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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA L’AFFRESCO DEL SOFFITTO DELLA SISTINA È UN’OPERA CHE DETERMINA IL CAMBIAMENTO DI UN’EPOCA ...

Lezione N.: 
27

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna     17–18-19  maggio 2017

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA

L’AFFRESCO DEL SOFFITTO DELLA SISTINA

È UN’OPERA CHE DETERMINA IL CAMBIAMENTO DI UN’EPOCA ...

     Questo è il ventisettesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna”, ed è la penultima tappa del nostro lungo e impegnativo Percorso.

     Sette settimane fa, dopo aver catalogato le più significative parole-chiave dell’epoca che sta agli albori dell’Età moderna e dopo aver riflettuto sulle principali idee-cardine che caratterizzano il pensiero rinascimentale e dopo aver studiato le varie tappe della formazione intellettuale di Michelangelo, siamo entrate ed entrati nella Cappella Sistina per osservare i pannelli dipinti sul soffitto di questo famoso edificio. Dopo aver esaminato le varie categorie di immagini: gli Ignudi, i Medaglioni, le Cariatidi monocrome, le Lunette, le Vele, i Pennacchi, le Sibille, i Profeti, ci troviamo ora di fronte alla fascia centrale dell’affresco e la scorsa settimana abbiamo già puntato l’attenzione sui primi tre pannelli della striscia di mezzo nei quali è protagonista Dio in funzione di Creatore, e Michelangelo si è sbizzarrito a rappresentare l’immagine di Dio rimanendo fedele al concetto neoplatonico dell’unità nella diversità, come a dire che “l’unicità di Dio si estrinseca nei molteplici aspetti che la Creazione [il mondo creato] viene ad assumere”.

     Prima di riprendere il passo è doveroso dire che il nostro Percorso [per sua natura, secondo i principi dell’Alfabetofanìa] non ha, e non deve avere, la pretesa di essere esaustivo nel proporre l’esplorazione di un paesaggio intellettuale, in questo caso dei pannelli dipinti sul soffitto della Cappella Sistina. La Scuola [la Scuola pubblica] ha come obiettivo quello di dare dinamicità alle azioni dell’Apprendimento [conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare] in modo da stimolare la curiosità delle persone che si mettono in viaggio su un Percorso di Alfabetizzazione per favorire l’esercizio della ricerca alla quale ciascuna e ciascuno di noi è bene si dedichi in funzione [nel nostro caso, soprattutto] della didattica della lettura e della scrittura. L’analisi che abbiamo fatto [e che stiamo ancora per fare] non è indirizzata a portare alla luce inquietanti misteri perché non ci sono misteri da svelare nell’affresco del soffitto della Cappella Sistina e, di conseguenza, abbiamo messo in evidenza una serie di motivi culturali, palesemente fondati, che sono riconducibili alla mentalità e alla preparazione intellettuale dei protagonisti di questa impresa: il pittore Michelangelo, il committente Giulio II e il consulente librario Fedra Inghirami, i quali hanno di fronte a loro un orizzonte culturale che comprende ben determinati paesaggi intellettuali oltre i quali non è possibile andare [e questo non è un limite ma è una garanzia sotto il profilo didattico].

     Se si ipotizzano e immaginano “presunti misteri” [come è di moda fare] o se si danno letture di tipo ideologico dell’affresco della volta della Cappella Sistina si finisce per uscire dal seminato e di dare a Michelangelo [a Giulio II, a Fedra Inghirami] qualifiche che lui non ha [che loro non hanno mai avuto]: Michelangelo è un buon cristiano ma non è un credulone ed è critico nei confronti dell’autoritarismo dogmatico del Sant’Uffizio secondo il pensiero della corrente pedagogico-filologica del neoplatonismo e, da pittore, opera in proposito. Michelangelo non è un ebreo ortodosso infiltrato in Vaticano per lasciare sotto traccia messaggi contro il papato ma è un simpatizzante della cultura ebraica così come ha imparato ad apprezzarla da Marsilio Ficino e soprattutto da Pico della Mirandola e, da pittore, opera in proposito. Michelangelo non è un proto-riformatore protestante ma, prima di Lutero, caldeggia la riforma strutturale e culturale della Chiesa che Giulio II vorrebbe attuare risalendo al Vangelo e, da pittore, opera in proposito. Se non si tiene conto di queste realtà si finisce per avere un’idea distorta della situazione. E ora riprendiamo il passo sull’itinerario di questa sera.

     Ci troviamo di fronte alla fascia centrale dell’affresco e la scorsa settimana abbiamo già puntato la nostra attenzione sui primi tre pannelli nei quali è protagonista Dio in quanto Creatore: mentre separa la luce dalle tenebre, mentre crea il sole, la luna e la vegetazione e mentre [probabilmente] separa la terra dalle acque.

     Nella lunga corsia centrale della volta della Cappella Sistina ci sono nove pannelli [un’enneade?] che contengono storie tratte dal Libro della Genesi, e le varie scene sono scandite con un ritmo ternario [trinitario, pitagorico?] che dà luogo a tre gruppi di pannelli: il primo gruppo riguarda l’origine dell’universo [in cui il protagonista è il Creatore mentre separa la luce dalle tenebre, mentre crea il sole, la luna e la vegetazione e mentre separa le acque dalla terra], il secondo gruppo riguarda la creazione degli esseri umani [la creazione di Adamo, di Eva e il peccato originale con la cacciata dei progenitori] e il terzo gruppo riguarda la figura di Noè [il sacrificio di Noè, il diluvio universale e l’ebbrezza di Noè].

     Del primo gruppo ce ne siamo già occupate e occupati la scorsa settimana per dire che in questi tre pannelli, dove la figura di Dio viene rappresentata quattro volte, emerge il modello di Creazione per “divisione”, un modello che entra nel testo del Libro della Genesi per imitazione del principale Poema babilonese sulla Creazione [del VI secolo a.C.] intitolato Enuma elish [Lassù, nell’alto dei cieli], un’opera sconosciuta agli Umanisti rinascimentali anche se intuiscono, a cominciare da Lorenzo Valla, che gli scrivani in esilio a Babilonia sono stati influenzati dalla Letteratura sumera, assira e babilonese.

