Prof. Giuseppe Nibbi Lo sapienza poetica ellenistica [evangelica e imperiale] 1-2-3 dicembre 2010
SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO
CI SONO LE PAROLE “QIHL”, “QAHAL” ED “EKKLESÌA”
CHE SONO I PROTOTIPI LESSICALI DELLA PAROLA “CHIESA” …
Prima di incamminarci sull’itinerario di questa sera dobbiamo fare una comunicazione di servizio: la prossima è la settimana dell’8 dicembre e si celebra l’Immacolata Concezione e quindi è festa; perché i nostri gruppi possano continuare di pari passo facciamo una pausa.
Nell’itinerario della scorsa settimana abbiamo incontrato un interessante paesaggio intellettuale che contiene una delle più significative parole-chiave del Glossario giudaico-ellenistico creato da Paolo di Tarso: la parola “ekklesìa”. Abbiamo affrontato questo tema dal punto di vista filologico e abbiamo scoperto che la parola greca “ekklesìa”, che noi oggi traduciamo con il termine “chiesa” (un termine che ha molti significati), presa alla lettera significa “assemblea popolare”, e questo concetto – come sappiamo – è radicato in antiche culture (quelle dell’Età assiale della storia) molto significative. Nella versione greca dell’Antico Testamento (il tema della traduzione in greco dei Libri dell’Antico Testamento è un interessante argomento che abbiamo studiato a suo tempo, nell’anno scolastico 2007-2008) il termine “ekklesìa” serve a tradurre la parola ebraica “qahal” che significa “il popolo convocato in assemblea”. La parola ebraica “qahal” è una parola molto significativa e contiene una radice che proviene dalla cultura mesopotamica (abbiamo studiato a suo tempo che i Libri del Pentateuco sono stati scritti a Babilonia durante l’esilio: ricordate questo particolare? Questa sera, seppur brevemente, rimetteremo a fuoco il tema), la parola ebraica “qahal” contiene una radice che proviene dal testo dell’Epopea di Gilgamesh.
Nel testo dell’Epopea di Gilgamesh – come abbiamo studiato la scorsa settimana – la parola in lingua accadica, scritta in caratteri cuneiformi, che esprime il significato di “assemblea del popolo che prega per chiedere giustizia” è la parola “qihl”. E allora, se seguiamo la trafila filologica, la parola sumera “qihl”, che significa “assemblea del popolo che prega per chiedere giustizia”, è la radice più antica della parola “chiesa”: anche la pianticella della parola “chiesa”, quindi, comincia a germogliare durante l’Età assiale della storia.
Dobbiamo puntualizzare il fatto che già in origine la radice della parola “chiesa” non rappresenta un edificio, un oggetto architettonico, ma l’idea originaria della parola “chiesa” fa riferimento ad una struttura umana: al popolo riunito in assemblea. La parola sumera “qihl” significa “assemblea del popolo che chiede giustizia (sono gli abitanti della città di Uruk che pregano gli dèi affinché li liberino da un re violento che pratica l’ingiustizia)”, e la parola ebraica “qahal” significa “l’assemblea del popolo davanti a Dio” e, strada facendo, studieremo meglio la natura e la collocazione di questo termine nella Storia della Letteratura vetero-testamentaria.
La parola greca che traduce questi due termini non poteva, quindi, che riprendere questo concetto e, difatti, “ekklesìa” significa letteralmente “assemblea di popolo”. Paolo di Tarso, nelle sue Lettere, riprende questo termine conosciuto, “ekklesìa”, e comincia ad usarlo per definire la comunità di coloro che credono nella resurrezione di Gesù Cristo, utilizza questo termine valorizzandone, con grande abilità, la tradizione: è qual è la tradizione?
La scorsa settimana, alla fine dell’itinerario, ci siamo chieste e ci siamo chiesti: che cosa sono e come nascono le ekklesìe? Nell’itinerario di questa sera proveremo – a grandi linee e in funzione della didattica della lettura e della scrittura (secondo la natura del nostro Percorso) – a rispondere a questa domanda tenendo conto del fatto che è un tema particolarmente ostico e non ci basta un itinerario per poterlo definire.
