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SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA C’È LA "SCOPERTA DELLE PASSIONI" IN RELAZIONE AL MATRIMONIO E AL VIAGGIO ...

Lezione N.: 
3

Prof. Giuseppe Nibbi    Lo sapienza poetica ellenistica 2009    21-22-23 ottobre 2009

SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA

C’È LA "SCOPERTA DELLE PASSIONI"

IN RELAZIONE AL MATRIMONIO E AL VIAGGIO ...

     Da due settimane siamo entrati nel territorio della sapienza poetica ellenistica e il primo paesaggio intellettuale che ci si è presentato dinnanzi, e che abbiamo cominciato ad osservare, contiene la figura (storica e leggendaria, umana e divina) di Alessandro Magno: è soprattutto a questo personaggio che, dal punto di vista storico, si deve la nascita dell’ellenismo. Intorno al grande condottiero macedone si sviluppa un corposo e variegato apparato letterario (sul quale, a grandi linee, ci siamo già informate ed informati) e che poi nel corso dei secoli ha preso complessivamente il nome di Romanzo di Alessandro.

     Sappiamo che il personaggio di Alessandro Magno – così come lo ha costruito la sapienza poetica ellenistica – è abbinato alla parola "passione" e questo termine – con tutta la sua valenza significativa e contraddittoria – diventa determinante nello sviluppo della Storia del Pensiero Umano. Sappiamo inoltre che l’ellenismo è il periodo culturale in cui entra in incubazione il genere letterario del "romanzo", proprio per via della "scoperta delle passioni". Il genere letterario del "romanzo" ha come caratteristica principale quella di "portare allo scoperto le passioni" in tutta la loro intensità. Il romanzo (in particolare il romanzo dell’800), mettendo in scena la "passione", si presenta – abbiamo detto – come se fosse uno strumento didattico utile perché le lettrici e i lettori possano specchiarsi e possano percorrere un itinerario di educazione sentimentale. Siccome il numero delle persone che leggono è sempre stato (ed è ancora) esiguo, di conseguenza, anche l’educazione sentimentale degli esseri umani (con la relativa incapacità a misurare le "passioni") è carente.

     A questo proposito la scorsa settimana abbiamo colto subito l’occasione che la parola "passione" ci offre per incontrare, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, lo scrittore Leone Tolstoj. Leone Tolstoj (1828-1910) lo abbiamo incontrato molte volte e continueremo ad incontrarlo: nei Percorsi di alfabetizzazione funzionale la presenza di questo scrittore – come di molte altre scrittrici e scrittori che abbiamo incontrato e che incontreremo ancora – risulta indispensabile perché il suo racconto non si esaurisce nel narrare delle storie (la scrittura non scivola in superficie) ma si concretizza in una continua riflessione sulla condizione umana e sulle "passioni" che, nel bene e nel male, determinano questa condizione (la scrittura è lo strumento che favorisce un’immersione nel profondo dell’interiorità).

     Dalla letteratura dell’ellenismo e poi, in modo più profondo, con i romanzi dell’800, la riflessione sulla "passione" riguarda soprattutto l’ambiguità di questa condizione: la "passione" è una situazione contraddittoria che contiene forti valenze positive e rilevanti valenze negative che s’intersecano, a volte, inesorabilmente.

     Perché la scrittura di Tolstoj è utile e perché è efficace la scrittura di molte altre scrittrici e scrittori che abbiamo incontrato e che incontreremo ancora? La scrittura di Tolstoj è utile perché mette bene, e realisticamente, in evidenza il quadro variegato e contraddittorio della "passione". Intorno alla parola "passione" – dall’età della sapienza poetica ellenistica – si forma un ventaglio talmente ampio di significati che la riflessione su questo termine necessita di molta attenzione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La parola "passione" rimanda al dolore, alla sofferenza, alla pena, al tormento, alla tribolazione, al martirio ma anche al sentimento, alla partecipazione, al trasporto, all’eccitazione, allo slancio, all’impulso e poi al desiderio, al piacere, alla predilezione, all’interesse e anche all’esaltazione, al furore, alla frenesia, al delirio…

Tra tutte queste parole (ma il catalogo potrebbe continuare) che affiancano la "passione" tu quale sceglieresti per prima?

Scrivila…

     Tolstoj tratta il tema ellenistico-alessandrino della "passione" in tutte le sue opere e noi la scorsa settimana abbiamo preso in considerazione uno dei suoi celebri romanzi brevi della maturità che s’intitola La Sonata a Kreutzer che fa parte di una trilogia alla quale appartengono altri due famosi racconti intitolati: La morte di Ivan Il’ič e Padre Sérgij. Questi tre brevi e significativi romanzi spesso si trovano nello stesso libro – come in questa edizione – proprio perché la riflessione tolstojana sulle "passioni" (e sugli stili di vita che le determinano) li accomuna.

     La scorsa settimana abbiamo detto che questi tre brevi romanzi che Leone Tolstoj ha scritto a partire dai primi anni ‘80 dell’Ottocento – quindi nell’ultimo trentennio della sua lunga vita – vengono spesso definiti "dostoevskiani", come se Fëdor Dostoevskij (un altro importante scrittore che tutte e tutti noi conosciamo, e che più volte abbiamo incontrato e che incontreremo ancora strada facendo), morto nel 1881, avesse lasciato un’eredità al suo grande collega e rivale. Si sa che tra Dostoevskij e Tolstòj ci sono delle differenze ma, effettivamente, parlando dei tre celebri romanzi brevi (o racconti lunghi, che dir si voglia) della maturità tolstojana – La Sonata a Kreutzer, La morte di Ivan Il’ic e Padre Sérgij – sembra naturale che tra i due grandi scrittori vi sia un’influenza reciproca perché si sono letti anche se non si sono mai incontrati.

     Ora (come abbiamo già anticipato la scorsa settimana) – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – è necessario fare una (seppur breve) riflessione su questo significativo argomento che riguarda le analogie e le differenze tra Dostoevskij (etichettato come il "profeta dello spirito") e Tolstoj (considerato come il "profeta della carne").

     Dostoevskij e Tolstòj sono quasi coetanei (il primo nato nel 1821, il secondo nel 1828) e hanno condiviso, sulla scena letteraria (e questa è l’analogia più evidente tra i due), un forte interesse (quasi morboso) per un tema che – dopo essere stato posto da Socrate, da Platone e da Aristotele (che abbiamo incontrato nel viaggio dello scorso anno scolastico) – ha cominciato a svilupparsi con la "sapienza poetica ellenistica", ebbene, il tema per il quale Dostoevskij e Tolstòj hanno dimostrato un forte interesse è quello della lotta lacerante tra la materia (la carne) e lo spirito, tra il bene e il male, uno scontro permanente che si consuma nel cuore (secondo Socrate), nella mente (secondo Platone), nell’intelletto (secondo Aristotele) degli esseri umani.

     Dostoevskij (etichettato come il "profeta dello spirito") e Tolstoj (considerato come il "profeta della carne") sono due personaggi diversi sia a livello biografico che a livello ideologico e, sotto molti aspetti, sembrano antitetici. Dostoevskij è tormentato dall’epilessia, da una complessa fragilità psicologica, da esperienze biografiche traumatizzanti: sappiamo che per le sue frequentazioni sovversive (anarchico-rivoluzionarie) ha subìto una condanna a morte, convertita all’ultimo istante – quando è già davanti al plotone d’esecuzione – nella deportazione in Siberia. Se Dostoevskij, da un lato, esprime il suo eversivo spirito creativo in opere che anticipano di svariati decenni le intuizioni freudiane, dall’altro, con l’età, diventa un convinto reazionario, fervente sostenitore della tradizione espressa dalla Chiesa Russa ma, allo stesso tempo, si definisce un "letterato proletario", uno che vuole essere pagato in anticipo, perché, per poter scrivere, deve prima mangiare, però poi è anche capace di sperperare tutto al tavolo da gioco, lasciando nei debiti la seconda moglie e i suoi figli, ai quali dice di essere legato da un profondo affetto. Dostoevskij, come scrittore, è apparentemente disinteressato al tema dell’amore coniugale, del sesso e della sensualità, che descrive sempre in termini tragico-grotteschi: le donne dei romanzi dostoevskiani sono, infatti, figure simboliche, dai tratti solo superficialmente marcati, in realtà sono ineffabili come nei sogni.

