Prof. Giuseppe Nibbi La sapienza poetica e filosofica dell’età medioevale 14-15-16 gennaio 2015
Francobollo - Scuola Salernitana
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE
OPERA LA SCUOLA MEDICA SALERNITANA CHE SI AVVALE SOPRATTUTTO
DI CONOSCENZE SCIENTIFICHE PROVENIENTI DAL MONDO ARABO-ISLAMICO ...
Questo è il dodicesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale”, e nel tragitto della scorsa settimana, come ricorderete, prima di riprendere il nostro cammino sul sentiero che ci porta ad osservare lo scenario della Filosofia scolastica propriamente detta abbiamo preso atto di quali rivolgimenti antropologici, sociali e politici avvengono nell’ambito dell’ecumene europea dopo l’anno Mille.
Per prima cosa abbiamo constatato che nel vasto spazio sul quale stiamo viaggiando, dopo l’anno Mille, esplode il fenomeno dell’urbanizzazione: sul territorio, sorgono moltissime città che diventano “liberi comuni” e sono governate da un Parlamento egemonizzato dalla nuova classe sociale emergente, la borghesia, di cui abbiamo studiato i caratteri. In Italia molte città nelle quali emerge la borghesia, favorite dalla loro naturale posizione costiera [la penisola italiana ha più di ottomila chilometri di coste] raggiungono, prima delle città di terraferma, un notevole grado di ricchezza e d’indipendenza politica: tra queste città - dette “Repubbliche marinare” - primeggiano Amalfi, Venezia, Pisa e Genova. Di Amalfi abbiamo parlato la scorsa settimana e, ora, non possiamo fare a meno di accennare alle altre tre importanti “Repubbliche marinare” [non vorrei ci dichiarassero guerra].
La città di Venezia si forma come conseguenza della colonizzazione delle isole della laguna veneta da parte di gente che fugge di fronte all’invasione di Attila nel 452, e poi questi centri lagunari, sorti nella varie isole, dopo la guerra goto-bizantina [dopo il 553] ottengono un riconoscimento giuridico da parte dell’Esarca, il governatore bizantino, che ha sede a Ravenna e da cui dipendono; ma, a mano a mano che l’autorità di Bisanzio si affievolisce per effetto della fuga da Bisanzio, in questi borghi viene organizzata un’amministrazione autonoma da parte di chi si dedica al commercio e poi, dalla fine del VII secolo, questi centri abitati danno vita ad una federazione ed eleggono, tra i mercanti-borghesi, un magistrato che governi, a vita, l’insieme dei borghi lagunari: lo chiamano “doge” che è la traduzione veneta del termine “duca”.
Sotto la direzione dei dogi, dall’VIII secolo, partendo dall’isola di Rialto - e dalle isolette ad essa congiunte per mezzo di ponti - s’incomincia ad edificare Venezia che è destinata a diventare una delle più belle e ricche città del mondo perché le famiglie dei mercanti-borghesi si dotano di una flotta per svolgere, data la posizione favorevole, un redditizio commercio marittimo lungo le coste dall’Adriatico, lungo il corso dei fiumi veneti, fino in Oriente nel Mar Mediterraneo di Levante facendo concorrenza agli Amalfitani e ai Genovesi.
Venezia viene posta sotto la protezione di San Marco, le cui simboliche reliquie, trasportate da Alessandria d’Egitto, vengono deposte nell’omonima basilica. La basilica di San Marco comincia ad essere costruita nell’828 e viene ultimata nel 1073, ed è una mirabile costruzione con tre absidi e cinque cupole, ornata da ben cinquecento colonne dei più vari e preziosi marmi, all’interno ci sono 4240 metri quadrati di mosaici per cui viene chiamata “la basilica d’oro”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida di Venezia e navigando in rete fate una visita alla Basilica di San Marco [ma dubito che ci sia qualcuna e qualcuno di voi che non abbia mai visto dal vero questo monumento]...
Nel X secolo Venezia, diventata una potenza militare, combatte contro i pirati slavi, detti Schiavoni, che infestavano il Mar Adriatico, e la vittoria definitiva su di essi viene riportata nell’anno Mille dal doge Pietro Orseolo II che occupa le coste dell’Istria e le isole e le città della Dalmazia: a ricordo di questa impresa, che ha avuto inizio il giorno dell’Ascensione, viene poi istituita la caratteristica festa annuale dello “Sposalizio del mare” durante la quale il doge, a bordo di una speciale imbarcazione, chiamata Bucintoro, usciva in mare aperto e celebrava un rito che consisteva nel lancio nelle acque di un prezioso anello votivo, il popolo seguiva il Bucintoro sulle barche tutte addobbate e adorne di palloncini illuminati. L’ultimo Bucintoro è stato dato alle fiamme il 9 gennaio 1798 quando Venezia viene occupata dai Francesi.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per vedere il Bucintoro oggi - invece che nel Mar Adriatico - potete navigare in rete, c’è più di un sito che ne parla, buona navigazione...
Sappiamo che la Serenissima Repubblica di Venezia influenzerà tutta la storia dell’Età medioevale così come la Superba Repubblica di Genova e l’Altèra Repubblica di Pisa. [La repubblica veneziana e quella genovese cesseranno di esistere nel 1798 per decisione del generale Napoleone Bonaparte].
Pisa, in strategica posizione alla foce dell’Arno che era allora navigabile fin sotto le mura della città, ha fatto parte durante l’Età feudale del Marchesato di Toscana, mentre Genova era sotto il Marchesato degli Obertenghi, al cui potere è seguito quello del vescovo-conte.
Pisa, nell’XI secolo, riesce a svincolarsi dal marchese di Toscana e ad amministrarsi autonomamente quando i mercanti-borghesi pisani si dotano di una flotta, si prendono cura del porto, del suo dragaggio, e delle infrastrutture necessarie al commercio: la città viene dedicata a San Ranieri e, nel 1064, il libero Comune pisano appalta la costruzione del Duomo.
A Genova - dotata di un porto naturale ben attrezzato - prendono il potere i nobili diventati mercanti-borghesi che, dal X secolo, con le loro navi commerciano nel Mar Tirreno e nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra fino al Mar di Levante. Questa nuova classe sociale si rende indipendente anche dal vescovo-conte, viene proclamata la Repubblica, viene eletto un Parlamento che nomina i magistrati dediti al governo: la città viene dedicata a San Giorgio la cui immagine campeggia laicamente sul “Palazzo delle compere e del banco” in piazza Caricamento [il Duomo comincia ad essere edificato nel XII secolo e viene dedicato a San Lorenzo].