Ma, ora, prima di occuparci di questo (ostico) argomento continuiamo a leggere – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – il romanzo che abbiamo cominciato a leggere due settimane fa. Questo romanzo – come sapete – s’intitola Il fucile da caccia ed è stato scritto nel 1949 dallo scrittore giapponese Inoue Yasushi (1907-1991). In questo romanzo – come sappiamo – compaiono le parole-chiave più importanti del Glossario giudaico-ellenistico di Paolo di Tarso e i temi principali (l’attesa, la salvezza, la colpa) dell’Epistolario paolino e lo scrittore tiene legati i destini di quattro personaggi, un uomo e tre donne e, inoltre, è un romanzo epistolare formato da tre lettere scritte da ciascuna di queste tre donne (la nipote, la moglie e l’amante) al personaggio maschile. Ciò che coinvolge in questa lettura – come abbiamo detto – non è la trama ma sono le riflessioni che intessono i tre personaggi femminili sul tema del senso da dare alla vita e alla morte. Lo scrittore Inoue Yasushi (abbiamo detto) è molto bravo a costruire un testo nel quale ciò che nella vita rimane nascosto, perché inconfessabile (frutto di una colpa) viene svelato e, quindi, questa consapevolezza di dire finalmente la verità si lega all’esercizio della scrittura autobiografica (questa idea viene elaborata da Paolo di Tarso nella Seconda Lettera ai Corinti) –, e con questa consapevolezza l’orgoglio dei personaggi diventa umiltà, la loro forza diventa debolezza, la loro ironia diventa inquietudine, la loro gioia si trasforma in nostalgia e il loro buon gusto in delusione e in tristezza: la vita è fatta di distacchi e di sconfitte, tutte le persone sono consapevoli di questo fatto ma è comunque difficile accettarlo, e questa condizione psicologica emerge costantemente nell’Epistolario di Paolo di Tarso.
Continuiamo e finiamo di leggere la lettera di Shōko, la nipote, la quale continua a riflettere sulla scoperta, che ha fatto, della relazione segreta che, per anni, ha legato la propria madre – che ora è morta (si è avvelenata in modo rituale) – allo zio Jōsuke, al quale sta scrivendo.
LEGERE MULTUM ….
Inoue Yasushi, Il fucile da caccia (1949)
LETTERA DI SHŌKO
Se ho mai avuto un presentimento di quello che c’era tra te e la mamma, ciò è accaduto una sola volta. Fu più o meno un anno fa. Stavo andando a scuola con un’amica quando, arrivata alla stazione Hankyū di Shukugawa, mi accorsi di aver dimenticato a casa il libro di inglese.
Chiesi allora alla mia amica di aspettarmi alla stazione e ritornai da sola a prenderlo, ma arrivata davanti al cancello di casa, non so perché, non ebbi il coraggio di entrare. Quel giorno la cameriera era uscita dalla mattina per una commissione, e in casa avrebbe dovuto esserci solo la mamma.
… continua la lettura …
Poi, per terza, leggeremo anche questa lettera-testamento ma prima – quando, fra poco, torneremo sul testo di questo romanzo – dovremo leggere la seconda lettera inviata a quest’uomo: quella di Midori, la moglie tradita.
E ora torniamo sul nostro sentiero specifico.
Tutte le volte che diciamo o che sentiamo dire la parola “chiesa” noi pensiamo al cristianesimo, ma, ora, noi abbiamo capito che la parola greca “ekklesìa” è molto più antica del cristianesimo e della sua diffusione. Le “ekklesìe”, cioè le “assemblee dei timorati di Dio” (come si esprime Paolo nella Lettera ai Romani), sono già presenti sul territorio dell’Ecumene non solo al tempo di Paolo (negli anni 50) ma esistevano da molto tempo, e, dal I secolo a.C., le “ekklesìe” sono ben radicate in tutta l’area dell’Ellenismo. Quindi il cristianesimo, alle sue origini, non diffonde le “ekklesìe” (come siamo portati a pensare), le “ekklesìe” non sono l’espressione della diffusione del cristianesimo: questo è un “luogo comune” da sfatare. Il “cristianesimo” – in realtà – si diffonde nelle “ekklesìe”, si sviluppa al loro interno e, quindi, nel nostro itinerario di studio dobbiamo chiarire qual è la natura culturale di queste importanti strutture. Riflettere sulla natura culturale delle “ekklesìe” serve soprattutto per procurarci alcune “chiavi” di lettura utili per leggere tanto l’Epistolario di Paolo di Tarso quanto le opere del genere letterario del romanzo moderno e contemporaneo.