     Tolstoj, al contrario, ha percorso un cammino inverso: è un giovane possidente, benestante e privilegiato, che giunge con gradualità a disprezzare l’assetto sociale della Russia imperiale e, in particolare, si schiera contro l’ambiguità della Chiesa Russa che snatura, a suo dire, la parola evangelica. Tolstoj matura un convinto disprezzo per i beni materiali fino a distribuire – con grande disapprovazione della moglie – la sua terra ai contadini e a devolvere tutti i proventi dei suoi diritti d’autore in attività di scolarizzazione in favore dei piccoli servi della gleba. Tolstoj cerca di realizzare un socialismo di matrice evangelica, basato sull’amore, sulla parsimonia, sulla dedizione al lavoro materiale e sulla non violenza. L’ostacolo maggiore alla realizzazione di questo modello di società (che tutti, a parole, ritengono buono e giusto) viene – secondo Tolstoj – dalle tentazioni della carne e dalla carenza di educazione che non insegna a governare le bramosie e a discriminare tra le passioni.

     Già dalle sue opere giovanili Tolstoj vuole riflettere sul tema inquietante delle tentazioni della carne alle quali, fino a un certo punto della sua vita lui cede senza problemi. Poi però si accorge che questo modo di comportarsi non lo rende libero come essere umano ma lo fa diventare succube, lo rende suddito della propria animalità mortificando la sua spiritualità: a questa condizione Tolstoj vorrebbe poter reagire imparando a dominare le tentazioni (la sensualità fine a se stessa, la corporeità degradante, il fantasma della gelosia) e imparando a governare le passioni con la razionalità, ma tutto questo non è facile perché l’educazione che viene impartita, ai maschi per un verso e alle femmine per un altro verso (e questo con la benedizione della Chiesa), è devastante. I personaggi, tanto femminili quanto maschili, di Tolstoj sono sempre figure marcate dai tratti della carnalità che tendono – in modo perbenista, ipocrita e anche un po’ criminogeno – a nascondere le pulsioni primordiali dietro al loro ruolo sociale.

     Dostoevskij (etichettato come il "profeta dello spirito") e Tolstoj (considerato come il "profeta della carne") sono due personaggi diversi ma risultano (oggi più che mai) complementari nell’affrontare il tema cruciale del delicato rapporto tra la materia e lo spirito (un tema – dal tempo dell’ellenismo – sempre di grandissima attualità), sul quale è necessario riflettere per dare il senso all’esistenza, per dare il significato alla comunicazione e per dare l’indirizzo all’educazione ricorrente e permanente.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di queste parole – voglia, desiderio, curiosità, capriccio, corruzione, cupidigia – metteresti per prima accanto alla parola "tentazione"? Scrivila…

Si può anche essere tentate e tentati a fare qualcosa in senso positivo: a quale tentazione, che consideri buona, vorresti cedere?

Scrivi (lasciati tentare) quattro righe in proposito…

     La scorsa settimana – come ricorderete – abbiamo letto alcune pagine dal romanzo La Sonata a Kreutzer che prende il nome da una famosa opera musicale: la Sonata per violino e pianoforte, op. 47, di Ludwig van Beethoven (l’avete mai ascoltata, l’avete riascoltata in questa occasione?). Sappiamo che Beethoven dedica – con tutta la sua ammirazione – questa Sonata al violinista, compositore e direttore d’orchestra francese Rodolphe Kreutzer (1766-1831) che sembra non l’abbia mai eseguita. Nella Sonata a Kreutzer il rapporto dialogante che Beethoven crea tra il violino e il pianoforte è talmente penetrante che il protagonista del romanzo omonimo di Tolstoj dichiara che questa musica è molto "pericolosa e provocatoria per i sensi".

     La scorsa settimana abbiamo anche detto che in questo racconto (scritto tra il 1887 e il 1889) lo scrittore rielabora anche una sua esperienza personale in cui ha dovuto fare i conti con la gelosia, ma Tolstoj scrive La Sonata a Kreutzer  a prescindere dalle connotazioni autobiografiche che sono state fin troppo enfatizzate.

     Sappiamo già che questo breve romanzo è la sintesi di una lunga requisitoria con la quale lo scrittore processa la società e in particolare l’istituzione del matrimonio come realtà psico-relazionale. Tolstoj contesta il fatto che la Chiesa proclami il matrimonio come "salvezza contro la depravazione" quando in realtà – afferma Tolstoj – risulta evidente che si tratta di una prigione che rende la donna una "vittima sociale (prostituta domestica)" e l’uomo come custode di un recinto nel quale deve trovare lo sfogo legalizzato (santificato) alla propria concupiscenza. Questa mentalità, creata con una falsa educazione morale e civile, sviluppa – sostiene Tolstoj – l’idea che la donna debba sempre essere un’ammaliatrice e nell’uomo provoca un’insana gelosia (la peggiore delle passioni) e un irragionevole senso del possesso dell’oggetto che spesso si traduce in un intento criminale con tanto di legislazione favorevole (la salvaguardia dell’onore come attenuante nel delitto provocato dalla gelosia) per i mariti che uccidono le mogli inadempienti o presunte tali.

     Le conclusioni di Tolstoj – come abbiamo già detto – sono provocatorie: la sola difesa dalle tentazioni della carne, dalle aberrazioni del matrimonio, dalla falsità e dall’ipocrisia della vita sociale, è un vigoroso imperativo morale e razionale per praticare l’astinenza perché è solo l’esercizio del dominio della mente sui sensi – afferma Tolstoj – che porta a riconoscere quando una relazione è davvero disinteressata e allora il piacere dell’incontro si manifesta in tutta la sua valenza salvifica, gratificante e priva di sensi di colpa.

     Il racconto La Sonata a Kreutzer ha inizio nella carrozza di un treno (il treno è un elemento frequente nei romanzi di Tolstoj) che da molte ore sta attraversando la pianura Sarmatica. I passeggeri – come spesso succede sul treno – iniziano una discussione, abbastanza animata, sul tema del matrimonio, del divorzio, del ruolo delle donne: così si configura l’incipit di questo romanzo e ora noi lo leggiamo anche per introdurre un altro argomento attinente al personaggio di Alessandro Magno che ci sta accompagnando sul sentiero della sapienza poetica ellenistica.

LEGERE MULTUM….

 Leone Tolstoj, La sonata a Kreutzer

Era l’inizio della primavera. Il viaggio durava già da più di un giorno. Nella nostra carrozza salivano e scendevano i passeggeri delle tratte più brevi, ma c’erano altre tre persone, oltre a me, in viaggio sin dalla stazione di partenza: una donna brutta e non giovane, fumatrice, con il volto segnato, un paltò quasi da uomo e un cappellino; un suo conoscente, un tipo loquace sulla quarantina, con bagagli e accessori nuovi e impeccabili; e un signore di bassa statura che rimaneva sulle sue e si muoveva a scatti, ancora piuttosto giovane, ma con capelli ricci precocemente ingrigiti e un singolare scintillìo negli occhi che si muovevano con grande rapidità da un oggetto all’altro. Indossava un vecchio paltò di alta sartoria con il collo di pelliccia e un colbacco di montone. Quando si era sbottonato, gli si era vista una semplice casacca e una camicia con i ricami alla russa. La particolarità di questo signore era che di tanto in tanto emetteva degli strani suoni, simili a colpi di tosse o a una risata subito interrotta.

Sin dall’inizio del viaggio aveva fatto di tutto per evitare di comunicare e di far conoscenza con gli altri passeggeri. A chi attaccava discorso rispondeva in modo secco e brusco, e per il resto se ne stava a fumare guardando dal finestrino, o, prese delle provviste dal suo vecchio sacco da viaggio, beveva un tè o mangiava qualcosina.

Avevo l’impressione che la sua solitudine gli pesasse, e alcune volte avevo avuto voglia di parlargli, ma ogni volta che i nostri occhi si incontravano, il che succedeva spesso, in quanto eravamo seduti, in diagonale, uno di fronte all’altro, lui si voltava e prendeva il libro, o restava a guardare dal finestrino.

Durante la sosta a una stazione maggiore, il secondo giorno, sul far della sera, questo nervoso signore scese a prendere dell’acqua calda e si preparò un tè. Il signore con i bagagli nuovi e impeccabili, un avvocato, come ho poi saputo, assieme alla sua accompagnatrice con il paltò di taglio maschile, erano invece andati a bersi il tè alla stazione.

