Prof. Giuseppe Nibbi Lo sapienza poetica ellenistica [evangelica e imperiale] 15-16-17 dicembre 2010
SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO
C’È LA TRACCIA DELLA TENDENZA CRONACHISTICA VETEROTESTAMENTARIA …
E così, strada facendo, siamo giunti anche all’ultima Lezione dell’anno 2010.
Siamo sul territorio dell’Ellenismo, nella grande area della "sapienza poetica ellenistica di stampo evangelico" in compagnia di Paolo di Tarso, l’autore dell’Epistolario più importante della cultura ellenistica, di una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano. Sappiamo – attraverso le sue Lettere (per ora abbiamo osservato più da vicino i testi delle due Lettere ai Tessalonicesi e delle due Lettere ai Corinti) – che Paolo di Tarso ha avuto un rapporto intenso e conflittuale all’interno delle "ekklesìe" e quindi stiamo procedendo chiedendoci: che cosa sono e come nascono le "ekklesìe"? Sappiamo che quella delle "ekklesìe" è una storia lunga che prevede un itinerario complicato perché tira in ballo molti "intrecci filologici" da dipanare e questo fatto – per noi che viaggiamo in funzione della didattica della lettura e della scrittura – è molto significativo: l’itinerario di questa sera, quindici giorni fa, lo abbiamo già, in parte, percorso, continueremo ora a percorrerlo, aggiungendo un tassello in più, e lo percorreremo ancora, dopo la vacanza, nell’anno che verrà.
Riprendiamo il passo ribadendo il concetto che le "ekklesìe" nascono come espressione della diffusione dell’ebraismo nell’area ellenistica prima ancora che questo vasto spazio diventi propriamente il territorio dell’Ellenismo. Quindi il tema della diffusione della cultura dell’ebraismo sul territorio dell’Ecumene è un argomento che, con pazienza, dobbiamo continuare ad affrontare: non si può comprendere il pensiero di Paolo di Tarso e il processo di espansione del cristianesimo se non si studia – almeno a grandi linee – il tema della diffusione della cultura dell’ebraismo sul territorio dell’Ecumene.
La diffusione della cultura dell’ebraismo nel bacino del Mediterraneo e in Europa ha influenzato non poco la Storia della Cultura e la Storia della Letteratura moderna e contemporanea (l’elenco dei nomi delle intellettuali e degli intellettuali di origine ebraica che hanno dato un contributo significativo alla storia della Cultura e della Letteratura moderna e contemporanea è lungo) e ci dobbiamo domandare: perché è avvenuto questo? Sappiamo che molti ebrei, diversi gruppi di ebrei, hanno dovuto lasciare la Palestina, la terra di Canaan, e questa emigrazione (come sempre succede), questa dispersione, quella che chiamiamo la "diaspora", è avvenuta a causa di tutta una serie di avvenimenti storici (soprattutto tragici), politici, economici e culturali. Quindi non si può affrontare il tema che riguarda le "ekklesìe" senza prendere in considerazione – a grandi linee, naturalmente – il tema della "dispersione degli ebrei" fuori della Palestina. Nell’affrontare questo tema potremo osservare paesaggi intellettuali dove, la filologia (le parole) e la storia (gli avvenimenti) si incontrano e questo esercizio è utile in funzione della didattica della lettura e della scrittura.
Sappiamo che per affrontare il tema della dispersione dell’ebraismo e quello della nascita delle "ekklesìe" dobbiamo fare qualche passo indietro: questo, infatti, è un argomento che ha radici profonde. Queste radici arrivano fino al re Salomone, il figlio del re Davide (siamo nel X secolo a.C.) e questo tema lo abbiamo affrontato nell’itinerario di quindici giorni fa e mi auguro che abbiate fatto gli esercizi di lettura che la Scuola ha proposto. La Scuola ha messo in repertorio il Romanzo di Salomone (collocato nel Primo Libro dei Re) e il Romanzo di Giacobbe (collocato nel Libro della Genesi): non perdete l’occasione di eseguire questi esercizi in funzione della didattica della lettura e della scrittura perché questi "romanzi biblici" sono chiavi fondamentali utili che servono per mettere in moto processi di apprendimento permanente.