     Durante lo scorso itinerario abbiamo osservato, nel primo pannello, la figura di Dio che divide la luce dalle tenebre [apparendo in volo nello spazio vuoto] poi, nel secondo pannello, abbiamo osservato la figura di Dio che crea la vegetazione [procedendo di spalle, e mostrando con forte effetto naturalistico i glutei e le piante dei piedi nudi] mentre abbiamo fatto solo un accenno alla seconda figura del secondo pannello quella in cui Dio crea il sole e la luna. Qui la figura di Dio viene fatta librare da Michelangelo in posa frontale, con il volto severo e le braccia spalancate a comandare l’esistenza del sole, che appare al centro in forma di fuoco circolare incandescente, e della luna il cui pallore è ottenuto, come abbiamo già detto la scorsa settimana, lasciando il disco del colore grigio maculato dell’intonaco. La figura di Dio [Creatore del sole e della luna] è quella di un condottiero con le chiome scomposte, la lunga barba divisa in due, e i tratti del volto di Giulio II e, probabilmente, questa era la posa e l’aspetto che il papa - raffigurato come guerriero vittorioso - aveva nella statua di bronzo fusa a Bologna da Michelangelo nel 1508 e, inoltre, i tratti del viso di questa figura anticipano quelli della statua del Mosè. Nel manto che sta tutto intorno a Dio [Creatore del sole e della luna] Michelangelo inserisce quattro figure che rappresentano [quasi certamente, perché il sole e la luna scandiscono il Tempo] le quattro Parti del Giorno: dalla parte del sole c’è il Dì [un robusto fanciullo alla luce] e l’Aurora [che si fa ombra con un braccio], dalla parte della luna c’è il Crepuscolo [appena emergente nell’ombra] e la Notte [che porta sopra al capo una stola violetta].

     Nel terzo pannello Michelangelo affresca Dio che, con un gesto di comando, attua la Separazione della terra dalle acque. Qui la figura del Creatore è avvolta dal manto purpureo a forma di conchiglia nel quale trovano posto tre angeli che molto probabilmente personificano la Terra, le Acque e il Cielo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete osservate il secondo e il terzo pannello della corsia centrale della volta della Cappella Sistina dove Michelangelo ha dipinto Dio che crea la vegetazione, Dio che crea il sole e la luna e Dio che separa la terra dalle acque...

     I tre riquadri centrali della corsia che sta al centro della volta della Cappella Sistina raffigurano la Creazione di Adamo, la Creazione di Eva e Il peccato originale con la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden. Il pannello de La Creazione di Adamo è certamente uno dei dipinti più famosi della Storia della pittura e insieme a La Gioconda e a La Scuola di Atene è senza dubbio una delle immagini più riprodotte al mondo.

     Nel pannello de La Creazione di Adamo Michelangelo dipinge il primo uomo adagiato e particolarmente rilassato perché non ha ancora ricevuto quello che il Libro della Genesi chiama il “ruach ha shem” cioè “il dono divino dell’energia vitale” [Michelangelo, Giulio II e Fedra Inghirami conoscono questo termine attraverso l’Heptaplus di Pico della Mirandola] e questa espressione ebraica la possiamo anche tradurre con il termine “anima” considerando che la parola “ruach” significa pure “soffio”.

     Adamo - tanto per la tradizione neoplatonica che per quella cabalistica - rappresenta “lo stampo primordiale dell’Uomo [Ha-Adam]”, rappresenta il prototipo della vita umana e il modello di quel fenomeno che Marsilio Ficino e Pico della Mirandola chiamano “il microcosmo”, e questo è ciò che Michelangelo vuole rappresentare. Ma il grande protagonista della scena è Dio, una figura alla quale Michelangelo non vuole dare la prerogativa dell’onnipotenza ma le caratteristiche della calma riflessiva e della sapienza.

     Il modo in cui Michelangelo ha disegnato e dipinto questa scena ha suscitato, nel corso dei secoli, molte discussioni, polemiche e interrogativi. Gli interrogativi riguardano le figure che stanno intorno al corpo del Creatore e che, in un certo senso, lo sorreggono, lo tengono sospeso in aria. Dio tiene sotto il braccio sinistro una giovane donna e sotto la sua mano sinistra un bambino [la giovane donna è Maria di Nazareth oppure è la Chiesa e il bambino è Gesù? Sono ipotesi perché non ci sono riscontri]. Michelangelo ha affrescato intorno a Dio tante figure [“Una piccola folla di spiritelli, non meno di dieci”], figure che stanno tutte dentro al grande mantello purpureo da cui pende, molto più piccolo, un drappo verde-blu simile alla coda di un aquilone [l’elenco dei possibili significati di questo drappo è troppo lungo per essere citato e tutte e tutti noi siamo autorizzati ad aggiungere la nostra interpretazione].

     Ci sono due opinioni predominanti sull’identità della giovane donna: una è che si tratti di Eva, o dell’anima di Eva, che deve far coppia con Adamo, e l’altra è che rappresenti il concetto della Sapienza [in greco Sofia, in ebraico Chochmà] che unisce la tradizione neoplatonica con quella cabalistica, e Dio non può che abbracciare la Sapienza [c’è un invito a leggere e a rileggere il Libro della Sapienza? Questo è un esercizio da ripetere puntualmente]. Il Libro della Sapienza esprime una lode a Dio «che ha plasmato l’Umanità [Ha-Adam] con Sapienza».

     Il bambino sotto la mano sinistra di Dio rappresenta, con ogni probabilità, “l’anima di Adamo” che sta per essere infusa nel corpo del primo Uomo. La posizione del corpo del bambino rispecchia quella di Adamo, quindi: attraverso la mano sinistra di Dio sta per avvenire l’ingresso dell’anima di Adamo nel suo corpo. Nella tradizione ebraica [se leggiamo il Talmud, e Michelangelo ha seguito le Lezioni di Pico della Mirandola in proposito] la mano sinistra è quella che distribuisce i doni e le benedizioni perché, si legge nel Talmud, i suoi vasi sanguigni portano direttamente al cuore.

