ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza 25-26-27 ottobre 2017
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA
VIENE IMPOSTATA E DIBATTUTA LA QUESTIONE DELLA LINGUA ITALIANA ...
La scorsa settimana, nell’ambito del tradizionale e ripetitivo “rituale della partenza”, del quale dobbiamo compiere ancora un atto, abbiamo cominciato ad affrontare il tema dell’autonomia della Lingua.
Sappiamo che la parola-chiave “autonomia” caratterizza l’epoca moderna e la ragione per cui ci stiamo dedicando a questo tema [il tema dell’autonomia della Lingua] dipende dal fatto che questo argomento è legato alla pubblicazione, avvenuta a Ferrara nel 1516, del poema Orlando furioso di Ludovico Ariosto un’opera che, insieme ad altre opere significative di cui abbiamo studiato il contenuto nel corso del viaggio dello scorso anno, concorre alla nascita della modernità.
Dell’Orlando furioso abbiamo cominciato a leggere le prime ottave del primo canto con l’obiettivo di familiarizzarci con “la Lingua cinquecentesca” del poema che ha per noi un buon tasso di comprensibilità: infatti, è in questo momento, agli albori dell’Età moderna, che una determinata Lingua con una serie di caratteristiche precise si sta predisponendo a diventare la Lingua italiana [e noi dobbiamo avere un’idea del fatto che la Lingua che utilizziamo per comunicare ha una storia che non si perde nella notte dei tempi].
A compiere questa operazione ha contribuito - oltre al poeta Ludovico Ariosto e a molti altri letterati e letterate - soprattutto un personaggio che abbiamo incontrato la scorsa settimana e che continua ad accompagnarci: Pietro Bembo, nato a Venezia nel 1470 e figlio dell’umanista Bernardo Bembo e di Elena Morosini, del quale abbiamo conosciuto la biografia nel periodo della gioventù, a cominciare da quando, ancora bambino, durante il suo soggiorno a Firenze, al seguito del padre ambasciatore, impara con un precettore che lo segue nello studio la Lingua toscana [una Lingua che a lui piace molto e che, per la sua qualità, sceglierà come propria per tutta la vita], e poi lo abbiamo seguito quando, ventiduenne, si trasferisce e soggiorna a Messina con il suo amico Angelo Gabriele per frequentate la Scuola di greco del filologo umanista Costantino Lascaris.
Sappiamo che, durante questa permanenza siciliana, Pietro Bembo con Angelo Gabriele compie un’ascensione sull’Etna [partendo dal paese di Randazzo che sta vivendo un periodo particolare di prosperità: visitatelo con una guida della Sicilia e navigando in rete] e vive un’esperienza emozionante che narra nella sua prima opera, dedicata a Angelo Gabriele, intitolata De Aetna [scritta in latino sotto forma di dialogo platonico immaginando di avere come interlocutore suo padre Bernardo] e sulla quale - anche con la collaborazione di Maria Corti autrice del saggio Catasto magico - abbiamo puntato l’attenzione la scorsa settimana. E ora continuiamo ad occuparci della biografia di Pietro Bembo per poter studiare le sue idee in campo linguistico perché queste idee hanno condizionato la nascita e lo sviluppo della Lingua italiana e se noi parliamo così [con questo lessico, con questa grammatica, con questa sintassi, sebbene le Lingue siano apparati in continuo movimento] lo dobbiamo soprattutto al pensiero di Pietro Bembo, un pensiero che anche Ludovico Ariosto ha seguito facendolo proprio.
Pietro Bembo lascia Messina nel 1494 dopo aver frequentato con profitto, insieme al suo amico Angelo Gabriele, la rinomata Scuola di greco di Costantino Lascaris, collocata dal 1468 nel convento basiliano di San Salvatore. Come sappiamo, Costantino Lascaris è un dotto umanista bizantino fuggito da Costantinopoli dopo la conquista ottomana della città.
