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SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO EMERGONO, NEL TESTO DELLA PRIMA LETTERA AI CORINTI, UNA SERIE DI TEMI CHE SCATURISCONO DALLA CONFLITTUALITÀ NELLE EKKLESìE ...

Lezione N.: 
3

Prof. Giuseppe Nibbi       Lo sapienza  poetica ellenistica  [evangelica e imperiale]    20-21-22  ottobre  2010

SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO

EMERGONO, NEL TESTO DELLA PRIMA LETTERA AI  CORINTI, UNA SERIE DI TEMI

CHE SCATURISCONO DALLA CONFLITTUALITÀ NELLE EKKLESìE ...

     Stiamo viaggiando sul territorio della sapienza poetica ellenisticae, per la precisione, in quel vasto spazio che è stato chiamato di stampo evangelico e ci troviamo – come sapete – nei pressi di un significativo paesaggio intellettuale rappresentato dal testo della Prima Lettera ai Corinti, un testo che fa parte dell’Epistolario di Paolo di Tarso, che è una delle opere più importanti della Storia del Pensiero Umano, un’opera che ha influenzato la Letteratura in tutti i tempi, specialmente il genere letterario del romanzo in età moderna e contemporanea.

     Paolo, dall’inverno dell’anno 50 all’incirca fino all’estate del 51, vive a Corinto in una comunità molto vivace, frequenta l’ekklesìadi Corinto (sulla parola “ekklesìa” faremo, a breve, una lunga e complessa riflessione), una assemblea formata soprattutto da persone che sono culturalmente di formazione pagana, non ebrea, e la maggior parte di loro sono di modesta condizione sociale.

     Il testo degli Atti degli Apostoli – in coerenza con lo stile apologetico dell’opera che (come sappiamo), essendo un catechismo, tratta gli avvenimenti con spirito allegorico – ci racconta che Paolo riceve l’ordine di restare a Corinto attraverso un sogno, secondo una tradizione letteraria ben consolidata. Il Signore gli appare in sogno e gli dice: Resta qui perché molti abitanti di questa città appartengono già al mio popolo; la scorsa settimana abbiamo letto questa pagina e questa affermazione la capiremo meglio quando studieremo le caratteristice delle ekklesìe.

     Paolo scrive ai Corinti qualche anno dopo quando si trova a Efeso e scrive perché nella comunità di Corinto si sono verificati dei fatti gravi: Paolo ne viene al corrente perché una piccola delegazione, di persone a lui legate, lo raggiunge e gli racconta questi fatti. Nella comunità di Corinto – negli Atti degli Apostoli troviamo questo termine ambiguo ma il termine comunità riferito alle così dette ekklesìe non corrisponde alla realtà dei fatti perché le comunità sono associazioni di gruppetti di persone molto eterogenei tra loro e questo è anche un motivo di vivacità culturale oltre che di conflittualità – ci sono divisioni, scontri, difficoltà di convivenza, crisi famigliari in atto, rigurgiti fondamentalisti e atteggiamenti di menefreghismo, oltre che attrazione per i culti pagani, per il consumismo sessuale offerto dalla città (abbiamo parlato nello scorso itinerario di quel grande mercato del sesso che è il tempio di Afrodite a Corinto), e soprattutto vi è poco decoro nel partecipare  alla cosiddetta cena del Signore , un argomento di cui ci occuperemo strada facendo.

     Intorno a questi problemi molto pratici Paolo di Tarso cerca di dare delle risposte ai suoi interlocutori (al piccolo gruppo che è più legato a lui e che lo interpella); Paolo s’impegna a formulare dei responsi che siano coerenti con la buona notizia della resurrezione di Gesù (il vangelo) e, nel compiere questo sforzo culturale, Paolo riesce a dare forma ad una serie di temi che costituiscono le linee ideologiche di base della Chiesa delle origini e che diventeranno poi il pensiero della Chiesa universale (ecumenica).

     La Prima Lettera ai Corinti è stata scritta tra l’anno 54 e il 56 a Efeso e sappiamo che era stata preceduta da un’altra Lettera: ce lo dice Paolo al capitolo 5 versetto 9 che abbiamo letto la scorsa settimana – Vi ho già scritto di non avere nulla a che fare con chi vive nell’immoralità (come dire: non date coperture all’immoralità). –, ma questa Lettera prima della prima è andata perduta.

     Lo schema della Prima Lettera ai Corinti è semplice e il leggerla non presenta alcuna difficoltà e neppure molto tempo, infatti questo testo si compone di 16 capitoletti che occupano circa 18 paginette: avete letto questo testo? È chiaro che ci sono molti punti su cui è necessario riflettere e questo esercizio di riflessione sui punti più importanti in funzione della didattica della lettura e della scrittura lo faremo strada facendo.

     Quando Paolo viene informato sulle situazioni incresciose capitate nella comunità di Corinto – situazioni che contrastano con la nuova qualità della vita che la risurrezione di Gesù ha determinato – lui comincia a trattare i punti uno dopo l’altro in relazione agli avvenimenti così come gli sono stati raccontati; quindi il testo della Prima Lettera ai Corinti non si presenta come un trattato sistematico, ma è un insieme di generi letterari e lo scrivano si lascia coinvolgere nelle situazioni.

     Quale considerazione possiamo fare, prima di tutto, in funzione della didattica della lettura e della scrittura? Il testo della Prima Lettera ai Corinti ci fa comprendere una cosa molto importante e significativa: ci fa capire come si andava formando e si sviluppasse una comunità di credenti, con tutto il suo dinamismo, con tutte le sue crisi allarmanti e con tutte le sue divisioni e contraddizioni interne perché non è mai esistito un idilliaco cristianesimo delle origini ma la nascita del cristianesimo passa attraverso le contraddizioni della storia e della società.

     Le studiose e gli studiosi di esegesi ci suggeriscono che dal testo della Prima Lettera ai Corinti emerge anche un’importante fattore di carattere filosofico che rende attraente questo testo: e questa è una chiaveche dobbiamo possedere nel momento in cui facciamo conoscenza con l’Epistolario di Paolo di Tarso. Questo fattore si colloca nel solco del movimento filosofico dell’esistenzialismo e questo fatto dà al testo della Prima Lettera ai Corinti un afflato di straordinaria contemporaneità.

     Come possiamo tradurre – in modo comprensibile – questo elemento filosofico che si ripercuote, naturalmente, sulla Letteratura e, in particolare, sul genere letterario del romanzo? Paolo dopo tanti entusiasmi e speranze afferma che il Vangelo (l’annuncio della buona notizia della risurrezione di Gesù), ahimé, non trasforma dall’oggi al domani la mentalità delle persone. E non la trasforma soprattutto quando la società in cui le persone vivono non si occupa, non coltiva o è addirittura avversa ai valori dell’Umanesimo: la buona notizia della risurrezione di Gesù viene accolta se trova un terreno favorevole, quindi chi si preoccupa di diffonderla deve anche ingaggiare una lotta costante e intensa per modificare comportamenti e giudizi egoistici; ma in questa lotta è molto facile risultare sconfitti ed essere, di conseguenza, abbattuti. Questo stato d’animo che emerge in quasi tutte le Lettere di Paolo – il sentirsi abbattuti a causa delle continue sconfitte pur sapendo di combattere con impegno ed onestà per un giusto ideale – affiora nella Letteratura e, in particolare, nel genere letterario del romanzo moderno e contemporaneo.

