Prof. Giuseppe Nibbi Lo sapienza poetica ellenistica [evangelica e imperiale] 13-14-15 ottobre 2010
SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO
C’È UNA PRIMA INCURSIONE NEL TESTO DELLA PRIMA LETTERA AI CORINTI...
La scorsa settimana abbiamo preso il passo leggendo, dall’inizio alla fine, un intero romanzo (seppure molto breve), e questo è avvenuto in linea con la natura del nostro Percorso di alfabetizzazione culturale che procede in funzione della didattica della lettura e della scrittura. Il racconto che abbiamo letto s’intitola Il procuratore della Giudea e l’autore di questo testo, pubblicato nel 1902, Anatole France, immagina che Ponzio Pilato, il celebre procuratore della Giudea abbia rimosso dalla sua memoria la figura di Gesù di Nazareth, e pensare che lui, la sua fama, la deve proprio al fatto di aver incontrato sulla sua strada Gesù Nazareno Il paradosso letterario costruito da Anatole France deve far riflettere e ci dobbiamo domandare: abbiamo noi di Gesù di Nazareth una memoria legata alla cultura ellenistica visto che è nell’ambito di questa cultura che questa memoria prende forma? Oppure per noi – allude Anatole France all’inizio del secolo scorso – il termine “Gesù di Nazareth” è diventato solo un luogo comune soffocato dai culti e da sentimentalistiche devozioni?
Noi conosciamo una persona – l’abbiamo incontrata nella primavera scorsa – che invece, sebbene non abbia mai incontrato Gesù di Nazareth, ha costruito una “prima memoria” su di lui componendo il primo tassello di quello che poi è diventato uno dei più significativi apparati letterari della Storia del Pensiero Umano, quella che chiamiamo la Letteratura dei Vangeli: una Letteratura di stampo ellenistico che ha contribuito a spaccare la storia in due e che ha come primo oggetto un Epistolario, delle Lettere. E, come sappiamo, l’autore di questo Epistolario – una delle opere più importanti e significative dell’Ellenismo greco – si chiama Paolo di Tarso (Shaul Tarsensis) che, dall’aprile scorso, ci accompagna nel nostro viaggio. Con Paolo di Tarso, nello scorso anno scolastico, abbiamo già percorso sei itinerari e quindi abbiamo avuto l’occasione di conoscerlo un po’: abbiamo studiato come è avvenuta la sua evoluzione, come Shaul-Saulo sia diventato Paulus-Paolo. Adesso non possiamo riassumere tutto quello che abbiamo scoperto di lui, ma, strada facendo, rievocheremo (ripasseremo) e approfondiremo argomenti già trattati; ora possiamo dire che chi volesse ripercorrere gli itinerari – dal 25 al 30 del Percorso dell’anno 2009-2010 – può utilizzare i nostri siti agli indirizzi: www. inantibagno.it e www.scuolantibagno.net dove le Lezioni possono essere lette e anche ascoltate.
A proposito di argomenti già trattati e da approfondire affrontiamone subito uno: un argomento che abbiamo introdotto nell’ultimo itinerario, il trentesimo, prima della vacanza estiva. Sappiamo che Paolo di Tarso nelle sue Lettere si presenta come un personaggio che, per lo stile di vita, ha sempre affascinato i contestatori del perbenismo, della società dei consumi e del produttivismo senza limiti. Shaul-Paolo, nel testo delle Lettere, appare come un “benestante” (abbiamo studiato che Shaul-Paolo di Tarso può essere definito un “borghese”) che sceglie di uscire dagli schemi della sua classe d’origine per vivere spesso “sulla strada”.
Questa espressione fa, inevitabilmente, pensare al titolo di un romanzo (che a maggio abbiamo solo citato) che s’intitola proprio On the road, Sulla strada. Questo famoso romanzo è stato pubblicato nel 1957 a San Francisco, ed è stato scritto da Jack Kerouac (1922-1969); questo testo è uno di quelli che anticipano la rivolta giovanile contro l’ideologia del consumismo e aprono la stagione della contestazione studentesca che parte dagli Stati Uniti.
Kerouac, in questo romanzo, non si limita a descrivere le inquietudini sociali del mondo americano ma analizza anche molto bene l’ansia di fede, di ideali di una generazione alla disperata ricerca di un Dio che,come scrive Paolo di Tarso, “finalmente mostri il suo volto”.
Questo romanzo è incentrato sul mito del viaggio ed è giusto che lo si incontri ancora proprio adesso che siamo in partenza: in questo romanzo il viaggio è inteso come un girovagare alla ricerca di spazi esteriori (ci sono i grandi spazi del territorio americano da costa a costa) ma, soprattutto, il viaggio è inteso come un peregrinare alla ricerca di spazi interiori, nella speranza che, sulla strada (sulla via di Damasco), possa avvenire qualcosa di illuminante.
Le tematiche che – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – emergono dall’Epistolario di Paolo di Tarso sono molteplici e poi in primo luogo Paolo, nelle sue Lettere, costruisce un modello: dà una forma alla figura speciale di “Gesù Cristo”. L’Epistolario di Paolo di Tarso – abbiamo già detto nel maggio scorso – disegna un’icona che è diventata, nei secoli, un emblema: il simbolo di chi vuole combattere contro l’autoritarismo e l’ingiustizia.
A maggio abbiamo rievocato quel poster, o quella maglietta, raffigurante l’immagine di un Gesù con i capelli lunghi, barbuto, con un grande corona di spine in capo – è questa un’iconografia tradizionale di Gesù d’impronta paolina – con sotto scritto “wanted”, “ricercato”. Questo concetto ricalca l’allusione fatta da Anatole France all’inizio del secolo scorso con il racconto Il procuratore della Giudea: il termine “Gesù di Nazareth” è diventato solo un luogo comune soffocato dai culti e da sentimentalistiche devozioni? Questa immagine di Gesù “incoronato di spine e ricercato”, che si trova prima di tutto nell’Epistolario di Paolo di Tarso e negli Stati Uniti, dove i Libri della Bibbia e le figure bibliche sono molto in evidenza, diventa la principale icona della “beat generation”, e tutte e tutti noi conosciamo questa espressione perché è contemporanea a noi.
L’aggettivo “beat” (noi abbiamo in mente l’elemento superficiale e consumistico di questo termine annacquato soprattutto dal mercato delle canzonette) significa “battuto”, “sconfitto” ma significa anche “beato”, che è proprio il modo – e lo studieremo sulla strada di questo Percorso – in cui Paolo di Tarso presenta la figura di Gesù di Nazareth, una persona che, proprio perché “sconfitta” e “battuta” dalla storia (torturata e crocifissa), si trasforma nel “beato” Cristo della fede che indica – su tutto il territorio dell’Ecumene – la via della salvezza.
Ricordiamo (ripassiamo) intanto che è proprio attraverso l’Epistolario di Paolo di Tarso che prende campo il termine greco “Christos”. “Christos” significa “Unto” e l’unzione con l’olio d’oliva consacrava i re d’Israele. Paolo utilizza con grande perizia le parole della koiné greca, la lingua greca popolare e diretta dell’Ecumene ellenistica: utilizza il termine “Unto del Signore”, tradotto con il termine “Christos” per ribadire che Gesù porta con sé tutta la tradizione dell’Antico Testamento e gli affianca la parola Kyrios, il Signore, un termine prettamente ellenistico per rafforzare l’idea che Gesù di Nazareth è un rabbi ebraico che esce dall’ambito ristretto della terra di Canaan per parlare a tutta l’Ecumene (a tutta la terra abitata).