Pietro Bembo ritorna a Venezia e collabora attivamente con il letterato Aldo Manuzio che ha dato inizio al primo importante programma editoriale [nasce l’editoria moderna, non ci si limita a stampare dei libri ma se ne cura anche la forma dal punto di vista estetico (la dimensione, la rilegatura, i caratteri) per migliorare la lettura del testo] e possiamo dire che l’editoria moderna ha avuto inizio con la pubblicazione, nel 1495, del testo della grammatica greca di Costantino Lascaris il cui manoscritto viene portato da Messina a Venezia da Pietro Bembo e da Angelo Gabriele: la grammatica greca di Costantino Lascaris porta il titolo di Erotemata dal termine “erōtēmatikós” che in greco significa “interrogativo” perché il metodo di Lascaris, come nello studio odierno delle Lingue, si basa “sul procedimento della domanda e della risposta” [Costantino Lascaris applica allo studio della Lingua il metodo filosofico di Socrate che è detto “erotematico”] e, per secoli, nelle Scuole europee, il greco è stato studiato sulla grammatica di Costantino Lascaris.
Tra il 1497 e il 1499 Pietro Bembo studia all’Università di Padova, dove frequenta le Lezioni dell’aristotelico Pietro Pomponazzi, e, nel frattempo, frequenta la corte di Ferrara che i duchi d’Este, come già sappiamo, a cominciare da Ercole I, hanno trasformato in un importante centro letterario e musicale.
A Ferrara Pietro Bembo incontra Ludovico Ariosto e, anche consigliandosi con lui, visto che tra i due nasce una bella amicizia, inizia la stesura di un’opera, scritta sullo stile dei dialoghi di Platone, intitolata Gli Asolani [i dialoghi Asolani], pubblicata nel 1505 con una dedica [una sorta di distacco consensuale] a Lucrezia Borgia.
Pietro Bembo conosce Lucrezia Borgia [1480-1519] a Ferrara nel 1502 dopo che lei l’anno prima ha sposato [ed è già al terzo matrimonio a causa delle manovre di suo padre, il papa Alessandro VI, e di suo fratello Cesare] Alfonso I d’Este, figlio del duca Ercole I di cui erediterà il titolo nel 1505, e fratello di Isabella d’Este e del cardinale Ippolito al quale Ludovico Ariosto dedica l’Orlando furioso. Alfonso (1476-1534) è al secondo matrimonio, è vedovo senza figli di Anna Sforza].
Lucrezia rimane subito colpita dalla bellezza e soprattutto dalla cultura di Pietro Bembo [che frequenta la corte estense per motivi di studio] il quale, nel 1501, sempre su sollecitazione di Aldo Manuzio, aveva curato un’edizione del Canzoniere di Petrarca [e Lucrezia desidera proprio incontrare qualcuno che le legga e le commenti le Rime di Petrarca che stanno ora raggiungendo la fama dopo oltre un secolo] e poi Bembo sta anche preparando la pubblicazione, sempre con Aldo Manuzio, dell’edizione della Divina Commedia di Dante [e dobbiamo dire che queste edizioni sono state pietre miliari che hanno contribuito all’affermazione del nuovo umanesimo rinascimentale e al processo di autonomia della Lingua italiana volgare]. Tra Pietro e Lucrezia nasce una relazione che dalle Lettere non pare solo di natura “intellettuale” anche se l’argomento di cui trattano è quello de “l’amor platonico” che però, sebbene molto orientato alla spiritualità, non esclude il coinvolgimento fisico [un tema-cardine, questo dell’amor platonico, sollevato dalla corrente pedagogico-filologica del neoplatonismo diretta da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, come molte e molti di voi sanno dal viaggio dello scorso anno].