     Per dovere di cronaca, dobbiamo citare anche un’interpretazione piuttosto “cervellotica” che riguarda la particolare forma del mantello che sta intorno a Dio: una forma che richiama un cervello con il cervelletto, il lobo occipitale, la corteccia e il tronco cerebrale. Michelangelo avrebbe rappresentato, con tutti i suoi elementi, una perfetta sezione del cervello umano per esprimere [e per rafforzare] l’idea che “la Creazione è radicata nella Sapienza del cervello divino”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete osservate il pannello de La Creazione di Adamo...

     Per quanto riguarda il pannello de La Creazione di Eva, Michelangelo [con Giulio II e con Fedra Inghirami] fa sempre riferimento a ciò che ha imparato dalle Lezioni sulla tradizione ebraica tenute da Pico della Mirandola [di concetti presenti nell’Heptaplus].

     Dio - secondo la traduzione in greco della Bibbia dei Settanta, ultimata nel I secolo, e la traduzione in latino di Gerolamo [del V secolo] detta la Vulgata - ha creato Eva  [la madre del genere umano] da una costola di Adamo. Ma il pannello de La Creazione di Eva dipinto da Michelangelo fa riferimento a ciò che lui ha imparato dalle Lezioni sulla tradizione ebraica tenute da Pico della Mirandola il quale spiega che la parola ebraica usata per descrivere la creazione della donna è “ha-tzelah” che significa “il fianco” di Adamo. Nel Talmud si legge che «Eva non è stata originata dalla testa di Adamo, cosa che poteva renderla presuntuosa, facendola sentire superiore al suo compagno, né dal suo piede, cosa che poteva farla sentire oppressa e spingerla a fuggire, ma dal suo fianco [ha-tzelah], affinché gli stesse vicina nella vita come una compagna di pari dignità». Michelangelo raffigura chiaramente Eva che si alza “dal fianco” di Adamo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete osservate il pannello de La Creazione di Eva  che si alza “dal fianco” di Adamo assumendo pari dignità...

     Nel secondo trittico, dopo il pannello della Creazione di Adamo e quello della Creazione di Eva, troviamo raffigurato l’episodio della tentazione con il conseguente peccato originale e la cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre.

     Il terzo pannello del secondo trittico della fascia centrale del soffitto della Cappella Sistina, che raffigura il peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre di Adamo ed Eva, è un dittico, vale a dire un dipinto formato da due parti di uguali dimensioni divise dall’albero della Conoscenza [come nello stile di una delle formelle del Ghiberti sullo stesso tema dove però lo spazio è diviso dalla porta del giardino dell’Eden]. A sinistra si vedono Adamo ed Eva ancora innocenti ma sul punto di procurarsi il frutto proibito e Adamo dimostra una impetuosa avidità perché tira a sé un ramo dell’albero anziché accettare il frutto dalla mano di Eva e, quindi, è corresponsabile nella disubbidienza e non può addossare la colpa alla sua compagna dicendo - come farà in un secondo momento per giustificarsi davanti a Dio - che è lei ad averlo imbrogliato: il dipinto di Michelangelo fa cadere lo stereotipo della donna “perfida tentatrice”. Al centro del dipinto si trova la serpe [come si legge nel Talmud] arrotolata intorno all’albero e, essendo una serpe, ha un corpo di donna che si protende verso le due creature umane. Nella parte destra del dittico si vedono i due progenitori che vengono cacciati dal giardino dell’Eden da un angelo il quale punta la spada al collo di Adamo, si vede che i due provano vergogna e mostrano già i primi segni dell’invecchiamento perché la punizione consiste anche nella perdita dell’immortalità e dell’eterna giovinezza, e per dipingere questa scena Michelangelo trae ispirazione, soprattutto sotto il profilo psicologico dei personaggi, dalla Cacciata di Adamo ed Eva affrescata da Masaccio nella Cappella Brancacci al Carmine, dove il maestro Bertoldo portava i suoi allievi ad esercitarsi.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Fate il confronto fra la Cacciata di Adamo ed Eva di Masaccio e quella di Michelangelo utilizzando un catalogo e navigando in rete…      

     Sappiamo già [perché ne abbiamo parlato a suo tempo] che il frutto proibito non è una mela ma è un fico perché secondo la tradizione ebraica del Talmud, di cui Michelangelo [con Giulio II e con Fedra Inghirami] è a conoscenza, Dio non pone mai le persone di fronte a una difficoltà senza avere creato, nel problema stesso, la sua soluzione, e l’albero della Conoscenza è un fico perché la conseguenza immediata della trasgressione di Adamo ed Eva è la vergogna causata dalla consapevolezza della loro nudità e la loro prima reazione è quella di coprirsi con foglie di fico. Questo concetto, che la Filosofia rinascimentale di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola ha fatto proprio [Dio pone sempre in una difficoltà la possibilità di superarla], serve per ribadire che Dio è misericordioso perché fornisce il rimedio alla conseguenza di un inconveniente insieme all’oggetto che ha causato l’inconveniente stesso.

     Anche la figura della serpe fornita di gambe e di braccia è mutuata, come abbiamo detto, dalla tradizione ebraica del Talmud e questo elemento fornisce a Michelangelo la possibilità di disegnare un’immagine armonica perché vicino alla serpe, sul lato destro del dittico, è raffigurato un angelo munito di spada che caccia Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, ed è facile notare che l’angelo virtuoso è il gemello della serpe malvagia: i loro gesti e le loro posizioni sono speculari, e i loro corpi uniti formano una specie di cuore umano che introduce un’altra idea proveniente dalla tradizione del Talmud [sulla quale abbiamo già riflettuto a suo tempo] che la Filosofia rinascimentale di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola ha fatto propria: l’idea del conflitto delle due inclinazioni perché in ciascuna e in ciascuno di noi si determina un conflitto interno [nel cuore della persona] che dura tutta la vita, “una contesa” tra Yetzer ha-Tov [l’inclinazione a fare il bene] e Yetzer ha-Rà [l’inclinazione a fare il male]. Queste due tendenze speculari - simboleggiate dalla serpe [l’inclinazione a fare il male] e dall’angelo [l’inclinazione a fare il bene] - vengono metaforicamente evocate ai due lati dell’albero della Conoscenza del bene e del male del giardino dell’Eden, perché è in questo luogo che, per la prima volta, l’Umanità si è resa conto della differenza, e con questa allegoria Michelangelo [e Giulio II e Fedra Inghirami] vuole porre l’accento sulla potenzialità umana a scegliere liberamente, a utilizzare il libero arbitrio.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete osservate il pannello [il dittico] de Il peccato originale e de La cacciata dal paradiso terrestre ...