Durante la loro assenza entrarono nella carrozza alcuni nuovi passeggeri, tra i quali un vecchio alto e grinzoso, senza barba, fuor di dubbio un mercante, con una pelliccia di lontra e un berretto di lana con una visiera enorme. Il mercante si sedette di fronte ai posti dell’avvocato e della signora, e subito cominciò a parlare con un giovane, che dall’aspetto si sarebbe detto il gestore di un emporio, anche lui appena salito sul treno.

Io ero seduto di fronte, lateralmente, e siccome il treno era fermo, nei momenti in cui nessuno passava per il corridoio, potevo sentire a tratti i loro discorsi. Per prima cosa il mercante annunciò che era diretto alla sua tenuta, a una sola stazione di distanza; poi, come sempre succede, avevano cominciato a parlare prima dei prezzi e del mercato, e poi, al solito, di come vanno i commerci a Mosca, e poi della fiera di Niznij Novgorod. Il negoziante cominciò a raccontare di come se l’era spassata alla fiera un ricco mercante, loro comune conoscente, ma il vecchio non lo lasciò finire, e prese a raccontargli delle baldorie che un tempo si usavano fare, a quella stessa fiera, a Kunavino, a cui lui stesso aveva partecipato. Del che era evidentemente orgoglioso, visto che cominciò a narrargli con palese diletto di come una volta, assieme a quel comune conoscente, entrambi ubriachi, avevano fatto a Kunavino un tale scherzetto che andava raccontato sottovoce, e che fece scatenare l’ilarità del negoziante per tutta la carrozza, e anche il vecchio lo accompagnò con un ghigno su due denti ingialliti.

Non sperando di ascoltare nulla d’interessante, mi alzai per andare a sgranchirmi le gambe sulla banchina prima della partenza del treno. Sulla porta incrociai l’avvocato e la signora, che discutevano animatamente di qualcosa.

- Non vi resta molto tempo - mi disse il comunicativo avvocato, - hanno già suonato il preavviso.

E in effetti non ero riuscito ad arrivare neppure all’ultimo vagone che si sentì la campanella che annunciava la partenza. Quando tornai, tra la signora e l’avvocato proseguiva l’animata discussione. Il vecchio mercante sedeva in silenzio di fronte a loro, guardando con severità davanti a sé e muovendo di tanto in tanto la mandibola con disapprovazione.

- E poi ha annunciato a suo marito - diceva sorridendo l’avvocato nel momento in cui gli passai accanto, - che non poteva, né desiderava più vivere con lui, mentre

La prosecuzione del racconto non potei sentirla.

Alle mie spalle passarono ancora alcuni passeggeri, e anche il controllore, entrò di corsa un facchino, e piuttosto a lungo il rumore impedì di seguire il discorso. Quando ritornò il silenzio, e ripresi a distinguere la voce dell’avvocato, la conversazione era evidentemente passata dal caso specifico a considerazioni generali.

L’avvocato diceva che in Europa la questione del divorzio era ormai al centro del dibattito pubblico, e che anche da noi sempre più spesso si verificavano casi del genere. Quando si rese conto che non si sentiva altro che la sua voce, l’avvocato s’interruppe e si rivolse al vecchio.

- Una volta queste cose non accadevano, non è vero? - disse con un affabile sorriso.

Il vecchio voleva rispondergli, ma in quel momento il treno si mosse e l’uomo, toltosi il berretto, si fece il segno della croce e cominciò a mormorare una preghiera. L’avvocato, distolti gli occhi, rimase ossequiosamente in attesa. Terminata la sua preghiera e fattosi tre volte il segno della croce, il vecchio si calcò bene in testa il berretto, si sistemò più comodamente e cominciò a parlare: - Capitavano, signor mio, anche prima, solo di meno, - disse. - Al giorno d’oggi non potrebbe essere altrimenti. C’è troppa istruzione in giro.

Il treno acquistava velocità, sferragliando sugli scambi: facevo fatica a seguire il discorso, ma mi interessava, perciò andai a sedermi più vicino. Di fronte a me il signore nervoso con lo scintillio negli occhi era anche lui palesemente interessato, e senza alzarsi, stava in ascolto.

- E cosa c’è di male nell’istruzione? - disse, con un sorriso appena percettibile, la signora. - È forse meglio sposarsi come un tempo, quando gli sposi non si vedevano prima del matrimonio? - proseguì, senza rispondere, come sono abituate a fare molte persone, alle parole del suo interlocutore, ma a quelle che si aspettava potesse dirle. - Non sapevano se si amavano, se potevano amarsi, si sposavano col primo che capitava, e poi dagli tutta la vita a penare; secondo voi era meglio allora? - e continuava a rivolgersi o a me, o all’avvocato, quasi mai al vecchio con il quale parlava.

- C’è troppa istruzione in giro - ripeté il mercante, guardando con disprezzo la donna e lasciando la sua domanda senza risposta.

- Sarebbe interessante sapere qual è il rapporto, secondo lei, tra l’istruzione e i dissapori coniugali - disse l’avvocato con un lieve sorriso.

Il mercante voleva dire qualcosa, ma la donna lo prevenne.

- No, ormai quei tempi sono passati - cominciò, ma l’avvocato la interruppe.

- No, gli permetta di esprimere la sua opinione.

- Queste sciocchezze si fanno per colpa dell’istruzione - disse con risolutezza il vecchio.

- Fanno sposare persone che non si amano, e poi ci si stupisce che vivano in disaccordo, - si affrettò a dire la signora, rivolgendo lo sguardo all’avvocato, a me e persino al negoziante, il quale, sollevatosi dal suo posto e appoggiatosi allo schienale, stava ad ascoltare la conversazione. - Solo gli animali si possono far accoppiare come vuole il padrone, ma gli esseri umani hanno le proprie inclinazioni, i propri affetti - disse con l’evidente intento di provocare il mercante.

- Sbaglia a dir questo, signora, - disse il vecchio. - Le bestie sono bestie, mentre agli uomini è stata data la legge.

- Ma come si fa a vivere con qualcuno, se non c’è amore? - la signora continuava ad incalzarlo con i suoi giudizi, che dovevano sembrarle molto originali.

- Prima a questo non ci si pensava - disse il vecchio con tono ispirato, - sono cose che sono venute fuori adesso. Si è arrivati al punto che lei dice: "Ti lascio". I contadini uguali, oramai pure a loro la moglie gli dice: "Eccoti qua le tue camicie e le brache, io me ne vado con Van’ka, ha più riccioli di te". Poi ditemi un po’ voi. Le donne invece la prima cosa che ci deve essere è la paura.

Il negoziante guardò l’avvocato, la signora e me, trattenendo palesemente il sorriso, pronto a irridere o ad approvare il discorso del mercante a seconda di come sarebbe stato accolto.

- Ma quale paura? - disse la signora.

- Quale mi chiede: del marito, devono avere paura del marito!

- Ohi, ma questa è proprio roba del tempo che fu - disse la donna senza nascondere una certa irritazione.

- No, signora, questi tempi non possono passare. Così come la donna, Eva, è stata creata da una costola dell’uomo, così rimarrà fino alla fine dei tempi - disse il vecchio, dando una scossa alla testa così severa e trionfale che il negoziante stabilì subito che la vittoria era sua, e scoppiò a ridere sonoramente.

- Siete voi uomini a pensarla così - insisté la signora, che non demordeva, passandoci in rassegna con lo sguardo, - voi la libertà ve la siete presa, e le donne volete tenerle chiuse in cucina. Voi, sicuro, vi permettete qualsiasi cosa.

- Nessuno ci autorizza a permetterci nulla, solo che l’uomo in casa non dà alcun beneficio, mentre la donna è come un fuscello, esposta a ogni vento - continuò a pontificare il mercante.

Era evidente che gli spettatori erano in soggezione davanti a quel tono così autorevole, ma la donna, pur sentendosi sopraffatta, non si arrendeva.

- Sì, ma immagino che vorrà ammettere che anche la donna è un essere umano, e prova gli stessi sentimenti di un uomo. Ma cosa deve fare, se non ama il marito?

- Non lo ama? - ripeté minaccioso il mercante, contraendo sia le sopracciglia che le labbra. - Non lo ama, lo amerà!

Quest’argomentazione imprevista piacque in modo particolare al negoziante, che emise un gridolino di approvazione.

- Ma no che non lo amerà! - riprese la donna. - Se l’amore non c’è, non c’è modo di imporlo.

- E allora, che si fa se la moglie tradisce il marito? - disse l’avvocato.