Il testo della dedica dell’opera Gli Asolani [che tratta l’argomento dell’amor platonico] ci fa capire - siamo nel 1505 - che la relazione tra Pietro Bembo e Lucrezia Borgia termina come abbiamo detto in modo consensuale, e non solo per la presunta gelosia del marito [il duca Alfonso I], ma anche per altri motivi contingenti: in questo periodo Ferrara è in guerra con Venezia [e Pietro Bembo sarebbe un nemico anche se lui si considera cittadino del mondo più che veneziano], la guerra viene dichiarata e combattuta per il controllo del Polesine, di Rovigo e del mercato del sale [si chiama “la guerra del sale”] e poi succede che nel 1505 a Ferrara arriva la peste che riduce drasticamente la popolazione della città, mentre i potenti, i quali fuggono altrove insieme alla corte, si salvano: Pietro Bembo, prima che la peste si manifesti, è già partito per Urbino.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per rendersi conto di che bel giovane sia Pietro Bembo [al tempo della sua relazione con Lucrezia Borgia] potete, con un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete, osservare il suo ritratto dipinto da Raffaello nel 1504 … e l’oggetto che Pietro Bembo tiene stretto in una mano potrebbe essere una delle Lettere dell’Epistolario che raccoglie la corrispondenza tra lui e Lucrezia Borgia sul tema de “l’amor platonico”, un argomento che richiama i concetti di spiritualità, di idealità, di nobiltà, di purezza, di elevazione perché nel corso del Rinascimento per “amor platonico” s’intende che l’incontro sul piano fisico tra le persone sia corroborato da un fecondo incontro sul piano intellettuale...
Quale di questi termini – spirituale, ideale, nobile, puro, elevato – mettereste per primo accanto alla parola “amore” intesa in senso “platonico”?...
Scrivetelo...
Prima di andare a Urbino insieme a Pietro Bembo dobbiamo puntare l’attenzione su Gli Asolani, opera che, come abbiamo detto, tratta di un tema che non passa mai di moda: l’Amore [l’Eros] ma, in questo caso, l’argomento è strumentale e serve come pretesto perché l’autore possa sostenere un’ipotesi che gli sta a cuore in modo da poter passare, successivamente, dalla teoria alla prassi, ma procediamo con ordine perché la questione è complessa.
Pietro Bembo compone l’opera intitolata Gli Asolani con lo stile, consueto nell’Età dell’Umanesimo e del Rinascimento, del dialogo platonico e immagina che questa conversazione si svolga ad Asolo [da qui il titolo di dialoghi Asolani] alla corte di Caterina Cornaro, regina di Cipro, trasferita ad Asolo perché spodestata nel 1489 in quanto vedova del contestato re di Cipro Giacomo II di Lusignano.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Sulla storia dell’interessante figura della affascinante signora veneziana Caterina Cornaro potete raccogliere informazioni utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete...
Potete, inoltre, con una guida del Veneto e sulla rete, visitare la deliziosa cittadina di Asolo [comune di circa 9 mila abitanti] in provincia di Treviso posta in bellissima posizione sulle colline Asolane ... In Asolo, tra i vari monumenti [l’edificio della “Loggia del Capitano” ospita il museo civico dove ci sono importanti reperti della storia cittadina asolana], si può ammirare la torre medioevale facente parte del Castello dove ha abitato Caterina Cornaro, e poi in via Canova c’è anche la Casa di un’altra celebre e divina signora: l’attrice Eleonora Duse che è sepolta nel cimitero di Asolo… Inoltre agli Uffizi c’è una copia di un ritratto di Tiziano che raffigura Caterina Cornaro ed è un’opera che potete vedere anche in rete…
Quante cose si mettono in movimento sulla scia degli Asolani di Pietro Bembo!...
Quindi lo scrittore immagina che ad Asolo, alla corte di Caterina Cornaro, in occasione dello sposalizio di una dama, si svolga un dialogo nel corso di tre giornate sul tema dell’Amore [dell’Eros]. I dialoganti sono tre virtuali gentiluomini veneziani - Perottino, Gismondo e Lavinello - e altrettante gentildonne. L’argomento viene trattato con delicatezza e con vivacità: il primo a parlare è Perottino [il pessimista] che vede e trova nell’Amore l’origine di ogni dolore umano per i danni che porta al carattere della persona e per le pene che, inevitabilmente, procura. Il secondo interlocutore, Gismondo [l’ottimista], esalta invece le buone qualità dell’Amore, un sentimento vitale che spinge le persone all’operosità e alla creatività. Infine Lavinello, il terzo dialogante, mette in evidenza il concetto dell’Amore platonico [l’Eros] e, a questo punto, Pietro Bembo, per bocca di Lavinello e sulla scia del pensiero di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola, coglie l’occasione per dissertare e argomentare sulla filosofia di Platone, in particolare sul concetto dell’Eros [l’Amor platonico] ma, come abbiamo detto, la sua riflessione è un pretesto perché, in realtà, vuole mettere in evidenza un altro tema: ma seguiamo il ragionamento di Pietro Bembo.