La definizione (culturale e letteraria) di “beat generation” è stata usata per la prima volta da un giornalista americano nel 1952 per definire non solo un fatto di costume, ma un movimento culturale e letterario che si è formato negli Stati Uniti attorno a un gruppo di scrittori, di poeti dissacranti, di cantori lirici del malessere del loro tempo che utilizzano principalmente – secondo la tradizione della Letteratura americana – il glossario della Letteratura beritica (dell’Antico Testamento) e dell’Epistolario di Paolo di Tarso: questi scrittori sono Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, Corso, l’elenco è lungo. Il “manifesto” di questo movimento intellettuale – come abbiamo già ricordato nel maggio scorso – viene considerato un romanzo, pubblicato nel 1951, dello scrittore David Gerome Salinger, morto l’anno scorso, che, in italiano, s’intitola Il giovane Holden, di cui molte volte abbiamo parlato e che molte e molti di voi hanno letto. In Italia è stata la scrittrice Fernanda Pivano, nata a Genova nel 1917 e morta lo scorso anno, che ha documentato con una intensa attività di traduzioni, di saggi e di recensioni questo significativo movimento culturale e letterario.
Questa esperienza letteraria ha costituito il punto di riferimento per tutta una generazione di giovani che non si riconosce più nel perbenismo della vita americana e nei “discutibili valori” proposti dal sistema capitalistico. A partire dagli anni Cinquanta, larghe fasce di giovani americani contestano il produttivismo e la “società dei consumi” e molti lasciano le città per ricolonizzare i villaggi abbandonati e per vivere in modo “rurale” sperimentando nuove forme di “solidarietà (agape)”, parola-chiave dell’Epistolario di Paolo di Tarso, e di “autosufficienza (autarchia)”, parola-chiave delle nuove Scuole filosofiche dell’Ellenismo.
Jack Kerouac è nato nel 1922 in Massachussetts e, dopo aver frequentato l’Università e vagabondato per gli Stati Uniti, si trasferisce nel 1950 a San Francisco che è la capitale degli artisti beat. A San Francisco l’icona beat per eccellenza è la figura di Gesù Cristo così come l’ha disegnata Paolo di Tarso nelle sue Lettere: Gesù di Nazareth è il segno di contraddizione, è la vittima che si sacrifica per donare la salvezza all’Umanità.
Il romanzo di Kerouac Sulla strada, On the road, scritto nel 1952 – verrà pubblicato nel 1957 – è di carattere autobiografico e ottiene un grande successo perché una generazione intera ci si riconosce: abbiamo detto che questo romanzo è incentrato sul mito del viaggio, ma per Kerouac il concetto di viaggio non è quello che fa riferimento alla epopea della conquista del west, anzi la tradizione western è vista in modo negativo e i pellerossa vengono riconosciuti come le vittime di un espansionismo aggressivo. Nel romanzo Sulla strada troviamo un nuovo concetto di “frontiera” che consiste nell’esaltazione della libertà che si prova nel percorrere grandi distanze. Ma, soprattutto, la “nuova frontiera” sta nella ricerca drammatica di una ragione esistenziale, nella ricerca di un senso da dare alla vita.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La frontiera è intesa quindi come “linea da superare”… Secondo voi che cosa dobbiamo impegnarci a superare per incamminarci sulla via di un mondo migliore: basta una parola per rispondere, scrivetela… [Io penso, per esempio, che dovremmo superare la frontiera dell’ignoranza…]
Adesso leggiamo due pagine tratte dal romanzo Sulla strada. In queste pagine incontriamo una coppia, Sal e Terry che si spostano come moderni pellegrini senza soldi, senza mezzi, facendo l’autostop o utilizzando clandestinamente i treni merci. Questi personaggi tendono a vivere liberamente la propria vita per evadere da una società che si presenta superficialmente dorata e vellutata ma che, sotto sotto, è un cumulo di brutture, di ipocrisie, di egoismi, di ingiustizie. Questi personaggi sono beatniks, sono sconfitti, sono battuti, sono alla disperata ricerca di qualcosa di assoluto, di beato che non trovano ma che tuttavia (come gli scettici ellenistici) continuano a cercare perché capiscono che i valori contingenti dati dal consumismo e dall’esteriorità della società “per bene” non danno la salvezza e pensano ad una società non del benessere ma del “ben-essere”. Questi personaggi finiscono per trovarsi puntualmente sempre nei guai e non sarà né il sesso, né la droga, né le filosofie orientali trapiantate forzatamente in Occidente a dar loro la felicità, ma dai guai riescono sempre ad uscirne con la convinzione che sia necessario continuare a cercare se stessi e a cercare le radici profonde della loro umanità.
Il linguaggio che Kerouac utilizza per scrivere non è spontaneo, è sperimentale, è volutamente un linguaggio scarnificato, essenziale, ricco di espressioni gergali e di citazioni mitiche. Kerouac vorrebbe dare l’impressione che il suo linguaggio sia improvvisato sul momento, sia libero, sia creativo ma in realtà lo scrittore lavora molto sul testo: vuole trovare un tono, un registro, uno stile che sia diverso da quello della letteratura tradizionale e, per fare questo, utilizza principalmente, in modo provocatorio, il glossario della Letteratura beritica (dell’Antico Testamento) e dell’Epistolario di Paolo di Tarso. C’è nella scrittura di Kerouac un ritmo grammaticale e sintattico alternativo, ed è un ritmo che vorrebbe seguire le cadenze musicali del jazz, ma per capire questo dovremmo poter leggere questo romanzo in lingua originale.
Ora noi ne leggiamo due pagine soprattutto perché c’è un motivo: dobbiamo cogliere – secondo la tradizione ellenistico-alessandrina – un intreccio filologico che saremo senz’altro in grado di riconoscere.
LEGERE MULTUM….
Jack Kerouac, Sulla strada (1957)
Terry e io dovevamo assolutamente decidere una volta per tutte che cosa fare. Decidemmo di andare con l’autostop fino a New York con quei pochi soldi che ci rimanevano. Quella sera lei si fece dare cinque dollari da sua sorella. Ne avevamo circa tredici o forse meno. Così, prima di dover pagare il conto della stanza per il nuovo giorno, facemmo le valigie e partimmo su una macchina rossa per Arcadia, in California, dove, sotto le montagne incappucciate di neve, c’è l’ippodromo di Santa Anita. Era sera. Eravamo diretti verso il continente americano, accidenti, eravamo sulla strada con un’idea grandiosa in testa: che quella potesse essere la via di Damasco e che ci aspettasse al varco un Dio che potesse mostrarci il suo volto. Tenendoci per mano camminammo per parecchi chilometri lungo la strada per uscire dalla zona abitata. Era un sabato sera. Ci fermammo sotto un lampione, facendo segni col pollice, quando all’improvviso passarono rombando alcune macchine piene di ragazzi con stelle filanti svolazzanti.
- Evviva! Evviva! Abbiamo vinto! Abbiamo vinto! - gridavano tutti.
... continua la lettura ...
Strada facendo capiremo perché abbiamo letto proprio queste due pagine: scopriremo qual è l’intreccio filologico che c’interessa quando saremo nei pressi del primo paesaggio intellettuale che dobbiamo osservare.