Ora, però, prima di riprendere il cammino sul nostro sentiero specifico, a proposito di romanzi, facciamo un passo avanti nella lettura del testo di un romanzo che abbiamo cominciato a leggere quattro settimane fa e che s’intitola Il fucile da caccia che è stato scritto nel 1949 dallo scrittore giapponese Inoue Yasushi (1907-1991).
In questo romanzo – come sappiamo – compaiono le parole-chiave più importanti del Glossario giudaico-ellenistico di Paolo di Tarso e lo scrittore tiene legati i destini di quattro personaggi, un uomo e tre donne. Questo – come sappiamo – è un romanzo epistolare formato da tre lettere, più una introduttiva, scritte da ciascuna di queste tre donne (la nipote, la moglie e l’amante) al personaggio maschile. La lettera della nipote Shōko l’abbiamo letta, ora stiamo leggendo quella della moglie Midori. Ciò che coinvolge in questa lettura – come abbiamo detto – non è la trama ma sono le riflessioni che intessono i tre personaggi femminili sul tema del senso da dare alla vita e alla morte. Lo scrittore Inoue Yasushi costruisce un testo nel quale ciò che nella vita rimane nascosto, perché inconfessabile (frutto di una colpa) viene svelato e, quindi, questa consapevolezza di dire finalmente la verità si lega all’esercizio della scrittura autobiografica (questa idea viene elaborata da Paolo di Tarso nella Seconda Lettera ai Corinti) e con questa consapevolezza l’orgoglio dei personaggi diventa umiltà, la loro forza diventa debolezza, la loro ironia diventa inquietudine, la loro gioia si trasforma in nostalgia e il loro buon gusto in delusione e in tristezza: la vita è fatta di distacchi e di sconfitte, tutte le persone sono consapevoli di questo fatto ma è comunque difficile accettarlo, e questa condizione psicologica emerge costantemente nell’Epistolario di Paolo di Tarso.
Ora continuiamo la lettura della seconda lettera quella di Midori, la moglie tradita, che scrive al marito Jōsuke: solo per iscritto – potenza della scrittura – si possono portare alla luce certe verità. Il tono in cui si è espressa finora questa giovane signora (la sua è una confessione) è caustico perché lei è a conoscenza di una cosa. Che cosa sa? Andiamo a scoprirlo e a terminare la lettura di questa seconda lettera.
LEGERE MULTUM ….
Inoue Yasushi, Il fucile da caccia (1949)
LETTERA DI MIDORI
Era il febbraio del 1934. Erano le nove del mattino quando, da una finestra del primo piano dell’Atami Hotel, ti vidi, in un abito grigio, mentre camminavi sulla scogliera sottostante. È la storia di un giorno ormai molto lontano, sfocato come un sogno. Ascoltala dunque con calma. Lo haori di seta della donna alta e bella che ti seguiva penetrò nei miei occhi dolorosamente.
… continua la lettura …
Così termina la lettera di Midori e ora non ci resta che leggere la terza, quella dell’amante che non è solo una lettera ma è anche un testamento e, questo testo lo leggeremo il prossimo anno, dopo la vacanza.
Ora riprendiamo il cammino sul nostro sentiero specifico per aggiungere un tassello al tema che riguarda la natura e lo sviluppo delle "ekklesìe" dicendo che nell’area geografica della Mesopotamia – quella che poi entrerà a far parte dell’area dell’Ellenismo –, nel periodo che va dal X al VI secolo a.C., si avvicendano, come dominatori, prima gli Assiri, poi i Babilonesi, poi gli Ittiti, poi i Medi e, poi, un altro popolo prende il sopravvento, quello dei Persiani: un popolo di cui sappiamo molte cose perché, a suo tempo, ce le ha raccontate Erodoto attraverso le sue Storie, ve lo ricordate Erodoto? Ebbene nel 539 a.C. i Persiani, al comando di Ciro il Grande, conquistano Babilonia e tutta l’area mesopotamica, e poi, avanzando verso est, giungono fino all’Indo circa due secoli prima di Alessandro Magno e sarà proprio il condottiero macedone (il Mega Alexandròs) ad abbattere l’impero Persiano e questi avvenimenti li abbiamo studiati lo scorso anno.