Prima di tutto dobbiamo dire che i rapporti che Paolo di Tarso ha avuto in queste istituzioni, nelle “ekklesìe”, sono stati assai conflittuali: Paolo di Tarso, nella competizione che si scatena in queste strutture assembleari tra le varie correnti, è sempre perdente. Paolo di Tarso è uno dei più grandi “perdenti di successo” della Storia del Pensiero Umano: è uno che muore “sconfitto” senza sapere di aver contribuito, in modo fondamentale, a spaccare la storia del mondo in due: avanti Cristo e dopo Cristo. E dobbiamo prendere atto del fatto che tutto questo è potuto avvenire soprattutto perché Paolo di Tarso ha avuto la costanza di scrivere (senz’altro dieci minuti al giorno) utilizzando la sua preparazione culturale e anche il suo “spirito autobiografico”. Il tema della “sconfitta” è fondamentale nell’esperienza di Paolo di Tarso – i suoi successi sono stati pochi e i suoi fallimenti molti – ed proprio lui a descrivere per primo, nel suo Epistolario, i termini della sconfitta di Gesù di Nazareth nella quale lui si identifica con circospezione.
Paolo di Tarso costruisce una serie di concetti che diventano i segni di contraddizione con i quali il cristianesimo s’impone sul terreno dell’Ellenismo. Il più significativo di questi segni di contraddizione è quello di presentare la sconfitta come momento fondante per ottenere una vittoria di alto valore morale: si può essere sconfitti dagli avvenimenti ma vittoriosi per aver esaltato princìpi di alto valore etico. Paolo di Tarso crea e divulga una straordinaria metafora: la croce, che è lo strumento della sconfitta (e affronteremo ancora, strada facendo, questo tema), diventa il simbolo del riscatto e si trasforma nel segno della vittoria sulla morte che è il momento per eccellenza della sconfitta umana (del distacco). La “sconfitta” – nell’Epistolario di Paolo di Tarso, secondo lo stile del genere letterario del romanzo – si presenta con i suoi principali caratteri esistenziali: la solitudine, la tristezza, la paura. Queste parole-chiave le abbiamo incontrate, non casualmente, poco fa nel romanzo Il fucile da caccia che stiamo leggendo e, attraverso questo testo, l’autore riflette anche su questo importante tema esistenziale, quello della “sconfitta”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Avete subìto una sconfitta che ha lasciato il segno?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Per capire meglio ciò che stiamo per studiare è necessaria un’immersione in profondità nella cultura che è propria dell’ambiente dove ha vissuto Paolo di Tarso e siccome questa persona ha avuto un rapporto intenso e conflittuale all’interno delle “ekklesìe” dobbiamo procedere chiedendoci: come nascono le “ekklesìe”?
Quella delle “ekklesìe” è una storia lunga che prevede un viaggio complicato che dura più di un itinerario. La prima notizia da dare è che le “ekklesìe” nascono come espressione della diffusione dell’ebraismo nell’area ellenistica prima ancora che questo vasto spazio diventi propriamente il territorio dell’Ellenismo. Quindi il tema della diffusione della cultura dell’ebraismo sul territorio dell’Ecumene è un argomento che, con pazienza (e a grandi linee), dobbiamo affrontare.
Noi sappiamo già che c’è stata una grande diffusione della cultura dell’ebraismo nel bacino del Mediterraneo e in Europa, e sappiamo che questa diffusione ha influenzato non poco la Storia della cultura e la Storia della letteratura moderna e contemporanea e ci dobbiamo domandare perché è avvenuto questo in modo da maturare una consapevolezza nel momento in cui ci dedichiamo all’esercizio della lettura e della scrittura. Sappiamo che molti ebrei, diversi gruppi di ebrei, si sono spostati dalla Palestina, dalla terra di Canaan, non per motivi turistici, ma la loro emigrazione (come sempre succede), la loro dispersione – quella che chiamiamo la “diaspora” – è avvenuta a causa di tutta una serie di avvenimenti storici (per lo più di natura tragica), politici, economici e culturali.
Non possiamo parlare di “ekklesìe” senza prendere in considerazione – a grandi linee, naturalmente – il tema della “dispersione degli ebrei” fuori della Palestina. Nell’affrontare questo tema potremo osservare paesaggi intellettuali dove, la filologia (le parole) e la storia (gli avvenimenti) si incontrano, e questo esercizio è utile in funzione della didattica della lettura e della scrittura.