Ora però una cosa va detta e ribadita in partenza: quando pensiamo al termine “Epistolario di Paolo di Tarso” noi non pensiamo a qualcosa che riguarda la Letteratura moderna e contemporanea, e invece, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, ci dobbiamo pensare perché i testi delle Lettere di Paolo di Tarso sono penetrati a vasto raggio sopratutto nel genere letterario del romanzo. Di fronte al termine “Epistolario” di Paolo di Tarso noi pensiamo a qualcosa che riguarda la Chiesa e, di conseguenza (come ci ha ricordato il cardinale Carlo Maria Martini a primavera), non pensiamo neppure all’ampio valore intellettuale che ha il contesto culturale all’interno del quale nascono le Lettere di Paolo: di fronte al termine “Epistolario di Paolo di Tarso” solo le addette e gli addetti ai lavori pensano al contesto della “sapienza poetica ellenistica”, eppure è proprio in seno alla cultura della “sapienza poetica ellenistica” che la Chiesa, o meglio, le Chiese hanno sviluppato la loro dottrina.
Queste considerazioni ci devono far riflettere perché ci vengono suggerite dai Padri conciliari nel 1965. Sapete che nel secolo scorso c’è stato un avvenimento epocale: il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), un avvenimento al quale, quasi tutti noi, abbiamo assistito in diretta. I Padri conciliari hanno affermato che i Cristiani si sono completamente assuefatti: per ignoranza, per pigrizia, per disattenzione, per mancanza di strumenti di alfabetizzazione non predisposti dalle Istituzioni (questo elenco è stato fatto dai Padri conciliari). “Noi cristiani – scrivono i Padri conciliari – ci siamo completamente assuefatti alle parole della Letteratura dei Vangeli, di cui le Lettere di Paolo fanno parte e ne costituiscono il primo importante segmento, tanto che la valenza culturale e la carica intellettuale di queste parole, quasi sempre ci sfugge”. “Bisogna dire con molta chiarezza – scrivono i Padri nei Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II (che un bel dì studieremo) – che le parole della Letteratura del Vangelo, anche per il valore sacrale che hanno assunto finiscono per scivolare addosso a chi le sta a sentire, e perciò non vengono ascoltate con la dovuta cognizione di causa e con la necessaria attenzione culturale o per un eccesso di reverenza o per un profondo diniego, e, in questo caso, tanto la reverenza quanto il diniego sono un ostacolo alla comprensione del testo”.
Quindi il compito della Scuola pubblica non è quello di “affermare” né di “negare” la sacralità delle parole dell’Epistolario paolino ma di porsi con “spirito di alfabetizzazione” nei confronti di questa materia.
Che cosa significa “con spirito di alfabetizzazione”? Significa che la Scuola pubblica, con il dovuto rigore didattico, deve occuparsi di questa Letteratura in ragione della valenza positiva (formale e contenutistica) che possiede all’interno del vasto territorio della “sapienza poetica ellenistica” in modo da essere al servizio di chi crede alla sacralità delle parole contenute nella Letteratura dei Vangeli perché la persona possa rafforzare la propria competenza in modo da credere meglio (multum), in modo da dare “qualità” alla propria fede e, contemporaneamente, la Scuola pubblica deve essere a servizio di chi pensa alle parole contenute nella Letteratura dei Vangeli in termini non sacrali perché la persona possa rafforzare la propria competenza su temi esistenziali che devono essere ritenuti determinanti per l’acquisizione di sempre più ampie conoscenze. La Scuola pubblica non deve dire (imporre) a che cosa la persona debba credere – ognuno deve autonomamente aderire alla propria fede, religiosa o laica che sia –; la Scuola pubblica deve operare perché la persona possa acquisire strumenti (competenze) che possano dare più “qualità” alle proprie scelte ideali, orientandole, per quanto è possibile, verso il Bene.
E ora torniamo sul nostro sentiero specifico: questa sera ci troviamo di fronte al primo significativo paesaggio intellettuale del nostro secondo viaggio nel territorio della “sapienza poetica ellenistica”, una “sapienza poetica” che è stata chiamata di “stampo evangelico”. Questo paesaggio ci ha portate e portati – come sapete – nella città di Corinto: è proprio qui che ci aspetta Paolo di Tarso il quale è ansioso di dirci una serie di cose; egli aspira a sottoporre alla nostra attenzione una serie di temi che, dopo duemila anni, sono sempre di attualità.
Perché siamo sbarcati a Corinto? Corinto è una città che, nel Percorso precedente, abbiamo già nominato molte volte. Oggi Corinto è una cittadina di circa trentamila abitanti, situata vicino all’imboccatura nord del famoso “canale”.
L’itinerario di questa sera ci porta dentro un testo che tutte e tutti noi abbiamo sentito nominare: il testo della Prima Lettera ai Corinti. Il testo letterario della Prima Lettera ai Corinti è molto ricco e su di esso potremmo fare un Percorso intero. Questo testo è molto significativo tanto per i “travasi letterari” (gli intrecci filologici) e soprattutto per le idee di Storia del Pensiero che in esso sono contenute.
Ma prima di occuparci del testo della Prima Lettera ai Corinti dobbiamo fare due considerazioni significative in funzione del viaggio di studio che stiamo compiendo.
La prima considerazione l’abbiamo già fatta nello scorso Percorso ma va riconsiderata e riguarda l’indice dell’Epistolario di Paolo di Tarso. Le lettere di Paolo di Tarso sono una delle opere più importanti della Letteratura ellenistica: quest’opera, come sappiamo, è contemporaneamente un romanzo autobiografico, un saggio filosofico di impronta esistenzialista, un testo ricco di spunti poetici di natura liturgica ed è per questo motivo che, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, quest’opera deve essere studiate a Scuola.
Di che cosa parlano, a chi sono state inviate, quando sono state inviate, quante sono e, soprattutto, sono state scritte tutte da Paolo le Lettere di Paolo di Tarso? Prima di tutto, quindi, dobbiamo conoscere (o ripassare) il catalogo de Le lettere di Paolo di Tarso: dobbiamo conoscere l’indice cronologico dell’Epistolario secondo i risultati a cui è giunta la ricerca filologica, l’indagine letteraria e l’analisi storica.
Le studiose e gli studiosi ci dicono che le quattordici Lettere di Paolo di Tarso si possono dividere in tre serie, in ragione del periodo in cui sono state scritte e in ragione della loro autenticità, e allora scorriamo, per curiosità, questo catalogo.
Tra gli anni 50 e 60 vengono scritte sette Lettere: queste sette Lettere sono state attribuite a Paolo. I testi considerati autentici dell’Epistolario di Paolo di Tarso sono la prima Lettera ai Tessalonicesi che, come abbiamo studiato lo scorso anno scolastico, rappresenta lo scritto cristiano più antico giunto fino a noi, ed è stata redatta a Corinto, tra il 50 e il 52, per incoraggiare una comunità appena fondata e per precisare alcuni significativi punti di dottrina. Anche la seconda Lettera ai Tessalonicesi viene, per Tradizione, considerata autentica però, in effetti, questo documento presenta problemi di datazione e di attribuzione a Paolo (le idee sono di Paolo ma lo scrivano non è lui).