I monarchi dell’impero Persiano governano, dal 539 a.C., su un territorio che va dal Mediterraneo all’Indo: un territorio che equivale, all’incirca, a quello dell’Ecumene ellenistica. Ciro è un grande stratega e capisce che un territorio così vasto come quello che ha conquistato è difficilmente governabile. Ciro capisce che su un territorio così vasto è necessario creare, soprattutto in prossimità dei confini, "Stati collaborazionisti", che siano sottomessi ma che si governino da soli. Ciro – ben consigliato dai suoi ministri – capisce che è necessario creare uno "Stato cuscinetto" soprattutto nella terra di Canaan, perché questa è un’area particolarmente turbolenta. Ciro, in Palestina, ha la possibilità di dar vita ad uno "staterello" che sia soggetto all’impero Persiano ma che abbia una sua classe dirigente e un governo autonomo che sia responsabile di tutti i problemi politici, sociali, amministrativi che emergono nella gestione di una entità statale. E dove la può trovare Ciro, ora, nel 539 a.C., la classe dirigente per lo Stato d’Israele che dovrebbe nascere nella terra di Canaan? Noi sappiamo che, da cinquant’anni, la classe dirigente del Regno di Giuda è stata deportata a Babilonia! Quando Ciro si rende conto di questo fatto cerca di mettere in atto il suo piano ma trova molte difficoltà perché gli ebrei presenti a Babilonia sono ormai gli "eredi dei deportati" e appartengono alla terza generazione e la quasi totalità di loro sono nati lì a Babilonia: non è così facile farli tornare nella terra di Canaan, a Gerusalemme. Ciro (che è uomo di mondo) capisce che costoro vanno incentivati! È per questo motivo che Ciro fa scrivere dai suoi funzionari e firma un Editto, il famoso Editto di Ciro del 538 a.C.: con questo Editto Ciro il Grande libera (bontà sua, ma non è propriamente bontà la sua) gli ebrei dalla schiavitù di Babilonia, e li invita a tornare in patria, a tornare a Gerusalemme.
Ma – e lo abbiamo già studiato a suo tempo questo tema – il ritorno in patria degli ebrei "eredi dei deportati" si dimostra un’operazione piuttosto complicata. La maggioranza degli "eredi dei deportati" non ha nessuna intenzione di spostarsi da dove sta: figuratevi se costoro – che oramai sono diventati cittadini babilonesi e molti si sono fatti una posizione raggiungendo un certo benessere in uno Stato ricco – hanno intenzione di emigrare in un territorio povero e turbolento come la terra di Canaan. I funzionari di Ciro accertano che solo una parte minoritaria degli eredi dei deportati sarebbe disposta a spostarsi ma in cambio di qualcosa: solo se verrà concesso un incentivo economico.
Il testo del famoso Editto di Ciro noi abbiamo la fortuna di poterlo leggere non però come è stato scritto dai funzionari dell’impero Persiano: il testo originale non lo conosciamo. Il testo di questo famoso Editto viene riportato più di una volta dalla Letteratura dell’Antico Testamento perché gli scrivani ebrei hanno costruito attorno a questo avvenimento storico di natura imperialista – e di cui noi conosciamo i precedenti utilitaristici – uno dei più famosi "midrash" della cultura beritica, della cultura veterotestamentaria.