     Il ventaglio di  proposte che in funzione della didattica della lettura e della scrittura si possono fare in proposito sono tante, noi ne scegliamo una che è un classico. C’è un’allusione che emerge dai ragionamenti di Paolo, ed è un’allusione che nasce dalla rabbia della sconfitta pur sapendo di agire per una giusta causa, leggiamo questa frase: Se continuate a comportarvi così, in modo indegno, allora Gesù è risorto invano e voi, di questo passo, fate in modo che Cristo sia in agonia fino alla fine dei secoli, questa frase codificata anche da Blaise Pascal nei suoi Pensieri (Pascal è morto nel 1622 e i Pensieri sono stati pubblicati nel 1669) è diventata emblematica.

     Questo povero Cristo, in agonia fino alla fine dei secoli sembra incarnarsi nel personaggio principale del più famoso romanzo di Georges Bernanos intitolato Diario di un curato di campagna. Penso che questo significativo romanzo sia già stato letto da molte e molti di voi ma non è detto che sia universalmente conosciuto, e poi è uno di quei testi che va periodicamente riletto. Naturalmente incontriamo quest’opera perché la corrispondenza tra questo testo e l’Epistolario di Paolo di Tarso è molto forte e questo bisogna che si sappia per dare senso all’esercizio della nostra lettura.

     Lo scrittore Georges Bernanos è universalmente conosciuto: è nato a Parigi nel 1888 e ha avuto un’educazione rigidamente religiosa e quindi si forma anche una buona cultura biblica: conosce bene il Libri dell’Antico Testamento e della Letteratura dei Vangeli. Ha esordito con il romanzo intitolato Sotto il sole di Satana (1926) poi ha scritto Nuova storia di Mouchette (1937) e Diario di un curato di campagna (pubblicato nel 1936) che è l’opera che lo ha reso celebre. Dopo aver manifestato, inizialmente, un certa simpatia per il franchismo lo sconfessa violentemente con il romanzo I grandi cimiteri sotto la luna (1938). Allo scoppio della seconda guerra mondiale Bernanos parte per il Brasile dove svolge un’intensa attività giornalistica a favore della Francia libera e della lotta antifascista e antinazista. Nel 1946 torna in Francia e pubblica il romanzo Monsieur Ouine. Muore a Parigi nel 1948 e diverse delle sue opere, tra cui il celebre dramma intitolato Dialoghi delle carmelitane sono uscite postume nel 1949.

     Il romanzo Diario di un curato di campagna è stato pubblicato a Parigi nel 1936 e si compone di un testo che raggiunge chi lo legge in modo immediato proprio perché è un’opera di carattere drammatico sul tema della sconfitta e dell’agonia.

     La parola sconfitta e la parola agonia, attraverso la Letteratura dei Vangeli e prima di tutto attraverso l’Epistolario di Paolo di Tarso, cominciano ad assumere un significato diverso nella cultura dell’ellenismo greco: la parola sconfitta e la parola agonia perdono il senso di negatività assoluta perché Gesù Cristo, il Signore, è dovuto passare attraverso la sconfitta, l’agonia e la morte per guadagnarsi la risurrezione per sé e per tutti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Riflettiamo su queste due importanti parole-chiave: quale di queste parole – perdita, fallimento, rovina, insuccesso, umiliazione – mettereste per prima accanto alla parola “sconfitta”?…

E quale di queste parole – angoscia, ansia, sofferenza, tormento – mettereste per prima accanto alla parola agonia?… Avete assistito ad una agonia?…

È un tema difficile da trattare, ma proprio per questo motivo: scrivete quattro righe in proposito…  

     La trama del romanzo intitolato Diario di un curato di campagna è semplice: un giovane prete, il nuovo parroco di Ambricourt è piuttosto depresso ha lo stesso stato d’animo di Paolo di Tarso quando scrive ai Corinti perché il Vangelo (l’annuncio della buona notizia della risurrezione di Gesù), ahimé, non trasforma dall’oggi al domani la mentalità delle persone: sembra non trasformarla per niente. I parrocchiani del curato di Ambricourt si dicono cristiani ma in realtà non sanno cogliere i molti segnali della Grazia divina che si manifestano. Il curato di Ambricourt affida a un diario – si esercita in una attività da scrivano – tutto il disagio che sente nello svolgere la sua missione: lui cerca di amare sinceramente le anime che gli sono state affidate e lo fa con uno zelo instancabile – e questi, come sappiamo, sono connotati paolini –, eppure il suo amore e il suo zelo urtano continuamente contro l’indifferenza e la volgarità che lo circonda. Lui trova un po’ di pace solo in questa sua confessione scritta che lui ha cominciato con qualche scrupolo e che dopo è diventata indispensabile per una più chiara comprensione di se stesso (l’allusione al comportamento di Paolo è palese).

     Attraverso la meticolosa relazione dei fatti e dei pensieri vediamo sfilare nel Diario i parrocchiani del curato: il conte e la contessa di Ambricourt, la loro figlia Chantal, la governante di lei, Madamoiselle Luise, il curato di Torcy, il dottor Delbende, ateo e, forse, l’unico sensibile ai valori evangelici, e poi vediamo sfilare molti altri personaggi e, chi legge questo romanzo, li potrà incontrare.

     Bisogna dire che queste figure non sono tanto i protagonisti di una vicenda romanzesca o l’espressione di posizioni ideologiche ma sono i supporti necessari a sviluppare il motivo centrale che consiste nel mostrare la situazione esistenziale travagliata di questa persona che s’impegna anima e corpo ad annunciare la buona notizia della risurrezione di Gesùma si rende conto che il Vangelo è sconfitto, che Gesù ad Ambricourt e, forse, dappertutto non è ancora risorto ma continua ad essere in agonia: formidabile è l’incipit di questo romanzo – del Diario del curato di campagna – nella sua semplice emblematicità: La mia parrocchia è uguale a tutte le altre. Il curato, dialogando con i suoi parrocchiani e cercando di consigliarli e di indirizzarli verso il Bene, scopre le molte turpitudini che si nascondono sotto la falsa serenità di un paese che appare tranquillo: I nostri peccati nascosti – scrive il curato di Ambricourt nel suo Diarioavvelenano l’aria che gli altri respirano(Questa affermazione continua ad essere di grande attualità).

     Naturalmente Bernanos sa far bene il suo lavoro di scrittore e costruisce una trama dove non mancano i colpi di scena che servono per mettere in risalto un contenuto molto impegnativo: Diario di un curato di campagna è un’opera sui temi de la sconfitta e de l’agonia, due argomenti tipici dell’Epistolario di Paolo di Tarso.

     Ora leggiamo un frammento da questo romanzo: perché abbiamo scelto queste due pagine? Abbiamo scelto queste due perché c’è un intreccio filologico da dipanare che riguarda proprio la Prima Lettera ai Corinti: in Diario di un curato di campagna i riferimenti espliciti all’Epistolario di Paolo di Tarso sono numerosi.