Abbiamo detto che per affrontare il tema della dispersione dell’ebraismo e quello della nascita delle “ekklesìe” dobbiamo fare qualche passo indietro: questo, infatti, è un argomento che ha radici profonde. Queste radici arrivano fino al famoso re Salomone, il figlio del re Davide. Tutte noi e tutti noi conosciamo questi personaggi. Davide lo conosciamo bene: è quello della mitica sassata in fronte a Golia. Salomone diventa il re degli Ebrei intorno al 961 a.C., e per la prima volta nella storia un monarca d’Israele si dedica ad ampliare e ad abbellire Gerusalemme e altre città della Palestina.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il racconto della vita e delle opere del re Salomone – il cosiddetto Romanzo di Salomone –lo troviamo scritto nei primi 11 capitoli del Primo Libro dei Re [sono una ventina di pagine]… Tutte e tutti noi possediamo una Bibbia e quindi possiamo cercare il Primo Libro dei Re e possiamo leggere il cosiddetto Romanzo di Salomone , in particolare il capitolo 6… Che cosa si racconta in questo capitolo?…
Scrivete di che cosa parla, bastano due righe…
Che cosa vi ha colpito di più nel Romanzo di Salomone, scrivetelo, basta una riga…
Sapete perché è una cosa emozionante fare questo esercizio? Perché è lo stesso esercizio che ha fatto, duemila anni prima di noi, Paolo di Tarso per conoscere la vita e le opere del re Salomone. La “scrittura” si conserva nel tempo e questa caratteristica (una delle caratteristiche fondamentali della scrittura) permette di ampliare a dismisura la comunità delle lettrici e dei lettori e ci permette di capire concretamente e di sperimentare che cosa sia quello spazio ideale – quel grande serbatoio di cultura – che Aristotele e Averroè chiamano l’Intelletto universale, con il quale, attraverso un itinerario di alfabetizzazione culturale e funzionale, possiamo entrare in comunicazione. Nel momento in cui noi leggiamo – e fatelo questo esercizio (ci vuole solo un’oretta di tempo)! – i primi 11 capitoli del Primo Libro dei Re con la consapevolezza che questo esercizio lo stiamo facendo insieme a Paolo di Tarso – perché lui ha avuto sotto gli occhi lo stesso testo – ecco che noi capiamo che cosa significa dire che “leggere allarga la vita della persona”. Ma è necessario che ci sia la Scuola a favorire e a promuovere questo itinerario di alfabetizzazione funzionale e culturale.
Salomone a Gerusalemme fa costruire il Palazzo Reale e il grandioso Tempio che diventa il santuario nazionale d’Israele (è con Salomone che Gerusalemme assume l’aspetto di una città vera e propria). Con queste opere Salomone vorrebbe dare lustro, dignità e unità a un popolo formato da tribù di pastori nomadi che sono sempre in conflitto tra loro per accaparrarsi i magri pascoli e i preziosi pozzi d’acqua dolce: Salomone vorrebbe dare impulso alla crescita culturale del suo popolo. Salomone potenzia anche l’esercito – questa iniziativa è più facile da prendere – e si forma nel Regno d’Israele una classe militare. Poi dà molto sviluppo ai commerci e nasce una classe di mercanti che sono assai parsimoniosi e diventano piuttosto abili nel fare affari.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Lo sviluppo dei commerci viene messo in evidenza nel racconto che narra il mitico incontro tra Salomone e la regina di Saba, e la cronaca di carattere leggendario di questo avvenimento molto conosciuto [e spesso rappresentato nella Storia dell’Arte] la possiamo leggere al capitolo 10 del Primo Libro dei Re, uno dei capitoli di cui si consiglia la lettura…
Soprattutto, sotto il regno di Salomone, prende corpo una classe dirigente che ha negli “scribi”, negli scrivani, l’elemento più creativo e sotto questo aspetto l’impulso culturale dato da Salomone ha avuto, poi, nel tempo, una ricaduta positiva straordinaria: l’investimento in intelligenza porta sempre buoni frutti e non è casuale il fatto che Filone Alessandrino, Paolo di Tarso e tutti coloro i quali si rifanno alla corrente dei “cristiani ellenisti” vedono nel personaggio di Salomone un modello che equivale al concetto della “sapienza”. Difatti la categoria degli anonimi scrivani che viene incentivata da Salomone – gli scrivani devono mettere per iscritto le Cronache del regno esaltando anche la figura del monarca – ha saputo poi, nel corso dei secoli, guadagnarsi un’autonomia e creare quel grande patrimonio culturale che è la Letteratura dei Libri dell’Antico Testamento.
