 versetto 27; sul Vangelo secondo Matteo al capitolo 21 versetti 4-5 e sul Vangelo secondo Giovanni al capitolo 19 versetto 37 dove gli evangelisti citano esplicitamente il testo del Libro di Zaccaria…
La comparazione dei testi è un utile esercizio che affina la competenza filologica...
Quando l’inquisitore Giovanni Rafanelli domanda a Giulio II come mai non ci sia l’immagine di Gesù Cristo trionfante sul soffitto della Cappella, il papa risponde che Gesù Cristo è presente in modo ancor più rilevante nella voce dei profeti che Dio, da principio, ha suscitato per evocarne la missione salvifica.
Leggiamo, in proposito, uno dei brani più significativi del capitolo 11 del Libro di Zaccaria dove il Signore, con ironia, mette in guardia il profeta dal fatto che bisogna state attenti ai pastori: si presentano come pastori buoni - con il bastone dell’Amicizia e dell’Unione - mentre invece sono cattivi e, il Signore lascia che il pastore cattivo agisca per dare una lezione a coloro che non vogliono riconoscere il buon pastore: è più conveniente schierarsi con i cattivi pastori e trafiggere quello buono.
LEGERE MULTUM….
Libro di Zaccaria 11 4-17
Un giorno il Signore, mio Dio, mi ordinò: «Tu devi diventare il pastore di quelle pecore destinate al macello. Quelli che le comprano le sgozzano senza ritenersi colpevoli, quelli che le vendono dicono: “Ringraziamo il Signore, siamo diventati ricchi!”. Gli stessi loro pastori non ne hanno pietà. Io, il Signore, dichiaro che neppure io avrò pietà degli abitanti di questa regione. I re devasteranno questa terra e non libererò nessuno dalle loro mani».
Diventai il pastore di quelle pecore destinate al macello per conto dei commercianti. Presi due bastoni per guidare il gregge, ne chiamai uno “Amicizia” e l’altro “Unione”. …
Presi il bastone chiamato “Amicizia” e lo spezzai. Così ruppi il patto di fratellanza che il Signore aveva concluso con tutti i popoli. Il patto fu rotto in quello stesso giorno, e i commercianti di pecore che mi osservavano preferirono comprendere che il Signore parlava attraverso le mie azioni. …
Poi spezzai il secondo bastone chiamato “Unione”. Cosi ruppi la fratellanza tra la gente. Il Signore mi disse ancora: «Comportati pure come un cattivo pastore. Non curarti delle pecore che stanno per essere eliminate, non cercare quelle disperse, non curare quelle ferite, non nutrire quelle ancora sane. Invece mangia la carne delle più grasse e strappa loro le unghie».
Guai al pastore cattivo che abbandona il gregge!
La guerra distrugga la forza delle sue braccia, la vivacità dei suoi occhi.
Le sue braccia restino paralizzate, i suoi occhi diventino ciechi. …
Il brano termina con sei versi poetici scritti a posta per essere cantati.
Sappiamo quanto i Libri biblici e, in particolare, i Libri dei profeti abbiano influenzato il genere del romanzo moderno e contemporaneo. Le scrittrici e gli scrittori della Letteratura latino-americana contemporanea hanno creato uno stile chiamato “realismo magico”, un termine non facile da definire, nel quale si fondono insieme i concetti di realismo e il surrealismo. Il realismo è rappresentato dall’isolamento nel quale spesso vive la provincia sudamericana, un isolamento allucinante, che risulta drammatico ma anche comico. Il surrealismo [l’elemento magico] è rappresentato dai grandi racconti contenuti nella tradizione dell’immaginario sudamericano: fantastici, sensuali, mostruosi che sono indissolubilmente fusi con la tradizione della Letteratura dell’Antico Testamento, in particolare, con quella visionaria derivante dai Libri dei profeti.