- Non si fa, - disse il vecchio. - Questo non si fa, bisogna starci attenti.

- Ma una volta che è successo, che si fa? Sono cose che ad ogni modo capitano.

- C’è a chi capita, a noi non capitano.

Tutti rimasero in silenzio. Il negoziante si scosse, si avvicinò ancora di più e, desideroso evidentemente di non essere da meno degli altri, cominciò, sorridendo:

- Eh sì, anche a uno dei nostri commessi gli è capitata. Pare una cosa che non ci arrivi con la testa. Pure a lui gli è capitata una così, scostumata. Se ne andava in giro a far mattane. Il commesso nostro è un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle. Quella, prima se l’è fatta col contabile. Lui comincia con le buone, a farla ragionare. Non c’è verso. Continuava a fargliene di tutti i colori. Pure i soldi gli rubava. Lui ha cominciato a picchiarla, ma niente, anzi peggio. Pure con un senzadio, con un ebreo, con licenza parlando, ha attaccato la tresca. Che poteva fare? L’ha mollata. Adesso se ne vive da solo, da scapolo, e lei si sbatte di qua e di là.

- Perché è uno scemo, - disse il vecchio. - Se dall’inizio la teneva stretta, le metteva un freno come si deve, ancora, vedi un po’, ce l’avrebbe là. La libertà da subito bisogna cominciare a non darla. Non lasciare libero un cavallo per i campi, né la moglie in casa.

In quel momento il controllore passò a chiedere i biglietti per la fermata più vicina.

Il vecchio gli diede il suo. - Sì, alle donne bisogna mettergli un freno per tempo, altrimenti non c’è più niente da fare.

- Beh, e allora cos’è che ha appena raccontato, di come se la spassavano alla fiera di Kunavino uomini sposati? - dissi io, non potendo più trattenermi.

- Quello è un altro discorso - disse il mercante e sprofondò nel silenzio.

Quando si udì il fischio, si alzò, prese la sua sacca da sotto la panca, si chiuse il bavero e, sollevato il cappello in segno di saluto, si avviò verso la piattaforma.

Non appena il vecchio fu sceso, più voci si levarono contemporaneamente.

- Dell’epoca di Noè, il nonno - disse il negoziante.

- Una mentalità feudale, - disse la signora. - Che idee selvagge sulla donna e sul matrimonio.

- Sì, siamo ben distanti dalla visione europea del matrimonio - disse l’avvocato.

- La cosa più importante che persone del genere non capiscono - disse la signora - è che un matrimonio senza amore non è un matrimonio, che solo l’amore rende sacro il matrimonio, e che un matrimonio autentico è solo quello consacrato dall’amore.

Il negoziante ascoltava e sorrideva, sforzandosi di mettere da parte discorsi intelligenti da poter riutilizzare. A metà del discorso della signora si sentì dietro di me un rumore che poteva essere di una risata strozzata o di un singhiozzo e, quando ci girammo, vedemmo che, senza farsi sentire, il signore canuto e solitario dagli occhi scintillanti, durante il nostro discorso, che senza dubbio lo interessava, si era avvicinato. Era in piedi, con le mani appoggiate allo schienale della panca, palesemente turbato: era tutto rosso in faccia, uno zigomo gli tremava.

- Quale, quale, ma quale amore consacra il matrimonio? - disse con la lingua, che gli si impastava.

Vedendo quanto fosse sconvolto il suo interlocutore, la signora cercò di rispondergli nel modo più indulgente e circostanziato.

- L’amore autentico Se c’è un amore così tra un uomo e una donna, è possibile anche il matrimonio - disse la signora.

- Sì, ma cosa s’intende per amore autentico? - replicò con un sorriso imbarazzato e intimidito il signore dagli occhi scintillanti.

- Lo sanno tutti - disse la signora, con l’evidente intento di por fine a quel discorso.

- Io invece non lo so, - disse l’uomo. - Dovrebbe chiarire cos’è che intende

- Come? Ma è molto semplice, - disse la signora, ma si fermò un attimo a riflettere.

- L’amore è la preferenza assoluta per qualcuno o qualcuna rispetto a tutti gli altri - proseguì poi.

- Preferenza per quanto tempo? Per un mese? Per due giorni, mezzora - disse il signore canuto, e scoppiò a ridere.

- No, mi scusi, è chiaro che parliamo di due cose diverse.

- No, no, della stessa.

- La signora intende dire - intervenne l’avvocato - che il matrimonio deve scaturire in primo luogo dall’affetto, dall’amore, se vogliamo, e soltanto in presenza di questi presupposti il matrimonio rappresenta qualcosa, come dire, di sacro. Per cui ogni matrimonio che non si fondi sull’affetto genuino, sull’amore, se vogliamo, non racchiude in sé nessun vincolo morale. La comprendo bene? - concluse, rivolto alla signora.

Con un cenno del capo quella espresse approvazione per com’era stato esposto il suo pensiero.

- Perciò dunque - continuò l’avvocato, ma il signore nervoso, i cui occhi ormai ardevano e chiaramente faticava a trattenersi, senza dargli il tempo di continuare, cominciò:

- No, io parlo della stessa cosa, della preferenza per qualcuno o qualcuna rispetto a tutti gli altri. Solo, domando: preferenza per quanto tempo?

- Per quanto tempo? A lungo, per tutta la vita, talvolta - disse la signora, stringendosi nelle spalle.

- Ma così capita solo nei romanzi, nella vita mai. Nella vita questa preferenza per uno rispetto agli altri può essere per un anno, che è già difficile, più spesso per alcuni mesi, o è anche questione di settimane, giorni, ore - disse ben sapendo di sorprendere tutti con la sua opinione, e compiacendosene.

- Ma come! No! Cosa dice! - esclamammo tutti e tre all’unisono. Anche il negoziante emise un qualche suono di disapprovazione.

- Oh sì, io lo so bene, - alzò la voce a coprire le nostre il signore canuto. - Voi parlate di ciò che si ritiene esista, io parlo di ciò che è. Ogni uomo prova quello che voi chiamate amore per ogni donna avvenente.

- Ah, quello che dice è orribile; ma non c’è forse quel sentimento che è chiamato amore e che dura non mesi e anni, ma tutta la vita?

- No, non c’è. Ammettendo pure che un uomo mantenga la preferenza per una certa donna per tutta la vita, quella donna, con ogni probabilità, gli preferirà poi qualcun altro: così è sempre stato, da che mondo è mondo - appena terminò di parlare, prese il portasigarette e se ne accese una.

- È però possibile anche la reciprocità - disse l’avvocato.

- No, non è possibile - obiettò l’altro, - così come non è possibile che caricando un carro di piselli due pisellini prescelti si dispongano fianco a fianco. Ma qui poi non si tratta soltanto di calcolo delle probabilità, è una questione, probabilmente, di saturazione. Amare un uomo o una donna per tutta la vita è proprio come dire che una stessa candela arderà per tutta la vita - e mentre parlava tirava avide boccate di fumo.

- Ma lei parla esclusivamente dell’amore carnale. Non ammette forse un amore basato sulla consonanza degli ideali, sull’affinità spirituale? - disse la signora.

- Affinità spirituale! Consonanza degli ideali! - ripeté quello, emettendo il suo caratteristico suono. - Ma in questo caso non ha senso dormire insieme (mi si perdoni la crudezza). Se no qui finisce che si va a letto insieme per la consonanza degli ideali - concluse con una risata nervosa.

- No, mi consenta - disse l’avvocato, - i fatti contraddicono quello che lei sostiene. Vediamo che le coppie di coniugi esistono, che tutta l’umanità, o almeno la gran parte di essa vive fondandosi sulla vita matrimoniale, e questa vita matrimoniale è da molti vissuta a lungo e onestamente.

Il signore canuto scoppiò di nuovo a ridere.

- Ma come, viene a dirmi che il matrimonio si fonda sull’amore, quando io metto in dubbio l’esistenza stessa dell’amore, salvo quello carnale, e lei vorrebbe dimostrarmi l’esistenza dell’amore con la durata dei matrimoni. Ma il matrimonio ai nostri giorni non è altro che un inganno, un imbroglio!

- No, no, mi consenta - disse l’avvocato, - io dico soltanto che i matrimoni esistono e sono sempre esistiti.