Salomone muore, nel 935 a.C. o nel 922 a.C., e nello scorso itinerario abbiamo evocato queste due date: e ora noi ci domandiamo come ha fatto a morire due volte il re Salomone? I tredici anni di differenza tra una morte e l’altra contano poco dal punto di vista culturale, contano però per la kabala, per la “mistica dei numeri” del calendario ebraico, ma questa è un’altra storia che, forse, riprenderemo. Il fatto che conta è che alla morte di Salomone, indipendentemente dall’anno, la lotta per il potere porta alla divisione del regno degli Ebrei in due Stati. E le divisioni, quasi sempre, indeboliscono, tanto che alla morte di Salomone (935 o 922 a.C. che sia) l’unità politica degli Ebrei si spezza e, con il rompersi dell’unità politica, comincia anche quel processo di migrazione e di dispersione che chiamiamo “diaspora”: come vedete questo fenomeno comincia da lontano.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
L’emigrazione è un fenomeno che ha riguardato la vostra vita?…
Scrivete quattro righe in proposito…
C’è anche un tipo di “dispersione” (di “diaspora”) di tipo psicologico e sentimentale e, a questo proposito, andiamo avanti a leggere il testo del romanzo intitolato Il fucile da caccia, iniziando la lettura della seconda lettera quella di Midori, la moglie tradita, che scrive al marito Jōsuke: solo per iscritto – potenza della scrittura – si possono portare alla luce certe verità.
LEGERE MULTUM ….
Inoue Yasushi, Il fucile da caccia (1949)
LETTERA DI MIDORI
Egregio Signore Misuri Jōsuke,
Caro Jōsuke, nello scrivere il tuo nome in modo così formale mi sento battere il cuore con un’eccitazione del tutto inadatta alla mia età (anche se dopotutto ho solo trentatré anni), come se stessi scrivendo una lettera d’amore. A pensarci bene, in questi dieci anni di lettere d’amore ne ho scritte decine, a volte di nascosto, altre apertamente, ma nessuna di queste è mai stata indirizzata a te. Quale sarà il motivo? Se provo a rifletterci seriamente, lasciando da parte gli scherzi, questo fatto mi dà una strana sensazione, che io stessa non so decifrare. Non sembra strano anche a te?
… continua la lettura …
Il tono in cui si esprime questa giovane signora (la sua è una confessione) è caustico perché lei è a conoscenza di una cosa. Che cosa sa? Lo scopriremo quando riprenderemo la lettura di questo testo.
Ora torniamo sul nostro sentiero specifico. Abbiamo detto che per affrontare il tema della dispersione dell’ebraismo e quello della nascita delle “ekklesìe” dobbiamo fare qualche passo indietro perché questo è un argomento che ha radici profonde.
Come tutti gli Stati formatisi in questo periodo storico detto “antico” anche quello degli ebrei è uno Stato di carattere tribale e difatti nella Letteratura dell’Antico Testamento questa situazione antropologica viene raccontata attraverso i testi che narrano la storia delle famose dodici tribù d’Israele (qui viene evidenziata anche la potenza mitica dei numeri, il numero dodici è “mitico”) in relazione ai dodici figli di Giacobbe, un personaggio (un personaggio letterario affascinante nella sua ambiguità) che porta anche il nome di Israele. Se vogliamo renderci conto di questa situazione – in funzione della didattica della lettura e della scrittura (e la Scuola invita a questa presa di coscienza, a realizzare questo investimento in intelligenza, e a fare questo esercizio) – è utile leggere, a questo proposito, un altro di quegli straordinari romanzi di cui si compone il Libro della Genesi: il testo del racconto che s’intitola il Romanzo di Giacobbe e che inizia con il versetto 19 del capitolo 25 e termina con il capitolo 36 del Libro della Genesi.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il Romanzo di Giacobbe è lungo appena una quindicina di pagine e contiene racconti famosi che hanno ispirato la Storia dell’Arte, della Letteratura, del Teatro, del Cinema…
Quale di questi racconti, quale episodio, quale personaggio vi ha colpito maggiormente dopo la lettura?…
Scrivete due righe in proposito…
Alla morte di re Salomone le dieci tribù del nord del paese si ribellano contro Gerusalemme, si ribellano contro la classe dirigente della capitale, si ribellano contro il nuovo re, il figlio di Salomone che si chiama Roboamo e che considerano indegno e, quindi, non lo vogliono come loro sovrano. Le dieci tribù del nord fanno la secessione e fondano un nuovo Stato che prende il nome di Regno d’Israele: questo nuovo Stato ha come capitale, in un primo momento, la città di Sichem e poi la città di Samaria. Le due tribù del sud reagiscono fondando un altro Stato che prende il nome di Regno di Giuda: è un’entità statale raccolta intorno alle città di Gerusalemme e di Bersabea: il territorio di questo regno non è molto vasto ma questo staterello è più forte militarmente e più organizzato rispetto al regno del nord.