Gli scrivani della Letteratura dell’Antico Testamento (della Letteratura beritica) hanno costruito attorno all’avvenimento della "liberazione" degli ebrei da parte del monarca persiano un formidabile "testo mitico" dove, con la scusa dell’Editto di Ciro, mettono in evidenza un grande protagonista, un "super-soggetto": difatti, in questo brano il "soggetto" sembra essere Ciro il Grande ma, in realtà, la figura centrale è il Dio degli ebrei, che viene chiamato con il nome di El-shiaddaim che significa "l’Onnipotente che abita nell’alto dei cieli", il Dio del Cielo. Dobbiamo riflettere sul fatto che la derivazione culturale di questo nome è "babilonese" perché "El-ish", nella lingua mesapotamica, definisce il Cielo. Quindi "Il dio del Cielo" è il super-soggetto che ha suggerito a Ciro di liberare gli ebrei di Babilonia perché possano tornare a Gerusalemme a ricostruire il Tempio d’Israele.
Con la costruzione del testo che riproduce l’Editto di Ciro gli scrivani di Israele prendono un’importante iniziativa di carattere teologico che, poi, influenza tutta la struttura ideologica della Bibbia: il Dio biblico è un dio che libera e che agisce nella Storia perché questo processo di liberazione avvenga.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Da quale vincolo che consideravate opprimente vi siete liberate, vi siete liberati?... Da quale vincolo vorreste liberarvi?...
Scrivete quattro righe in proposito…
Adesso noi leggiamo questo midrash, questo testo mitico di natura teologica tratto dal capitolo primo del Libro di Esdra: lo leggiamo con la consapevolezza che Paolo di Tarso conosce bene questo testo e anche lo stile con cui è scritto.
LEGERE MULTUM ….
Libro di Esdra 1, 1-5
Nel primo anno del regno di Ciro, re di Persia, il Dio del Cielo realizzò quel che aveva annunciato per bocca del profeta Geremia. Egli mosse dunque lo spirito di Ciro a diffondere in tutto il suo regno, a voce e per scritto, questo editto: "Così decreta Ciro re di Persia: il Dio del Cielo ha dato in mio potere tutti i regni della terra e mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, città della Giudea. Perciò mi rivolgo a tutti quelli che appartengono al suo popolo: tornate a Gerusalemme di Giudea per ricostruire il tempio del Signore, Dio d’Israele, in Gerusalemme, che è la sua città. Il vostro Dio vi accompagni. In ogni regione i superstiti che decidono di partire siano aiutati dagli abitanti del posto. Essi daranno loro argento, oro, beni e bestiame e, inoltre, offerte volontarie per il tempio di Dio a Gerusalemme". Allora i capifamiglia delle tribù di Giuda e di Beniamino, e i sacerdoti e i leviti accolsero l’invito. Erano tutti quelli a cui Dio aveva messo in cuore il desiderio di tornare a Gerusalemme per ricostruire il tempio del Signore. …
Di Ciro, re dei Persiani, e della liberazione degli ebrei da Babilonia – oltre che nel Libro di Esdra – se ne parla anche altrove nella Letteratura dell’Antico Testamento: se ne parla nel Secondo Libro delle Cronache, nel Libro di Isaia, in quello di Geremia e in quello di Daniele; naturalmente questo avvenimento viene raccontato sempre con lo stile del "midrash", in modo mitico: c’è un "super-soggetto", il Dio d’Israele, che determina il corso della Storia in funzione della liberazione.
Perché, si domandano le studiose e gli studiosi di filologia ellenistica, Paolo di Tarso – nonostante abbia avuto una formazione da "fariseo zelante" – decide spesso di comportarsi in modo spregiudicato? Perché, rispondono le studiose e gli studiosi di filologia ellenistica, Paolo di Tarso conosce bene la storia culturale del suo popolo, conosce l’uso del midrash (del testo mitico): la costruzione del midrash – come abbiamo visto ora a riguardo del testo dell’Editto di Ciro che viene strumentalizzato con grande sagacia intellettuale in funzione teologica – si presenta sempre come un’operazione spregiudicata e di grande fascino culturale. Paolo di Tarso utilizza spesso nei testi del suo Epistolario il genere letterario del midrash (del testo mitico): pensate, per esempio, a quando racconta – più di una volta e in modo contraddittorio – l’episodio della sua "conversione".