Un autore che tutte e tutti conoscete, che non ha bisogno di presentazioni, ci aiuta a dipanare questo intreccio filologico: Gabriel Garcìa Marquèz - nato in Colombia nel 1927, premio Nobel 1982, morto a Città del Messico il 17 aprile 2014 e autore, tanto per citare alcuni titoli, di Cent’anni di solitudine, Cronaca di una morte annunciata, L’autunno del patriarca, Foglie morte, Nessuno scrive al colonnello, Racconto di un naufrago.
Leggiamo ora alcune pagine da uno dei suoi romanzi più famosi L’amore ai tempi del colera, che racconta l’epopea sentimentale di un innamorato respinto [Florentino Ariza], che nel corso della sua lunga vita, ha mantenuto - pur avendo una lunghissima serie di avventure amorose - una fedeltà irremovibile all’antica innamorata Fermina Daza. In questo alveo narrativo scorrono mescolate insieme le acque di molti altri amori, saggi e folli, selvatici e addomesticati, senili e adolescenziali, coniugali e clandestini. Ci si trova di fronte a una sorta di inventario passionale che registra l’attrazione carnale e tutte le sfumature del sentimento, perché “il cuore ha più stanze del palazzo apostolico romano” e l’amore è un fluido che si espande come i cerchi creati da una pietra lanciata in uno stagno.
I personaggi messi in scena dallo scrittore sono molti e attraverso questi personaggi l’autore esplora gli oscuri recessi del comportamento umano. Perché Jeremiah de Saint-Amour si è suicidato? Si domanda il dottor Juvenal Urbino chiamato a firmare il certificato di morte, un certificato che lui altera per sollevare lo sventurato suo amico dall’onta del suicidio. Si può essere buoni pastori [misericordiosi] comportandosi da cattivi pastori [infrangendo le regole]? Si capisce che Gabriel Garcia Màrquez conosce bene la Letteratura dei profeti e il Libro di Zaccaria. E ora leggiamo.
LEGERE MULTUM….
Gabriel García Márquez, L’amore ai tempi del colera
Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati. Il dottor Juvenal Urbino lo sentì appena entrato nella casa ancora in penombra, dove era accorso d’urgenza per occuparsi di un caso che per lui aveva cessato di essere urgente da molti anni. Il rifugiato antillano Jeremiah de Saint-Amour, invalido di guerra, fotografo di bambini e il suo avversario di scacchi più pietoso, si era messo in salvo dai tormenti della memoria con un suffumigio di cianuro di oro.
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Per sapere in quale contesto si collocano queste pagine potete leggere o rileggere il romanzo. Abbiamo studiato la seconda parte del Libro di Zaccaria in funzione del significato che hanno le immagini affrescate sul soffitto della Sistina, e la prima parte [la parte più antica che comprende i primi 8 capitoli] come è strutturata?
Il Libro di Zaccaria è composto da 14 capitoli, e la prima parte del Libro, la più antica, comprende i primi 8 capitoli ed è stata scritta tra il 520 e il 518 a.C. [e può essere datata facilmente per i riferimenti storici presenti dall’inizio del testo]. Queste date ci fanno capire che la parte più antica del Libro di Zaccaria è stata scritta circa vent’anni dopo il ritorno dall’esilio babilonese di una piccola parte degli Israeliti in Palestina ai quali, con l’Editto di Ciro del 538 a.C., è stata concessa dall’imperatore dei Persiani Ciro il Grande la possibilità di tornare a Gerusalemme, di fondare un minuscolo Stato cuscinetto [tra la potenza egiziana e l’impero persiano, di questo Ciro ha bisogno] e, mediante un finanziamento, di ricostruire il Tempio. Ma, dopo vent’anni dalla deportazione, l’entusiasmo iniziale si è esaurito e gli Israeliti devono rassegnarsi a vivere poveramente in un paese devastato. La Giudea resta sotto la dominazione persiana e nella Gerusalemme in rovina tutto è da rifare e da riedificare, incominciando dal Tempio le cui nuove fondamenta sono state fatte ma, per proseguire i lavori, mancano le risorse.