Questi due regni – e abbiamo avuto modo di studiare questa storia nel corso di altri Percorsi – hanno avuto una vita molto agitata, ma dal punto di vista culturale questo periodo di divisione è stato molto creativo perché questo è il tempo in cui entra in incubazione la Letteratura dei Profeti (il midrash nebiyim), un apparato culturale formato da opere che sono tra le più significative della Storia del Pensiero Umano e che – nell’anno scolastico 2007-2008 (fate ricorso ai nostri siti) – abbiamo studiato in funzione della didattica della lettura e della scrittura. La Letteratura dei Profeti – come abbiamo avuto occasione di studiare – “predica sciagure” perché la “divisione” porta sciagure, porta disastri e calamità e, difatti, in questo periodo aumentano notevolmente la corruzione e il degrado morale.
Gli scrivani che, dando vita a vere e proprie scuole, scriveranno i testi che diventeranno (e abbiamo, a suo tempo, anche studiato come) la Letteratura dei Profeti, affermano che i due regni – d’Israele e di Giuda – divisi verremo sconfitti, saranno sottomessi, e gli abitanti saranno deportati o dispersi. Questi avvenimenti verranno scritti quando tutto ciò sarà già avvenuto e gli scrivani svolgeranno la loro opera ricordando che: “Qualcuno queste cose le diceva e nessuno lo ascoltava”. Comunque la Letteratura dei Profeti è formata da testi che contengono anche e soprattutto un messaggio di “speranza” e un invito ad una “attesa” fiduciosa, e questo tema lo abbiamo visto riprendere da Paolo di Tarso il quale scrive: “I profeti hanno affermato che qualcuno ci salverà, qualcuno che sarà capace di proporre la bontà, la misericordia e la giustizia”. Abbiamo studiato a suo tempo il testo del Libro di Isaia e sappiamo che anche Paolo di Tarso lo conosce bene.
La divisione in due Stati crea davvero grandi sciagure per gli ebrei: i due regni subiscono tutta una serie di sconfitte militari, e le “sconfitte militari” sono la prima causa reale della “dispersione” degli ebrei nel mondo. Il primo a cadere è il regno del nord, il Regno di Israele. Nel 721 a.C. gli Assiri, al comando del re Sargon II, conquistano la Samaria e sottomettono il regno d’Israele. La classe dirigente del regno d’Israele – fiutando la sconfitta – aveva già iniziato una migrazione verso nord, verso la Siria e la Cilicia ancor prima che gli Assiri attaccassero. La stessa sorte tocca, 130 anni dopo, al più piccolo e orgoglioso regno di Giuda, per mano dei Babilonesi: siamo nel 587 a.C. e il re babilonese che conquista Gerusalemme si chiama Nabucodonosor (un personaggio che è stato immortalato dal melodramma).
Sappiamo che in questa occasione gli ebrei dello Stato di Giuda vengono deportati a Babilonia: ma non tutti però, solo gli appartenenti alla classe dirigente e coloro che sanno svolgere un lavoro specializzato. I poveri – i contadini, i pastori, i pescatori – vengono lasciati lì, in Canaan, su una terra senza risorse che i Babilonesi abbandonano a se stessa. Questa povera gente verrà identificata con la parola “ebionim” (abbiamo già incontrato questa parola qualche itinerario fa), questa parola la troviamo nel testo del Libro di Isaia: gli “ebionim” sono i poveri, i diseredati, i morti di fame, i nulla-tenenti.
Eppure anche questo momento tragico, dovuto alla guerra, diventa un periodo molto importante per la storia della cultura, perché? Perché – come sappiamo – tra i deportati, naturalmente, ci sono anche gli “scribi” del Regno di Giuda, gli scrivani. Queste generazioni (due o tre) di scrivani ebrei, deportati a Babilonia, avranno modo, come sappiamo, di prendere contatto con la cultura mesopotamica che aveva elaborato, nel corso dell’Età assiale della storia, un grande strumento intellettuale: il “racconto cerimoniale scritto”.
Lì, in quelle città – Babilonia, Ur – erano stati creati degli straordinari racconti scritti, mitici e leggendari, di carattere cerimoniale (è scrittura liturgica) di cui ci rimane il famoso testo (una serie consistente di frammenti) dell’Epopea di Gilgamesh e molti frammenti del testo dell’Enuma elish, uno dei più antichi poemi sulla creazione del mondo e dell’uomo, di cui abbiamo parlato, anche la scorsa settimana.