LEGERE MULTUM….

Georges Bernanos, Diario di un curato di campagna (1936)

Non mi reggo letteralmente in piedi, stamani. Le ore, che mi sono parse tanto lunghe, non mi lasciano alcun preciso ricordo: soltanto il sentimento d’un colpo partito non si sa di dove e ricevuto in pieno petto, e di cui un torpore misericordioso non mi permette ancora di misurare la gravità. Non si prega mai da soli. La mia tristezza era troppo grande, probabilmente. Non domandavo Dio che per me. Non è venuto. Rileggo queste righe, scritte al risveglio, stamani. Poi Se non fosse che un’illusione? O forse I Santi hanno conosciuto simili mancamenti

… continua la lettura …

     E ora per dipanare l’intreccio filologico che si trova in queste pagine e, per capire meglio come Bernanos ha utilizzato questa trama, leggiamo sei versetti dal capitolo 3 della Prima Lettera ai Corinti:

LEGERE MULTUM….

Paolo di Tarso,  Prima Lettera ai Corinti  3, 18-23

Nessuno inganni se stesso. Se qualcuno pensa di essere sapiente in questo mondo, diventi pazzo. e allora sarà sapiente davvero. Dio infatti considera pazzia ciò che il mondo crede sia sapienza. Si legge nel Libro di Giobbe:

Dio fa cadere coloro che dicono di essere  sapienti nella trappola della loro astuzia

E ancora nei Salmi leggiamo:

Il Signore conosce i pensieri di coloro che dicono di essere sapienti.

Sa che non valgono nulla

Perciò non vantatevi di appartenere a qualcuno, perché tutto vi appartiene: Paolo, Apollo, Pietro, il mondo, la morte, il presente e il futuro: tutto è vostro, voi invece appartenete a Cristo e Cristo appartiene a Dio.

     Paolo lamenta il fatto che quel gruppo di persone che, a Corinto, si erano aggregate piene di fede e di speranza e di carità, per annunciare la buona notizia della risurrezione di Gesù (il Vangelo)ha cessato via via di essere una comunità, ha cessato di praticare la solidarietà fraterna [agape], per trasformarsi in una associazione qualunque all’interno della quale sono nate molte correnti contrapposte in forte disaccordo tra loro.

     Nella lettura che abbiamo fatto dal capitolo 3 della Prima Lettera ai Corinti abbiamo sentito fare un elenco di nomi di appartenenza ma al capitolo 1 versetto 12 Paolo aveva già scritto: « ho saputo che vi sono discordie tra voi e c’è chi dice Io sono di Paolo, io invece sono di Apollo, io di Pietro e io di Cristo!». Dalla lettura dell’Epistolario di Paolo di Tarso si può capire ciò che, dal punto di vista storico, è stato poi ricostruito: le divisioni, le discordie di Corinto sono l’immagine della frammentazione e degli scontri che caratterizzano la storia del cristianesimo delle origini e che emergono in tutta la Letteratura del Vangeli.

     Il cristianesimo nasce e cresce all’interno del cosiddetto movimento delle ekklesìe:  il movimento delle ekklesìe è un fenomeno che studieremo strada facendo, benché sia un tema assai ostico. Quindi, il movimento delle ekklesìe si è sviluppato ben prima del cristianesimo e per affrontarlo dobbiamo fare qualche passo indietro, fino al 935 a.C. o, c’è chi dice, fino al 922 a.C..

     Il movimento delle ekklesìe è un fenomeno molto eterogeneo che, nel I secolo, ha supportato l’espandersi della buona notizia (il Cristianesimo non ha coniato ma ha ereditato il termine “ekklesìa”) e, nel I secolo, sul territorio dell’Ellenismo ci sono le ekklesìe nate nel nome degli Apostoli per opera dei primi Padri della Chiesa – Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne, Clemente Romano – che abbiamo incontrato nel Percorso dello scorso anno: sono loro, tra l’altro che conservano gli scritti di Paolo e favoriscono l’estendersi della rete attraverso la quale si forma tradizione paolina. Ci sono poi anche ekklesìe gnostiche di carattere neoplatonico e ce ne occuperemo strada facendo. Poi ci sono ekklesìe cosiddette ebionite che sono strettamente legate alla tradizione vetero-testamentaria. E allora cominciamo a riflettere proprio dalla parola ebionita.

     Che cosa significa il termine ebionita? Per rispondere a questa domanda cogliamo subito l’occasione per riprendere una citazione dalla Prima Lettera ai Corinti: Paolo cita più volte un certo Apollo. Non si tratta della divinità orfico-dionisiaca: questo Apollo non è il dio greco, ma è il nome di un ebreo di Alessandria. Apollo di Alessandria è un grande propagandatore della buona notizia (del vangelo) il quale non è passato alla storia come Paolo di Tarso, ma bisogna dire – citando il giudizio delle studiose e degli studiosi di filologia – che non è stato da meno.

     È il testo degli Atti degli Apostoli che al capitolo 18 dal versetto 24 al 28 ci parla di Apollo e della sua attività apostolica: leggiamoli questi versetti.

LEGERE MULTUM….

Atti degli Apostoli  18, 24-28

A Efeso in quei giorni arrivò un Ebreo, un certo Apollo, nato ad Alessandria d’Egitto. Parlava molto bene ed era esperto nei Libri dell’Antico Testamento.

Apollo era già stato istruito nella dottrina del Signore; predicava con entusiasmo e insegnava con esattezza quello che riguardava Gesù (egli conosceva soltanto il battesimo di Giovanni il Battezzatore).

Con grande coraggio Apollo cominciò a predicare nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo sentirono parlare: allora lo presero con loro e lo istruirono più accuratamente nella fede cristiana. Apollo aveva l’intenzione di andare in Grecia; i fratelli allora lo incoraggiarono e scrissero ai cristiani di quella provincia di accoglierlo bene. Appena arrivato, Apollo, sostenuto dalla grazia di Dio, si rese molto utile a quelli che erano diventati credenti. Egli infatti sapeva rispondere con sicurezza alle obiezioni degli Ebrei e pubblicamente, con l’Antico Testamento alla mano, dimostrava che Gesù è il Messia promesso da Dio.   

     Come avete notato il versetto 25 del capitolo 18 degli Atti degli Apostoli ci dice – mettendolo tra parentesi – che: «Apollo conosceva soltanto il battesimo di Giovanni il Battezzatore». Che significato ha questa dicitura? Significa che Apollo appartiene certamente ai gruppi degli ebioniti.

     Ci siamo già domandate e domandati prima: che significato abbia il termine ebionita e perché il testo degli Atti mette tra parentesi questo enunciato? Diciamo subito che il testo degli Atti degli Apostoli fa un’operazione ideologica  molto precisa (lo fa in molti punti): vuole rimuovere il fatto che ci siano state e ci siano delle divisioni, il testo degli Atti vuole glissare sulla eterogeneità di pensiero tra le varie ekklesìe e vuole proclamare l’unità di una sola chiesa – l’unità in Cristo raccomandata da Paolo nelle sue Lettere – attorno al vescovo di Roma, anche se questo fatto (l’unità di tutti i cristiani) rimarrà sempre un’aspirazione più che una realizzazione storica, e quella della divisione è una costante che riguarda tutti i grandi apparati ideologici (il cristianesimo, l’ebraismo, l’islam, il buddismo, l’induismo, il taoismo).