Pisa e Genova sono in competizione ma si alleano, dopo l’anno Mille, per combattere contro gli Arabi [i Saraceni] che si erano insediati lungo le coste della Sardegna e della Corsica e costituivano un ostacolo nel Mar Tirreno ai commerci delle due città marinare compiendo azioni di pirateria, e li sconfiggono cacciandoli dalla Sardegna, dalla Corsica, dall’Elba, dalle Baleari. La potenza e la ricchezza di queste due città, Genova e Pisa, si può vedere ancora oggi nei loro bellissimi monumenti.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida di Genova e navigando in rete, per avere un’idea della potenza economica della città, potete visitare il “Palazzo San Giorgio [delle compere e del banco di San Giorgio]” edificato subito dopo l’anno Mille e ristrutturato nel XIII secolo...
Con la guida di Pisa e navigando in rete potete visitare il Duomo, il Campanile [la celebre Torre pendente] e il Battistero posti nella Piazza dei Miracoli...
Buon viaggio a Pisa e a Genova [ma dubito che ci sia qualcuna e qualcuno di voi che non abbia mai visitato queste città]...
La scorsa settimana, poi, abbiamo studiato la comparsa dei Normanni sulla scena della storia europea e dell’Italia meridionale e, inoltre, ci siamo occupate ed occupati di un fatto epocale: dello strappo definitivo, dal 1054, tra la Chiesa greca d’Oriente e la Chiesa latina d’Occidente con la relativa “fuga da Bisanzio”, una metafora che abbiamo affrontato, per il valore che ha, in termini letterari. Sulla scia della “fuga da Bisanzio” abbiamo lasciato in sospeso due interrogativi: come cambiano i rapporti tra i Normanni e il papato e come mai gli intellettuali in fuga da Bisanzio invece di stabilirsi a Roma se ne vanno a stare a Salerno? Ed è attraverso questi due interrogativi che ritorniamo a prendere il passo sul nostro sentiero specifico, quello della Storia del Pensiero Umano, che sta per condurci al di là del “paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini” e del “paesaggio intellettuale della Filosofia cristiano-latina ai suoi albori”, i due scenari che abbiamo tenuto sotto osservazione prima della vacanza durante gli itinerari dello scorso anno. Come cambiano, dopo il 1054, i rapporti che erano piuttosto tesi tra i Normanni e il papato? Papa Niccolò II cambia politica rispetto a Leone IX, ma dobbiamo procedere con ordine perché la situazione è complessa.
Il papa Leone IX [nel 1053, come sappiamo] aveva avuto la pessima idea di attaccare i Normanni che insidiavano il Principato di Benevento e – non aiutato dai Bizantini, ormai troppo deboli e in dissenso con Roma – era stato sconfitto, fatto prigioniero e per essere liberato aveva dovuto riconoscere le acquisizioni normanne sul territorio centro-meridionale italiano. I suoi successori si comportano con maggior precauzione nei confronti dei Normanni: Vittore II [il tedesco Gebeardo di Dollnstein-Hirschberg vescovo di Eichstätt] e Stefano IX (o X) [Federico di Lorena abate di Montecassino che abbiamo già incontrato quando ha nominato cardinale Pier Damiani], anche in relazione alla traumatica rottura con Costantinopoli, auspicano una riforma della Chiesa [intervengono contro la simonia, la vendita delle cariche ecclesiastiche e contro il concubinaggio dei vescovi-conti], Stefano IX (o X) favorisce poi la nascita della cosiddetta “corrente delle abbazie [un vero e proprio schieramento politico]” di cui fanno parte gli esponenti più importanti del movimento dei monasteri: Pier Damiani di Fonte Avellana [da Stefano IX (o X) creato cardinale], Anselmo da Baggio [futuro papa Alessandro II], Desiderio di Montecassino [futuro papa Vittore III] e Ildebrando di Soana [futuro papa Gregorio VII - di cui a suo tempo sentiremo parlare - coordinatore della corrente e legato del papa in Germania]. Per inciso [e lo abbiamo già detto] Vittore II e Stefano IX (o X) sono morti entrambi a Firenze e sono stati sepolti in Santa Reparata, oggi Santa Maria del Fiore.
Alla morte di Stefano IX (o X) - alla fine di marzo del 1058 - si assiste ad un colpo di mano della nobiltà romana capeggiata dal conte Gregorio Crescenzi di Tuscolo sostenuto dal conte Gerardo di Galeria. Il Crescenzi [senza il consenso delle altre tre componenti: l’imperatore, il clero e il popolo romano] nomina papa suo fratello Giovanni vescovo di Velletri che prende il nome di Benedetto X il quale, vista l’irregolarità dell’elezione, viene subito scomunicato dal collegio cardinalizio: il cardinale Ildebrando di Soana interpella le parti in causa e si decide di procedere ad una nuova elezione e, nel dicembre del 1058, i cardinali riuniti a Siena eleggono papa Gerardo di Borgogna il vescovo di Firenze [il candidato di Ildebrando proposto dalla corrente delle abbazie] che prende il nome di Niccolò II e viene consacrato a Roma nel gennaio del 1059 dopo la fuga dell’ormai antipapa Benedetto X nel castello di Galeria.
Niccolò II è un convinto assertore della riforma della Chiesa [non si tappa le orecchie per non sentire certe critiche appropriate che arrivano da Costantinopoli] e nell’aprile del 1059 convoca a Roma il concilio lateranense per attuare “la riforma dell’elezione papale” in modo da salvaguardarla dall’invadenza della nobiltà romana e dal controllo dell’imperatore germanico: il concilio, secondo la proposta della corrente delle abbazie, stabilisce che il pontefice venga eletto dai cardinali con la semplice approvazione delle altre componenti [nobili, imperatore, popolo] ma, naturalmente, il “Decreto lateranense sull’elezione del pontefice”, che attribuisce tutto il potere al collegio cardinalizio, scatena la reazione della nobiltà romana e soprattutto dell’imperatore tedesco [Enrico IV è ancora un bambino affidato dalla madre, l’imperatrice Agnese] e dei suoi consiglieri laici ed ecclesiastici i quali dichiarano illegittimo il governo del papa Niccolò II e nulli i suoi decreti. A questo punto si fanno avanti i Normanni [è questa la domanda alla quale dobbiamo rispondere] e il papa Niccolò II, ben volentieri, cambia politica nei loro confronti e, conscio della loro forza, accetta di buon grado di legarli alla Chiesa come suoi difensori tanto contro i Bizantini, quanto contro l’impero germanico e anche, in primo luogo, contro quei nobili romani, come i Crescenzi di Muscolo, che continuano a sostenere l’antipapa Benedetto X. Così, nel 1059, Niccolò II concede al normanno Roberto Altavilla detto il Guiscardo [l’astuto] l’investitura di Duca di Puglia e di Calabria come feudatario della Chiesa ottenendo in cambio il giuramento di fedeltà e l’aiuto militare, e Roberto marcia subito sul castello di Galeria e senza colpo ferire l’antipapa Benedetto X è costretto a dimettersi.