Sono considerate autentiche la Prima e la Seconda Lettera ai Corinti, scritte nel 56 da Efeso, le quali contengono interventi piuttosto vivaci in occasione di disordini, di liti, di divisioni nella comunità (ce ne occuperemo a breve).
È considerata autentica la Lettera ai Filippesi che contiene un testo di tono particolarmente cordiale, è il primo scritto dal carcere (non sappiamo se da quello di Efeso o da quello di Cesarea) e potrebbe essere stata scritta nel 56, ma molte studiose e molti studiosi la pongono con le “Lettere della prigionia romana” e, in questo caso, questo documento sarebbe stato scritto tra il 61 e il 63.
È considerata autentica la Lettera ai Galati, un testo rovente, indirizzato ad una comunità in piena crisi: è uno scritto, molto probabilmente, del 56 o del 57.
È considerata autentica la Lettera ai Romani che è un grande scritto teologico nel quale Paolo sviluppa gli stessi temi della Lettera ai Galati però in tono più calmo e più sereno; il testo della Lettera ai Romani può essere stato scritto nel 57 o nel 58.
La seconda serie è quella formata dalle cosiddette Lettere deuteropaoline (che vengono dopo Paolo), ed è una serie composta di testi più tardivi che comprende il gruppo di quelle che vengono chiamate “Lettere dal carcere o della prigionia romana”. Come abbiamo detto poc’anzi tra queste Lettere – secondo molte studiose e molti studiosi – ci potrebbe anche essere la Lettera ai Filippesi. Le “Lettere dal carcere” – scritte, dal 61 al 63, a Roma – secondo la Tradizione vengono attribuite a Paolo ma è molto probabile che siano state riscritte da qualcuno dei suoi discepoli senza alterarne il pensiero.
Fanno parte delle “Lettere dal carcere” la Lettera ai Colossesi nella quale l’autore prende posizione sulla fede e sulla vita cristiana di fronte ai molti altri culti, soprattutto orientali, e alle innumerevoli idee filosofiche (epicuree, stoiche, scettiche) che circolano a Roma in questo momento.
Fa parte delle “Lettere dal carcere” la Lettera a Filemone, che è un breve testo di raccomandazione in favore di uno schiavo fuggiasco.
Fa parte delle “Lettere dal carcere” la Lettera agli Efesini che è una vera e propria circolare di grande ispirazione teologica e mistica.
La terza serie di Lettere contenute nell’Epistolario di Paolo di Tarso è indirizzata non più a comunità ma a persone singole per dare loro delle raccomandazioni e delle direttive perché si responsabilizzino nell’esercizio della loro attività pastorale. Questi documenti, infatti, vengono chiamati “Lettere pastorali” e la loro datazione sta nell’arco che va dagli anni 66-67 fin verso gli anni 80: Paolo è già morto e questi testi sono stati redatti da discepoli di Paolo che vogliono dare una continuità alla Tradizione del suo pensiero. Questa serie delle “Lettere pastorali” comprende le due Lettere a Timoteo, la Lettera a Tito e la Lettera agli Ebrei. La Lettera agli Ebrei è uno scritto che entra in circolazione alla fine del II secolo e che, secondo la Tradizione (perché non c’è una certezza storica), viene attribuito a Clemente Romano.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il primo esercizio da fare è quello di individuare sull’Indice di un testo biblico – che tutte e tutti noi abbiamo nella nostra biblioteca domestica – le Lettere di Paolo di Tarso in modo da circoscriverle e, in seguito, poterne consultare i testi…
Per tirare le somme, l’Epistolario di Paolo di Tarso si compone di una serie di “sette Lettere considerate autentiche”, più una serie di “tre Lettere dal carcere”, più una serie di “quattro Lettere pastorali”: per un totale di quattordici Lettere.
La seconda considerazione riguarda la città di Corinto: non possiamo fare a meno di compiere – in compagnia di Paolo di Tarso – una visita a questa importante città ellenistica, ma non solo ellenistica.
Oggi (abbiamo detto) Corinto è una cittadina di circa trentamila abitanti, situata vicino all’imboccatura nord dell’omonimo canale. Corinto – e basta consultare la carta geografica – è situata in una posizione strategica, perchè lì si saldano il Peloponneso con l’Attica. La cittadina attuale è frutto della ricostruzione avvenuta dopo il terribile terremoto del 1928 che la rase al suolo. Questa cittadina è l’erede dell’antica Korintos: oggi l’antica polis è un sito archeologico che si trova a 7 km. a sud-ovest dalla città moderna. Come abbiamo già avuto occasione di dire a primavera in conclusione dello scorso viaggio, dobbiamo dire che l’area in cui si trova il sito archeologico dell’antica Korintos oltre ad essere in posizione strategica, è ricca d’acqua, ci sono molte fonti d’acqua dolce e, anche per questo motivo, quest’area è stata abitata fin dal Neolitico, da trentamila anni fa.
Se si visita l’area archeologica (scavata dal 1896) si osserva che l’antica Korintos era una polis formata da tre parti.
La prima parte è costituita dalla collina dell’Acrocorinto: la zona elevata a ridosso della città dalla cui sommità si ha una bella visuale, un bel panorama, sulla polis vera e propria.
La seconda parte è costituita dalla piana dove si estende la polis vera e propria con l’agorà, con decine di botteghe, il tempio di Apollo, la fontana Pei rene.
La terza parte è costituita dal Lechàion, il porto, che era unito alla polis con una lunga strada fortificata.
La polis di Korintos era situata in una posizione così favorevole da potersi permettere anche un secondo porto, sul mar Egeo, il porto di Cencre che abbiamo già avuto modo di nominare in occasione dell’incontro, lo scorso anno scolastico (e penso che molte e molti di voi se ne ricorderanno), con il personaggio della diaconessa Febe citata da Paolo nel suo Epistolario.
Poi, al di fuori dell’area della polis, a ovest c’è l’odéon: un anfiteatro di circa tremila posti. Mentre a nord c’è il teatro originario del V secolo a.C., un edificio che via via è stato ristrutturato nel tempo.
Naturalmente la stratificazione degli scavi dell’antica Korintos ci mostra testimonianze straordinarie di varie epoche che non debbono sfuggire a chi osserva. Conservati nel Museo, possiamo osservare reperti dello strato più antico, quello del Neolitico (trentamila anni fa), poi c’è lo strato della polis greca, poi quello dell’urbs romana, poi quello della città ellenistica (quella di Paolo), poi ci sono i resti delle costruzioni bizantine paleocristiane, poi le vestigia delle fortificazioni dei Franchi, dei Veneziani, dei Turchi. Chi visita il sito archeologico di Korintos deve essere preparato a farlo e quindi potete continuare l’escursione servendovi di una guida della Grecia con la quale la visita, seppur virtuale, diventa più interessante.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida della Grecia a disposizione potete osservare in modo più approfondito ciò che abbiamo presentato a grandi linee e inoltre potete cercare e puntare la vostra attenzione sul tempio di Afrodite…
Fate una visita a Korintos: buona escursione…
Perché abbiamo nominato il tempio di Afrodite? Lo abbiamo nominato per tornare sul nostro sentiero specifico che ci porta nei pressi del paesaggio intellettuale che contiene il testo della Prima Lettera ai Corinti.
Korintos, nel primo secolo, quando vi sbarca Paolo di Tarso, è una metropoli amministrata dai Romani. L’amministrazione romana ne ha fatto la capitale della provincia della Grecia del centro e del sud.