     Gli Atti degli Apostoli, in quanto opera allegorica e catechetica, raccontano (una quarantina di anni dopo) l’esatto contrario di ciò che fa Paolo nelle sue Lettere che sono scritte con uno stile realistico e autobiografico: Paolo, nella foga della polemica, nel testo dei primi capitoli della Prima Lettera ai Corinti, come abbiamo letto, mette in evidenza il fatto che Apollo appartiene alle ekklesìe di carattere ebionita e lamenta che vi siano delle profonde divisioni nel mondo molto eterogeneo del cristianesimo delle origini.

     La parola ebionita deriva dal termine ebraico ebionim che significa: gli umili, i miseri, i nullatenenti, ed è un termine tipico dei Libri dei Profeti. Nel I secolo, nella terra di Canaan, con il nome di ebioniti si riconoscevano i discepoli di Giovanni il Battezzatore il quale, in nome dei Profeti (Osea, Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele: abbiamo studiato a suo tempo, nell’anno 2007-2008, la letteratura dei Profeti) e facendo una vera e propria scelta di classe privilegiando i più poveri (gli ebionim) – aveva cominciato a predicare una riforma dell’ebraismo: Giovanni – e ricordiamoci che anche Gesù di Nazareth è stato discepolo di Giovanni – crea, intorno a sé, un vasto movimento di opinione (civile sociale politico e morale), che trova la sua coesione nel rito del battesimo di purificazione dai peccati nel fiume Giordano.

     La morte eroica di Giovanni – e tutti conoscete l’affascinante racconto del taglio della testa di Giovanni rievocato nella letteratura, nel teatro, nella musica e nell’arte figurativa in generale – ne aumenta il carisma e la sua figura e il valore del suo battesimo viene predicato sul territorio dell’ellenismo con la stessa dedizione con cui viene predicata la buona notizia della risurrezione di Gesù. Anche i simpatizzanti della predicazione di Giovanni il Battezzatore sul territorio dell’ellenismo, nel I secolo, prendono il nome di ebioniti e, soprattutto ad Alessandria, vengono fondate delle ekklesìe da discepoli che considerano Giovanni il Battezzatore come il messia e questo fenomeno durerà a lungo. Poi (e come potete constatare questi fenomeni sono complessi e molto articolati e vanno studiati con cura) nascono ekklesìe di carattere ebionitache riconoscono Gesù come il messiain quanto continuatore dell’opera di Giovanni e Apollo di Alessandria è un esponente autorevole di una di queste ekklesìe: i membri di queste ekklesìe ebionite, che riconoscono Gesù come messia, vogliono però che Giovanni il Battezzatore abbia un ruolo di primaria importanza nella storia della salvezza, che abbia il ruolo del precursore.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Che cosa vi fa venire in mente il personaggio di Giovanni il Battezzatore o Battista che dir si voglia?…

Scrivete quattro righe in proposito [se non altro i “fochi”!] …

     Alla luce delle riflessioni che abbiamo fatto si capisce l’importanza e il significato di un’opera, di un’operetta (diciamo così per le sue ridotte dimensioni: due capitoli), che abbiamo già,  non a caso, studiato nello scorso anno scolastico (e anche in molte altre occasioni) incontrando la figura-chiave del primo Padre Apostolico, Clemente Romano: quest’opera s’intitola Vangelo deutero-lucano. Per molte e per molti di voi questo importante oggetto culturale, il Vangelo deutero-lucano, non rappresenta una novità e questo è uno di quei temi che tornano inesorabilmente in ballo sul terreno dell’ellenismo in funzione della didattica della lettura e della scrittura ed è necessario approfondirli sulla via dei Percorsi di alfabetizzazione culturale e funzionale.

     Clemente Romano – il primo Padre Apostolico, il primo papa storico – predispone il testo degli Atti degli Apostoli, che è il primo catechismo cristiano; poi Clemente scrive (intorno a Clemente si forma la prima importante Scuola di sapienza poetica ellenistica di stampo evangelico, la così detta Scuola Clementina) i primi due capitoli del Vangelo secondo Luca: questo tema – ripeto – lo abbiamo trattato più volte ma dobbiamo comunque ripassarlo per rinfrescarci la memoria e ripeterlo per chi non ne è al corrente.

     Il testo del cosiddetto Vangelo deutero-lucano si reperisce agevolmente perché occupa i primi due capitoli del Vangelo secondo Luca (kata Lucanos)e le studiose e gli studiosi di filologia c’informano che il testo del Vangelo secondo Luca (kata Lucanos) nasce da una prima stesura su (sentenze) materiali elaborati a Cesarea Marittima e questo testo viene chiamato Proto Lucano. Una seconda stesura di questo testo è avvenuta ad Alessandria e questo nuovo testo viene chiamato Proto Lucano Orientale. Alla fine degli anni 90 tutto questo materiale arriva a Roma nelle mani di Clemente Romano che s’incarica di cominciare a svolgere un lavoro da rapsodo (rapsodoin greco è il sarto) e, quindi, mette in ordine e predispone con una logica pastorale tutti i materiali utili all’evangelizzazione che circolano da un’Ekklesìa all’altra (La Scuola di sapienza poetica ellenistica di stampo evangelico che viene chiamata “Clementina” mette a punto l’habitus del Cristianesimo).

     Clemente – abbiamo detto – scrive questo testo e lo inserisce all’inizio del Vangelo secondo Luca e quindi i primi due capitoli del Vangelo secondo Luca sono un’opera (un’operetta) indipendente, un’opera ellenistica di pregevole valore letterario e dottrinale: quest’opera è stata chiamata, dalle studiose e dagli studiosi di filologia, Vangelo deutero-lucano proprio perchédeuteros, in greco, significa secondo, ulteriore, come dire, un testo che deve introdurre, completare e collegare vari testi tra loro. Basta fare una semplice ricognizione (tutti abbiamo un Bibbia a disposizione) per capire come il Vangelo deutero-lucano si distingua nettamente dal testo del Vangelo secondo Luca che inizia con il terzo capitolo; è un incipit molto interessante ed ha come protagonista Giovanni che sembra sovrastare una serie di personaggi storici citati. Ma leggiamo l’inizio del terzo capitolo: «Era l’anno quindicesimo del regno dell’imperatore Tiberio. Ponzio Pilato era il governatore della provincia della Giudea. Erode regnava sulla Galilea, suo fratello Filippo sull’Iturèa e sulla Traconitide, e Lisania governava la provincia dell’Abilene, mentre Anna e Caifa erano sommi sacerdoti. In quel tempo Giovanni, figlio di Zaccaria, era ancora nel deserto. Là Dio lo chiamò.».