La parte di popolo ebreo deportato a Babilonia – alcune centinaia di persone – rimane prigioniera in Mesopotamia per cinquant’anni e il gruppo intellettuale di questo popolo assimila bene il lavoro artigianale di scrittura con cui si costruisce il “racconto cerimoniale (il midrash)”. Gli scrivani ebrei decidono – per mantenere viva l’identità del proprio popolo – di cominciare a scrivere sotto forma di racconto cerimoniale, di midrash, la storia delle loro tradizioni, fatte di avvenimenti reali e mitici e di significative leggende tramandate finora oralmente. E così prende forma uno straordinario apparato culturale scritto su tavolette d’argilla e su rotoli [ teuchoi] di pelle di pecora. Questo apparato contiene i primi due codici, Yavistico ed Eloistico (i codici – lo sapete – si chiamano così per via del nome che viene dato a Dio) che sono ancora separati l’uno dall’altro, poi verranno ricuciti insieme e nascerà la Letteratura dell’Antico Testamento vera e propria.
Tra il 587 e il 536 a.C. prendono forma gli straordinari racconti (i midrash) che collegano la storia del popolo ebreo con la creazione del mondo e noi li conosciamo a memoria questi “racconti”. Nascono quelle straordinarie figure letterarie che sono i modelli, sono gli archetipi letterari, della nostra cultura: Ruha Eloim (il dio ordinatore, letteralmente “vento impetuoso”), il serpente tentatore, Adamo, Eva, Caino, Abele, Noè (Utnapistim), Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e una serie di altrettanti straordinari personaggi femminili. Il midrash ebraico nasce all’interno del crogiuolo della letteratura mesopotamica e il racconto di quello che diventerà il Libro della Genesi e il Libro dell’Esodo nasce nel contesto della Letteratura babilonese sul modello dell’Epopea di Gilgamesh e dell’Enuma Elish (e, a suo tempo, abbiamo studiato i parallelismi e gli intrecci filologici tra la Letteratura babilonese e quella dei Libri della Genesi e dell’Esodo) ed è proprio in questo momento storico che entra in gioco la parola “qihl” che – come sappiamo – significa: “l’assemblea del popolo che chiede giustizia”.
Sappiamo che nel testo dell’Epopea di Gilgamesh, ad un certo punto del racconto, il popolo della città di Uruk – di cui Gilgamesh è il re – si riunisce in assemblea e chiede con forza agli dèi che la città venga liberata da un re ingiusto, violento e usurpatore di ogni diritto. Gli dèi di Uruk ascoltano questa preghiera e decidono, come sappiamo, di creare Enkidu.
Il concetto contenuto nella parola “qihl” viene utilizzato dagli “scrivani” ebrei, a Babilonia, quando devono descrivere, con una parola-forte, “l’assemblea del popolo riunita davanti a Dio” e, quindi, utilizzano la radice del termine “qihl” per coniare la parola ebraica “qahal”. Questa parola la troviamo per la prima volta nel testo del Libro dell’Esodo, poi questo termine si ràdica nella cultura veterotestamentaria e lo troviamo anche nei Salmi. La parola “qahal” figura, per la prima volta, nel capitolo 19 del Libro dell’Esodo. Siamo nel cuore del racconto quando Yhwh , Yahvé (questo è il nome con cui ha detto di chiamarsi questo Dio a Mosé: “io sono colui che sono” o “io sono colui che sarò” oppure “io sarò colui che sarò”) ha deciso di fare un patto, un’alleanza (in ebraico “berit”) con questo popolo che vaga nel deserto: siamo alle pendici del monte Sinai e ci sarà la proclamazione dei comandamenti. Il popolo – ordina Mosé – deve uscire dall’accampamento “riunito in assemblea” e deve presentarsi davanti a Dio per pregarlo di “fare giustizia” concedendo la Legge perché il termine toràh non significa semplicemente “legge” ma significa “la legge è uguale per tutti”.
C’è bisogno di una parola forte e gli scrivani che hanno redatto questo testo utilizzano la parola “qahal” che ha la sua radice nel termine mesopotamico “qihl”. Il termine “qahal” – “il popolo riunito in assemblea che chiede giustizia” – diventa una parola-chiave determinante nella Storia del Pensiero Umano perché emerge il concetto di “legge è uguale per tutti”. Anche noi che siamo qui riuniti in assemblea per studiare, e per chiedere giustizia – che ci venga riconosciuto il diritto all’Apprendimento permanente – ci riconosciamo in questa parola. E noi sappiamo che quando, nel III a.C., questo testo verrà tradotto in greco, ad Alessandria, il traduttore adopererà la parola “ekklesìa” per tradurre la parola “qahal” e, quindi, il termine “chiesa” contiene questi principi.