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Navigando in rete fate un’escursione alla città perduta di Galeria immersa nell’agro romano a nord della capitale: è un sito archeologico e naturale molto affascinante…
Mettete in ricerca “Galeria Roma” per non confonderla con l’omonima cittadina di Galeria in Corsica, buon viaggio...
Negli anni seguenti [facciamo un passo avanti, poi torneremo sui nostri passi], mentre Roberto il Guiscardo con rapidissime conquiste riunisce sotto il suo dominio tutti gli staterelli dell’Italia meridionale, ad eccezione della città di Benevento di proprietà della Chiesa, suo fratello Ruggero Altavilla intraprende la conquista della Sicilia. Gli Arabi, divisi tra loro, oppongono una debole resistenza e tutta l’isola viene conquistata dai Normanni, dopo trent’anni di guerra. Ruggero II [figlio di Ruggero Altavilla] unifica poi tutti i domini normanni di qua e di là dello Stretto di Messina e, nel 1130, assume il titolo di Re di Sicilia e duca di Calabria e di Puglia. Il dominio dei Normanni è stato benefico per queste regioni: gli Altavilla hanno saputo frenare con l’autorità regia il potere dei baroni nelle campagne e hanno lasciato una certa autonomia alle maggiori città favorendo che si sviluppassero economicamente sotto la guida della borghesia-mercantile.
La popolazione del meridione italiano era formata di vari elementi, diversi per lingua, religione, nazionalità e civiltà ma il governo normanno degli Altavilla si è raramente imposto con la forza, applica invece la più larga tolleranza: ciascun gruppo etnico ha potuto conservare la propria religione, la propria lingua e anche le proprie leggi. Specialmente la Sicilia raggiunge sotto i Normanni un periodo di grande splendore: la corte risiede a Palermo che, insieme con Messina, diventa un grande emporio commerciale, una delle più ricche e popolose città di tutto il Mediterraneo. Facciamo un altro passo in avanti per dire che dopo Ruggero II hanno regnato Guglielmo I e Guglielmo II col quale la dominazione normanna è finita nel 1189.
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Con la guida della Sicilia e navigando in rete potete visitare il Duomo di Cefalù fatto costruire da Ruggero II nel 1131 per osservare la tipica facciata in stile normanno, chiusa fra due torri quadrate, mentre all’interno potete ammirare preziosi mosaici…
Poi – sempre con la guida della Sicilia e navigando in rete – a Palermo potete visitare la Cattedrale, gioiello dell’arte normanna, fondata nel 1185, poi il Palazzo dei Normanni di origine araba [del IX secolo] ampliato dai re Altavilla nel XII secolo e contenente la splendida cappella Palatina, e ancora San Giovanni degli Eremiti uno dei monumenti più caratteristici della Palermo normanna...
Buon viaggio nel significativo mondo dell’integrazione culturale siculo-arabo-normanna...
Abbiamo detto che i Normanni hanno favorito la crescita autonoma delle maggiori città che hanno assoggettato favorendo il loro sviluppo economico sotto la guida della borghesia-mercantile e una di queste città che, con il governo degli Altavilla, raggiunge un alto grado di prosperità è Salerno e, avendo citato questa città, ora possiamo rispondere al secondo interrogativo che abbiamo lasciato in sospeso: come mai gli intellettuali in fuga da Bisanzio invece di stabilirsi a Roma se ne vanno a stare a Salerno?
Gli intellettuali in fuga da Bisanzio si stabiliscono a Salerno perché in questa città si è sviluppata un’importante Scuola: e così siamo ritornate e ritornati nell’alveo della Scolastica che, all’inizio dell’XI secolo [dell’anno Mille] cessa di essere un eterogeneo movimento ai suoi albori [negli itinerari prima della vacanza abbiamo incontrato i precursori e gli ordinatori della Scolastica alle sue origini]; ebbene ora questo movimento culturale sta per diventare un vero e proprio organismo d’impronta filosofica nel quale si distinguono molteplici correnti di pensiero dotate ciascuna di solide strutture adatte a favorire complesse operazioni d’investimento in intelligenza [pensate ad un tema di cui ci occuperemo prossimamente: quello di voler dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio: gli Scolastici s’impegnano in questo senso ma - come c’insegna Kant dal 1781 - non riescono a raggiungere l’obiettivo, però, nel perseverare in questo intento, costruiscono strumenti intellettuali che assecondano la crescita delle potenzialità del pensiero umano].
La Scuola salernitana è davvero un’istituzione molto particolare perché è la prima e la più importante Scuola di medicina del Medioevo, ed è l’antesignana di tutte le istituzioni mediche - e anche di quelle istituzioni che si chiamano “università” - che, da questo momento [dall’XI secolo] nasceranno sul territorio europeo.
La Scuola medica salernitana è stata la prima [sappiamo che si forma, sotto il governo longobardo, nell’ambito di un ospedale benedettino operante dal VII secolo] e la più importante istituzione medica d’Europa nel Medioevo che raggiunge il suo apogeo dall’XI secolo. Anche se la documentazione è piuttosto scarsa si capisce che, all’inizio del X secolo, partecipano alla sua fondazione molti medici, uomini e donne, tanto laici quanto religiosi che “curano il corpo e insegnano i dogmi dell’arte della salute”. Il primo dato ufficiale sull’importanza della Scuola medica salernitana risulta essere la venuta a Salerno nel 984 per curarsi di Adalberone di Laon, l’arcivescovo di Reims [lo abbiamo incontrato a metà novembre quando ha chiamato ad insegnare Gerberto d’Aurillac alla Scuola episcopale di Reims], e questo fatto ci fa capire quanto fosse vasta la fama dei medici di Salerno e quanto il nome di questa città si fosse diffuso in tutta l’Europa. La posizione geografica ha avuto sicuramente un ruolo fondamentale nello sviluppo della Scuola: Salerno ha un clima salubre, è culla della dieta mediterranea e della talassoterapia [la cura con l’acqua di mare], ed è un porto al centro del Mediterraneo dove, tra le altre merci, arrivano anche [dal Maghreb, dall’Andalusia e dall’Oriente] i “medicamenti” e viene metabolizzata la cultura medica araba, ebraica e greco-bizantina; difatti [e ora rispondiamo all’interrogativo che ci siamo poste e posti] dopo il 1054 gli intellettuali in fuga da Bisanzio si stabiliscono a Salerno, piuttosto che a Roma dove nessuno li considera, perché trovano lavoro come ricercatori, come lettori, come traduttori dal greco in latino.