Ed è in questo contesto che, nella prima parte [i primi 8 capitoli] del Libro di Zaccaria, gli autori si rivolgono agli Israeliti con un testo che possa ravvivare in loro la speranza perché sono molto scoraggiati per le difficoltà del vivere quotidiano, e non vedono realizzarsi nulla di positivo, e i disordini politici, le disuguaglianze sociali, la miseria dilagante, l’arroganza dei popoli confinanti non fanno altro che generare un’inquietudine e un malessere generalizzato. La prima parte [capitoli 1-8] del Libro di Zaccaria comprende il resoconto di otto visioni, seguite da ammonizioni e rimproveri ma anche da promesse di pace e di benessere. Parlando a nome di Dio, il profeta Zaccaria annuncia ai suoi contemporanei che non hanno sperato invano [“il Signore si ricorda”] e sarà possibile ricostruire il Tempio per accogliere il Signore perché egli viene a stabilire il suo regno e a benedire il popolo da lui salvato e riunito, e il ritorno del Signore porterà benessere materiale nel paese ma è necessario che tutti si dotino di uno spirito nuovo [di ben-essere] e questo messaggio - tradotto in immagini sul soffitto della Sistina - vale anche per la Chiesa che deve riformarsi.
Il Libro inizia con l’invito da parte di Dio [che parla per bocca del profeta] ai governanti e ai sacerdoti perché si pentano e a tutto il popolo perché si converta e la prima visione è quella dei cavalli rossi, grigi e bianchi montati da cavalieri che hanno il compito di attraversare il paese e di ispezionarlo per constatare se il pentimento si manifesta e la conversione avviene. Poi il Signore annuncia che Gerusalemme sarà ricostruita e la seconda visione consiste in quattro corna che rappresentano il ricordo delle quattro volte in cui gli Israeliti sono stati sconfitti e hanno subito l’esilio [dagli Egiziani, dagli Assiri, dai Babilonesi e dai Greci], mentre la terza visione è quella di una corda che serve per misurare le dimensioni della città e, quindi, per ricostruire. Poi il Signore lancia un appello perché gli esiliati tornino tutti in patria per contribuire alla costruzione del Tempio, e la quarta visione è quella del gran sacerdote Giosuè che deve essere degno, con il suo comportamento, di accogliere un servitore [un Germoglio] che il Signore sta per inviare [questo tema verrà sviluppato nella seconda parte del Libro tre secoli dopo]; la quinta visione è quella del candelabro con sette braccia [la Menorà] che rappresenta la luce degli occhi di Dio che osservano tutta la terra, il candelabro sta in mezzo a due ulivi che rappresentano la ricchezza [l’olio è oro] e rappresentano due uomini consacrati [unti con l’olio] che devono servire il Signore con cuore puro: il sommo sacerdote Giosuè e il saggio governatore Zorobabele. La sesta visione è quella di un libro a forma di rotolo che vola nell’aria e che contiene il testo di una maledizione contro i ladri, i corrotti e quelli che giurano il falso perché, con il loro comportamento malefico, portano lo Stato alla rovina. La settima visione è quella del cesto che deve raccogliere tutte le colpe e deve chiudere in sé, con un coperchio di piombo, tutta la malvagità che alberga nel paese perché finché c’è malvagità non c’è salvezza. L’ottava visione è quella di quattro carri che sono anche quattro venti che hanno soffiato insieme al Signore e il significato di questa immagine è piuttosto difficile da capire. Infine il Signore invita a rispettare il digiuno [a fare penitenza] e ordina: «Siate onesti quando giudicate, comportatevi con amore e bontà gli uni verso gli altri, non opprimete le vedove, gli orfani, gli stranieri e i poveri, non progettate di far del male agli altri» perché da questo comportamento virtuoso può venire la pace e il benessere in modo che i giorni di digiuno possono diventare giorni di festa.