Le studiose e gli studiosi di storia c’informano che Corinto, nel primo secolo, contava una popolazione di circa cinquecentomila abitanti: due terzi dei quali erano schiavi e costituivano uno dei più grandi serbatoi di manodopera che – insieme a quello di Antiochia di Siria – si sia mai formato in età ellenistica. Corinto, nel primo secolo, è quindi un importantissimo centro di commercio che – come abbiamo detto – possiede ben due porti: Lechàion a nord-ovest e Cencre, il porto di sud-est sul mar Egeo, il quale è collegato alla città con – oggi diremmo – una veloce “superstrada”, simile alla strada che collega il porto del Pireo al centro di Atene e Corinto – con i suoi due porti, la sua imprenditorialità mercantile e la gran quantità di manodopera disponibile – contende davvero, nel primo secolo, il primato ad Atene soprattutto sul piano commerciale.
Ebbene, in una metropoli di questo genere c’è anche una grande circolazione di idee che tendono a mescolarsi, e questo fenomeno culturale della mescolanza delle idee – si tratta delle idee provenienti dal pensiero delle Scuole epicuree, stoiche, scettiche e di quelle contenute nei molti culti orientali che si sono diffusi sul territorio ellenistico e che abbiamo studiato lo scorso anno – viene chiamato “sincretismo” e favorisce la nascita di numerosi laboratori intellettuali e il manifestarsi di nuove correnti di carattere religioso.
A Corinto c’è anche una importante “ekklesìa”: il termine “ekklesìa” precede quindi la diffusione del Cristianesimo? Che cosa sono le “ekklesìe”? Questo è un tema interessante ed ostico che affronteremo strada facendo.
La gente di Corinto rifiuta la “separatezza” , quella che gli Ebrei chiamano la “perugìa” e la comunità ebraica la coltiva sebbene gli Ebrei siano perfettamente integrati in città; la cultura della gente di Corinto è “politeista”, i Corinti di età ellenistica praticano culti di provenienza mesopotamica, egizia, ellenica, romana, e questa cultura ha la caratteristica di essere “sincretica”, di mettere insieme opinioni diverse: si pregano, si adorano contemporaneamente più divinità religiose; c’è anche una ricerca consumistica della divinità che possa funzionare meglio portando fortuna o tenendo lontani i malanni. Dobbiamo ricordare (dobbiamo fare un po’ di filologia) che la parola “sincretismo”: deriva dai termini greci “syn” che significa “insieme” e il nome “Cretenses”, i “Cretesi”, e “syn-cretenses” definiva l’unione dei Cretesi (gli abitanti di Creta) che erano sempre in continuo disaccordo tra loro ma di fronte al nemico comune si univano fattivamente.
Korintos è anche la sede di grandi giochi e di molteplici attività sportive che hanno perso la loro caratteristica di essere disinteressate come succedeva nella Grecia classica (quella di Olimpia per intenderci): gli atleti a Corinto, durante le gare, danno spettacolo mentre si esibiscono negli stadi dove i vincitori ricevono la “corona” della gloria però in realtà gareggiano non per la gloria ma soprattutto perché sono molto ben pagati (questo è un tema di attualità).
Paolo di Tarso a Corinto ha certamente vissuto pienamente il clima che si respira in città e noi lo possiamo capire facilmente leggendo il testo della Prima Lettera ai Corinti, che si presenta come un testo molto interessante anche sul piano dell’antropologia culturale oltre che per il forte spirito autobiografico. La prima incursione nel testo della Prima Lettera ai Corinti la facciamo proprio tenendo conto di queste componenti.
Leggiamo ora due frammenti tratti dal capitolo 9 della Prima Lettera ai Corinti in cui ravvisiamo un clima molto particolare: c’è una polemica in corso nelle ekklesìe sul fatto che Paolo sia da considerarsi o meno un apostolo, non c’è proprio un’atmosfera idilliaca all’interno di queste aggregazioni, le ekklesìe, di cui, strada facendo, studieremo le caratteristiche; e Paolo è costretto a difendersi con foga utilizzando anche la metafora dei giochi e delle gare negli stadi, inoltre c’è un intreccio da svelare che abbiamo lasciato in sospeso. E ora facciamo combaciare alcuni tasselli cognitivi in funzione dell’apprendimento e della didattica della lettura e della scrittura. Leggiamo:
LEGERE MULTUM….
Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinti 9, 1-7 9, 24-27
Non sono libero io? Non sono forse apostolo? Non ho veduto Gesù il nostro Signore? E voi? Non siete proprio voi il risultato del mio lavoro al servizio del Signore? Se altri non vogliono riconoscermi come apostolo, per voi lo sono senz’altro. Il fatto che voi crediate in Cristo è la prova che io sono apostolo.
A chi mi critica rispondo così: non abbiamo anche noi diritto di mangiare e bere [a vostre spese]? Non abbiamo anche noi il diritto di portare con noi una moglie credente come l’hanno gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Pietro? O forse solo io e Barnaba dobbiamo lavorare per mantenerci? Da quando in qua un soldato presta servizio nell’esercito a sue spese? E chi pianta una vigna non magia forse la sua uva? E chi conduce un gregge al pascolo non beve il latte di quelle pecore? …
Sapete che nelle gare allo stadio corrono in molti, ma uno solo ottiene il premio. Dunque, correte anche voi in modo da ottenerlo! Sapete pure che tutti gli atleti, durante i loro allenamenti, si sottopongono ad una rigida disciplina. Essi l’accettano per avere in premio una corona [stephanos] che presto appassisce; noi invece lo facciamo per avere una corona che durerà sempre. Perciò io mi comporto come uno che corre per raggiungere il traguardo, e come un pugile che non tira colpi a vuoto. Mi sottopongo a dura disciplina e cerco di dominarmi per non essere squalificato proprio io che ho predicato agli altri. …
Penso abbiate subito intercettato l’intreccio filologico che dalle pagine del romanzo Sulla strada di Kerouac che abbiamo letto rimanda al testo della Prima Lettera ai Corinti. Lo scrittore americano cita esplicitamente questo testo per dare forza al suo racconto e alla sua riflessione e scrive: «Non sono libero io? Non abbiamo forse letto una parola che dice: “Non sono forse apostolo? Non ho veduto il Signore? E voi? Non siete proprio voi il risultato del mio lavoro al servizio del Signore? Se altri non vogliono riconoscermi come apostolo, per voi lo sono senz’altro. Il fatto che voi crediate è la prova che io sono apostolo. A chi mi critica rispondo così: non abbiamo anche noi diritto di mangiare e bere? Non abbiamo anche noi il diritto di portare con noi una ragazza”».
Questa citazione ci permette di ripassare e di ricordare l’operazione filologica in chiave ellenistica che Paolo compie per attribuire spessore, per dare qualità alla figura di Gesù di Nazareth utilizzando il termine “Kyrios” il “Signore”: un termine che è diventato emblematico e che le scrittrici e gli scrittori utilizzano spesso per “rafforzare” certi concetti presenti nei testi dei loro romanzi. Nel racconto di Kerouac Sal chiama in causa Paolo di Tarso nel momento in cui viene misconosciuto come apostolo e questa citazione serve a “rafforzare” l’idea che lui stesso e la sua ragazza si sentono delle “vittime”, degli “sconfitti”, dei “beatniks”, ma vogliono comunque reagire ribadendo di essere alla ricerca della “beatitudine”.