     Il tema del “libero arbitrio” sostenuto da Erasmo da Rotterdam e quello del “servo arbitrio” sostenuto da Lutero [che abbiamo incontrato la scorsa settimana], ci fanno tornare a riflettere su quell’importante e complesso avvenimento che è la Riforma protestante. Lutero è il principale ma non l’unico “riformatore” e altri personaggi hanno sviluppato le loro riflessioni ed elaborato i loro ragionamenti nell’ambito delle idee della Riforma contribuendo ad arricchire la Storia del Pensiero Umano agli albori dell’Età moderna. Chi sono questi pensatori, alcuni dei quali li avrete certamente sentiti nominare?

     Da Wittemberg le idee della Riforma si espandono in Europa e uno dei paesi interessati è la Svizzera, e in Svizzera, a Zurigo, incontriamo Ulrich Zwingli. Chi è questo personaggio?

     In Svizzera, nella città di Zurigo, le idee della Riforma vengono accolte ed elaborate da Ulrich Zwingli [1484-1531]. Zwingli, nato e vissuto a Zurigo, si è formato alla Scuola degli Umanisti italiani, studia le opere di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola [simpatizza per la corrente pedagogico-filologica del neoplatonismo] e corrisponde con Erasmo da Rotterdam. La formazione intellettuale di Zwingli lo porta ad accogliere i più importanti concetti del pensiero rinascimentale a cominciare da quello di “unitarismo”. Zwingli, infatti, intende il significato della rivelazione come un fatto universale e non limitato solo al cristianesimo e sostiene che “ogni verità, da chiunque pronunciata, deriva da Dio”, da un Dio la cui natura non può che essere quella di “un Pensiero universale” dal quale, poi, le religioni, di volta in volta, hanno fatto derivare delle definizioni.

     Sulla scia della Scolastica, Zwingli si domanda che cosa si possa dire di Dio: di Dio, afferma Zwingli, possiamo dire solo che è l’Essere, il Sommo Bene, l’Uno. Zwingli condivide con Lutero la dottrina di Paolo di Tarso [dalla Lettera ai Romani] secondo cui “la salvezza viene dalla fede e la fede deriva dall’azione di Dio” e, quindi, le persone si salvano se hanno fede, ma hanno la fede solo se Dio gliela concede, solo se sono state scelte per la salvezza. Quindi la fede è “una fiducia assoluta nella grazia di Dio” e la persona è nelle mani di Dio e il “libero arbitrio” non esiste e, di conseguenza, i sacramenti non hanno alcun valore, anche i tre di cui parla Lutero: il battesimo, la penitenza e l’eucaristia. Le opere buone rivelano la fede della persona e la fede si esprime nella vita sociale quando la persona svolge onestamente e con dedizione il proprio lavoro. Zwingli su questo tema la pensa come Lutero ma, a differenza di Lutero, che si appoggia ai feudatari, è fermamente avversario dei feudatari perché non lavorano e, siccome è con il lavoro che si esprime la fede, questo significa che ai feudatari Dio la fede non l’ha concessa ed è più facile che l’abbia concessa ai contadini.

     Zwingli esorta al ritorno alla purezza evangelica, ma siccome ritiene che sia [almeno per ora] difficoltoso attuare “la comunità dei beni” predica il concetto della “beneficenza”: chi lavora onestamente e guadagna onestamente è benedetto da Dio e quindi deve ridistribuire, e chi ridistribuisce parte dei suoi averi manifesta il dono della fede che ha ricevuto e contribuisce alla Storia della salvezza. Le idee di Zwingli si propagano per la Svizzera e nel sud della Germania, e in città come Berna, Basilea, Strasburgo, Costanza, Lindau, si formano comunità che seguono il suo insegnamento.

     Dopo Ulrich Zwingli incontriamo Philipp Schwarzert, meglio conosciuto come Filippo Melantone [1497-1560] che è stato “la testa filosofica” della Riforma protestante.

     Come abbiamo studiato la scorsa settimana,  nel 1530 l’imperatore Carlo V riunisce la dieta [la conferenza] di Augusta per cercare di trovare una via che portasse alla conclusione del terribile conflitto religioso che si era innescato e, a questo proposito, l’imperatore invita i riformatori a precisare meglio le proprie posizioni ideologiche. I riformatori presentano un documento che prende il nome di Confessio Augustana [la Confessione di fede di Augusta] e che viene redatto dal teologo Filippo Melantone.

     Anche Melantone è un umanista che si è formato sulle opere di Marsilio Ficino, di Pico della Mirandola e di Erasmo da Rotterdam e, quindi, possiede gli strumenti intellettuali per formulare in modo esaustivo i termini di una dottrina. Melantone, dopo una fase di sperimentazione durata un quarto di secolo, nel 1555, riscrive in modo completo e definitivo la Confessio Augustana [la Confessione di fede di Augusta] e questa proclamazione di fede diventa la dichiarazione fondamentale del luteranesimo, in modo che siano chiare le differenze con il cattolicesimo romano e anche con le altre tendenze protestanti [il mondo protestante diventa eterogeneo]. Melantone è stato collega di Lutero all’università di Wittemberg e poi magister di spicco all’università di Tubinga.