     Il Vangelo deutero-lucano è congegnato come una vera e propria introduzione a tutta la Letteratura dei Vangeli (il canone è in via di formazione) e Clemente Romano, con grande sapienza intellettuale, vuole predisporre l’incipit (l’inizio) della trafila letteraria della scrittura cristiana, del Nuovo Testamento: Clemente pensa che sia necessario cominciare a leggere con ordine le parole che contengono il messaggio della salvezza. Nel testo del Vangelo deutero-lucano prima di tutto si vuol cercare di porre fine ad una polemica che, nelle Ekklesìe, si sta trascinando da quasi un secolo: bisogna chiarire il ruolo della figura di Giovanni il Battezzatore che veniva considerato il Messia in molte comunità; è necessario quindi descrivere in modo efficace la straordinaria missione profetica di Giovanni affermando che Giovanni è il fondamentale precursore ebraico del Messia.

     Il Vangelo deutero-lucano inizia come se fosse una lettera: «Caro Teofilo», secondo lo stile di Paolo di Tarso ma anche, e soprattutto, secondo lo stile pedagogico di Epicuro e dei maestri delle nuove Scuole ellenistiche. Il nome Teofilos non indica una persona reale ma è un termine allegorico: Teofilossignifica Amico di Dio, o meglio ancora, la persona che ama Dioe anche gli Atti degli Apostoli, il proto-catechismo cristiano, comincia proprio così: «Caro Teofilo». Poi l’autore del Vangelo deutero-lucano dichiara di voler narrare con ordine, e l’ordine di cui parla non è un ordine di tipo cronologico ma bensì di tipo letterario e didattico perché il terreno di coltura della fede è la cultura.

     Leggiamo l’introduzione del testo “deutero-lucano”: «Caro Teofilo, molti prima di me hanno tentato di narrare con ordine quei fatti che sono accaduti tra noi. I primi a raccontarli sono stati i testimoni di quei fatti che avevano visto e udito: essi hanno ricevuto da Gesù l’incarico di annunciare la parola di Dio. Anch’io perciò mi sono deciso di fare ricerche accurate su tutto, risalendo fino alle origini. Ora, o illustre Teofilo, ti scrivo tutto con ordine, e così potrai renderti conto di quanto sono solidi gli insegnamenti che hai ricevuto.».

     Poi l’indice del “Vangelo deutero-lucano” mette in relazione le due figure, di Giovanni e di Gesù, creando una perfetta scansione dei ruoli: inizia con l’annuncio della nascita di Giovanni, prosegue con l’annuncio della nascita di Gesù e con la visita di Maria ad Elisabetta; qui troviamo il celebre inno del Magnificat, segue la nascita di Giovanni e il canto profetico di Zaccaria, il padre di Giovanni; e poi, nel secondo capitolo, si racconta la nascita di Gesù e questo capitolo è stato chiamato il “Vangelo dell’infanzia di Gesù”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A questo punto l’esercizio che tutte e tutti noi dobbiamo fare è quello di leggere, o di rileggere con attenzione, i primi due capitoli del Vangelo secondo Luca con la consapevolezza che questi capitoli sono una vera e propria opera introduttiva intitolata Vangelo deutero-lucano … 

     Nel I secolo, al tempo di Paolo di Tarso, è in corso un’animata competizione tra i membri delle varie componenti (delle varie anime) che si dedicano, ciascuna con le proprie caratteristiche, alla predicazione della buona notizia (del vangelo): quella degli ebioniti è la componente che predica un Gesù povero. Nella ekklesìa di Corinto c’è stata un’evoluzione ideologica che ha trasformato la comunità in una associazione fatta di tante correnti in lizza tra loro e ciascuno dei vari gruppi si chiude nella difesa del proprio modo di vedere le cose. L’Epistolario di Paolo di Tarso è l’opera che documenta meglio questa situazione e Paolo nella Prima Lettera ai Corinti se la prende con coloro che vogliono esaltare troppo la vita dello Spirito e così disprezzano ciò che spetta al corpo e se la prende con coloro che danno troppa importanza all’apparire dei corpi e così mettono in secondo piano ciò che spetta allo Spirito. Se la prende con il legalismo rigorista degli scrupolosi ed è molto severo con chi confonde la libertà col disordine, col fa ciò che vuoi. È poi severissimo con chi vuole vedere nel contenuto della buona notizia (del vangelo) ciò che corrisponde ai propri gusti e ai propri interessi personali.

     Nella Prima Lettera ai Corinti – e anche per questo motivo quest’opera merita di essere letta – ci sono alcuni brani famosi e di grande portata letteraria nello spirito della sapienza poetica ellenistica: il più famoso di tutti è senz’altro il testo del capitolo 13 quello che, comunemente, viene chiamato Inno all’amore. L’inno all’amore è un testo poetico molto ispirato di carattere elegiaco (molte e molti di voi ricorderanno certamente Callimaco di Cirene e Apollonio Rodio) ma questo celebre testo paolino ha anche, e soprattutto, un grande valore ideologico e dottrinale perché va letto e interpretato nel contesto in cui è scritto.

     La parola che – nel capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinti – traduciamo con il termine amoreè la parola greca charitas che per noi oggi suona in modo riduttivo perché la parola carità si è logorata: ed è per questo che si preferisce, e suona senz’altro meglio, tradurre con il temine amore. La parola carità evoca, oggi, per molte persone, qualcosa di riduttivo, di negativo, anche di equivoco.

     Ma noi dobbiamo riflettere in funzione della didattica della lettura e della scrittura e dobbiamo ragionare sul valore filologico delle parole al di là dei luoghi comuni: il concetto contenuto nella parola charitasdipende dal termine charis che significa dono e, per la precisione, dono gratuito non interessato e significa anche ringraziamento nel senso di sapersi ringraziare con sincerità nel rendersi grazie non in modo formale ma sostanziale! Il concetto contenuto nella parola caritàsi distingue da quello contenuto nella parola amoreperché il concetto espresso dalla parola amore (“eros eros” in greco, “amor” in latino) rimanda alla cultura elegiaca di stampo ellenistico alessandrino in lingua greca e alla cultura elegiaca in lingua latina della Roma imperiale: in queste culture di sapienza poetica ellenistica il concetto dell’amore (de “l’eros” e de “l’amor”) contiene un dare per averee lo spiega bene Ovidio nel suo poema erotico intitolato Arte di amare.

     Mentre le parole charis, charitas, eucharistia – parole che dovrebbero essere  fondamentali nella nostra cultura – sono l’espressione di un altro tipo di idea: l’idea dell’amore solidale, della solidarietà, della gratuità. «Il capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinti è importante perché laicizza l’amore, lo deritualizza liberandolo da tutti gli istinti di possesso», queste parole di commento su l’Epistolario di Paolo di Tarso le ha scritte Leone Tolstoj. Sappiamo già che Leone Tolstòj, nella sua opera di esegeta biblico, ha imparato molto dalla lettura delle Lettere paoline. Sappiamo ormai che il genere letterario del romanzo dell’800 e del ‘900 è stato influenzato da molte pagine dell’Epistolario di Paolo di Tarso, in particolare dai temi contenuti nella Prima Lettera ai Corinti e il capitolo 13 di quest’opera ha sempre influenzato in modo veramente creativo la letteratura.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quali di queste virtù – bontà, umanità, fratellanza, altruismo, misericordia, generosità – usereste per prima per definire una persona “caritatevole”?…

Avete conosciuto nel corso della vostra vita una persona considerata “caritatevole”?