Insieme ai Normanni - che conquistano la città e [nel 1077] ne fanno una capitale - arriva a Salerno il medico cartaginese [nato nel 1015] Costantino l’Africano [Ifrīqiya], già segretario di Roberto il Guiscardo, scienziato e poliglotta [conosce l’arabo, l’ebraico, il greco e il latino], che assume con grande efficienza la direzione della Scuola medica salernitana per diversi anni e traduce in latino dall’arabo e dal greco i testi di Ippocrate, di Galeno e le fondamentali opere di Avicenna. Costantino l’Africano viene chiamato “Magister Orientis et Occidentis [Maestro dell’Oriente e dell’Occidente]” e [integrando cultura islamica, ebraica e cristiana] si fa monaco benedettino e si trasferisce a Montecassino dove muore nel 1087.
La caratteristica più importante della Scuola medica salernitana è proprio il suo spirito di integrazione tra culture diverse perché se c’è una cosa che unisce gli esseri umani è il tema della salute: tutte le persone si ammalano e tutte hanno diritto alla guarigione e tutte hanno il dovere di curarsi e la “disciplina medica” non deve, non può e non vuole conoscere frontiere. Sotto questa spinta culturale si riscoprono le opere classiche che trattano di medicina e che, per lungo tempo, sono state dimenticate nelle biblioteche dei monasteri dove per fortuna sono state conservate, e grazie alla Scuola salernitana la medicina è stata la prima disciplina scientifica a uscire dalle abbazie: a far mettere a confronto e a far unire mondi diversi, e a far progredire la pratica sperimentale. Non è casuale il fatto che il testo della leggenda sulla nascita della Scuola medica salernitana [fra poco lo leggiamo] esprima l’idea che questa istituzione si fonda sull’incontro di quattro medici - uno greco, uno latino, uno ebreo e uno arabo - e, quindi, sulla sintesi della tradizione classica greco-latina con quella proveniente dalle culture araba, ebraica e bizantina.
Per le innovazioni che introduce nel metodo e nell’impostazione - con un approccio basato fondamentalmente sulla pratica e sull’esperienza che ne deriva - la Scuola salernitana apre la strada al metodo empirico e alla cultura della prevenzione. Le basi teoriche della Scuola sono costituite dal “sistema degli umori” elaborato da Ippocrate di Kos [460-377 a.C.] e da Claudio Galeno [129-200 d.C.] e dalla cultura fitoterapica e farmacologica contenuta nelle opere di Avicenna [980-1037], tuttavia il vero e proprio bagaglio scientifico della Scuola salernitana [la Guida, il Regimen] è costituito dall’esperienza maturata nella quotidiana attività di assistenza ai malati.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il termine “assistenza” include anche le parole: controllo, sorveglianza, sostegno, protezione, tutela... Tutte le persone sono chiamate a fornire assistenza e ad usufruire di assistenza... Quando, come e perché avete fornito e avete ricevuto assistenza ?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Il testo più noto della Scuola medica salernitana s’intitola Flos sanitatis [Il fior fiore della salute] meglio conosciuto come Regimen Sanitatis Salernitanum [Guida della Scuola salernitana alla salute]. Quest’opera - tradotta, nel corso dei secoli, in molte lingue - è stata scritta per aforismi in versi latini ed è un’opera collettiva composta tra l’XI e il XII secolo e messa in ordine, forse, da Giovanni da Meda [fondatore a Milano, secondo la tradizione, dell’ordine degli Umiliati].
Dai tempi di Ippocrate di Kos [460-377 a.C.] l’aforisma [il motto, la massima, l’adagio, il proverbio, il detto] è stato il veicolo letterario della classe medica: gli aforismi rimangono gli indiscussi contributi dei medici alla Letteratura, e in biblioteca troviamo Aforismi e Giuramento di Ippocrate in molte edizioni da consultare per curiosità, volendo.
Noi adesso leggiamo la prima pagina di Flos sanitatis [Il fior fiore della salute] o Regimen Sanitatis Salernitanum [Guida della Scuola salernitana alla salute]: quest’opera inizia proprio con la citazione di un aforisma di Ippocrate che funge da incipit, poi riporta in prosa il racconto della Leggenda che narra la nascita della Scuola salernitana per esaltare il fatto che “la medicina è una disciplina senza confini, che non conosce frontiere” e poi seguono novanta aforismi scritti in complessivi 369 versi latini, in un latino che ha ormai assunto un’impronta medioevale ed è diventato una lingua internazionale [noi ne leggiamo solo quattro di questi aforismi di Scuola salernitana: quelli che stanno in prima pagina e sono diventati, come molti altri, proverbiali].
LEGERE MULTUM….
Flos sanitatis [Il fior fiore della salute]
Regimen Sanitatis Salernitanum [Guida della Scuola salernitana alla salute]
La vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione è fugace,
l’esperienza è fallace, il giudizio è difficile.
Bisogna che non solo il medico sia pronto a fare da sé le cose
che devono essere fatte, ma anche il malato,
gli astanti, e tutto l’ambiente esterno in cui vive.
Ippocrate di Kos
Narra la leggenda che un pellegrino greco di nome Pontus si fermò nella città di Salerno e trovò rifugio per la notte sotto gli archi dell’antico acquedotto dell’Arce …
Scoppiò un temporale e un altro viandante malandato si riparò nello stesso luogo, si trattava del latino Salernus, costui era ferito e il greco Pontus, dapprima sospettoso, si avvicinò per osservare da vicino le medicazioni che il latino Salernus praticava alla sua ferita.
Nel frattempo erano giunti altri due viandanti, l’ebreo Helinus e l’arabo Abdela. Anch’essi si dimostrarono interessati alla ferita e alla fine si scoprì che tutti e quattro si occupavano di medicina. Decisero allora di creare un sodalizio e di dare vita ad una Scuola dove le loro conoscenze potessero essere raccolte, messe in comune, e divulgate: la medicina è una disciplina che non conosce confini.
AFORISMI SALERNITANI
Se ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose: l’animo lieto, la quiete e la moderata dieta [Si tibi deficiant medici, medici tibi fiant haec tria: mens laeta, requies, moderata diaeta].