     Il fatto è che anche il protestantesimo, per darsi una veste scientifica e teologica, deve ricorrere alla filosofia Scolastica [Lutero la voleva abolire], e Filippo Melantone coniuga i principi del luteranesimo con la filosofia classica greca e latina [Lutero la voleva eliminare] e, soprattutto, col pensiero di Platone e di Aristotele. Nella sua opera intitolata Istruzioni pedagogiche Filippo Melantone delinea un ciclo scolastico in cui pone la lingua latina al centro dell’insegnamento, e lo studio viene ordinato in tre livelli: la “Scuola di lettura” basata sull’apprendimento del latino di base [le favole di Fedro e la Letteratura più semplice], la “Scuola di grammatica” basata sull’approfondimento del latino con l’introduzione del greco e lo studio della matematica e della musica e la “Scuola classica” basata sulla conversazione latina e sullo studio del greco per favorire l’esegesi delle opere della Storia del Pensiero e per agevolare l’acquisizione della dialettica e della retorica.

     La cultura dell’Umanesimo domina anche nei piani di studio del protestantesimo ma la Scuola classica rimane pur sempre elitaria anche nei territori influenzati dalla Riforma, e le condizioni di vita delle classi subalterne rimangono sempre pessime soprattutto quelle dei contadini che, da più di cento anni, a fasi alterne, portano avanti una guerra - e questo è un fenomeno generale europeo - per liberarsi dalla servitù della gleba, ed è in questo quadro che incontriamo un significativo personaggio che si chiama Thomas Müntzer.

     Thomas Müntzer [1489circa-1525] è un monaco agostiniano dotato di una solida cultura umanistica [studioso di Patristica e di mistica medioevale] che a Lipsia, dove insegna teologia all’Università, nel 1519 incontra Lutero e diventa un predicatore delle idee della Riforma. Gradualmente però Müntzer trova insufficienti le risposte dottrinali e politiche di Lutero, e introduce due elementi nella sua predicazione. Il primo è un elemento di carattere religioso proveniente dal movimento degli “anabattisti” [i ribattezzati]. Sulla scia della Riforma sono nati numerosi gruppi di “anabattisti” i quali coltivano l’idea che, se la Chiesa tradizionale non ha alcun valore, neppure il battesimo impartito ai bambini ha valore e, quindi, bisogna ribattezzarsi, e solo gli adulti in piena maturità spirituale possono ricevere il battesimo. Se la chiesa tradizionale è falsa e anticristiana anche la struttura sociale, di cui la Chiesa è un pilastro, è falsa e anticristiana e, di conseguenza, al nuovo battesimo [all’anabattismo] deve corrispondere l’avvento di una nuova società, realmente cristiana, in cui ci sia il riscatto dei poveri e degli oppressi.

     Thomas Müntzer diventa la guida della comunità anabattista di Muhlhausen e il                           secondo elemento che introduce nella sua predicazione è di natura sociale e rivoluzionaria perché la sua predicazione penetra nel movimento contadino in rivolta, una rivolta armata che prende d’assalto i castelli feudali e le città borghesi. Nel 1525 la rivolta religioso-sociale dei contadini divampa in tutta la Germania del nord e le rivendicazioni dei rivoltosi vengono raccolte in un documento che prende il nome di I dodici articoli e anche Lutero, all’inizio, riconosce la fondatezza di queste rivendicazioni: dodici passi per arrivare all’abolizione della servitù della gleba e per la distribuzione delle terre [dei latifondi] ai contadini.

     Ma poi, davanti all’impeto della rivoluzione, Lutero fa marcia indietro e considera blasfemo il fatto che si usi la causa evangelica per sostenere un moto terreno di natura politica e condanna i rivoltosi con una violenza estrema invocando l’intervento militare dei feudatari e dei principi contro i contadini. Si forma un esercito feudale poderoso che schiaccia, nel 1525, la resistenza dei contadini nella battaglia presso Frankenhausen, dopodiché si scatena contro gli sconfitti una reazione sanguinaria e crudele. Il 27 maggio 1525 Thomas Müntzer viene condannato a morte e viene ucciso insieme a venticinque capi della rivolta.

     Gli Scritti politici di Thomas Müntzer sono stati raccolti, stampati e la loro divulgazione è stata costante, e Müntzer ha sempre riscosso la simpatia di tutte le persone che apprezzano coloro che lottano e muoiono per una giusta causa.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della Germania e navigando in rete andate a far visita a Bad Frankenhausen [cittadina di 8500 abitanti e centro termale della Turingia] che conserva con un museo [con l’edificio cilindrico moderno del “Panorama Museum”] la memoria della guerra dei contadini per l’abolizione della servitù della gleba...          

Nel Panorama Museum si può ammirare anche una grande rappresentazione a olio [lunga 123 metri e alta 14] della decisiva battaglia di Frankenhausen, buon viaggio...

     Un altro importante riformatore è Jean Calvin, che conosciamo come Giovanni Calvino, e sappiamo che il termine “calvinismo” è diventato significativo.

     Giovanni Calvino [Jean Calvin] è nato in Francia a Noyon nel 1509 [è morto a Ginevra nel 1564] ed è un intellettuale che ha il gusto dell’analisi e della costruzione logica, e non ha il carattere passionale di Lutero. Nel 1533, dopo aver coltivato interessi filologici seguendo le idee dell’Umanesimo e di Erasmo da Rotterdam, sulla scia di Lutero abbraccia l’idea della “sola fides et sola Scriptura” [ci si salva per fede e la Sacra Scrittura è la sola struttura della Chiesa]. Nel 1536 pubblica a Basilea un libretto scritto in latino con la sintesi del suo pensiero intitolato Istituzione cristiana. Quest’opera, nel 1541, la traduce in francese, in una lingua “popolare” che diventa un modello come per i tedeschi è diventata un modello la lingua usata da Lutero per tradurre i Libri della Bibbia.

     Nel libretto intitolato Istituzione cristiana ci sono le idee del pensiero “calvinista”. Calvino ritiene che ci sia un’unità stretta tra il Vecchio e il Nuovo Testamento e che il concetto di Dio ci viene dal Vecchio Testamento: un Dio concepito come Essere onnipotente e imperscrutabile perché, secondo Calvino, un concetto di Dio così fortemente improntato all’Amore che troviamo nella Letteratura dei Vangeli è troppo sentimentalistico. Dio è onnipotente e, se vuole, predestina la persona alla salvezza rendendola partecipe dei meriti di Gesù Cristo.