- Esistono. Sì, ma perché esistono? Sono esistiti ed esistono per persone che nel matrimonio vedono qualcosa di arcano, un sacramento che vincola davanti a Dio. Per quelle persone esistono, ma non per noi. Qui la gente si sposa, senza vedere nel matrimonio altro al di là dell’accoppiamento, e il risultato è sempre inganno, o violenza. Se è un imbroglio, è più facile da sopportare. Il marito e la moglie non fanno altro che imbrogliare la gente con la loro parvenza di monogamia, e vivono in un regime di poligamia e poliandria. È meschino, ma ancora accettabile. Ma quando, come spesso accade, la moglie e il marito si sono assunti l’impegno formale di vivere insieme per tutta la vita, e già dal secondo mese si odiano reciprocamente, vorrebbero separarsi eppure continuano a convivere, quello che scaturisce allora è un inferno orripilante, per via del quale si finisce alcolizzati, ci si spara o si ammazza e si avvelena se stessi oppure l’altro - nessuno aveva più modo di inserirsi nel suo discorso sempre più frenetico e animato. Tutti tacevano. La situazione si faceva imbarazzante.

- Sì, non c’è dubbio, si verificano episodi incresciosi nella vita coniugale - disse l’avvocato, con l’intento di interrompere la foga sconveniente del discorso.

- A quanto pare lei ha capito chi sono io - disse a bassa voce e con apparente calma il signore canuto.

- No, non ho il piacere.

- Non è un gran piacere. Io sono l’uomo a cui è capitato l’episodio increscioso al quale alludete, quello che, guarda un po’, ha ucciso la moglie - disse, andando subito a sondare con gli occhi uno a uno tutti quanti noi.

Nessuno trovò le parole, tutti erano ammutoliti.

- Comunque non importa, - disse, rifacendo il suo rumore. - Anzi, scusatemi! Non voglio imbarazzarvi oltre.

- Ma no, vi prego - disse l’avvocato, senza sapere neppure lui di cosa lo pregasse.

L’uomo però, senza ascoltarlo, si voltò rapidamente e tornò al suo posto. L’avvocato e la signora presero a sussurrarsi qualcosa. Io ero seduto vicino a lui, e rimasi in silenzio, cercando invano le parole. Per leggere era troppo buio, così chiusi gli occhi, fingendo di volermi addormentare. In quel silenzio arrivammo fino alla stazione successiva.

Lì, come avevano già concordato col controllore, l’avvocato e la signora cambiarono carrozza, e il negoziante si distese su una panca e si addormentò. L’uomo continuava a fumare e a bere il tè che si era preparato ancora alla stazione precedente.

Quando aprii gli occhi e lo guardai, prese a parlarmi all’improvviso e con irritazione.

- Forse le dà fastidio stare seduto vicino a me, ora che sa chi sono. Se è così, me ne vado.

- Oh no, vi prego.

- Beh, forse allora gradite del tè? Solo, è un po’ forte, - me ne versò un bicchiere. - Parlano, parlano. Solo frottole - disse.

- A cosa vi riferite? - gli chiesi.

- Che ripetono sempre la stessa storia: questo loro amore, e che roba è mai. Non è che vuole dormire?

- Assolutamente no.

- Allora se vuole le racconterò in che modo, per colpa di quest’amore, sono finito dove sono finito.

- Va bene, se non le pesa.

- No, mi pesa tacere. Bevete il tè. O è troppo forte?

Il tè, in effetti, sembrava birra, ma finii comunque il mio bicchiere. In quel momento passava il controllore. Lo accompagnò in silenzio con uno sguardo incattivito, e iniziò solo quando quello fu scomparso.

- Allora le racconterò Ma è sicuro di volerlo?

Ripetei che lo desideravo molto. Restò un attimo in silenzio, si passò le mani sul viso e iniziò: - Se devo raccontare, è necessario che cominci dall’inizio: dal racconto di come e perché mi sono sposato, e com’ero io prima di sposarmi.

Prima di sposarmi vivevo come vivono tutti, cioè tutta la gente del nostro ambiente. Sono un proprietario terriero, ho una laurea e sono stato maresciallo della nobiltà nel mio distretto. Prima di sposarmi vivevo come vivono tutti, cioè in maniera dissoluta, e come tutti nel mio ambiente ero convinto che quella fosse la maniera giusta.

     Potete continuare la lettura di questo romanzo per conto vostro ora che il protagonista comincia a raccontare la sua storia. Ma perché abbiamo letto queste pagine che si riferiscono al tema – culturale ed esistenziale – dell’unione matrimoniale? Nel rispondere a questa domanda possiamo anche cogliere l’occasione per esporre – a grandi linee – gli episodi salienti della vita e dell’avventura militare di Alessandro Magno. Il racconto delle imprese di Alessandro ci presenta una serie di comportamenti che condizionano, non sempre in modo positivo, la vita e l’evoluzione dei costumi nella società.

     Alessandro Magno, come sappiamo, nasce a Pella, la capitale della Macedonia, nel 356 a.C. quando suo padre, Filippo II, sta regnando da tre anni dopo essere succeduto al fratello Perdicca III.

     Dobbiamo ricordare che Filippo II, da bambino – quando le polis greche riuscivano a tenere ancora sotto controllo il regno macedone – era stato consegnato a Tebe come ostaggio. A Tebe Filippo si trova bene e cresce inserendosi nel clima della cultura greca (molto più raffinata rispetto a quella macedone) e soprattutto fa anche un’utile esperienza militare sotto la guida dello stratega Epaminonda e, quando Filippo II sale al trono di Macedonia, attua prima di tutto, una riforma dell’esercito macedone che, pur contando sulla forza dei numerosi soldati (i Macedoni erano dei montanari abituati a fare fatica ed esercizio fisico), combatteva però disordinatamente, senza una strategia. Filippo II ristruttura l’esercito introducendo, nella fanteria pesante (come ha imparato a Tebe, e i Tebani, a loro volta, avevano copiato gli Spartani), l’elemento della falange: le falangi macedoni sono squadre di soldati, molto affiatati tra loro, che agiscono e si muovono a file serrate in modo da creare un corpo solido e compatto che possiede una poderosa capacità di sfondamento. Con un esercito così potente Filippo II dà inizio ad una politica di espansione rivolta tanto verso la Grecia quanto verso l’Asia e Demostene, il grande oratore ateniese, nelle sue sei orazioni intitolate Filippiche, cerca invano di far capire ai Greci che si devono unire contro quello che lui chiama il "pericolo macedone" ma ormai il destino delle polis dell’Ellade sembra definitivamente segnato.

     Di solito ci si limita a dire che Alessandro è figlio del re ma Filippo II non lo ha di certo partorito: chi è la madre di Alessandro Magno? La madre di Alessandro, la regina di Macedonia, si chiama Olimpiade ed è la figlia di Neottolemo, il re dell’Epiro. La figura di Olimpiade è stata un po’ oscurata dalla fama del figlio anche se per lei Alessandro ha avuto sempre una grande devozione. Dobbiamo ricordare che Alessandro ha una sorella: Filippo e Olimpiade hanno una seconda figlia che si chiama Cleopatra. Olimpiade – sebbene sia stata oscurata dalla fama del figlio – non è (tanto per il suo carattere quanto per le sue doti culturali) un personaggio di secondo piano: è lei che, molto probabilmente, organizza la congiura che prepara l’attentato mortale a Filippo. Filippo era attorniato da molte concubine che Olimpiade tollerava ma quando decide di ripudiarla e di risposarsi con Cleopatra, la figlia del generale Attalo (con il quale Filippo aveva stipulato un accordo di potere) Olimpiade si ribella e trama contro di lui. Filippo viene ucciso nel 336 a.C. da un soldato della sua scorta, mentre, dopo aver assoggettato tutta la Grecia, si sta preparando ad attaccare l’Impero persiano. Olimpiade, dopo l’uccisione di Filippo, si ritira in Epiro e, alla morte di Alessandro, nel 323 a.C. (lei vive più a lungo di suo figlio), riappare sulla scena del grande scontro per la successione che porta allo smembramento dell’Impero di Alessandro (qui gli avvenimenti sono molto complicati e noi non possiamo scendere nei particolari) ricordiamo solo l’epilogo: nel 316 a.C., a Pidna, anche Olimpiade viene uccisa e su questo personaggio ci sono ancora molte altre cose interessanti da conoscere.

