Prof. Giuseppe Nibbi La sapienza poetica ellenistica [evangelica e imperiale] giugno 2011
SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO
C’È LA LEZIONE CONVIVIALE …
Questa sera ci dobbiamo chiedere come mai non è qui il nostro compagno di viaggio, Paolo di Tarso? Che fine ha fatto Paolo di Tarso?
Per rispondere a questa domanda possiamo appoggiarci agli Atti degli Apostoli ben sapendo che il testo di quest’opera non è “storico” ma è “apologetico” ed proprio per questo motivo che la lettura di questo libro risulta ancora più affascinante perché ci propone un’epopea, un’epopea che nei contenuti non collima con i racconti dell’Epistolario di Paolo di Tarso ma questo fatto non ci deve scandalizzare. Sappiamo che gli Atti degli Apostoli sono un catechismo confezionato con lo stile del romanzo epico dalla Scuola ellenistica clementina negli anni 90 circa quarant’anni dopo la morte di Paolo e, quindi, molte cose sono cambiate dagli anni 50, dagli anni 60.
L’Epistolario di Paolo di Tarso – come abbiamo potuto constatare nel Percorso di quest’anno – è un’opera assai complessa nella quale s’intrecciano tutti i più importanti generi letterari che si sono sviluppati nel corso dell’Ellenismo: l’epistolario, il saggio, il romanzo autobiografico, la raccolta poetica. Ha poca importanza il fatto che i racconti contenuti nel testo degli Atti degli Apostoli, quasi sempre, non collimano con ciò che scrive Paolo nel suo Epistolario: che cos’è che collima invece?
Il testo degli Atti degli Apostoli utilizza – in funzione della catechesi, ed è questo il fatto unificante – il “glossario” costruito da Paolo nelle sue Lettere cioè il catalogo delle parole-chiave che Paolo di Tarso ha saputo confezionare tessendo insieme, negli enunciati delle sue “sentenze”, la cultura ebraica (beritica) con la cultura ellenistica. Questo“glossario” – le parole di questo catalogo le dovreste conoscere perché sono contenute nei testi delle trenta Lezioni che compongono gli itinerari di questo viaggio che sta per concludersi – è diventato un “filo conduttore” tra i più significativi nella Storia del Pensiero Umano: possiamo non conoscerlo?
Che cosa racconta il testo dei capitoli 27 e 28 degli Atti degli Apostoli? Dopo aver scritto la Lettera ai Romani Paolo va a Gerusalemme (siamo nell’estate del 58) a portare i soldi di quella famosa “colletta” – di cui Paolo parla spesso nelle sue Lettere –, soldi che stava raccogliendo nelle ekklesìe a favore di “quelli di Gerusalemme”, di Pietro e di Giacomo, il fratello del Signore. Con questa operazione Paolo – con “l’adempimento di questo obbligo (lui scrive)” – vuole da loro un riconoscimento come “apostolo” (come “inviato speciale e promotore culturale”), quindi, a Gerusalemme si sviluppa una trattativa (ci fa capire il testo degli Atti degli Apostoli) ma Paolo a Gerusalemme (racconta il testo degli Atti che vuole sorvolare sulla rivalità tra Paolo e quelli di Gerusalemme) viene arrestato nel Tempio – qualcuno, avendolo sentito parlare, lo denuncia – come “profanatore della toràh”, come “traditore del giudaismo”, con l’accusa “di aver insegnato dappertutto contro la Legge, contro il popolo e contro il Tempio”. Paolo rischia di essere condannato a morte ma per sua fortuna è “cittadino romano” e, quindi, si appella all’autorità imperiale e così riceve (se la magistratura romana poteva fare un torto al tribunale giudaico glielo faceva volentieri) un “avviso di garanzia” e un “mandato di comparazione” e, di conseguenza, a spese dello Stato romano, viene accompagnato a Roma e Paolo intraprende, di buon grado, un viaggio avventuroso. Il testo degli Atti degli Apostoli racconta in modo apologetico questi avvenimenti.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Leggete i capitoli 27 e 28 degli Atti degli Apostoli: raccontano l’avventuroso viaggio di Paolo verso Roma e il suo arrivo nella capitale dell’impero…
Avete mai visitato a Roma la zona di Porta San Paolo e la Basilica di San Paolo fuori le Mura?… Con una guida di Roma raccogliete un po’ di dati per un’eventuale visita: Roma non è lontana, buon viaggio…
Nel prossimo Percorso (se sarà possibile attuarlo) frequenteremo spesso Roma perché ci dovremo occupare – viaggiando verso i confini del vastissimo territorio dell’Età di mezzo – anche della “sapienza poetica ellenistica latina di stampo imperiale” ma di Paolo di Tarso non avremo più notizie, rimane la sua opera. Che fine ha fatto Paolo di Tarso? Della sorte estrema di Paolo di Tarso non sappiamo nulla. Forse è morto assassinato nel 63 o nel 64. Nel 96 il testo degli Atti degli Apostoli racconta – secondo una logica apologetica – che “l’apostolo giunse fino agli estremi confini dell’Occidente”. Ma è difficile che Paolo, agli arresti domiciliari, si sia mosso da Roma.