     C’è un’idea teocratica nel pensiero di Calvino: se per Lutero Dio è soprattutto fonte di “misericordia” per Calvino è principalmente fonte di “giustizia”, e la persona  acquista fiducia nella propria salvezza credendo nei meriti di Gesù Cristo mentre i meriti umani sono insignificanti e inefficaci di per sé.

     Le opere buone del cristiano si esprimono nel lavoro che è un dovere sacro e, di conseguenza, il buon successo ottenuto dalla persona nel suo lavoro è una prova evidente del favore di Dio nei suoi confronti. C’è, nel pensiero di Calvino, un’esaltazione dei compiti terreni delle persone, compiti che sono una risposta ad una vocazione divina, e l’impegno terreno deve essere vissuto con una grande severità morale e il premio dei risultati ottenuti è il guadagno di denaro, e il denaro guadagnato onestamente [solo quello guadagnato onestamente e senza il contributo dell’astuzia della ragione] ha una valenza morale che deve essere accresciuta dal fatto che il denaro non va usato per l’acquisto di beni superflui ma va investito per produrre lavoro perché il lavoro produce l’abbattimento della miseria nella società. Il successo negli affari è una prova della benevolenza divina rivolta alle persone che hanno intrapreso attività con l’idea di favorire il bene comune.

     Il sociologo tedesco Max Weber [1864-1920] nel 1905 ha scritto un’opera fondamentale per capire il calvinismo che s’intitola L’etica protestante e lo spirito del capitalismo e se volete la trovate in biblioteca dove la potete sfogliare e leggerne qualche pagina.

     Calvino ha messo in pratica le sue idee a Ginevra che è diventata “la città santa” del calvinismo [qualche settimana fa - e forse vi ricordate - abbiamo detto che, se la Repubblica dello Spirito Santo disegnata da Savonarola avesse funzionato, Firenze sarebbe diventata la Ginevra d’Italia]. La morale calvinista ha favorito [per un certo periodo] gli affari in funzione della solidarietà e Ginevra si è trovata ad essere una città priva di disoccupazione e la miseria è stata abbattuta. Il centro della vita culturale di Ginevra è diventata l’Accademia di Studi calvinisti [potremmo definirla una Scuola di economia politica], fondata nel 1559, che aveva ben 1500 alunni, e molti di loro sono diventati i missionari in Europa delle idee calviniste.

     Purtroppo però Calvino non è diventato il teologo del capitalismo liberista e il filosofo dell’etica capitalista perché il capitalismo ha fondato poi la sua ideologia sullo sfruttamento della manodopera, e la logica del profitto ha soppiantato l’idea che gli affari si fanno [e si trova soddisfazione a farli] solo in funzione del bene comune.

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Giovanni Calvino si è domandato più volte perché fanno molti soldi anche e soprattutto i disonesti, lui ha sempre sostenuto che prima o poi saranno costretti a pagare ...

Voi che ne dite?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     E ora torniamo ad osservare il soffitto della Cappella Sistina.

     Nel terzo trittico della fascia centrale del soffitto della Cappella Sistina la pittorica narrazione michelangiolesca riprende dieci generazioni dopo il peccato di Adamo ed Eva, quando gli esseri umani hanno cominciato a popolare la terra ma, purtroppo, stanno sfruttando il libero arbitrio quasi solo per seguire l’Yetzer ha-Rà [la cattiva inclinazione] e, di conseguenza, nel Libro della Genesi ci si trova di fronte alla storia di Noè, che è l’unico a volere seguire l’Yetzer ha-Tov [l’inclinazione a fare il bene].

     I tre pannelli della storia di Noè sono quelli che Michelangelo ha affrescato per primi a cominciare dal 1508 [per la ragione che il ponteggio si muove dal fondo verso la porta principale]. Michelangelo nell’illustrare la storia di Noè non segue l’ordine cronologico [e questo fatto, comunque, non incide sulla lettura dell’opera]: infatti il primo pannello è quello con il Sacrificio di Noè anche se il rito del sacrificio avviene dopo il tragico avvenimento del diluvio universale che avrebbe dovuto essere dipinto prima ma l’inversione è stata fatta per poter utilizzare meglio gli spazi.

     Nel pannello del Sacrificio di Noè al centro, attorniato dalla sua famiglia e dagli animali da sacrificare, c’è la figura del patriarca che in veste rossa officia un atto solenne che sancisce la riconciliazione di Dio con l’Umanità. Michelangelo, quando dipinge questa scena e anche le due scene seguenti, è all’inizio dell’impresa pittorica e, preso dall’entusiasmo imbastisce una composizione gremita di figure che sono più piccole rispetto ai tre pannelli di Adamo ed Eva e, soprattutto, rispetto ai tre pannelli del Creatore dove la figura di Dio grandeggia occupando da sola lo spazio dei riquadri, e questo significa che Michelangelo, in corso d’opera, ha ridimensionato la mole del suo lavoro e ha imparato a gestire meglio i campi. Nel Sacrificio di Noè l’enfasi narrativa di Michelangelo anima i gesti più semplici dei partecipanti [una figura porta la legna da ardere, un’altra soffia sulla fiamma]. Noè lo si vede alzare un dito verso il cielo a significare che quel primo altare sacrificale non viene dedicato a un culto idolatra pagano ma all’unico Dio.