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Se vuoi saperne di più sulla figura di Olimpiade, la madre di Alessandro, puoi consultare l’enciclopedia o fare una ricerca sulla rete e, attraverso le notizie che riguardano questo personaggio, puoi arricchire le tue conoscenze sul complicato periodo di storia che porta al disgregamento dell’Impero di Alessandro dopo la sua morte

     Da quello che abbiamo detto finora possiamo capire anche che – nonostante sia un privilegiato, un figlio di re – Alessandro non ha avuto un’infanzia proprio felice e il suo precettore più celebre, Aristotele, ha messo in evidenza il "disagio" di cui questo ragazzo soffre: un disagio che spesso lo spinge a fare delle cose esagerate. L’esordio di Alessandro sulla scena della storia avviene nel 338 a.C. quando combatte, a fianco di suo padre, a Cheronea: Filippo II sconfigge in questa battaglia gli eserciti di Atene e di Tebe e sottomette tutta la Grecia.

     Quando il padre viene ucciso e la madre, complice della congiura, si ritira in Epiro, Alessandro sale al trono di Macedonia sostenuto dai più importanti generali di Filippo i quali pensano, giovane com’è, di poterlo manovrare a loro piacimento ma lui si rivela spregiudicato ed astuto e se ne libera mettendoli uno contro l’altro e sostituendoli con persone a lui fedeli, poi, facendo appello al popolo, elimina tutte le opposizioni interne: c’erano, tra i suoi parenti, molti pretendenti al trono.

     Alessandro – contando sulla forza dell’esercito macedone che lui potenzia ulteriormente e di cui diventa comandante assoluto – mira prima al consolidamento del regno soffocando le ribellioni di popoli che, alla morte di Filippo II, si erano sollevati come i Triballi, i Geti e gli Illiri, e infine distrugge Tebe, nel 335 a.C., che era diventata l’ultimo centro della resistenza antimacedone nell’Ellade.

     Filippo II – poco prima di essere ucciso –, per non umiliare eccessivamente le polis greche, aveva costituito la Lega di Corinto e stava preparando una grande spedizione greco-macedone contro i Persiani. Alessandro assume il comando militare della Lega di Corinto, voluta da Filippo, e comincia ad attuare il progetto di espansione nel territorio dell’Impero persiano.

     Le falangi greco-macedoni comandate da Alessandro attraversano l’Ellesponto e sconfiggono l’esercito di Dario III presso il fiume Grànico, in Misia, nel 334 a.C.: con questa vittoria Alessandro si impadronisce di tutte le città costiere dell’Asia Minore, e, dopo aver passato l’inverno a Gordio, sconfigge nuovamente Dario III nella celebre battaglia di Isso nel 333 a.C., assicurandosi, con l’occupazione della Siria, della Palestina e dell’Egitto, il completo controllo del mar Mediterraneo di Levante. La battaglia di Isso viene ricordata come l’atto che decreta la supremazia della civiltà greco-macedone su quella persiana, l’inizio dell’egemonia dell’Occidente sull’ Oriente.

     L’arte ellenistica ci ha lasciato una serie di rappresentazioni molto significative di questa battaglia, della battaglia di Isso. La meglio conservata di queste rappresentazioni è un mosaico del III secolo a.C. ritrovato nella Casa del Fauno a Pompei, ricopiato da un dipinto del IV secolo a.C. e conservato al Museo Nazionale di Napoli.

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Quest’opera – il mosaico raffigurante la battaglia di Isso – puoi osservarla consultando, in biblioteca, il volume di una Storia dell’Arte che parla dell’Ellenismo, oppure puoi fare una ricerca in rete…

     Alessandro in Egitto fonda Alessandria, la prima di una serie di città che portano il suo nome (saranno decine le Alessandrie sul territorio dell’ellenismo) e compie una spedizione al santuario del dio Ammone, nell’oasi di Siva, e, con questo viaggio rituale, Alessandro si presenta come erede del potere divino dei faraoni: da questo momento sulla figura umana di Alessandro cominciano a sovrapporsi immagini divine e questo procedimento di contaminazione mitica tenderà a crescere. Portandosi dietro questo alone un po’ sacrale Alessandro (che comincia ad essere chiamato Mega-Alexandros), dall’Egitto, nella primavera del 331 a.C., riprende l’avanzata verso oriente e con la vittoria tra Gaugamela e Arbela, nell’ottobre del 331 a.C., conquista tutta la Mesopotamia, occupando le grandi città persiane di Babilonia, di Susa, di Persepoli e di Ecbatana), mentre Dario III, ancora una volta sconfitto, fugge verso est e viene ucciso, a tradimento, dal satrapo Besso che governa su molte regioni asiatiche.

     Alessandro, con una certa dose di astuzia e di abilità, condanna l’uccisione del re da parte del satrapo (che voleva ingraziarsi il gran condottiero macedone) e si dichiara erede di Dario e della famiglia degli Achemenidi, e, per vendicarne la morte, insegue Besso verso oriente, annienta il suo esercito e conquista le regioni dell’altopiano dell’Iran: l’Ircania, la Drangiana, l’Aracosia, la Battriana, la Sogdiana e vi fonda numerose colonie militari. Poi, superato l’Hindu Kush, penetra nel bacino dell’Indo e, nel 326 a.C., sbaraglia l’esercito del re Poro sul fiume Idaspe.

     Tutta questa frenesia di conquista del grande condottiero si ripercuote negativamente sull’umore dei soldati greco-macedoni stressati dalle prove durissime che hanno dovuto affrontare in mondi lontanissimi da casa loro quindi il malcontento che si diffonde nell’esercito costringe Alessandro a rinunciare a un’ulteriore avanzata verso il Gange e a organizzare il ritorno verso occidente: il viaggio di ritorno si trasforma in una pericolosa ritirata perché è difficile poter controllare questo vasto territorio sul quale si sono formate molte sacche di resistenza. Il viaggio di ritorno di Alessandro verso occidente si svolge in parte via terra e in parte via mare con la flotta guidata dall’ammiraglio Nearco che parte dal detta dell’Indo e naviga fino al golfo Persico: il viaggio di ritorno di Alessandro verso occidente si conclude a Susa nel 324 a.C.. Alessandro muore improvvisamente di febbri (di malaria?) a Babilonia il 13 giugno del 323 a.C. mentre sta preparando una nuova spedizione in Arabia.

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Se consulti l’enciclopedia o un atlante storico o esplori la rete puoi di sicuro trovare e osservare una carta che illustra il vasto territorio conquistato dal condottiero macedone con le varie tappe che abbiamo citato: percorri anche tu sulla carta il viaggio di Alessandro…

     Che cosa c’entra il racconto – a grandi linee – sulla vita e sulle imprese di Alessandro Magno con il tema del "matrimonio"? Nell’organizzazione del vastissimo territorio conquistato, Alessandro mira a conciliare e a fondere l’elemento greco con quello orientale, nel disegno di una monarchia universale e multirazziale, nella quale si accentua sempre di più il carattere teocratico del suo potere: ad un certo punto Alessandro si crede – gli fanno credere – di essere un dio in terra, un dio che sta attuando una nuova creazione del mondo.

     In effetti l’incontro della civiltà greca con quella orientale, e l’affermazione del principio dell’impero universale, hanno avuto conseguenze storiche e culturali fondamentali nella storia del mondo antico, e queste conseguenze sono andate ben al di là della durata effettiva dell’impero di Alessandro che, subito dopo la sua morte, si è disgregato a causa delle lotte di successione.

     Che cosa c’entra in tutto questo il tema del "matrimonio"? Per creare una monarchia universale (e teocratica) Alessandro avvia una politica di fusione tra i popoli incoraggiando – con tutta una serie di incentivi di carattere economico – i soldati Macedoni a sposare donne persiane. Il fatto è che per sposarsi non sono sufficienti gli incentivi materiali, ci sono infatti dei risvolti culturali – le lingue diverse, le tradizioni diverse, i costumi diversi – che devono essere tenuti in considerazione (è necessario ci sia un programma di integrazione) e poi per mettersi insieme bisogna anche amarsi un po’ e per amarsi bisogna capirsi e anche condividere interessi comuni. Di conseguenza questi matrimoni misti risultano forzati nella maggior parte dei casi e quindi non hanno avuto, complessivamente, una buona ricaduta sul terreno sociale e invece di essere la base per costruire una società nuova (l’Umanità in senso ecumenico) diventano spesso il detonatore per creare conflitti interetnici ed interreligiosi.