In greco il termine “Signore” corrisponde alla parola “Kyrios” e ne abbiamo studiato il significato nello scorso Percorso. Paolo accompagna il nome di Gesù Cristo con l’appellativo di “Kyrios, l’autorevole Signore” come dire: “questa persona è proprio un gran Signore per il modo in cui si comporta moralmente e in ragione della sua cultura e della sua saggezza dovrebbe governare”.
La parola ellenistica “Kyrios, il Signore” ha fondamentalmente un significato di carattere morale e intellettuale e difatti le Massime capitali di Epicuro – che nel I secolo d.C. stanno avendo uno straordinario successo, come catechismo, in tutta l’Ecumene (e lo scorso anno scolastico siamo stati ospiti della Scuola, del Giardino di Epicuro per qualche settimana e ne abbiamo studiato il pensiero) – le Massime capitali di Epicuro s’intitolano, in lingua originale, Kyriae Doxai, come dire “queste sono davvero delle signore [Kyrie] sentenze [Doxai] sul piano della morale governata dalla ragione”. La scelta che Paolo fa di mettere accanto al nome di Gesù di Nazareth il termine “Kyrios, il Signore autorevole” è significativa e naturalmente scarta la dicitura più altisonante che viene usata per esaltare la divinità dei monarchi assoluti dell’epoca: infatti per magnificare la signoria del sovrano divinizzato si utilizza il titolo di “Despotes, il supremo Signore” che, col tempo, ha assunto una valenza negativa.
E ora torniamo ad occuparci di ciò che succede a Corinto nel I secolo.
Corinto, in età ellenistica, era poi famosa per essere una città di “piaceri”: i Romani dicevano “Vivère corintio” vivere alla corinzia, per evocare il clima di quegli ambienti dove regnava la criminalità, con tutte le sue attività e i suoi traffici illeciti come il gioco d’azzardo, lo spaccio delle droghe e la prostituzione. In tutte le città portuali c’erano traffici del genere ma a Corinto non erano soltanto i marinai a usufruire di questi “servizi”, a Corinto c’era, già allora, un vero e proprio turismo sessuale e l’amministrazione della città ne approfittava per partecipare agli utili.
L’amministrazione della città si era messa sul mercato della sessualità utilizzando il concetto (di tradizione orfico-donisiaca) della “ierogamia” e questo termine può essere tradotto con la dicitura di “prostituzione sacra”: tutte le prostitute vengono raccolte nel tempio di Afrodite e viene a loro attribuito il ruolo di “sacerdotesse di Afrodite”. Il più grande mercato del sesso in età ellenistica è il tempio di Afrodite a Corinto: ecco perché nel precedente REPERTORIO E TRAMA ... si chiede di puntare l’attenzione su questo celebre monumento.
Afrodite è la dea protettrice della città e le “sacerdotesse di Afrodite” ricevevano i “devoti clienti” in questo grande centro di accoglienza che sarebbe opportuno chiamare “bordello” piuttosto che “tempio” ma assistiamo ad un sorta di consacrazione istituzionale dell’immoralità. I “devoti-clienti”, prima di recarsi al tempio si recavano all’ufficio apposito, che aveva sede sull’agorà, e pagavano un “phòrosgamos”, una tassa (phòros) matrimoniale (gamos) giornaliera che veniva incamerata dall’erario, ricevevano un certificato che li faceva essere per quel giorno sposati con la dèa Afrodite, e questa sorta di legalizzazione consentiva ai devoti clienti di entrare nel tempio per partecipare al “sacro rito afrodisiaco”; naturalmente le prestazioni rituali andavano pagate al tempio dove c’era un altro sportello di riscossione: oltre alla tariffa richiesta c’era – prima di potersi appartare nelle apposite confortevoli celle – anche da pagare la tassa per il fondo pensioni delle “sacerdotesse di Afrodite”.
Questo argomento non lo stiamo trattando per fare del folklore o del moralismo ma lo stiamo mettendo in evidenza per capire in quale contesto si esprime Paolo di Tarso quando nelle Lettere spesso disserta di “etica sessuale”. Dobbiamo chiarire bene il fatto che le considerazioni che Paolo fa sui temi della sessualità – soprattutto nella Prima Lettera ai Corinti – vengono espresse con un tono molto severo ma, nella sostanza, sono un richiamo a dare alla sessualità un valore positivo: per Paolo è immorale che si consideri il sesso come una merce di scambio e parla dell’amore come dono reciproco, del piacere sessuale come manifestazione della gioia che un rapporto affettivo procura: Paolo parla dell’amore come dono reciproco, del piacere sessuale come manifestazione della gioia che un rapporto affettivo procura, Paolo non assume atteggiamenti sessuofobici ma, al contrario, esalta il valore della sessualità.
Bisogna dire che le severe considerazioni che Paolo fa sull’etica sessuale sono soprattutto una reazione alla situazione che abbiamo descritto dove il governo della polis – in special modo a Corinto – si trasforma in sfruttatore della prostituzione dandole persino un alone sacrale; è chiaro che, in questo contesto, finisce per imporsi il maschilismo, il consumismo sessuale, la mancanza di rispetto per le donne, lo svilimento del ruolo della famiglia: il mercato del sesso – ribadisce Paolo – non ha niente a che vedere con un corretto uso della sessualità come strumento di comunicazione affettiva come – e questo è il termine che utilizza – “stato di grazia”. Anche se la mentalità di Paolo è quella di un uomo, di un ebreo fariseo del suo tempo (e abbiamo studiato in primavera che cosa significhi essere “fariseo”) il quale pensa che le donne siano e debbano essere, nel loro ruolo, subalterne, è però cosciente del fatto che le femmine debbano avere la stessa dignità dei maschi. I capitoli 5, 6 e 7 della Prima Lettera ai Corinti sono emblematici a questo proposito e hanno, da sempre, attirato l’attenzione delle studiose e degli studiosi di filologia.
A questo proposito la Scuola comincia a proporre degli utili esercizi di lettura e se abbiamo la costanza di eseguire il compito, cioè di seguire strada facendo le indicazioni di lettura che la Scuola ci dà, possiamo – con un investimento di pochi minuti al giorno e alla settimana – allargare le nostre conoscenze sulle opere che compongono il significativo apparato di “sapienza poetica ellenistica” che chiamiamo la Letteratura dei Vangeli con particolare riferimento all’Epistolario di Paolo di Tarso.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
A questo proposito la Scuola consiglia la lettura dei capitoli 5, 6 e 7 della “Prima Lettera ai Corinti”: sono tre paginette di testo molto interessanti, buona lettura…
Adesso noi leggiamo insieme alcuni frammenti significativi tratti da questi capitoli per introdurre alla lettura personale di questo testo.