Sia alla persona giovane che alla vecchia bastano sei ore di sonno, tutt’al più sette alla più pigra, ma a nessuna sarà permesso di dormire otto ore [Sex horis dormire sat est iuvenique senique, septem vix pigris, nulli concedimus octo].
Abìtuati a bere con moderazione, e astieniti dall’insaziabile ingordigia [Disce parum bibere, sis procul voracibus cupiditatibus].
Se vuoi che la notte ti sia leggera fa che la tua cena sia breve [Ut sis nocte levis, sit tibi coena brevis]. …
Di particolare importanza, dal punto di vista culturale, è il ruolo svolto dalle donne nella pratica e nell’insegnamento della medicina nella Scuola salernitana. Ed è un fatto particolarmente significativo che si possano studiare i metodi e le caratteristiche della Scuola medica di Salerno soprattutto attraverso un’importante figura femminile.
Le donne che insegnano e operano nella Scuola medica salernitana sono diventate famose col nome di “Mulieres salernitanae [le Donne o le Dame salernitane]”, e la più celebre è Trotula de Ruggiero. Chi è Trotula de Ruggiero? La vita di Trotula non la si conosce nei particolari ma di lei sappiamo che è vissuta a Salerno attorno al 1050 e che discende dall’antico casato di origine longobarda dei “de Ruggiero” e, come membro della nobiltà, ha avuto la possibilità di frequentare le scuole superiori e di specializzarsi in medicina e ci sono diverse annotazioni che si riferiscono a lei in tal senso. Trotula ha sposato il medico Giovanni Plateario di nobile famiglia bizantina e ha avuto due figli che hanno continuato l’attività dei genitori in campo medico.
La “medica [così viene chiamata] Trotula”, in quanto donna, ha avuto idee innovative sotto molti aspetti: considera la prevenzione come elemento fondamentale della medicina e sottolinea l’importanza che l’igiene, l’alimentazione equilibrata e l’attività fisica rivestono per la salute delle persone e non ricorre a pratiche rivolte all’astrologia, alla preghiera e alla magia. Trotula s’indigna perché viene diffusa [per ignoranza e per supponenza] l’idea insensata che una persona [in special modo se è una donna] si possa ammalare perché ritenuta “indemoniata [a causa dei propri peccati]” e, quindi, vada “curata con il rogo [perché non infetti la comunità]”.
In caso di malattia consiglia trattamenti [che includano bagni, massaggi, medicamenti poco costosi] di facile applicazione e accessibili anche alle persone meno abbienti. Le sue conoscenze in campo ginecologico sono eccezionali per l’epoca, e molte donne ricorrono alle sue cure: infatti cerca nuovi metodi per rendere il parto meno doloroso [come partorire nell’acqua] e per il controllo delle nascite. Si occupa del problema dell’infertilità cercandone le cause non soltanto nelle donne [considerate sterili perché maledette da Dio in quanto eredi della colpa originaria] ma anche negli uomini che devono essere curati, e farsi curare, in proposito.
Trotula de Ruggiero annota le sue osservazioni in un’opera intitolata De passionibus Mulierum Curandarum [Sulle malattie delle donne] diventata poi famosa col nome di Trotula Major [l’Opera più ampia di Trotula] quando è stata pubblicata insieme al De Ornatu Mulierum [Sui cosmetici] un trattato sulle malattie della pelle e sulla loro cura detto Trotula Minor [l’Opera meno ampia di Trotula]. L’editoria spesso dà retta all’alfabetologia: è stato appena ristampato il trattato De Ornatu Mulierum con il titolo L’armonia delle donne [Manni editore], richiedetelo in biblioteca.
I due testi di Trotula del Ruggiero sono scritti in latino medievale, una lingua internazionale diffusa in tutta l’Europa e si rivolgono alle donne perché «le donne [scrive Trotula] non parlano volentieri delle loro malattie agli uomini, per un sentimento di pudore» [Quest’opera viene accolta - con circospezione ma con grande interesse - anche nei monasteri benedettini femminili del nord Europa e, strada facendo, ce ne accorgeremo]. La trattazione di Trotula risulta straordinaria anche perché, per la prima volta, una medica parla esplicitamente della sessualità femminile in senso positivo senza nessun accento moralistico. Nel testo dell’opera di Trotula, accanto all’elaborazione teorica delle esperienze, si trovano numerosi esempi pratici e - poiché conosce gli insegnamenti [gli Aforismi] di Ippocrate di Kos [460-377 a.C.], di Claudio Galeno [129-200 d.C.] e di Avicenna [980-1037] - la sua azione s’ispira ad una antica e tradizionale concezione della Natura che lega le caratteristiche della persona all’intero cosmo.
Nel Trotula Minor l’autrice si occupa della bellezza [non come beltà esteriore] e scrive di rimedi per il corpo, di pomate e di erbe medicamentose per il viso ed i capelli e dispensa consigli su come migliorare lo stato fisico con bagni e massaggi, e questo argomento non è rappresentato in modo frivolo: per Trotula lo sguardo sulla bellezza di una donna o di un uomo ha a che fare, in senso classico, con la filosofia della Natura cui s’ispira la sua arte medica e la bellezza, come sinonimo di “equilibrio”, è il segno di un corpo sano in armonia con l’Universo.
Le idee e i trattamenti di Trotula de Ruggiero si diffondono in tutta l’Europa e i suoi scritti sono stati utilizzati fino al XVI secolo come testi classici presso le Scuole di medicina più rinomate. Il Trotula Major, in particolare, viene trascritto più volte nel corso del tempo subendo numerose modificazioni e - come altri testi scritti dalle mediche salernitane - è stato impropriamente fatto risalire ad un autore di sesso maschile: patetico è il tentativo di attribuire l’opera di Trotula ad un fantomatico medico chiamato “Trottus” perché si negava la possibilità che una donna avesse potuto scrivere un’opera così importante, e la “scomoda” presenza di Trotula è stata cancellata dalla storia della medicina fino alla fine dell’Ottocento quando le studiose e gli studiosi hanno reso incontestabile l’autorità di Trotula de Ruggiero e delle “Mulieres Salernitanae [delle Donne mediche salernitane]”.
Per concludere il nostro incontro con Trotula de Ruggiero non possiamo non citare Platone che nel dialogo intitolato Simposio fa esprimere a Socrate, con la solita ironia, un concetto che spesso le traduzioni e le varie esegesi hanno tentato di mascherare: dice Socrate ai suoi interlocutori: «Fatevi pure visitare da un uomo ma poi fatevi curare da una donna».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Volete scrivere quattro righe in proposito visto che questa affermazione si presta ad essere commentata? ... La “scrittura” è di per sé un’azione curativa...