     Alessandro, da quando comincia la sua avventura, in ogni posto che arriva e che conquista, per dare l’esempio (più per spirito di fusione che di effusione) contrae dei matrimoni con più di una fanciulla: di solito con le figlie dei monarchi, dei funzionari, dei generali o dei satrapi che ha sconfitto. Tra questi matrimoni di Alessandro la storia ricorda quello con Statira, la figlia di Dario III e soprattutto quello, avvenuto nel 327 a.C., con Rossàne, la figlia di Ossarte il satrapo della Battriana. Rossàne alla morte di Alessandro è in attesa di un figlio e si troverà coinvolta, insieme a questo bambino, nelle lotte per la successione e la sua storia s’incrocia con quella di Olimpiade, la madre di Alessandro.

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Se vuoi saperne di più su Rossàne, sul figlio di Alessandro, e sui rapporti che queste due persone hanno avuto con Olimpiade, la madre di Alessandro, puoi consultare l’enciclopedia o fare una ricerca sulla rete in modo da accrescere le vostre conoscenze su questo travagliato periodo di storia che è stato chiamato del primo Ellenismo

     Oggi la discussione (di carattere culturale) e la riflessione (di carattere esistenziale) sul tema delle unioni matrimoniali e, in particolare, sul tema dei matrimoni misti continua ad essere di grande attualità come lo era anche nel momento in cui Tolstoj scrive La Sonata a Kreutzer ed ecco la ragione per cui abbiamo letto l’incipit di questo romanzo. La discussione (di carattere culturale) e la riflessione (di carattere esistenziale) sul tema delle unioni matrimoniali (omogenee o miste che siano) hanno le loro radici nell’età ellenistico-alessandrina, e da queste discussioni e da queste riflessioni emerge l’idea che difficilmente – come invece vorrebbero i poteri costituiti – il matrimonio possa essere l’istituto adatto per "sedare le passioni": se ciò sembra avvenire è perché molto spesso è in atto la coercizione o la falsificazione dei sentimenti e questo – ribadiamo il fatto – diventa materia per il genere letterario del "romanzo" che, proprio nel periodo ellenistico, comincia a prendere forma.

     La spedizione di Alessandro trasforma la terra abitata – in greco "oikumèné" – in un solo grande paese che si estende dal Mar Mediterraneo fino al fiume Indo. Su questo grande territorio – dove, per un certo periodo di tempo, cadono le frontiere (rimangono i confini naturali) – il passaggio di un esercito di migliaia di soldati e di centinaia di carri, determina lo sviluppo di una rete di piste ben segnate e percorribili, e il collegamento tra le varie piste dà luogo al consolidamento di alcune importanti strade intercontinentali: le cosiddette vie euro-asiatiche che, in seguito, e per lunghi tratti, prenderanno il nome dei principali prodotti che su queste vie circoleranno (la seta, la lana, l’incenso, il sale). Le vie euro-asiatiche, che vengono tracciate e prendono forma nel corso della spedizione di Alessandro, unificano per la prima volta nella storia un territorio vastissimo (ricordiamoci che i viaggi più lunghi, nell’antichità, venivano fatti per mare) e quindi, da questo momento, le vie sulla "terra ferma" cessano di essere – per lunghi tratti – solamente delle piste per diventare delle strutture con un loro "strato" permanente. Questa situazione determina il consolidarsi di una significativa idea antropologica sulla quale aveva cominciato a riflettere (e noi con lui) Erodoto ne Le Storie e, in compagnia di Erodoto, abbiamo fatto due viaggi molto interessanti spostandoci soprattutto via mare (con la nave virtuale Sidonia pilotata all’altrettanto mitico ammiraglio Agenore di Tiro), Erodoto spesso, ne Le Storie, manifestando una certa delusione, scrive: "adesso devo tornare indietro, adesso mi devo fermare perché qui finisce la strada e dove la strada finisce – aggiunge riflessivo Erodoto – termina la possibilità di conoscere e, di conseguenza, il mondo senza strade si fa misterioso ed è come se non esistesse".

     Con le vie euro-asiatiche, che prendono forma nel corso della spedizione di Alessandro, si consolida una significativa idea antropologica: il mondo esiste fin dove arriva la strada.

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Qualche volta hai sicuramente detto: "Quel giorno (in tram, in autobus, in treno, in automobile, in camper, in nave…) ne ho fatto di strada!"… Che giorno era, che strada era, che viaggio era?

Scrivi quattro righe in proposito…

     Lungo queste strade prendono forma molte strutture elementari di urbanizzazione, soprattutto presidi militari e aree di sosta carovaniere, che sorgono tutte intorno ad un servizio fondamentale: il pozzo dell’acqua. Sulle vie euro-asiatiche ha inizio e si sviluppa un’importante fenomeno (che rimane in sordina perché non ha la visibilità di un esercito in marcia o di una carovana che trasporta mercanzie), questo fenomeno è stato definito (a posteriori) del "pellegrinaggio culturale" e coinvolge molti viandanti solitari, i quali si aggregano spesso, strada facendo, a piccoli gruppi di altri viaggiatori (drappelli di soldati, mercanti in affari): perché un certo numero di intellettuali che partono da Alessandria, da Antiochia, da Pergamo si mettono in viaggio da occidente verso oriente? Gli intellettuali occidentali vanno verso Oriente attratti dalla cultura sapienziale e poetica fiorita sulle rive dell’Indo: vanno in India per studiare i Libri dei Veda. Il termine "veda" in sanscrito significa "sapienza", quindi, gli intellettuali occidentali vanno in India per studiare i Libri della Sapienza: una sapienza di cui da secoli (dal X secolo a.C.) giungeva l’eco in Occidente attraverso le carovane dei mercanti, una "sapienza" che ha influenzato la cultura "orfico-dionisiaca" nelle sue strutture di base, in particolare, sul tema dell’anima e dell’immortalità dell’anima.

     Ora interrompiamo questa riflessione sulla cultura dei Libri dei Veda perché il nostro Percorso, prossimamente, ci porterà in India, e anche in Cina, per vedere da vicino – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – che cosa succede in queste grandi civiltà orientali durante il periodo dell’ellenismo: noi, se ben ricordate, abbiamo visitato l’India e la Cina, in compagnia di Erodoto, al tempo dell’Età assiale, 2500 anni fa.

     Adesso dobbiamo fare un altro tipo di riflessione e ci dobbiamo domandare: che cosa determina il fenomeno del "pellegrinaggio culturale", del "viaggio intellettuale" verso Oriente? Prima di tutto determina la comparsa sulla scena della Storia della cultura di una figura particolare che, in seguito (non subito) è stata chiamata (e tuttora si chiama) la viandante o la pellegrina e il viandante o il pellegrino: questi termini, in greco, nel periodo dell’ellenismo, corrispondono ad un nome significativo che diremo fra poco. La figura della viandante e del viandante è una persona che si muove sul territorio percorrendo lunghi tragitti e che si presenta con delle caratteristiche particolari che diventano segni di riconoscimento, che creano un modello, che determinano uno stile: prima di tutto viaggia disarmata (senza armi di offesa), porta con sé un bastone da viaggio che non è propriamente un’arma e il fatto che non lo sia viene manifestato legando al bastone un ramoscello d’ulivo o una foglia di palma che fa apparire l’oggetto come simbolo di pace. Inoltre la figura della viandante e del viandante è una persona che – sebbene di per sé non produca ingombro – è comunque sempre disposta (in caso ci siano difficoltà orografiche) a concedere il passo: vigeva una mentalità che ha le sue radici nella letteratura epica per cui gli eroi (gli eroi omerici) pretendono che gli si conceda il passo (così pretendono gli eserciti in marcia e le carovane in cammino), in caso contrario sfoderano le armi. La figura della viandante e del viandante è una persona che porta con sé alcuni accessori che diventano elementi tipici, come l’ampio mantello color verde oliva (il colore di Atena in quanto dèa della sapienza) per proteggersi nelle soste notturne e da portare arrotolato, legato sulle spalle, durante il cammino (tipo sacco a pelo), e come la zucca fatta seccare e svuotata (il sostitutivo dell’otre più ingombrante che deve essere trasportato su un carro) che diventa l’oggetto per portare la propria riserva d’acqua.

     La viandante (non è escluso che viaggiassero anche le donne) e il viandante – che cammina verso oriente, verso la valle dell’Indo nel periodo dell’ellenismo sulle piste tracciate sul territorio euro-asiatico dall’esercito di Alessandro Magno – ha preso il nome di "periegeta", e questo termine lo abbiamo già incontrato in più di un Percorso.