Scrivete quattro righe in proposito

     E adesso leggiamo il testo del capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinti: è questo il brano dell’Epistolario di Paolo di Tarso più celebre e più conosciuto. Poi così – dopo la lettura – approfitteremo della presenza di Leone Tolstòj per fare un esempio di intreccio filologico in funzione della didattica della lettura e della scrittura.

LEGERE MULTUM….

Prima Lettera ai Corinti  13

Ora vi insegno qual è la via migliore:

Se parlo le lingue degli uomini e anche quelle degli angeli, ma non ho amore [charitas, la capacità di donare gratuitamente] sono un metallo che rimbomba, uno strumento che suona a vuoto. 

Se ho il dono d’essere profeta e di conoscere tutti i misteri, se possiedo tutta la scienza e anche una fede da smuovere i monti, ma non ho amore, io non sono niente.

Se do ai poveri tutti i miei averi, se offro il mio corpo alle fiamme, ma non ho amore, non mi serve a nulla.

Chi ama [chi è capace di donare gratuitamente] è paziente e generoso.

Chi ama non è invidioso non si vanta non si gonfia di orgoglio.

Chi ama è rispettoso non cerca il proprio interesse non cede alla collera dimentica i torti.

Chi ama non gode dell'ingiustizia, la verità è la sua gioia.

Chi ama tutto scusa di tutti ha fiducia tutto sopporta mai perde la speranza.

L’amore non tramonta mai: cesserà il dono delle lingue, la profezia passerà, finirà il dono della scienza.

La scienza è imperfetta, la profezia è limitata, ma verrà ciò che è perfetto ed esse svaniranno.

Quando ero bambino parlavo da bambino, come un bambino pensavo e ragionavo.

Da quando sono una persona matura ho smesso di agire così. Ora la nostra visione è confusa, come in un antico specchio; ma un giorno saremo a faccia a faccia dinanzi a Dio. Ora lo conosco solo in parte, ma un giorno lo conoscerò come lui mi conosce.

Ecco dunque le tre cose che contano: fede, speranza, amore.

Ma più grande di tutte è l’amore.

     E ora – come abbiamo detto – approfittiamo della presenza di Leone Tolstòj per fare un esempio di intreccio filologico in funzione della didattica della lettura e della scrittura.

     Di Leone Tolstòj (per giunta siamo anche in un significativo tempo tolstojano: di commemorazione della morte, 1910-2010) non si può fare a meno di ricordare due opere sulle quali la Scuola ha puntato e punta spesso l’attenzione (anche nel Percorso dello scorso anno ce ne siamo occupate e occupati) perché queste opere, i due brevi romanzi che s’intitolano La sonata a Kreutzer (1890) e Padre Sérgij (1911), sono ricche di citazioni paoline e quindi devono essere lette e puntualmente rilette a mano a mano che – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – si individuano nuove chiavi interpretative per cui il testo diventa maggiormente ricco di significato e adatto per poter fare delle inferenze che sono utili esercitazioni intellettuali. Sapete che l’inferenza è quell’azione dell’apprendimento che trasporta, che trasferisce una conoscenza da un oggetto all’altro: in questa parola c’è il verbo latino feroche significa portare, che significa trasferire anche in senso intellettuale.

     Ora facciamo solo un esempio utilizzando un brano che già abbiamo letto lo scorso anno scolastico ma con un altro intento didattico, finalizzato ad un’altra chiave di lettura: cerchiamo di capire che la lettura di un testo – di quei testi che vengono considerati importanti nella Storia del Pensiero Umano – è legata all’acquisizione dei molteplici spunti interpretativi che un’opera letteraria contiene e che dobbiamo inventariare gradualmente nel tempo contando anche sul ruolo che deve avere, nella società, l’alfabetizzazione culturale e funzionale.

     Il brano che ora leggiamo è tratto dal racconto La Sonata a Kreutzer. Sapete che il romanzo La Sonata a Kreutzer ci porta sulla carrozza di un treno (il treno è un elemento frequente nei romanzi di Tolstòj, un elemento che rimanda anche alle celebrazioni tolstojane in atto) e questo treno sta attraversando da molte ore la pianura Sarmatica. I passeggeri – come spesso succede sul treno – iniziano una discussione, abbastanza animata, sul tema del matrimonio, del divorzio, del ruolo delle donne e dell’amore: così si configura l’incipit di questo significativo romanzo.

     Il frammento che leggiamo ci serve per constatare come lo scrittore giochi con il testo del capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinti per dare spessore alla sua riflessione. Mentre leggiamo i romanzi di età moderna e contemporanea succede che, molto spesso, ci troviamo a leggere, senza saperlo, citazioni provenienti dall’Epistolario di Paolo di Tarso e, come abbiamo già potuto constatare negli itinerari di questo viaggio, le scrittrici e gli scrittori utilizzano spesso riferimenti paolini perché sono profondamente radicati nella loro mente e nella Storia del Pensiero: se ne servono soprattutto per mettere in evidenza e per rafforzare il carattere dei personaggi e per dare maggior efficacia alla trama.

     E ora leggiamo: abbiamo messo in corsivo i passi che c’interessano ma penso che non vi sarebbero sfuggiti.

LEGERE MULTUM….

Leone Tolstòj, La sonata a Kreutzer

- C’è troppa istruzione in giro - ripeté il mercante, guardando con disprezzo la donna e lasciando la sua domanda senza risposta.

- Sarebbe interessante sapere qual è il rapporto, secondo lei, tra l’istruzione e i dissapori coniugali - disse l’avvocato con un lieve sorriso.

Il mercante voleva dire qualcosa, ma la donna lo prevenne.

- No, ormai quei tempi sono passati - cominciò, ma l’avvocato la interruppe.

- No, gli permetta di esprimere la sua opinione.

- Queste sciocchezze si fanno per colpa dell’istruzione - disse con risolutezza il vecchio.

- Fanno sposare persone che non si amano, e poi ci si stupisce che vivano in disaccordo, - si affrettò a dire la signora, rivolgendo lo sguardo all’avvocato, a me e persino al negoziante, il quale, sollevatosi dal suo posto e appoggiatosi allo schienale, stava ad ascoltare la conversazione. - Solo gli animali si possono far accoppiare come vuole il padrone, ma gli esseri umani hanno le proprie inclinazioni, i propri affetti - disse con l’evidente intento di provocare il mercante.

- Sbaglia a dir questo, signora, - disse il vecchio. - Le bestie sono bestie, mentre agli uomini è stata data la legge.

- Ma come si fa a vivere con qualcuno, se non c’è amore paziente e generoso? - la signora continuava ad incalzarlo con i suoi giudizi, che dovevano sembrarle molto originali.