E ora, come cura [per studium], possiamo fare un’escursione a Salerno e dintorni.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida della Campania e navigando in rete potete sbarcare a Salerno per visitare il Duomo fatto costruire dal 1076 al 1085 da Roberto il Guiscardo che contiene le reliquie dell’evangelista San Matteo portate in città nel 954, e poi per visitare il castello di Arechi fondato dai Bizantini, ampliato dai Longobardi e rafforzato dai Normanni in bella posizione panoramica, e poi ancora per visitare - dopo aver attraversato l’antico quartiere “planum montis” - la quattrocentesca chiesa di Santa Maria delle Grazie che è stata, nel XV secolo, la sede della Scuola medica salernitana…
A sud di Salerno [a 43 chilometri] c’è Paestum e voi sapete che una passeggiata [anche utilizzando le immagini delle rete] tra i templi di questo sito straordinario è altamente curativa: il termine “studium” e la parola “cura” sono sinonimi anche nel glossario della lingua latina medioevale, approfittatene, l’azione simultanea di “studiare e curare” sono la prima forma di autotutela della persona...
Mentre in direzione est a pochi chilometri da Salerno [circa 25 chilometri] c’è Eboli e l’azione curativa che ispira questa località è legata al testo del romanzo di Carlo Levi, pubblicato nel 1945, intitolato Cristo si è fermato a Eboli. Leggiamo solo un frammento da Cristo si è fermato a Eboli - un romanzo che, insieme al suo autore, abbiamo citato più di una volta nei nostri viaggi - per ribadire che questo è il momento di leggere o di rileggere quest’opera [una di quelle opere che va periodicamente riletta come esercizio curativo, una lettura che non presenta particolari difficoltà] nella quale si possono cogliere l’indignazione e la curiosità dello scrittore: due sentimenti trasmessi alla lettrice e al lettore che collimano anche con lo stato d’animo che emerge dall’azione pratica e dall’opera teorica di Trotula de Ruggiero perché anche Carlo Levi è un medico che però non si sente portato per questa professione [vuol fare il pittore] ma le circostanze lo portano necessariamente a compiere il proprio dovere. Carlo Levi, che ha l’occhio del pittore, descrive con precisione le abitazioni dei contadini di Gagliano in Lucania, il paese in cui è stato confinato dal tribunale fascista, ed è irritato come uomo politico e turbato come medico per le condizioni [antigeniche, sembra non siano passati circa mille anni dall’opera di Trotula svolta a pochi chilometri da lì] e per la mentalità in cui vivono queste persone [mentalità superstiziosa, nonostante ci sia stata, un millennio prima, a breve distanza da lì, la Scuola salernitana], e, attraverso questa esperienza, l’autore, riflettendo ed andando oltre l’indignazione, l’irritazione, il turbamento, scopre però il valore della compartecipazione umana. Carlo Levi osserva, studia e interpreta con grande attenzione una serie di fenomeni che possono sembrare solo buffi ma sono legati all’ignoranza in cui questa gente è stata tenuta da tutti i regimi e si sente stimolato a tradurre la sua osservazione in scrittura per invitare chi legge a riflettere e a interpretare il significato della metafora che sta nell’espressione “Cristo si è fermato a Eboli”.
Nel frammento che stiamo per leggere Carlo Levi comincia ad indagare con grande curiosità, interesse ed ironia, sulla straordinaria dimensione mitica che ha la Madonna [Nera] di Viggiano che sovrintende a tutti gli atti della vita, nella salute e nella malattia: è lei la grande “curatrice” spesso, però, impassibile, lontana dalla pietà, sorda alle preghiere, indifferente natura, più vicina alla Potenza che alla Carità.
LEGERE MULTUM….
Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli
La pioggia non venne neppure nei giorni seguenti, malgrado la processione, le invocazioni di don Trajella e le speranze dei contadini. La terra era troppo dura per lavorarla, le olive cominciavano a risecchire sugli alberi assetati; ma la Madonna dal viso nero rimase impassibile, lontana dalla pietà, sorda alle preghiere, indifferente natura. Eppure gli omaggi non le mancano: ma sono assai più simili all’omaggio dovuto alla Potenza, che a quello offerto alla Carità. Questa Madonna nera è come la terra; può far tutto, distruggere e fiorire; ma non conosce nessuno, e svolge le sue stagioni secondo una sua volontà incomprensibile. La Madonna nera non è, per i contadini, né buona né cattiva; è molto di più. Essa secca i raccolti e lascia morire, ma anche nutre e protegge; e bisogna adorarla. In tutte le case, a capo del letto, attaccata al muro con quattro chiodi, la Madonna di Viggiano assiste, con i grandi occhi senza sguardo nel viso nero, a tutti gli atti della vita, nella salute e nella malattia. …
Leggete o rileggete - in ordine all’azione curativa che ha la didattica della lettura e della scrittura - il romanzo Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, lo trovate in biblioteca, probabilmente anche nella vostra biblioteca domestica e questo è il momento adatto per rimetterlo al centro dell’attenzione.
Abbiamo detto che Trotula s’indigna perché viene diffusa, per ignoranza e per supponenza, l’idea assurda [e di lunga durata...] che una persona, in special modo se è una donna, si possa ammalare [come se la malattia fosse un castigo] perché ritenuta “indemoniata” e, quindi, vada “punita con il rogo [perché non infetti la comunità]”. E il termine “rogo” ci fa ricordare che i nostri tre compagni di viaggio, Millemosche Pannocchia e Carestia, si sono cacciati in un brutto pasticcio: li abbiamo lasciati, la scorsa settimana, a fantasticare attorno al corpo bianco e grasso di una mucca [che sembra proprio una “benedettina di Fonte Avellana”] e si sono messi a scherzare con il fuoco nella speranza di poter fare una bella mangiata, ma oltre ad essere destinati a rimanere a digiuno rischiano loro di finire arrostiti; e a noi tocca la settimanale razione di Storie dell’anno Mille.
LEGERE MULTUM….