     Per capire meglio, dal punto di vista filologico, quello che stiamo dicendo ci dobbiamo appoggiare ad un libro e al suo autore. C’è infatti un libro, uno di quei testi davvero importanti nella Storia del Pensiero Umano che s’intitola Ellados peri egesis su cui abbiamo già puntato la nostra attenzione alcune volte. "Ellados" significa "della Grecia" e "peri-egesis" viene tradotto con il termine "guida al viaggio" e deriva dal verbo "peri-ago" che significa "muoversi per imparare". "Ellados peri egesis" significa letteralmente: "Guida per viaggiare in Grecia allo scopo di imparare da quel che si può vedere di interessante". I curatori delle traduzioni nelle lingue moderne, a cominciare dall’Umanesimo, hanno preferito dare a questo testo un titolo più vicino al genere letterario del romanzo e così lo hanno chiamato "Viaggio in Grecia".

     Dobbiamo ricordare che uno dei manoscritti più antichi di quest’opera (assai malridotto) è stato acquistato dall’umanista fiorentino Niccolò Niccoli che lo ha copiato, lo ha studiato e lo ha tradotto in latino. Alla sua morte, avvenuta nel 1437, il Niccoli ha lasciato il manoscritto alla Biblioteca di San Marco a Firenze: questo manoscritto è ancora lì e se visitate il Museo di San Marco ricordatevene. Questo manoscritto è stato un punto di riferimento per chi abbia voluto studiare e pubblicare quest’opera: sono venute e venuti da tutto il mondo le studiose e gli studiosi ad occuparsi di questo testo attraverso il lavoro di Niccolò Niccoli (ma queste cose non fanno notizia).

     Chi è l’autore di quest’opera intitolata "Ellados peri egesis"? L’autore di quest’opera è un famoso scrittore di età ellenistica – lo abbiamo incontrato più di una volta – che si chiama Pausania di Magnesia. Pausania è nato all’inizio del II secolo d.C. in Asia Minore, probabilmente nella città di Magnesia. Quest’opera di Pausania, in età ellenistica, ha avuto un grande successo ed è servita per portare al centro dell’attenzione il vocabolo "periegeta": un termine che già da qualche secolo designava le viandanti e i viandanti che si avventuravano, sulle piste dell’ecumene, verso oriente per raggiungere le Scuole della cultura sapienziale e poetica indiana.

     Che cosa significa propriamente la parola "periegeta"? Periegeta è la viandante, è il viandante che non si accontenta di fare la turista o il turista, ma vuole "far parlare ciò che vede", vuole scoprire, attraverso un esercizio intellettuale, l’anima culturale degli oggetti che incontra sul suo cammino: "periegeta" è la persona che, mentre viaggia (a piedi), studia e impara. L’opera di Pausania avremo modo di citarla ancora nell’itinerario della seconda settimana di febbraio.

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Qual è l’ultima bella camminata che hai fatto? Scrivi quattro righe in proposito

     Il fenomeno del "pellegrinaggio culturale", del "viaggio intellettuale", della "periegesi" fa sì che si assista alla prima considerevole trasformazione del modo di vedere il mondo: nella cultura dell’Ellade il mondo, per la persona, è tutto contenuto dentro la polis (dentro le mura della città-stato, le mura della polis contengono il mondo), con l’ellenismo la persona percepisce che il mondo si dilata sulla terra abitata, sull’ecumene. Il termine "ecumene" ("fin dove si estende la terra abitata e fin dove arriva la strada") è – come abbiamo detto – la prima parola-chiave che abbiamo incontrato sul nostro Percorso e il concetto di "ecumene" fa nascere la "passione" (altra parola-chiave ellenistica dai molti significati) per il viaggio intellettuale, per il fenomeno della "periegesi".

     Questo fenomeno ha avuto – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – un grande sviluppo. Facciamo un esempio incontrando uno scrittore che tutte e tutti voi conoscete (per lo meno di nome) e che abbiamo incontrato più di una volta nei nostri Percorsi: lo scrittore tedesco-svizzero Hermann Hesse (1877-1962). Probabilmente avrete anche letto qualcuno dei suoi famosi testi: Peter Camenzind (1904), Demian (1919), Siddharta (1922), Il lupo della steppa (1927), Narciso e Boccadoro (1930), Il gioco delle palle di vetro (1943).

     Sapete anche che nel 1946, Hesse ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura e fa parte del gruppo di scrittrici e di scrittori chiamato della crisi del ‘900. Queste scrittrici e questi scrittori riflettono e si rendono conto, dopo la prima guerra mondiale, della profonda "crisi di valori" che c’è in Europa perché la società della tecnica non ha risolto i problemi materiali, ha complicato i problemi esistenziali e ha soffocato i temi spirituali. In molte e molti intellettuali c’è il desiderio di costruire una nuova spiritualità universale: c’è il desiderio di cercare e di mettere in evidenza e di mettere in comune i valori (le parole-chiave e le idee-cardine) che si possono individuare e catalogare con lo studio della Storia del Pensiero Umano a partire dall’Età assiale. Purtroppo il messaggio lanciato da queste scrittrici e da questi scrittori verrà ignorato (verrà anche denunciato come disfattista) e vinceranno i nazionalismi, gli autoritarismi, i totalitarismi e di questa loro vittoria l’Umanità ne ha pagato abbondantemente le conseguenze.

     Questa sera incontriamo un Hermann Hesse dedito a riflettere sul tema del viaggio e del fenomeno della "periegesi" con un libro, che raccoglie 53 brevi saggi di carattere autobiografico pubblicati tra il 1902 e il 1954, dal titolo inequivocabile: Il viandante nel quale sviluppa, in chiave contemporanea, gli argomenti che abbiamo trattato in chiave ellenistica. Hermann Hesse riflette sulla pratica del viaggiare mentre racconta le sue esperienze di viandante: ricordiamo che la meta preferita di Hesse era l’Italia e dal 1901 al 1914 ha intrapreso una decina di lunghi vagabondaggi, o pellegrinaggi, nella nostra penisola soggiornando a Venezia, in Toscana e più volte in Umbria sui sentieri di Francesco d’Assisi (dal quale era affascinato).

     Leggiamo, ora, alcuni frammenti:

LEGERE MULTUM….

Hermann Hesse, Il viandante

 Quando fui sollecitato a scrivere qualcosa sulla componente poetica del viaggiare – quella che i greci chiamano la periegesi –, mi sembrò in un primo momento un’opportunità allettante potere imprecare, una buona volta a cuore aperto, contro gli orrori della moderna industria turistica, la smania, di per sé insensata, di viaggiare, lo squallore degli alberghi attuali, contro città turistiche come Interlaken, contro inglesi e berlinesi, contro la Foresta Nera del Baden, deturpata e ormai smisuratamente cara, contro la ciurmaglia di abitanti delle grandi città che vogliono vivere in mezzo alle Alpi come a casa propria, infine contro i campi da tennis di Lucerna, contro albergatori, camerieri, stile di vita e prezzi degli hotel, vini locali non genuini e costumi regionali fasulli. Ma una volta, quando in treno fra Verona e Padova confessai a una famiglia tedesca le mie opinioni in merito, fui pregato, con fredda cortesia, di tacere, e quando un’altra volta presi a schiaffi, a Lucerna, un cameriere spregevole, non fui più pregato, ma si passò a vie di fatto per costringermi a lasciare l’albergo vergognosamente in fretta. Da allora imparai a dominarmi.

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     E questa sera abbiamo utilizzato (se vogliamo citare le parole di Herman Hesse) "il nocciolo di preziosi ricordi" per mezzo dei quali è stato costruito il racconto – che noi abbiamo scorso a grandi linee – della vita e dell’impresa di Alessandro Magno, ma Il romanzo di Alessandro è un grande apparato letterario composto di un gran numero di opere che mettono insieme realtà e leggenda: che cosa racconta la leggenda che è andata formandosi attorno al personaggio di Alessandro? Anche la leggenda, naturalmente, ha contribuito al verificarsi della "scoperta delle passioni": in che modo ha contribuito?

     Sono tutte domande significative e, nel prossimo itinerario, cercheremo delle risposte perché siamo viandanti, siamo "periegeti", sul territorio dell’ellenismo: il viaggio è in corso e la Scuola è qui e ogni persona ha diritto all’Apprendimento…

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 23, 2009