Tra le visioni profetiche di Zaccaria [per Michelangelo, Giulio II, Fedra Inghirami] la più significativa è quella della Menorà, del candelabro d’oro a sette bracci custodito nel Tempio di Gerusalemme. I sette bracci sono stati tutti ricavati dal medesimo blocco d’oro e tutte le loro luci tendono verso il centro: le sette luci [si legge al versetto 10 del capitolo 4 del Libro di Zaccaria] sono «i sette occhi del Signore» che vigilano sull’intero creato. La metafora dei sette bracci ricavati da un unico blocco d’oro è il cuore dell’insegnamento di Zaccaria ed è lo stesso insegnamento presente nel pensiero della filosofia rinascimentale elaborata dalla corrente pedagogico-filologica del neoplatonismo di cui sono eredi Michelangelo, Giulio II e Fedra Inghirami. Questo pensiero consiste nel fatto che se anche esistono diversi credi, e molti nomi riferiti a Dio, tutte le fedi [religiose o laiche che siano] alla fine convergono in una stessa conclusione, in una Luce comune. Il profeta Zaccaria [capitolo 4 versetto 6] proclama: «Non con la potenza né con la forza ma con il mio Spirito [di fratellanza], dice il Signore, dovete agire gli uni verso gli altri» [Paolo di Tarso farà tesoro di queste parole nella Lettera ai Romani].
Quindi all’entrata della Sistina non si esprime la superiorità e la supremazia di quella che il Sant’Uffizio considera l’unica vera religione ma Michelangelo [su volere papale] dipinge una figura che esprime lo stesso messaggio universale e tollerante [il concetto dell’Universalismo rinascimentale] che troviamo nelle opere di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola, su cui si fonda il pensiero del Rinascimento.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Dopo aver fatto questa ricognizione leggete i primi otto capitoli del Libro di Zaccaria, il primo profeta che, sollevando gli occhi, s’incontra entrando nella Sistina…
L’intento del pittore Michelangelo, del papa committente e del bibliotecario consulente è quello di invitarci a leggere per conoscere e per capire punto per punto il significato dell’affresco che riveste il soffitto della Cappella più famosa del mondo…
Un giorno dei primi di dicembre dell’anno 1559 - a quasi cinquant’anni dall’inaugurazione del soffitto della Cappella Sistina - un cardinale attraversa Roma in carrozza in una giornata piovosa e, a tratti, nevosa, quando nota un vecchio che cammina a fatica tra il fango in direzione del Colosseo e del Foro, che allora era chiamato il Campo Vaccino perché tra le rovine delle antiche glorie romane pascolavano le mucche. Il prelato ordina al cocchiere di rallentare e, avvicinatosi, riconosce in questo vecchio il celebre scultore, pittore, architetto, poeta Michelangelo Buonarroti e gli offre un passaggio. L’orgoglioso e ombroso vegliardo [ha 84 anni] respinge l’offerta dicendo: «Grazie, ma sto andando a Scuola». «A Scuola?» esclama il cardinale «Ma a lei, maestro, quale Scuola potrebbe insegnare qualcosa?». Michelangelo indica il Colosseo e le rovine del Foro e risponde: «Questa è la mia Scuola, e se non avessi, fin da giovane, frequentato questa Scuola lei quando entra nella Cappella papale vedrebbe sopra la sua testa solo il fondo di una botte». Questo cardinale si chiama Giovannangelo Medici di Marignano e tre settimane dopo entra nella Cappella Sistina per il conclave e viene eletto papa, Pio IV, e la sera stessa racconta nelle sue memorie questo aneddoto, e aggiunge: «Appena eletto ho alzato gli occhi al cielo e, per la prima volta, mi sono accorto di non avere sopra la testa il fondo di una botte».
E così siamo entrate e siamo entrati nella Cappella Sistina e ci siamo accorte e accorti di non avere sopra la nostra testa solo “il fondo di una botte” e, su questo tema [della botte], rifletteremo ancora [quindi non perdete la Lezione pre-pasquale della prossima settimana], se non altro perché Michelangelo ci ha insegnato la cosa fondamentale: che non bisogna mai perdere la volontà di imparare.
La Scuola è qui, e il viaggio continua dentro la Sistina, ma anche fuori…