E adesso leggiamo dal Libro dell’Esodo il frammento nel quale possiamo incontrare la parola “qahal”: il prototipo ebraico della parola “chiesa”.
LEGERE MULTUM ….
Libro dell’Esodo 19, 14-20
Mosé ridiscese dal monte e ordinò agli Israeliti di purificarsi e di lavare le loro vesti. Poi disse al popolo: “Tenetevi pronti per dopodomani ed evitate i rapporti sessuali”. Ed ecco, al giorno fissato, sul far del mattino, sul monte ci furono tuoni, lampi e una nube fitta. Si udì anche un fortissimo suono di tromba. Nell’accampamento il popolo tremava di paura. Allora Mosé fece uscire il popolo dall’accampamento riunito in assemblea [qahal - ekklesìa] perché si avvicinasse a Dio. Essi si fermarono ai piedi del monte. Il Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore come un fuoco. Il fumo saliva come quello di una fornace, e tutto il monte era scosso come da un terremoto. Il suono della tromba divenne sempre più forte. Quando Mosé gli parlava, Dio rispondeva con il tuono. Il Signore scese dunque sulla cima del monte Sinai. Richiamò Mosé sulla vetta, ed egli salì. …
C’è anche un versetto molto significativo nel Libro dei Salmi che contiene la parola “qahal”. Questo versetto si trova nel Salmo 74 (73) che appartiene ai testi scritti intorno al IV secolo a.C.. Ora noi non possiamo occuparci della Letteratura dei Salmi: diciamo solo una cosa importate che dovete sapere, soprattutto, se avete l’intenzione di andare a curiosare tra i testi di questo celebre Libro.
Perché questo Salmo e quasi tutti i Salmi sono indicati con una doppia numerazione: con un numero e con un altro accanto, inferiore di una unità, messo tra parentesi? Il primo numero appartiene alla versione ebraica dei Salmi mentre il secondo, messo tra parentesi, appartiene alla versione greca. Come mai, che cosa è successo perché si determinasse questa situazione in età ellenistica? Quando i Salmi sono stati tradotti in greco, ad Alessandria, nella famosa versione dei Settanta, i traduttori ne hanno accorpati due: cioè due salmi, il 9 e il 10, per i traduttori greci, sono diventati uno solo (andate a verificare, tutti possediamo una Bibbia) e, quindi, è chiaro che la numerazione dei Salmi ebraici e greci, dal decimo in avanti, è sfalsata ed è questo un particolare che dobbiamo conoscere in funzione della didattica della lettura e della scrittura.
E ora leggiamo il secondo versetto del Salmo 74, secondo la versione ebraica, tra parentesi (73) secondo la traduzione greca.
LEGERE MULTUM ….
Libro dei Salmi 74 (73), 2
Ricordati della tua comunità [qahal - ekklesìa]: l’hai creata nel tempo antico.
Ricordati del popolo che hai liberato per farne tuo possesso.
Ricordati di questo monte Sion, dove hai stabilito la tua dimora. …
Dopo questa incursione di carattere metodologico nel Libro dei Salmi e dopo la lettura di questo interessante versetto dobbiamo proseguire il nostro cammino.
Nell’area geografica della Mesopotamia, nel corso di questi secoli (dal X al VI a.C.), si avvicendano, come dominatori, prima gli Assiri, poi i Babilonesi poi gli Ittiti poi i Medi, e poi un altro popolo prende il sopravvento: sono i Persiani.
Capite bene che gli avvenimenti e gli argomenti di studio che dovremmo affrontare sono tanti e sarebbero molto interessanti, ma noi, ora, dobbiamo seguire il nostro sentiero, quello che ci viene indicato da Paolo di Tarso con il suo Epistolario.
Il nostro sentiero passa, in questo momento, in un territorio i cui paesaggi culturali, sono molto complessi e noi non dobbiamo correre il rischio di perderci. Abbiamo detto che saranno i Persiani a prendere il sopravvento: ma questo avverrà tra quindici giorni quando percorreremo l’ultimo itinerario prima della vacanza natalizia, l’ultimo itinerario dell’anno 2010.
Il viaggio continua: la Scuola è qui e l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona proprio perché ogni persona deve imparare ad alimentare buone passioni e a controllarle con giuste ragioni…