Ma ora penso che sia nata in noi una certa curiosità a proposito di Esdra: chi è questo personaggio che dà il nome al libro omonimo? Esdra – il personaggio che dà il nome al libro omonimo – è un "funzionario", è uno scriba che appartiene alla classe dirigente ebrea e che tiene i rapporti con i Persiani. I rapporti tra Ebrei e Persiani sono piuttosto conflittuali visto che lo Stato "cuscinetto" è stato creato, ma molte delle promesse fatte agli eredi dei deportati che sono tornati a Gerusalemme non sono state mantenute. Si trova traccia di Esdra in occasione di una missione che questo personaggio ha svolto nel 398 a.C.: quindi, il testo del Libro di Esdra viene datato, dalle studiose e dagli studiosi di filologia ellenistica, all’inizio del IV secolo a.C.. La Scuola consiglia la lettura di questo testo: il Libro di Esdra è formato da dieci capitoletti che occupano una decina di pagine.
Perché è utile leggere il Libro di Esdra? Prima di tutto per fare lo stesso esercizio che ha fatto Paolo di Tarso che conosce bene questo testo perché – ci dicono le studiose e gli studiosi – nella scrittura di Paolo si trovano molte tracce della cosiddetta "tendenza cronachistica" – a cui il Libro di Esdra appartiene – un genere letterario che veniva studiato soprattutto nelle Scuole di impostazione farisea che Paolo, come sappiamo, in gioventù, ha certamente frequentato. Poi questo esercizio permette alla lettrice e al lettore di rendersi conto del fatto che lo stile mitico del "midrash" viene utilizzato per coprire, e anche per dare un senso di carattere teologico ad una dura realtà politica, sociale ed economica che investe il novello Stato d’Israele.
Chi legge il testo del Libro di Esdra si rende conto che ricostruire il Tempio di Gerusalemme, il Santuario della Nazione, non è cosa facile: da che mondo è mondo la burocrazia ha sempre rallentato le cose da realizzare e figuratevi quando la burocrazia – che dovrebbe fare concessioni – è quella di un altro Stato che ti sovrasta e ti tiene sottomesso. I lavori per la costruzione del Tempio non vanno avanti e sono state scavate appena le fondamenta. Nel capitolo 5 del Libro di Esdra – andate a leggerlo (a questo testo si è ispirato anche lo scrittore Nikolaj Gogol’ per ironizzare sulle mostruosità burocratiche: avete letto I racconti di Pietroburgo o L’ispettore generale?) – ci troviamo di fronte ad una situazione che rasenta la comicità: i finanziamenti persiani, promessi da Ciro per ricostruire il Tempio d’Israele sono molto scarsi e, a un certo punto, a Babilonia, non ci si ricorda neppure più che Ciro ha firmato quel famoso Editto.
Intanto Ciro muore e a lui succede il figlio Dario che di questa faccenda – che per l’amministrazione persiana risulta irrilevante (una grande seccatura) – non ne sa proprio nulla e allora, siccome Esdra insiste a nome degli abitanti di Gerusalemme che protestano a causa delle promesse non mantenute, Dario ordina di fare delle ricerche d’archivio e così si trova – o ci s’inventa – un "promemoria" dove si garantisce che, per la ricostruzione del Tempio le spese saranno a carico della tesoreria reale.
Il fatto è che l’Editto di Ciro originale, di cui non possediamo il testo, non era scritto con lo stile del "midrash", ma era un documento burocratico che pretendeva di rispedire in una terra lontana i discendenti di una popolazione che aveva mantenuto sì le proprie tradizioni – e le aveva anche scritte – ma che si era ormai ben integrata a Babilonia. Perché almeno una parte dei discendenti dei deportati si decida a lasciare Babilonia alla volta della Palestina l’amministrazione persiana è costretta a distribuire ricchi premi sotto forma di oggetti preziosi e il testo del Libro di Esdra – andate a leggerlo – riporta gli elenchi tanto dei nomi dei rimpatriati quanto dei doni, degli incentivi elargiti a costoro. Inoltre c’è anche l’incentivo di carattere ideologico e politico che dovrebbe convincere soprattutto i capi tribù giudei a trasferirsi a Gerusalemme: l’amministrazione persiana, probabilmente (perché non lo si sa con certezza), promette anche – oltre al finanziamento per la ricostruzione del Tempio distrutto dagli Assiri – che sarebbe stato permesso al popolo di Israele di "ri-consacrare" un proprio re in modo che la nuova nazione ebraica potesse considerarsi autonoma.