Secondo Platone [scrive Bembo, e ora noi stiamo per ripetere cose che abbiamo più volte detto in questi anni ma il pensiero di Platone - che non tramonta mai - merita di essere continuamente rivisitato], all’origine della conoscenza ci sono i concetti [l’Intelletto non conosce le cose ma conosce il concetto della cosa] i quali non derivano dalla realtà sensibile ma da un’altra Realtà fatta di Enti universali, eterni e immutabili. Questi Enti universali, che Platone chiama “Idee”, sono anche entità “spirituali”: infatti se fossero materiali [scrive Bembo, parafrasando Platone] sarebbero oggetti sensibili e, quindi, sarebbero dotati di una natura “particolare” [insignificante perché soggettiva] e non “universale” [dotata di un reale significato oggettivo]. Di conseguenza la sede delle “Idee” [insegna Platone, e Bembo lo ribadisce facendo parlare Lavinello] non può trovarsi in questo mondo materiale illusorio ma bensì in un mondo trascendente che sta “al di sopra [iper] del firmamento [Uranos]” e che Platone chiama perciò Iperuranio, il reale Mondo delle Idee. Nell’Iperuranio le “Idee”, che sono molteplici, sono legate tra loro da una rete che è a forma di tetraedro, di piramide, con l’Idea del Bene che sta al vertice, e questo significa [scrive Bembo sulla scia del pensiero di Platone] che le varie Idee non sono indipendenti l’una dall’altra ma sono collegate fra loro da rapporti “logici” [le Idee hanno a che fare con l’intelligenza] e da rapporti “morali” [le Idee hanno a che fare con la coerenza]. Tutte le Idee sono collegate tra loro da rapporti “logici” [“sono attuazioni dell’Essere” e l’Essere è Pensiero, è Logos, scrive Platone sulla scia di Parmenide e di Socrate], quindi, le Idee esistono come frutto, come manifestazione, del Logos, del Pensiero universale [difatti le Idee sono l’oggetto del Pensiero, sono l’essenza del Logos, sono il Pensiero stesso] e si esplicitano con la Parola [le Idee si identificano con la Parola e sopra tutto ci sono le Idee e in principio c’è la Parola, e anche il termine “Parola” in greco si traduce Logos] e per questo le Idee sono, attraverso la Parola, in comunione tra loro, sono imparentate, e da questo dipende [scrive Platone nel Timeo] l’Unità all’Universo: da questa riflessione capiamo [scrive Pietro Bembo ne Gli Asolani] quanto sia importante la Lingua per “dare forma” alle Idee [ecco dove vuole arrivare Pietro Bembo: ad affermare che senza il Linguaggio le Idee non hanno forma].
Le Idee sono poi collegate tra loro da rapporti “morali” in quanto il Mondo delle Idee è dominato dall’Idea del Bene [Àgaton] e questo significa che tutte le Idee sono disposte [scrive Platone] secondo una scala di Valori e sono ordinate proprio come è “bene che siano ordinate” affinché ciascuna possa contribuire, facendo la sua parte, a realizzare quel complesso armonico che è l’Universo. Questo significa che tutte le Idee sono in relazione con l’Idea del Bene per cui fra le varie Idee si stabilisce un rapporto intimo [erotico], e Platone, per spiegare questo pensiero, utilizza [e Bembo, a sua volta, lo ribadisce] un linguaggio poetico quando, nel dialogo intitolato Repubblica, scrive che: «Come il sole dà vita e illumina le cose, così l’Idea del Bene dà vita e rende intelligibili [cioè illumina] tutte le altre Idee, e il sole genera [dìnamis] energia materiale mentre l’energia prodotta dall’Idea del Bene è l’Eros [l’Amore]». «L’Amore, l’Eros [che è, innanzi tutto, puro spirito di conoscenza] è [scrive Bembo ne Gli Asolani, parafrasando Platone] l’energia generata dall’Idea del Bene» e di conseguenza, sulla base di questa asserzione, Pietro Bembo imbastisce il suo ragionamento perché l’enunciazione del pensiero neoplatonico sul tema dell’Amore è per lui un pretesto: «L’Amore [scrive Bembo], in quanto energia emanata dall’Idea del Bene, unisce le anime e le innalza a una sfera di purezza che è contemplazione della verità e finezza di sentimento e questa energia erotica si trasmette e si propaga attraverso la Parola, e si diffonde solo per mezzo di un linguaggio che sia dotato di eleganza e di finezza e queste doti [afferma Bembo, arrivando al dunque, al motivo per cui ha scritto Gli Asolani] noi le troviamo, prima di tutto, nella Lingua di Francesco Petrarca » [dopo più di un secolo la poetica di Petrarca sta affascinando gli umanisti rinascimentali].