Nel 200 Tertulliano (lo incontreremo a suo tempo) – grande costruttore di martirologi – scrive che Paolo è morto a Roma per decapitazione, ma dichiara di non conoscere i particolari della vicenda. Lo storico Eusebio di Cesarea, nel 420, fa un’ipotesi e propone per il martirio di Paolo la data del 67, durante il quattordicesimo anno del regno di Nerone.
Tra il IV e il V secolo è stato scritto, da un autore ignoto, un testo apocrifo che s’intitola Acta Petri et Pauli (Atti di Pietro e di Paolo). Questo testo, anche se non lo abbiamo letto, lo conosciamo in molti suoi particolari perché racconta una serie di episodi mitici, che non hanno nulla di storico, ma che sono entrati a far parte della leggenda e della Tradizione. In quest’opera del tardo Ellenismo si racconta la vita “in comune”, a Roma, di Pietro e Paolo e il loro martirio: Pietro crocifisso a testa in giù e Paolo, essendo cittadino romano (e potendone godere i privilegi), decapitato alle Acque Salvie. Moltissime opere d’arte si sono ispirate al testo di quest’opera.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Provate a cercarlo in biblioteca o sulla rete il testo di “Acta Petri et Pauli [Atti di Pietro e di Paolo]”…
Ma il destino di Paolo di Tarso resta avvolto nel mistero.
Alla fine del nostro lungo e faticoso itinerario quale insegnamento possiamo trarre? Ne traiamo un insegnamento che oggi ha una significativa rilevanza intellettuale perché questa straordinaria impresa culturale dalla quale sono nati i testi delle Lettere di Paolo di Tarso dimostra che “l’integrazione” è possibile attraverso la potenzialità che ha la filologia (l’uso delle parole e delle idee in senso creativo), e che l’avvicinamento tra culture diverse è attuabile se chi si sente depositario di una certa cultura opera perché questa mantenga la propria originalità e la propria autonomia senza pretendere di avere il monopolio della verità. “Possiamo rimanere quello che siamo – scrive Paolo – ma dobbiamo camminare insieme mettendo in comune il meglio di noi”.
Solo un “ebreo” poteva interessarsi così intensamente alla “buona notizia” della risurrezione di Gesù. Solo un “greco” poteva potenziare questa notizia e diffonderla in modo così fecondo. Solo un “romano” delle lontane province, poteva cogliere il senso universale di questa “buona notizia”, trasformando una “speranza”, chiusa in un testo complesso come il Libro di Isaia, in una “opportunità” per l’Umanità intera.