Leggere il Libro di Esdra non è facile ma non vi lasciate prendere dalla pigrizia e fate questo esercizio perché – anche se si tratta di un testo difficile – ora avete alcune "chiavi" in mano che servono ad aprire le porticine della comprensione.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Non si può fare a meno di avere un rapporto con la burocrazia: a volte questo rapporto è conciliante mentre a volte è defatigante…
Scrivete quattro righe in proposito…
La lettura del Libro di Esdra facilita anche la comprensione del tratto successivo del nostro itinerario che percorreremo dopo la vacanza: perché c’è l’Editto di Ciro e c’è il testo del Libro di Esdra sul sentiero che procede verso la parola-chiave "ekklesìa"? È chiaro che a questa domanda non si può rispondere con una battuta: quando, nell’anno che verrà, riprenderemo il passo sul sentiero che stiamo percorrendo riprenderemo a tessere il filo della nostra riflessione.
Ora dobbiamo celebrare il Natale e per celebrare il ventisettesimo Natale di questa esperienza ci rivolgiamo verso il "presepio". In un certo senso anche questa nostra esperienza, non garantita da una Legge che sancisca il diritto-dovere all’Apprendimento permanente, potrebbe rientrare, per la sua debolezza, nell’allegoria del "presepio". Il "presepio" è la metafora nella quale si concentrano le contraddizioni che Paolo di Tarso – lui il concetto del "presepio" non lo conosce – sta mettendo a fuoco nelle sue Lettere perché la forza del "presepio" – direbbe Paolo – sta nella sua "debolezza": c’è un Dio inerme come un neonato, c’è una famiglia piuttosto squinternata (una ragazza madre e un padre senza una precisa identità), c’è un luogo di nascita precario.
Paolo ha scritto che "trasformare il mondo non è una cosa facile" e, oggi, modificherebbe questa affermazione dicendo che "trasformare il mondo secondo i valori alternativi proposti dal presepio non è cosa facile". Paolo afferma che bisogna perseverare e lui persevera tra entusiasmi e pessimismo.
Anche Luca Cupiello – e l’avrete di sicuro presente questa figura letteraria e teatrale – cerca di perseverare tra entusiasmi (questo personaggio si entusiasma a costruire il presepio) e accenti di pessimismo: il pessimismo è un tratto peculiare del suo carattere.
Come sapete Luca Cupiello è il personaggio principale di una famosa commedia che s’intitola Natale in casa Cupiello. Luca Cupiello tenta di superate il suo pessimismo coltivando la speranza nella "parusìa", nel ritorno glorioso (umilmente glorioso) del Signore e questa idea, questa metafora, si concretizza in un gesto materiale che molte e molti di noi compiono in questa stagione: la costruzione del presepio nel quale arriverà il Bambino. Questa è l’immagine più significativa della "parusìa" che si ripete annualmente: nasce il Bambino (con la B maiuscola) e viene a portare pace, umanità, concordia, felicità e speranza anche nella famiglia squinternata di Luca Cupiello, anche nella sua città piena di problemi. E allora se non c’è tempo e modo di rifare la società almeno facciamo il presepio che è comunque il segno di una aspirazione a costruire il Bene nel mondo.