     C’è da dire che i due personaggi in primo piano a sinistra - che raffigurano uno dei tre figli di Noè e un’enigmatica figura femminile con una corona d’alloro sul capo che è il simbolo di Nike, la dea della vittoria - appaiono di diversa coloritura rispetto alle altre e ciò dipende dal fatto che questa parte del soffitto è stata attaccata dall’umidità e dalle muffe per cui è accaduto che, circa una generazione dopo l’inaugurazione dell’opera, l’intonaco si è staccato e i suoi frammenti sono caduti sul pavimento polverizzati. Nel 1568 [Michelangelo era morto da quattro anni] un pittore che si chiama Domenico Carnevali ha ricevuto l’incarico di rifare quella parte di decorazione, e la formula dei suoi colori e del suo intonaco, non è stata qualitativamente all’altezza di quella dei materiali usati da Michelangelo e, col tempo, l’intervento del Carnevali si è scurito irrimediabilmente ma questo fatto ha permesso di distinguere bene l’opera di Michelangelo da quella aggiunta. Si pensa che Michelangelo non abbia dipinto un’immagine della dea Nike e non sappiamo che cosa aveva raffigurato lì, così come non sappiamo [e non capiamo] per quale ragione il Carnevali abbia affrescato questa figura femminile, la dea della vittoria.

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Su un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete osservate il pannello del Sacrificio di Noè...

     E ora siamo arrivate ed arrivati ad osservare la grande e complessa scena del Diluvio universale che Michelangelo ha realizzato grazie ad una intelligente tecnica narrativa diacronica [dilatata in tre tempi].

     La scena del Diluvio universale è anche famosa per la tormentata storia legata alla sua realizzazione, infatti, la prima stesura è stata, in gran parte, distrutta da Michelangelo quando hanno cominciato a comparire le muffe a causa dell’eccessiva umidità dell’intonaco e della sua troppo rapida asciugatura: una porzione superstite è stata individuata sulla destra, in corrispondenza dell’isolotto coperto da una tenda. Per la realizzazione di questa scena Michelangelo si è avvalso - perché se ne riconosce la presenza [ma solo in certi spazi assai limitati] - di alcuni aiutanti, probabilmente dei pittori fiorentini Francesco Granacci [1477-1543] e Giuliano Bugiardini [1475-1554]. Michelangelo dipinge la tragedia dell’umanità peccatrice e la salvezza di Noè e della sua famiglia con una raffinata tecnica narrativa diacronica [con i fatti considerati nella successione del tempo].

     In primo piano, sopra un alto scoglio, Michelangelo  ha riunito una folla incalzata, ma non sopraffatta, dall’inondazione perché sono passati solo alcuni giorni dall’inizio del diluvio e le acque salgono “poderose” [come si legge nel Libro della Genesi] ma si nutre ancora la speranza di salvare i bambini, gli animali, la roba. Nel piano intermedio Michelangelo dipinge la tragedia in pieno svolgimento: le acque raggiungono gli ultimi lembi di terra emersa, come l’isolotto dove la gente cerca di salire e di ripararsi dalla pioggia scrosciante sotto una sorta di tendone. A metà del campo visivo Michelangelo dipinge una scialuppa che imbarca acqua e si rovescia: il mondo è sommerso, poiché “le acque [come si legge nel Libro della Genesi] si innalzarono sempre di più sopra la terra e coprirono tutti i monti più alti che sono sotto tutto il cielo”, e la furia del vento non lascia scampo neanche ai naviganti.

     In secondo piano Michelangelo dipinge l’Arca, bella e solida come un palazzo, mentre un gruppo di sopravissuti tenta invano di salire e di entrare nell’imbarcazione della salvezza. Da una finestra dell’Arca, sul lato destro, si affaccia Noè e domina le acque e, forse, già libera il corvo verso il cielo che si rasserena, mentre la colomba resta in attesa nella piccionaia sul colmo del tetto: il lento ritiro delle acque è in corso e saremmo, secondo il calcolo biblico, a più di undici mesi dall’inizio del diluvio.

     Per mantenere una puntuale adesione al testo del Libro della Genesi [dove l’episodio del diluvio viene narrato due volte] Michelangelo dilata nel tempo la durata dell’evento raffigurato.

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Su un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete osservate il pannello del Diluvio universale...

     E così siamo giunte e siamo giunti ad osservare l’ultimo pannello dell’affresco che adorna il soffitto della Cappella Sistina.

     L’ultimo pannello della fascia centrale del soffitto della Cappella Sistina riporta la scena della Ebbrezza di Noè. Anche questa scena è stata raffigurata da Michelangelo con un doppio registro cronologico. A sinistra Noè, lontano nel tempo e nello spazio, pianta la vigna, mentre in primo piano giace ubriaco e scoperto presso il tino. Davanti a Noè ci sono i suoi tre figli, e Cam lo indica con derisione ai fratelli mentre Sem e Iafet lo ricoprono col mantello.

     Michelangelo, con questa vicenda di sregolatezza, di mancanza di rispetto filiale e di maledizione della prole - perché Noè, quando torna sobrio, maledice la stirpe di Cam -  vuole rappresentare l’Umanità che torna a macchiarsi del peccato e, quindi, dopo quella primordiale di Adamo ed Eva, siamo di fronte ad una nuova caduta che renderà necessaria, nel piano divino improntato all’amore per gli esseri umani, la Redenzione tramite il sacrificio di Gesù Cristo così come lo ha raccontato e ordinato in dottrina Paolo di Tarso nelle sue Lettere.

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Su un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete osservate il pannello della Ebbrezza di Noè...

     L’affresco del soffitto della Cappella Sistina è un’opera che determina il cambiamento di un’epoca e, difatti [come abbiamo già detto più di una volta] la data della sua inaugurazione [il 31 ottobre 1512] viene considerata una di quelle sensibili per dare inizio all’Età moderna.

     L’affresco del soffitto della Cappella Sistina è anche un’icona che contiene le parole-chiave più importanti e le idee più significative del pensiero rinascimentale e noi, in funzione didattica, abbiamo utilizzato questo oggetto straordinario come veicolo per attraversare il territorio della sapienza poetica e filosofica agli albori dell’Età moderna.