Tonino Guerra Luigi Malerba, Storie dell’anno Mille
FUOCO E FIAMME
Camminando in punta di piedi e nascondendosi uno dietro l’altro e l’altro dietro gli alberi, i paesani e i contadini armati di forconi e bastoni, il prete con le tre donnette, il maniscalco con i due garzoni si avvicinano passo passo al fuoco intorno al quale stanno Millemosche Pannocchia e Carestia sempre più incarogniti nella discussione su chi deve ammazzare la mucca. An dan des. E infatti i tre non si accorgono di niente e quando se ne accorgono è troppo tardi per scappare perché si trovano buttati a terra con i forconi puntati contro la pancia e le ossa che scricchiolano per i pugni e i calci che gli piovono addosso improvvisamente come la grandine durante la tempesta. Adesso gli farebbe molto comodo che tutto quello che è successo fosse un sogno ma non c’è niente da fare, non riescono a svegliarsi perché sono già svegli. È una gran brutta storia con intorno tutta quella gente che li ha scambiati per diavoli dell’inferno o per indemoniati o per anime dannate. Una delle donnette che sta dietro al prete tira fuori un paio di forbici. Bisogna cavargli gli occhi subito, prima di metterli sul rogo. Il pericolo peggiore dei diavoli sta negli occhi e nella coda. Con una occhiata ti possono fulminare e se uno tocca la coda diventa diavolo anche lui. Ma questi tre la coda l’hanno nascosta. Sono furbi. La vecchia si avvicina e vuole tirare giù per forza le braghe di Millemosche per tagliargli la coda. Ma intanto si fa avanti il padrone del mulino con in mano un rotolo di corda.
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Questa volta se la vedono davvero brutta: vedremo come faranno a cavarsela.
La Scuola salernitana si avvale soprattutto di conoscenze mediche provenienti dal mondo arabo-islamico: determinanti nello sviluppo della Scuola di Salerno sono le opere di Avicenna [lo abbiamo citato più volte questo personaggio con il quale abbiamo fissato un appuntamento] e, quindi, noi ora dobbiamo fare un’incursione [facendo anche un passo indietro] nel mondo della cultura arabo-islamica sul quale - dopo il viaggio dello scorso anno scolastico nel territorio della Letteratura del Corano - molte e molti di voi possiedono delle competenze.
Conosciamo già quali sono i canali di comunicazione tra il mondo europeo-cristiano e il mondo arabo-islamico [in superficie gli eserciti di terra e di mare dei feudi dell’impero carolingio, dei califfati arabi, delle città comunali, dei Bizantini, dei Normanni, del papato si fanno la guerra per ragioni di potere terreno - le religioni sono un pretesto - mentre sotto traccia gli intellettuali delle diverse culture cercano canali e trovano spazi di comunicazione per investire in intelligenza]: abbiamo studiato come Giovanni Scoto Eriùgena [nel IX secolo] e poi Gerberto d’Aurillac [alle soglie dell’anno Mille] frequentino [insieme ad altri anonimi intellettuali cristiani, mussulmani, ebrei e laici] quell’importante laboratorio culturale che è la Scuola di Toledo dove, attraverso le vie dell’espansione araba verso occidente, sono comparse nel cuore della penisola Iberica nella loro integrità testuale le opere di Platone [i Dialoghi] e di Aristotele [la Fisica e la Metafisica] che nel VI secolo [dopo essere state portate in esilio in territorio persiano da Atene] erano state tradotte in siriaco, e poi tradotte in arabo nel VII secolo [quando gli Arabi hanno invaso la Persia] e, dall’VIII secolo, con l’espansione araba verso occidente, sono state tradotte in latino in quella attrezzata fucina interculturale che è la Scuola di Toledo.
Gli intellettuali arabi, ebrei e cristiani che frequentano la Scuola di Toledo hanno avuto il compito di assicurare anche inconsapevolmente la continuità tra il pensiero antico dei Classici e il pensiero medioevale della Scolastica che, come abbiamo studiato nei precedenti itinerari di questo viaggio, sotto l’insegna di Platone e soprattutto di Aristotele, ha saputo tessere la tela del sapere razionale e, quindi, sul vasto “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale”, è nata e si è sviluppata una Scolastica cristiano-latina, una Scolastica arabo-islamica e anche una Scolastica ebraico-talmudica. Ma procediamo con ordine.
Gli intellettuali cristiani [che abbiamo incontrato nello scenario della “Scolastica alle sue origini” e in quello della “Filosofia cristiano-latina ai suoi albori”] nei convegni della Scuola di Toledo hanno fatto tesoro dei frutti della riflessione di carattere razionale avvenuta fin dall’VIII secolo nelle Case della saggezza di Cordova e prima ancora di Bagdad dove gli intellettuali islamici hanno dato una veste coranica [maomettana] ad Aristotele [il pensiero di Aristotele è quello che meglio si concilia con la Letteratura del Corano] del quale potevano leggere in arabo quasi tutte le opere, insieme a quelle dei suoi commentatori e insieme ai Dialoghi di Platone e alle Enneadi di Plotino.
Sulla scia dei testi delle opere di Platone [i Dialoghi] e soprattutto di Aristotele [la Fisica e la Metafisica] ha avuto inizio la riflessione dei pensatori scolastici arabo-islamici: una riflessione che, quindi, possiede un impianto di carattere ellenistico ed è per questo motivo che sono stati definiti, con una trascrizione dal greco lievemente storpiata dall’accento arabo, i “falasifa [i filosofi arabo-islamici filoaristotelici]”. Inizialmente dall’VIII secolo i “falasifa” leggono le opere di Aristotele in chiave neoplatonica [perché in territorio persiano le opere di Platone e di Aristotele - la statua di Atena - le avevano portate i filosofi neoplatonici scacciati da Atene quando Giustiniano nel 529 fa chiudere d’autorità l’Accademia ateniese] e, quindi, la figura di Aristotele viene accomunata a quella di Platone e i due filosofi [come già nei secoli precedenti avevano fatto gli Apologisti cristiani] vengono considerati ambedue come dei precursori della rivelazione del Profeta dell’islam Muhammad, illuminati anche loro dalla luce del Corano che scende dall’alto dei cieli.
Stiamo osservando uno scenario culturale assimilabile alla Scolastica cristiana che nasce contemporaneamente e che chiamiamo “paesaggio intellettuale della Scolastica arabo-islamica” nel quale, in origine, si distinguono due personaggi che dobbiamo conoscere e che fondano due importanti Scuole di pensiero: al-Kindi [796-873] e al-Farabi [872-950]. Chi sono al-Kindi e al-Farabi?
Al-Kindi è vissuto soprattutto a Bagdad, ma è di famiglia araba [e perciò viene chiamato “il filosofo degli arabi”], e nel suo pensiero cerca di far conciliare il primato della Ragione con la Profezia coranica [con la Fede] e l’orizzonte dei suoi interessi è molto ampio e va ben oltre la teologia [va al di là del tema del rapporto tra la Fede e la Ragione, un argomento che accomuna gli Scolastici di tutte le culture] e include lo studio della musica, dell’astronomia, della matematica e della medicina.