Natale in casa Cupiello – come sapete – è una delle più famose commedie di Eduardo De Filippo: un testo scritto nel 1931 (questo testo sta per compiere gli 80 anni). Luca Cupiello – il personaggio principale – è una persona semplice, umile, ingenua che vive in "normali" condizioni di miseria, ma, nonostante il suo pessimismo, è un uomo sereno, con una sua dignità e un suo orgoglio. Luca è contento di avere un vitto decente e una casa, è contento di avere una famiglia anche se i suoi due figli gli procurano non pochi dispiaceri, e ha un fratello che vive in casa con lui in una convivenza, per vari motivi, non proprio tranquilla. Luca ha una moglie (Concetta) che – nonostante il continuo becchettarsi – per lui è un punto di riferimento fondamentale nel bene e nel male. Luca – secondo il pessimismo esistenziale dell’autore – è convinto che i guai sono ineluttabili, bisogna metterli in conto, ma è anche altrettanto convinto che, prima o poi, tutto si aggiusta. Lui ha il presepio, o meglio, ha il "pensiero del presepio" ed è convinto che come il Bambinello arriva nel presepio a Natale, così, a un certo punto, arriva anche la tregua: un momento di tregua che – sebbene breve tra un guaio e l’altro – permette di prendere fiato.
In questo testo, come in tutti i testi di Eduardo – Napoli milionaria (1943), Filomena Marturano (1946), Questi fantasmi! (1946), Le voci di dentro (1949), De Pretore Vincenzo (1967), tanto per ricordarne alcuni – c’è una comicità sottile e ironica, a volte un po’ paradossale, ma anche amara, sofferente e rassegnata: lo stesso tipo di comicità che – fatte le dovute proporzioni – troviamo anche nei testi dell’Epistolario di Paolo di Tarso.
Leggiamo (la mia pronuncia del napoletano è molto approssimativa) questo interessante spaccato di vita famigliare in casa Cupiello. Adesso noi leggiamo solo un frammento del testo che è stato stampato qui: in questi giorni di vacanza ve lo potete leggere tutto o potete rivedere con un videoregistratore la commedia tutta intera prendendo in prestito il CD in biblioteca.
LEGERE MULTUM ….
Eduardo De Filippo, Natale in casa Cupiello (1931)
In casa Cupiello. Sono le nove del mattino del 23 dicembre. Luca dorme nel letto matrimoniale; il posto della moglie, Concetta, è in disordine come se la donna l’avesse lasciato da poco. Nel lettino piccolo dorme Tommasino (detto Nennillo).
CONCETTA (indossa una sottana di cotone bianco e ha sulle spalle uno scialletto di lana; ai piedi un paio di pantofole realizzate con un vecchio paio di scarpe del marito. Reca in una mano una fumante tazza di caffè, nell’altra una brocca d’acqua e cerca di svegliare il marito) Lucarie’, Lucarie’ … scétate songh’ ‘e nnove! …Lucarie’, Lucarie’ … scétate songh’ ‘e nnove. (Luca grugnisce e riprende sonno) Lucarie’, Lucarie’, scétate songh’ ‘e nnove.
LUCA Ah! (Farfuglia) Songh’ ‘e nnove …
CONCETTA Pigliate ‘o ccafè.
LUCA (si toglie uno alla volta, due scialletti di lana e una sciarpa) Ah, songh’ ‘e nnove? Già si sono fatte le nove! La sera fai appena in tempo ad andare a letto che subito si fanno le nove del giorno appresso. Conce’, fa freddo fuori?
… continua la lettura …
Interrompiamo la lettura di Natale in casa Cupiello perché la Scuola vuole finire l’anno dedicando uno spazio – un piccolo spazio – a Leone Tolstòj per commemorare il centenario della sua morte (1910-2010), ma non solo per questo motivo. E la celebrazione consiste nel leggere una ventina di righe da un grande romanzo che s’intitola Guerra e pace che molte e molti di voi hanno letto anche su incoraggiamento della Scuola. Questa ventina di righe è tratta dalla Parte prima dell’Epilogo: siamo, quindi, quasi alla fine di questo significativo romanzo, mancano circa sessanta pagine al termine e, dopo tanta sofferenza, due dei protagonisti, Natàša e Pierre, hanno formato una famiglia e spesso si meravigliano, spesso sono colti dallo stupore di essere felici, e questa situazione – lo "stupirsi di essere felici perché l’affetto ci circonda" – è uno stato d’animo (allude Tolstoj) tipicamente natalizio, che racchiude l’essenza del Natale.