- Prima a questo non ci si pensava - disse il vecchio con tono ispirato, - sono cose che sono venute fuori adesso. Si è arrivati al punto che lei dice: Ti lascio. I contadini uguali, oramai pure a loro la moglie gli dice: Eccoti qua le tue camicie e le brache, io me ne vado con Van’ka, ha più riccioli di te. Poi ditemi un po’ voi. Le donne invece la prima cosa che ci deve essere è la paura.

Il negoziante guardò l’avvocato, la signora e me, trattenendo palesemente il sorriso, pronto a irridere o ad approvare il discorso del mercante a seconda di come sarebbe stato accolto.

- Ma quale paura? - disse la signora.

- Quale mi chiede: del marito, devono avere paura del marito!

- Ohi, ma questa è proprio roba del tempo che fu - disse la donna senza nascondere una certa irritazione.

- No, signora, questi tempi non possono passare. Così come la donna, Eva, è stata creata da una costola dell’uomo, così rimarrà fino alla fine dei tempi - disse il vecchio, dando una scossa alla testa così severa e trionfale che il negoziante stabilì subito che la vittoria era sua, e scoppiò a ridere sonoramente.

- Siete voi uomini a pensarla così - insisté la signora, che non demordeva, passandoci in rassegna con lo sguardo, - voi la libertà ve la siete presa, e le donne volete tenerle chiuse in cucina. Voi, sicuro, vi permettete qualsiasi cosa.

- Nessuno ci autorizza a permetterci nulla, solo che l’uomo in casa non dà alcun beneficio, mentre la donna è come un fuscello, esposta a ogni vento - continuò a pontificare il mercante.

Era evidente che gli spettatori erano in soggezione davanti a quel tono così autorevole, ma la donna, pur sentendosi sopraffatta, non si arrendeva.

- Sì, ma immagino che vorrà ammettere che anche la donna è un essere umano, e prova gli stessi sentimenti di un uomo. Ma cosa deve fare, se non ama il marito?

- Non lo ama? - ripeté minaccioso il mercante, contraendo sia le sopracciglia che le labbra. - Non lo ama, lo amerà!

Quest’argomentazione imprevista piacque in modo particolare al negoziante, che emise un gridolino di approvazione.

- Ma no che non lo amerà! - riprese la donna. - Se l’amore non c’è, non c’è modo di imporlo perché chi ama è rispettoso e non cerca il proprio interesse e non cede alla collera e dimentica i torti.

- E allora, che si fa se la moglie tradisce il marito? - disse l’avvocato.

- Non si fa, - disse il vecchio. - Questo non si fa, bisogna starci attenti.

- Ma una volta che è successo, che si fa? Sono cose che ad ogni modo capitano.

- C’è a chi capita, a noi non capitano.

Tutti rimasero in silenzio. Il negoziante si scosse, si avvicinò ancora di più e, desideroso evidentemente di non essere da meno degli altri, cominciò, sorridendo:

- Eh sì, anche a uno dei nostri commessi gli è capitata. Pare una cosa che non ci arrivi con la testa. Pure a lui gli è capitata una così, scostumata. Se ne andava in giro a far mattane. Il commesso nostro è un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle. Quella, prima se l’è fatta col contabile. Lui comincia con le buone, a farla ragionare. Non c’è verso. Continuava a fargliene di tutti i colori. Pure i soldi gli rubava. Lui ha cominciato a picchiarla, ma niente, anzi peggio. Pure con un senzadio, con un ebreo, con licenza parlando, ha attaccato la tresca. Che poteva fare? L’ha mollata. Adesso se ne vive da solo, da scapolo, e lei si sbatte di qua e di là.

- Perché è uno scemo, - disse il vecchio. - Se dall’inizio la teneva stretta, le metteva un freno come si deve, ancora, vedi un po’, ce l’avrebbe là. La libertà da subito bisogna cominciare a non darla. Non lasciare libero un cavallo per i campi, né la moglie in casa.

In quel momento il controllore passò a chiedere i biglietti per la fermata più vicina.

Il vecchio gli diede il suo. - Sì, alle donne bisogna mettergli un freno per tempo, altrimenti non c’è più niente da fare.

- Beh, e allora cos’è che ha appena raccontato, di come se la spassavano alla fiera di Kunavino uomini sposati? - dissi io, non potendo più trattenermi.

- Quello è un altro discorso - disse il mercante e sprofondò nel silenzio.

Quando si udì il fischio, si alzò, prese la sua sacca da sotto la panca, si chiuse il bavero e, sollevato il cappello in segno di saluto, si avviò verso la piattaforma.

Non appena il vecchio fu sceso, più voci si levarono contemporaneamente.

- Dell’epoca di Noè, il nonno - disse il negoziante.

- Una mentalità feudale, - disse la signora. - Che idee selvagge sulla donna e sul matrimonio.

- Sì, siamo ben distanti dalla visione europea del matrimonio - disse l’avvocato.

- La cosa più importante che persone del genere non capiscono - disse la signora - è che un matrimonio senza amore non è un matrimonio, che solo l’amore rende sacro il matrimonio, e che un matrimonio autentico è solo quello consacrato dall’amore perché chi ama non è invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio.

Il negoziante ascoltava e sorrideva, sforzandosi di mettere da parte discorsi intelligenti da poter riutilizzare.  A metà del discorso della signora si sentì dietro di me un rumore che poteva essere di una risata strozzata o di un singhiozzo e, quando ci girammo, vedemmo che, senza farsi sentire, il signore canuto e solitario dagli occhi scintillanti, durante il nostro discorso, che senza dubbio lo interessava, si era avvicinato. Era in piedi, con le mani appoggiate allo schienale della panca, palesemente turbato: era tutto rosso in faccia, uno zigomo gli tremava.

- Quale, quale, ma quale amore consacra il matrimonio? - disse con la lingua, che gli si impastava.

Vedendo quanto fosse sconvolto il suo interlocutore, la signora cercò di rispondergli nel modo più indulgente e circostanziato.

- L’amore autentico Se c’è un amore così tra un uomo e una donna, è possibile anche il matrimonio - disse la signora.

- Sì, ma cosa s’intende per amore autentico? - replicò con un sorriso imbarazzato e intimidito il signore dagli occhi scintillanti.

- Lo sanno tutti - disse la signora, con l’evidente intento di por fine a quel discorso.

- Io invece non lo so, - disse l’uomo. - Dovrebbe chiarire cos’è che intende

- Come? Ma è molto semplice, - disse la signora, ma si fermò un attimo a riflettere.

- L’amore è la preferenza assoluta per qualcuno o qualcuna rispetto a tutti gli altri perché tutti i doni si esauriranno solo l’amore non tramonta mai - proseguì poi.

- Preferenza per quanto tempo? Per un mese? Per due giorni, mezzora - disse il signore canuto, e scoppiò a ridere.

- No, mi scusi, è chiaro che parliamo di due cose diverse.

- No, no, della stessa.

- La signora intende dire - intervenne l’avvocato - che il matrimonio deve scaturire in primo luogo dall’affetto, dall’amore, se vogliamo, e soltanto in presenza di questi presupposti il matrimonio rappresenta qualcosa, come dire, di sacro. Per cui ogni matrimonio che non si fondi sull’affetto genuino, sull’amore, se vogliamo, non racchiude in sé nessun vincolo morale. La comprendo bene? - concluse, rivolto alla signora.