Shaul, detto Paolo, ebreo, circonciso, fariseo della tribù di Beniamino, nato, cresciuto e formatosi culturalmente sul territorio dell’Ellenismo, cittadino romano (questo è quanto sappiamo di lui), ha messo in atto, non in modo del tutto consapevole ma investendo in intelligenza, un’impresa grandiosa e inquietante: fondere insieme l’etica ebraica, greca e romana, confezionando un prodotto di qualità che è diventato patrimonio della Storia del Pensiero Umano. Naturalmente questa operazione ha avuto un prezzo, e questa persona – di cui possiamo leggere le Lettere – questo prezzo lo ha pagato fino all’ultimo centesimo, fino all’ultimo shekel.
Sarebbe auspicabile che tutti coloro i quali, oggi, parlano – e spesso sparlano – di “civiltà e di cultura occidentale” si rendessero conto che, prima di parlare, prima di dichiarare, è necessario “studiare” per capire che “l’integrazione (auspicata da tutti)” non passerà mai né attraverso il ricatto della paura né attraverso le esigenze di potere del mercato globale ma passa sulla strada indicata dall’autorevolezza di chi – come voi che animate lo scenario dell’Educazione Permanente – ha deciso di investire in intelligenza. Questo insegna oggi l’Epistolario di Paolo di Tarso, per questo è necessario che entri nei programmi della Scuola pubblica.
Per concludere vogliamo ricordare Adriana Zarri – grande studiosa e esegete dell’Epistolario di Paolo di Tarso – che è morta nella notte tra il 17 e il 18 novembre del 2010. Adriana Zarri (1919-2010), teologa – è stata teologa di linea conciliare ancor prima del Concilio Vaticano II (l’unica teologa che ha partecipato come consulente al Concilio Ecumenico Vaticano II sollevando una serie di questioni fondamentali), scrittrice: ha scritto su giornali e riviste e combattendo molte battaglie coraggiose. Dal 1975 ha vissuto in campagna scegliendo una vita eremitica, coltivando la terra, allevando animali e scrivendo opere narrative e saggi.
Sono molto significativi gli scritti di Adriana Zarri – leggeteli – perché in essi c’è l’amore per il mondo, per la natura e per la sua bellezza e c’è la voglia di capire, di lottare, di raccontare e di sentire. Ha scritto: «Qualcuno dice che mi sono “ritirata” in un eremo; e io puntualmente reagisco. Un eremo non è un guscio di lumaca, e io non mi ci sono rinchiusa; ho solo scelto di vivere la fraternità in solitudine. La solitudine non è un tagliarsi fuori dal contesto comunitario. L’isolamento [l’indifferenza] è un tagliarsi fuori ma la solitudine è un vivere dentro».
Leggiamo appena un frammento tratto da Erba della mia erba contenuto nel volume che s’intitola Un eremo non è un guscio di lumaca (Con una significativa introduzione di Rossana Rossanda). Questo frammento è tratto da un testo dove l’autrice-eremita spiega di non ritenere più necessario alzarsi alle quattro per pregare: forse era un atto di vanità.
LEGERE MULTUM ….
Adriana Zarri, da Erba della mia erba in Un eremo non è un guscio di lumaca
«Frate colomba»
… Per vari giorni non suonò la sveglia, e io mi destai non molto tempo dopo l’ora solita, ma in modo meno regolare. Occorreva porre un rimedio, e io portai la sveglia dall’orologiaio. Dissi il difetto, la lasciai per la riparazione e passai dopo qualche giorno, a ritirarla. L’orologiaio - consegnandomela senza il conto - mi disse:
«Ma questa sveglia va benissimo».
… continua la lettura …
Mi sembra normale dire, in conclusione, – come da ventisette anni a questa parte – che quando si torna da un viaggio di studio è bene che, in animo, si sia già pronti per ripartire…
E allora, arrivederci ad ottobre consapevoli del fatto – come scrive Erodoto – che “ci si sente vivi, soprattutto, nella tensione della partenza”.
La partenza – avete ricevuto un pro-memoria – è prevista per mercoledì 12 ottobre (Scuola “F.Redi” di Bagno a Ripoli), giovedì 13 ottobre (Scuola “P.Levi” di Tavarnuzze-Impruneta) e venerdì 14 ottobre (Scuola “Don Milani” di Firenze-Quartiere 4).