È significativo constatare, per esempio, che il capitolo 5 della Prima Lettera ai Corinti presenta la decisa denuncia di Paolo di Tarso nei confronti di un caso di immoralità che si sta verificando nella ekklesìa di Corinto e questo è un tema di grande attualità: ci stiamo domandando come mai nella Chiesa cattolica sono stati coperti, per anni, numerosi casi di immoralità molto più gravi di quello denunciato da Paolo che riguarda un appartenente alla comunità di Corinto che è andato a convivere con la sua matrigna, con la moglie di suo padre: succedeva spesso che uomini anziani sposassero, in seconde nozze, donne molto più giovani che erano coetanee dei loro figli nati da precedenti matrimoni e tanto il Libro del Levitico quanto la Legislazione romana proibivano di sposarsi con la matrigna perché ciò alterava la regole sacrali e sociali della famiglia patriarcale; Paolo ritiene di dover intervenire in proposito non tanto perché questo comportamento lede le regole sacrali e sociali del patriarcato ma perché secondo lui nel mondo che lo circonda c’è qualcosa di scorretto in tutto il sistema dei rapporti umani nei quali Paolo non ravvisa la necessaria solidarietà, la giusta affettività e la correttezza amorosa, e soprattutto non sopporta che le persone si vantino anche, con superbia, di praticare questa scorrettezza.
Paolo prefigura una nuova società: “Siate come una pasta nuova, come i pani non lievitati di Pasqua… immagine di purezza e di verità” e qui fa riferimento al Libro dell’Esodo. Paolo prefigura un nuovo stile di vita perché il cambiamento è già avvenuto: “Siete già pasta nuova, perché Cristo, il nostro agnello pasquale, è già stato sacrificato” e qui il richiamo è al Libro di Isaia; ma leggiamo questo frammento:
LEGERE MULTUM….
Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinti 5, 1-12 13
Tutti sanno che vi sono stati casi di immoralità in mezzo a voi. Ve n’è addirittura uno, così grave, che non si sopporta neppure tra i pagani: uno di voi convive con la sua matrigna. E siete anche pieni di superbia! Dovreste invece essere pieni di tristezza e allontanare da voi chi commette un tale misfatto. A ogni modo, io spiritualmente presente tra voi sebbene assente di fatto, ho giudicato chi ha agito così male. Perciò quando vi riunite nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore, dovrete abbandonare quel tale a Satana [espellerlo almeno temporaneamente dall’ekklesìa]. Egli ne soffrirà in questa vita terrena, ma sarà salvo nel giorno del Signore [parusìa].
Non avete proprio alcun motivo per vantarvi! Sapete benissimo che un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta. Togliete via quel vecchio lievito che vi corrompe. Siate come una pasta nuova, come i pani non lievitati di Pasqua. E lo siete già, perché Cristo, il nostro agnello pasquale, è già stato sacrificato. Celebriamo dunque la nostra Pasqua senza il vecchio lievito del peccato e dell’immoralità. Serviamoci invece del pane non lievitato, immagine di purezza e di verità.
Vi ho già scritto di non avere nulla a che fare con chi vive nell’immoralità. Ma non pensavo certo a tutti quelli che, in questo mondo, sono immorali, invidiosi, ladri, adoratori di idoli, altrimenti dovreste vivere lontano da ogni terra abitata. Volevo dire: non abbiate più rapporti con quelli che dichiarano di essere credenti, ma poi, di fatto, sono immorali, invidiosi, adoratori di idoli, calunniatori, ubriaconi, ladri. Con simile gente non dovete neppure mangiare insieme. Non è mio compito giudicare quelli che non sono credenti. È Dio che li giudica. Ma voi dovete giudicare quelli che fanno parte della comunità. Lo dice il Deuteronomio: Scacciate il malvagio di mezzo a voi. …
Leggiamo ancora un frammento dalla Prima Lettera ai Corinti: da questo frammento del sesto capitolo si capisce che, molto probabilmente, ci sono membri della ekklesìa di Corinto che praticano la “ierogamia” e frequentano come clienti il tempio di Afrodite e Paolo prende posizione in proposito e noi che conosciamo questa caratteristica di Corinto come città dei “piaceri”, come polis (potremmo dire) del “tempio a luci rosse”, non facciamo fatica a capire queste parole.
Paolo utilizza la polemica contro lo sfruttamento pubblico della prostituzione per imbastire un discorso importante sul valore che ha il corpo in quanto “oggetto” destinato alla risurrezione (torna il tema della risurrezione – in greco “anastasia” – un tema che lo scorso anno scolastico abbiamo già incontrato studiando la Prima Lettera ai Tessalonicesi, il primo testo della cultura del Cristianesimo) e Paolo, in contrasto con il tempio di Afrodite, conia l’espressione “tempio dello Spirito Santo”; ma su questi argomenti significativi torneremo strada facendo. Ora leggiamo:
LEGERE MULTUM….
Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinti 6, 12-20
Voi dite spesso: «Tutto è lecito!». D’accordo, ma è tutto utile? Certamente tutto è lecito, ma non mi lascerò mai dominare da qualsiasi desiderio.
Voi dite anche: «Il cibo è fatto per lo stomaco e lo stomaco è fatto per il cibo». È vero! Ma Dio distruggerà l’uno e l’altro. Il vostro corpo non è fatto per l’immoralità, perché appartenete al Signore, e il Signore è anche il Signore del vostro corpo. Ebbene, Dio che ha fatto risorgere il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Voi dovete sapere che appartenete a Cristo. E chi prenderebbe ciò che appartiene a Cristo per unirlo a una prostituta? Voi dovete sapere che chi si unisce a una prostituta diventa un tutt’uno con lei. Infatti la Genesi dice: I due saranno una cosa sola. Ma chi si unisce al Signore diventa spiritualmente un solo essere con lui.
Fuggite l’immoralità! Qualsiasi altro peccato che l’uomo commette resta esterno al suo corpo; ma, chi si dà all’immoralità pecca contro se stesso. Dovete sapere che voi stessi siete il tempio dello Spirito Santo. Dio ve lo ha dato, ed egli è in voi. Voi quindi non appartenete più a voi stessi. Perché Dio vi ha fatti suoi, riscattandovi a caro prezzo. Rendete quindi gloria a Dio col vostro stesso corpo. …
In questo itinerario dopo essere arrivati davanti al primo paesaggio intellettuale che vogliamo osservare e che contiene il testo della Prima Lettera ai Corinti, abbiamo puntato l’attenzione su alcuni scorci significativi di questo paesaggio; adesso però, avviandoci verso la conclusione di questa prima tappa, dobbiamo incominciare a preparare il terreno per occuparci in modo più ordinato e organico del testo della Prima Lettera ai Corinti.
L’arrivo e la permanenza di Paolo di Tarso a Corinto ci viene raccontata dal testo degli Atti degli Apostoli al capitolo 18. La maggior parte di voi conosce bene le caratteristiche dell’opera intitolata Atti degli Apostoli: un’opera molto importante nel quadro della “sapienza poetica ellenistica”, da considerarsi anche uno – forse il più rilevante – dei cosiddetti “romanzi degli albori” di cui, nello scorso anno scolastico, abbiamo cominciato a fare l’inventario.
Gli Atti degli Apostoli non è un’opera storica ma è soprattutto un’opera allegorica: sappiamo che è il primo catechismo della chiesa di Roma redatto, nella sua versione finale, da Clemente Romano. Del personaggio di Clemente Romano – il primo dei Padri Apostolici – noi già sappiamo molte cose. Sappiamo che il vescovo Clemente Romano – come ci riferisce lo storico Eusebio di Cesarea – dirige la comunità di Roma dal 92 al 101, ed è sulla tomba di Clemente (come riporta il testo della liturgia del Giubileo dell’anno 2000) che sorge la prima struttura di riferimento, il primo elemento concreto della Tradizione della Chiesa di Roma: Clemente Romano è il primo papa che la storia annovera, e i papi, storicamente, sono i successori di Clemente.