Ma nel frammento che stiamo per leggere e che dovete ascoltare perché non è in REPERTORIO, c’è anche un’idea che riguarda il principale oggetto del nostro Percorso, l’Epistolario di Paolo di Tarso. E quindi celebriamo anche la fine del primo decennio del terzo millennio (e Paolo di Tarso – come sappiamo – è complice nel conteggio degli anni in questo modo) con un esercizio in funzione della didattica della lettura e della scrittura: dipanando un intreccio filologico. Nell’Epistolario di Paolo di Tarso, ad un certo punto, si leggono queste parole, ascoltatele: «Quelli che fanno il male costituiscono una solida e forte congrega e allora perché le persone di buona volontà che operano a fin di bene non si uniscono? È troppo semplice, secondo voi, ciò che dico?».
E ora – dopo aver preso atto di questi due interrogativi paolini – leggiamo una ventina di righe tratte dalla Parte prima dell’Epilogo di Guerra e pace:
LEGERE MULTUM ….
Leone Tolstòj, Guerra e pace
Tacquero.
«Ah, sai cosa? Quando parlavi, nello studio, sono rimasta a guardarti» prese a dire Natàša, evidentemente nel tentativo di scacciare quella nuvola sopraggiunta d’un tratto. «Be’, siete proprio due gocce d’acqua, tu e il ragazzo. (Così chiamava il figlio.) Ah, è ora di andar da lui … Ci siamo …Che peccato, che devo andare».
Tacquero per alcuni secondi. Poi, a un tratto, si volsero nello stesso istante l’uno verso l’altra, cominciando tutti e due a dir qualcosa. Pierre cominciò a parlare con soddisfazione e trasporto, Natàša con un sorriso soave, felice. Incontratisi così, si fermarono entrambi, cedendosi la parola a vicenda.
«No, cosa volevi dire? Di’, di’» …
«No, di’ tu, le mie erano solo sciocchezze» disse Natàša.
Pierre finì la frase che aveva incominciata. Era il seguito dei suoi ragionamenti pieni di soddisfazione per il successo che aveva ottenuto a Pietroburgo. Gli sembrava, in quel momento, di essere destinato a imprimere un nuovo corso a tutta la società russa e al mondo intero.
«Volevo solo dire che le idee che hanno enormi conseguenze sono sempre semplici. E l’idea mia è tutta qui: se le persone viziose sono tutte quante collegate tra loro e appunto perciò costituiscono una forza, allora basterà che le persone oneste facciano anche loro altrettanto. È così semplice» …
È persino superfluo ricordare che anche il testo di Guerra e pace è disseminato di citazioni paoline: un motivo in più per leggere o per rileggere questo romanzo.
Tutti i testi di cui si compone la Letteratura dei Vangeli – in particolare i testi che riguardano il Natale e l’infanzia di Gesù di Nazareth – sono stati scritti nel periodo dell’Ellenismo e questo è un motivo in più, nell’anno che verrà, per continuare a percorrere il cammino che abbiamo iniziato ad ottobre tenendo conto del fatto che su questo vasto territorio altri viaggi, in futuro, dovremo intraprendere in funzione della didattica della lettura e della scrittura per imparare ad investire in intelligenza.
Le Lezioni riprendono mercoledì 12 gennaio alla Scuola Redi, giovedì 13 gennaio alla Scuola Primo Levi e venerdì 14 gennaio alla Scuola Don Dilani.
La Scuola augura a tutte e a tutti voi un "buon Natale di studio" perché lo "studio", che è sinonimo di "cura", giova al corpo, allo spirito, al cuore e all’intelletto: lo studio è il motore dell’Apprendimento permanente e l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni pers
Lo "studio" è il Natale dell’esistenza…
Auguri!…
Buon Natale di studio a tutte e a tutti voi!…