     Oggi ci si domanda - tenendo anche conto del fatto che questo affresco non ha un nome [e l’espressione “Volta Sistina” è solo una didascalia generica] - quale sia il significato di quest’opera. Le studiose e gli studiosi, nei secoli, hanno riflettuto prendendo spunto da un’idea dell’Umanesimo rinascimentale, formulata tanto da Marsilio Ficino quanto da Pico della Mirandola, che riguarda la funzione che deve avere lo studio: lo studio è l’attività che crea un ponte tra le culture, le civiltà, le fedi. Michelangelo, insieme a Giulio II e Fedra Inghirami, ha ben chiaro questo monito dei suoi maestri e, siccome non c’è Arte senza studio e lo studio è l’attività che crea un ponte tra le culture, le civiltà e le fedi, quindi, anche l’affresco del soffitto della Cappella Sistina può essere definito “un ponte”, un ponte gettato tra il creatore e le creature, tra le creature e la creazione, tra l’esteriorità e l’interiorità della persona. Perché Michelangelo, sebbene sia consapevole di essersi guadagnato l’immortalità,  è deluso? È deluso perché è consapevole del fatto che il meraviglioso “ponte” che lui ha gettato non verrà utilizzato da nessuno: le culture si chiudono in se stesse, le civiltà si barricano nei loro confini, le fedi proclamano la loro unicità respingendo l’idea di unitarietà.

     Anche per questo l’inquietudine è una caratteristica dell’epoca rinascimentale, la persona del Rinascimento è afflitta dalla solitudine esistenziale perché matura la convinzione che tutto è destinato a finire [tutto fugge tuttavia, scrive Lorenzo], tutto è destinato a consumarsi, e l’animo è stretto in una morsa che sfocia nell’impotenza [di doman non c’è certezza, scrive Lorenzo], e l’unica certezza è che “l’individuo è in attesa di un processo che lo consegnerà, tremante, nella mani del boia” e come avete capito la citazione è di Franz Kafka, una citazione [che comincia a celebrare la fine dell’Età moderna] che sarebbe piaciuta a Michelangelo perché si addice al suo carattere, un carattere profondamente inquieto che accompagnerà l’artista fino alla fine dei suoi giorni, fino al 18 febbraio del 1564 quando, insieme a Michelangelo [secondo la tradizione] finisce anche il Rinascimento. E, nel momento di dire addio ad una lunga vita [89 anni è un record per l’epoca], Michelangelo deve aver pensato, e questo pensiero deve avergli strappato un sorriso, che proprio il 18 febbraio di mezzo secolo prima [nel 1513] è morto anche Giulio II e, forse, questo è stato per lui un ultimo motivo di consolazione.

     A Michelangelo sarebbe piaciuto anche il testo della pagina di Franz Kafka che adesso leggiamo per concludere questo itinerario.

     Quando Kafka è morto nel 1924, appena quarantenne, tra le sue carte c’erano dei “racconti”, alcuni brevissimi e altri più ampi [Preparativi di nozze in campagna, Un incrocio, L’avvoltoio, Indagini di un cane, La tana, Il ponte]. Questi scritti sono dei canovacci [delle trame, delle tracce, degli abbozzi, degli schemi, delle bozze] che lo scrittore avrebbe voluto trasformare in romanzi allegorici [sullo stile de La metamorfosi per intenderci]. Anche l’affresco del soffitto della Cappella Sistina può essere definito “un ponte”, un ponte gettato tra l’esteriorità e l’interiorità della persona, così come “il ponte” che dà il titolo al racconto allegorico scritto da Kafka nel 1917.

LEGERE MULTUM….

Franz Kafka, Il ponte

Ero rigido e freddo, ero un ponte, stavo sopra un abisso. Di qua avevo le punte dei piedi, di là avevo confitto le mani, e mi tenevo rabbiosamente aggrappato all’argilla friabile. Da una parte e dall’altra mi si agitavano le falde della giacca. In fondo rumoreggiava il gelido torrente popolato di trote. Nessun turista si smarriva fino a quelle impervie altezze, il ponte non era ancora registrato nelle carte topografiche.

Così me ne stavo e aspettavo. Dovevo aspettare. Un ponte, una volta costruito, non può cessare di esser ponte senza precipitare.

Una volta, era verso sera - la prima? la millesima? non so -, i miei pensieri erano sempre confusi e giravano in tondo. Verso sera, d’estate, il torrente scrosciava più buio, udii il passo di un essere umano. A me, a me! Stenditi, ponte, mettiti in posizione, trave senza spalletta, reggi la persona che ti viene affidata. Pareggia insensibilmente il suo passo incerto, ma se vacilla, fatti conoscere e come una divinità montana scagliala a terra.

Quella persona venne, mi percosse con la punta ferrata del bastone, sollevò con essa le mie falde e me le aggiustò addosso. Infilò la punta nei miei capelli folti e ve la lasciò a lungo, probabilmente guardandosi ansiosamente intorno. Ma poi - stavo appunto seguendola nel sogno per monti e valli - mi balzò in mezzo al corpo a piedi pari. Rabbrividii per un dolore lancinante, ignaro di tutto. Chi era? Un bambino? Un sogno? Un bandito? Un suicida? Un tentatore? Un distruttore? E mi girai per vedere chi fosse.

Un ponte che si volta! Non mi ero ancora voltato che già precipitavo, precipitavo e già ero straziato e infilzato sui sassi aguzzi che mi avevano sempre fissato così pacifici dall’acqua impetuosa.

     Michelangelo alla fine del lavoro di dipintura del soffitto della Cappella Sistina è soddisfatto ma è consapevole del fatto che il meraviglioso “ponte” che lui ha gettato non verrà utilizzato da nessuno: le culture si chiudono in se stesse, le civiltà si barricano nei loro confini, le fedi proclamano la loro unicità respingendo l’idea di unitarietà, e questo è il clima che investe il travagliato inizio della “modernità” della quale [dal prossimo autunno] continueremo ad attraversare il territorio.

     Ma questo viaggio non è ancora finito, c’è ancora un itinerario [un po’ più breve ma pur sempre denso: andremo nel nuovo mondo a combattere per l’autonomia dei popoli oppressi e ci guida un domenicano d’assalto] e, quindi, non perdete l’ultimo itinerario perché ciascuna e ciascuno di noi deve continuare a mantener sempre desta la propria volontà di imparare…

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 19, 2017