È Clemente Romano che – utilizzando le Lettere di Paolo – costruisce “l’autorità” di Pietro e, difatti, è colui che ha dato una prima forma istituzionale alla Chiesa di Roma e, per fare questa operazione di carattere culturale, ha utilizzato lo strumento della “scrittura” secondo lo stile delle comunità ebraiche della diaspora ellenistica, anche perché Clemente è un ebreo che proviene dalla Sinagoga. Clemente Romano va annoverato tra i maggiori scrittori ellenisti ed è autore di una serie di opere che, complessivamente, formano quella che viene chiamata la “Letteratura Clementina” che è il documento scritto che rappresenta il primo atto costitutivo della Chiesa di Roma (e così anche quest’anno abbiamo cominciato, per tempo, ad assaggiare le clementine).
Il testo degli Atti degli Apostoli, in coerenza con lo stile apologetico dell’opera, ci racconta che Paolo riceve l’ordine di restare a Corinto attraverso un sogno: secondo una tradizione letteraria ben consolidata. Gli appare in sogno il Signore e gli dice: “Resta qui perché molti abitanti di questa città appartengono già al mio popolo”. E Paolo, dall’inverno dell’anno 50 all’incirca fino all’estate del 51, vive a Corinto in una comunità (in una “ekklesìa”) molto vivace, formata soprattutto da persone che sono culturalmente di formazione pagana, non ebrea, e la maggior parte di loro sono di modesta condizione sociale.
Paolo scrive “ai Corinti” qualche anno dopo quando si trova a Efeso e scrive perché nella comunità di Corinto si sono verificati dei fatti gravi, e Paolo ne viene al corrente perché una piccola delegazione, di persone a lui legate, lo raggiunge e gli racconta questi fatti. Nella comunità di Corinto ci sono divisioni, scontri, difficoltà di convivenza, crisi famigliari in atto, rigurgiti fondamentalisti e atteggiamenti di menefreghismo, oltre che attrazione per i culti pagani, per il consumismo sessuale offerto dalla città, e soprattutto vi è poco decoro nel partecipare alla cosiddetta “cena del Signore” (un argomento di cui ci occuperemo strada facendo). Intorno a questi problemi molto pratici Paolo di Tarso cerca di dare delle risposte ai suoi interlocutori (al piccolo gruppo che è più legato a lui), s’impegna a formulare dei responsi che siano coerenti con la “buona notizia” della resurrezione di Gesù e, nel compiere questo sforzo culturale, Paolo riesce a dare forma ad una serie di temi che costituiscono le “linee ideologiche di base” della Chiesa delle origini.
La Prima Lettera ai Corinti è stata scritta tra l’anno 54 e il 56 a Efeso ed era stata preceduta da un’altra Lettera: ce lo dice Paolo al capitolo 5 versetto 9 e lo abbiamo letto poco fa questo versetto – “Vi ho già scritto di non avere nulla a che fare con chi vive nell’immoralità.” –, ma questa Lettera “prima della prima” è andata perduta.
Lo schema della Prima Lettera ai Corinti è semplice e il leggerla non presenta alcuna difficoltà e neppure molto tempo: è composta da 16 capitoletti che occupano circa 18 paginette e chi vuole se la può leggere, ma è chiaro che ci sono almeno quattro punti su cui è necessario riflettere e questo esercizio lo faremo prossimamente. Quando Paolo viene informato sulle situazioni “incresciose” capitate nella comunità di Corinto lui comincia a trattare i punti uno dopo l’altro in relazione agli avvenimenti così come gli sono stati raccontati, quindi il testo della Prima Lettera ai Corinti non si presenta come un trattato sistematico, ma è un insieme di “generi letterari” e lo scrivano si lascia coinvolgere nelle situazioni.
Qual è la prima considerazione che, nel momento in cui stiamo per concludere questo itinerario, possiamo fare in funzione della didattica della lettura e della scrittura? Il testo della Prima Lettera ai Corinti ci fa comprendere una cosa molto importante e significativa: ci fa capire come si andava formando e si sviluppasse una comunità di credenti, con tutto il suo dinamismo, con tutte le sue crisi allarmanti e con tutte le sue contraddizioni.
E ora in conclusione, per puntualizzare meglio questo concetto – per capire quale complesso movimento di persone e di idee vi fosse intorno alla “buona notizia” della risurrezione di Gesù sul terreno dell’Ellenismo – leggiamo la prima parte del capitolo 18 degli Atti degli Apostoli dove si racconta l’arrivo di Paolo a Corinto e l’invito che riceve “in chiave onirica” a trattenersi in questa città.
LEGERE MULTUM….
Atti degli Apostoli 18, 1-11
Dopo questi fatti, Paolo lasciò Atene [conosciamo l’episodio dell’Areopago] e andò a Corinto. In quella città trovò un Ebreo che si chiamava Aquila, nato nella provincia del Ponto. Con Priscilla sua moglie, era appena arrivato dall’Italia, perché l’imperatore Claudio aveva espulso da Roma tutti gli Ebrei [Questo decreto è del 49 d.C.]. Paolo andò a casa loro e, siccome faceva lo stesso mestiere, rimase con loro e li aiutava a fabbricare tende. Ogni sabato però andava nella sinagoga, si metteva a discutere, e cercava di convincere tutti, Ebrei e Greci.
Poi arrivarono Sila e Timòteo dalla Macedonia: allora Paolo si dedicò soltanto alla predicazione. Di fronte agli Ebrei egli sosteneva che Gesù è il Messia mandato da Dio. Gli Ebrei però gli facevano opposizione e lo insultavano. Allora Paolo si stracciò le vesti in segno di sdegno e disse loro: «Se non vi salverete è colpa vostra: io ho fatto per voi tutto quello che potevo! D’ora in poi mi rivolgerò soltanto a quelli che non sono Ebrei».
Quindi Paolo lasciò la sinagoga e andò in casa di un tale che si chiamava Tizio Giusto: era un Greco che seguiva la religione ebraica e la sua casa si trovava vicino alla sinagoga. Crispo, il capo della sinagoga, credette nel Signore insieme con tutti i suoi familiari. Anche altri abitanti di Corinto ascoltarono quello che Paolo diceva, e così credettero e si fecero battezzare.
Una notte il Signore apparve in sogno a Paolo e gli disse: «Non aver paura! Continua a predicare, e non tacere, perché io sono con te! Nessuno potrà farti del male. Anzi, molti abitanti di questa città appartengono già al mio popolo».
Paolo rimase a Corinto un anno e mezzo, e annunziava loro la parola di Dio. …
Nel REPERTORIO … , come vedete, abbiamo la carta con gli itinerari dei primi due viaggi di Paolo, potete quindi individuare la città di Corinto: questa carta, naturalmente, la utilizzeremo ancora.
Nel testo della Prima Lettera ai Corinti ci sono una serie di temi significativi – quattro parole-chiave – che dobbiamo studiare: quali sono questi temi, queste quattro parole-chiave? Lo scopriremo dalla prossima settimana: la Scuola è qui perché l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona.
Il nostro viaggio sul territorio dell’Ellenismo continua perché possiamo imparare ad alimentare buone passioni e a controllarle con giuste ragioni…