Con un cenno del capo quella espresse approvazione per com’era stato esposto il suo pensiero.

- Perciò dunque - continuò l’avvocato, ma il signore nervoso, i cui occhi ormai ardevano e chiaramente faticava a trattenersi, senza dargli il tempo di continuare, cominciò:

- No, io parlo della stessa cosa, della preferenza per qualcuno o qualcuna rispetto a tutti gli altri. Solo, domando: preferenza per quanto tempo?

- Per quanto tempo? A lungo, per tutta la vita, talvolta - disse la signora, stringendosi nelle spalle.

- Ma così capita solo nei romanzi e negli Inni all’amore, nella vita mai. Nella vita questa preferenza per uno rispetto agli altri può essere per un anno, che è già difficile, più spesso per alcuni mesi, o è anche questione di settimane, giorni, ore - disse ben sapendo di sorprendere tutti con la sua opinione, e compiacendosene.

     Credo che la scelta di Tolstòj si commenti da sola: lo scrittore vuole evidenziare il fatto di come la mentalità bigotta, conservatrice e reazionaria di questi personaggi che si dicono cristiani e difensori della famiglia in realtà sia infarcita di luoghi comuni e, contemporaneamente, mette in risalto come sfuggano all’attenzione le significative parole evangelicheche la signora pronuncia quasi meccanicamente così come meccanicamente si ripete una preghiera senza percepirne fino in fondo il significato.

     Naturalmente non abbiamo ancora finito di prendere in considerazione il testo della Prima Lettera ai Corinti: i temi più significativi li dobbiamo ancora incontrare. Ci sono in questo testo almeno quattro elementi, quattro parole-chiave fondamentali per la Storia del Pensiero che hanno condizionato e orientato la nostra cultura (la cultura Occidentale) nel corso dei secoli, e nel prossimo itinerario ce ne occuperemo.

     Per concludere l’itinerario di questa sera leggiamo insieme ancora una pagina dalla Prima Lettera ai Corinti tratta dal primo capitolo.

     Perché leggiamo questa pagina? La leggiamo perché contiene argomenti su cui dovremo riflettere e la leggiamo anche in senso propedeutico: per guardare ai Percorsi del futuro quando studieremo ancora l’Umanesimo utopico e scettico: un grande paesaggio intellettuale (nel quale abbiamo già viaggiato a suo tempo nel secolo scorso) nel quale troviamo le idee di grandi pensatori che tutte e tutti noi abbiamo sentito nominare.

     Il periodo dell’Umanesimo – dal XIV al XVI secolo –  è soprattutto il tempo dalla riscoperta filologica dei testi delle Lettere di Paolo di Tarso che vengono studiati, tradotti, ripensati; nasce anche il dibattito sull’autenticità: ora noi facciamo solo un accenno, costruiamo un tassello di apprendimento nella nostra mente.

     Marsilio Ficino (è un nome noto), quando muore nel 1499 lascia, appena iniziata, una traduzione con commento delle Lettere di Paolo di Tarso. E nell’opera intitolata Elogio della pazzia (1515) di Erasmo da Rotterdam e nelle opere di Bernardino Telesio, di Giordano Bruno e soprattutto ne La città del sole (1602) di Tommaso Campanella troviamo sviluppato un concetto di Dio molto significativo fondato su tre parole-chiave: Potenza, Sapienza e Amore. Questo concetto lo si trova nella Prima Lettera ai Corinti e questa fonte permetterà, per esempio, a Tommaso Campanella di alzare spesso la voce, nei suoi ventisette anni di galera subiti come eretico.

     Questi personaggi, che abbiamo citato, costruiscono le idee-chiave dell’Umanesimo utopico e scettico traducendo, studiando e riflettendo anche sull’Epistolario di Paolo di Tarso: studiare questa materia serve per poter entrare in futuro nei grandi territori dell’età medioevale e moderna con qualche competenza in più: prepariamoci.

     E ora leggiamo:

LEGERE MULTUM….

Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinti  1, 17-31.

Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare la salvezza. E questo io faccio senza parole sapienti, per non rendere inutile la morte di Cristo in croce. Predicare la morte di Cristo in croce sembra una pazzia a quelli che vanno verso la perdizione; ma per noi, che Dio salva, è la potenza di Dio. Isaia dice infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e squalificherò l’intelligenza degli intelligenti.

Infatti, che cosa hanno da dire ora i sapienti, gli studiosi, gli esperti in dibattiti culturali? Dio ha ridotto a pazzia la sapienza di questo mondo.

Gli uomini, con tutto il loro sapere, non sono stati capaci di conoscere Dio e la sua sapienza. Perciò Dio ha deciso di salvare quelli che credono, mediante questo annuncio di salvezza che sembra una pazzia. Gli Ebrei infatti vorrebbero miracoli, e i non Ebrei si fidano solo della ragione. Noi invece annunziamo Cristo crocifisso, e per gli Ebrei questo messaggio è offensivo, mentre per gli altri è assurdo. Ma per quelli che Dio ha chiamati, siano essi Ebrei o no, Cristo è potenza e sapienza di Dio. Perché la pazzia di Dio è più sapiente della sapienza degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte della forza degli uomini.

Guardate tra voi, fratelli. Chi sono quelli che Dio ha chiamati? Vi sono forse tra voi, dal punto di vista umano, molti sapienti o molti potenti o molti personaggi importanti? No! Dio ha scelto coloro che vengono considerati insignificanti, per coprire di vergogna i sapienti; ha scelto quelli considerati deboli, per distruggere quelli che si credono forti. Dio ha scelto quelli che nel mondo non hanno importanza o sono disprezzati o considerati come se non esistessero, per distruggere quelli che pensano di valere qualcosa. Così, nessuno potrà vantarsi davanti a Dio.

Dio però ha unito voi a Gesù Cristo: egli è per noi la sapienza che viene da Dio.

E Gesù Cristo ci rende graditi a Dio, ci dà la possibilità di vivere per lui e ci libera dal peccato. Si compie così quel che dice Geremia: Chi vuol vantarsi si vanti per quel che ha fatto il Signore.   

     Questo brano tratto dal primo capitolo dalla Prima Lettera ai Corinti è molto interessante e noi non lo abbiamo letto solo per constatare che in esso troviamo un concetto di Dio molto significativo fondato su tre parole-chiave: Potenza, Sapienza e Amore, un concetto che verrà sviluppato dalla cultura dell’Umanesimo; ma lo abbiamo letto anche a proposito di un altro intreccio filologico di cui ci occuperemo la prossima settimana.

     Abbiamo già ricordato otto giorni fa che nel testo della Prima Lettera ai Corinti ci sono quattro parole-chiave significative che dobbiamo studiare: quali sono queste parole-chiave? Lo scopriremo nel prossimo itinerario, e ricordate che la Scuola è qui perché l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona.

     Il nostro viaggio sul territorio dell’Ellenismo di stampo evangelico continua perché possiamo imparare ad alimentare buone passioni e a controllarle con giuste ragioni…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 22, 2010