Anche Al-Farabi si colloca su questa linea d’onda ed è lui pure un personaggio enciclopedico [la leggenda gli attribuisce la conoscenza di settanta lingue] tanto che viene chiamato “il secondo Aristotele [Magister secundus]. Al-Farabi è autore di un Trattato sulla musica, largamente diffuso nel Medioevo, e musicista lui stesso [concepisce la musica come una forma di cura ed è l’iniziatore della musicoterapia], e trasporta la passione dell’armonia anche in campo filosofico sostenendo un “accordo” sia tra la Fede e la Ragione, sia tra il pensiero di Platone e quello Aristotele.
Al-Kindi e al-Farabi [e le loro rispettive Scuole] riflettono su uno dei più ardui temi della metafisica, quello della distinzione tra essenza ed esistenza. Aristotele aveva scritto che “la nozione di ciò che una cosa è [l’essenza] non include il fatto che la cosa sia [l’esistenza]”. Nelle creature l’esistenza è contingente in rapporto alla loro essenza dato che l’essenza è in grado di trascendere la loro esistenza effettiva - noi possiamo pensare che una nostra eventuale figlia o figlio o nipote possa “essere” anche se non è ancora nato così come possiamo pensare che possa continuare ad “essere” una persona o una cosa che non c’è più - e questo perché, pensano al-Kindi e al-Farabi sulla scia di Aristotele, l’esistenza non è un carattere costitutivo né delle persone né delle cose ma è un loro accidente accessorio di cui solo la percezione sensibile può renderci certi e, di conseguenza, solo in Dio l’essenza include l’esistenza: in questo ragionamento ci sono già, con un secolo di anticipo, tutti i termini di quello che si chiama “l’argomento ontologico [sul quale rifletteremo strada facendo]” e su questo tema Avicenna è stato un precursore.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
C’è una persona o una cosa di cui vi raffigurate l’essenza indipendentemente dalla sua esistenza? ...
Scrivere quattro righe in proposito è il primo esercizio da fare sul tema filosofico dell’ontologia, sul quale, strada facendo, rifletteremo...
I “falasifa ” [i filosofi arabo-islamici] più importanti nella Storia del Pensiero Umano sono Avicenna [che stiamo per rincontrare] e Averroè [che rincontreremo a suo tempo].
Il pensiero di Avicenna è stato proficuo tanto per la Filosofia scolastica arabo-islamica quanto per quella cristiano-latina: le opere di Avicenna, come abbiamo detto più volte, sono state utilizzate con profitto - tradotte in latino - nella Scuola medica salernitana. E poi Avicenna è stato un precursore della riflessione su “l’argomento ontologico”: ovviamente anche la parola “ontologia” viene dal greco - per l’esattezza da “óntos” che vuol dire “dell’essere” e “loghia” che vuol dire “studio”, quindi, con il termine “ontologia” si indica la disciplina che si occupa dello “studio dell’essere [e del rapporto tra essenza ed esistenza]” e, tanto per la forma quanto per il contenuto, questa parola mette un po’ di soggezione, una soggezione che va superata poco per volta. Avicenna lo incontreremo la prossima settimana.
Adesso non possiamo concludere il nostro itinerario senza sapere se Millemosche, Pannocchia e Carestia finiscono davvero arrosto: per fortuna oltre al fuoco c’è anche l’acqua a questo mondo, e il fuoco e l’acqua incidono sulla nostra esistenza con la loro essenza e, difatti, i nostri eroi sono stimolati, dalla drammatica avventura che stanno vivendo, a riflettere con il loro solito dubbioso pessimismo sul significato esistenziale legato al modo di essere di questi due elementi vitali, il fuoco e l’acqua.
L’essere riguarda il senso delle cose e il senso delle cose, quindi, ha a che fare con il tema ontologico, e “l’argomento ontologico” come prossimamente vedremo è strettamente collegato al tema dell’esistenza di Dio e l’esistenza di Dio è in relazione anche all’esistenza di Satana e, nel racconto che stiamo per leggere, Pannocchia, che non ha certo letto la Metafisica di Aristotele, intuisce però, sfidando l’ottusità dei suoi due compagni di sventura, che bisogna giocare la carta ontologica [lui non sa che si chiama così]: anche se “la nozione di ciò che Satana è [la sua essenza nella mente di coloro che li vogliono bruciare sul rogo] non include il fatto che Satana ci sia [la sua reale esistenza]” tuttavia, in questo momento, per la loro salvezza, è meglio che l’essenza di Satana - così come quella di Dio da cui Satana dipende - includa la sua esistenza. La lettura facilita la comprensione di questo ragionamento e, quindi, procediamo.
LEGERE MULTUM….
Tonino Guerra Luigi Malerba, Storie dell’anno Mille
MILLE MALEDIZIONI
In mezzo alla piazza del paese la gente ha ammucchiato una grande catasta di legna intorno a un palo molto alto per legarci i condannati. Infatti vengono portati fino lì e poi alzati con i forconi fino in cima alla catasta e qui legati al palo con delle corde molto robuste. Sulla punta del palo i paesani hanno infilato la ruota di un carro dipinta di rosso. Nessuno sa il perché di questa ruota. È una cosa che hanno visto fare altre volte in altri posti e allora hanno messo su la ruota anche loro perché non si venga a dire che non sanno mettere in piedi un rogo secondo le regole. Prima di dar fuoco alla paglia e alle fascine che stanno sotto la catasta di legna, il prete ha da fargli qualche domanda. Non è un vero processo ma ci manca poco. Comunque è sufficiente per decidere che devono essere bruciati, cosa che del resto era già stata decisa prima. «Perché siete così bianchi?».
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Nella sua autobiografia Avicenna racconta che da ragazzo [a diciassette anni], acquistò per curiosità la Metafisica di Aristotele e cominciò a leggerla senza capirci nulla: la lesse più di quaranta volte e tanto fece e tanto sudò su quelle pagine che alla fine [anche con l’aiuto di un commento di Al-Farabi] un filo logico riuscì a trovarlo, e con il filo si tesse. Che cosa capisce e tesse Avicenna studiando la Metafisica di Aristotele?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo metterci sulla via dell’Alfabetizzazione culturale e funzionale con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé consapevoli del fatto che non si deve mai perdere la volontà d’imparare.
Il viaggio continua, la Scuola è qui…
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