La Lingua poetica che Petrarca utilizza, scrive Bembo, per comporre le Rime del Canzoniere è il veicolo più idoneo con cui l’Eros [l’Amore platonico] si propaga in quanto energia generata dall’Idea del Bene, e questa dichiarazione rivela l’obiettivo per cui Pietro Bembo ha scritto Gli Asolani. L’obiettivo del dialogo Gli Asolani di Pietro Bembo è prettamente di natura letteraria, il suo intento è quello di affermare che «la Lingua di Francesco Petrarca costituisce il modello da seguire, è l’esemplare necessario da imitare se si vuole che le Idee prendano forma». La Lingua del Petrarca, scrive Pietro Bembo, non è solo “bella” dal punto di vista poetico ma, per come è strutturalmente costruita [per la sua valenza logica che stimola la persona a essere intelligente, e per la sua valenza morale che esorta la persona a essere coerente], costituisce un apparato utile a “illuminare il pensiero”: perché qual è il pericolo [da cui Platone ci mette in guardia] ci ricorda Bembo? Il pericolo da scongiurare è che non tutti i pensieri sono “Idee” [entità spirituali , logiche e morali]: un pensiero è un’Idea solo quando è volto alla realizzazione del bene comune contrariamente il pensiero assume facilmente i contorni di “una furberia” e diventa il risultato dell’astuzia della Ragione e, quindi, non tutti i pensieri sono “Idee” ma solo quelli illuminati dall’Idea del Bene e sostenuti dall’energia dell’Eros [dell’Amore]. Petrarca, sostiene Pietro Bembo, è, in quanto studioso dei Dialoghi di Platone, perfettamente consapevole di questa realtà e, quindi, affina la sua Lingua [nel lessico, nella grammatica, nella sintassi] costruendola come un baluardo per la salvaguardia della purezza della Ragione.
Pietro Bembo pensa che sia necessario studiare la Lingua [la Volgar Lingua] del Petrarca per poter gettare le basi di un metodo [per costruire il sistema normativo di una Lingua che possa essere definita come “italiana”].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Francesco Petrarca – scrive Pietro Bembo – definisce le qualità di una Lingua [perché una Lingua sia illuminante] con questi aggettivi: chiara, limpida, nitida, tersa, incontaminata...
Quale di questi termini mettereste per primo accanto alla parola “Lingua”?...
Scrivetelo...
Adesso noi approfittiamo della riflessione che Pietro Bembo fa ne Gli Asolani sul tema dell’Amore platonico [dell’Eros] per celebrare l’ultimo atto del tradizionale “rituale della partenza”: infatti dobbiamo ancora osservare i risultati del terzo quesito posto dal questionario di fine anno che chiedeva di scegliere quale fosse per noi il tema più gradito rispetto ai tre argomenti per eccellenza elaborati dalla Filosofia rinascimentale, che sono: il tema dell’Anima [la Psiche], il tema dell’Universo [il Kosmos] e quello della Ragione [il Logos]. La questione dell’Eros [la questione dell’Amore così come la presenta Platone nei suoi Dialoghi e Pietro Bembo ne Gli Asolani] è legata a questi tre argomenti [la Psiche, il Kosmos e il Logos]: in che senso?
Come abbiamo studiato, Platone considera l’Amore [l’Eros] come l’energia che scaturisce dalla suprema Idea del Bene e, difatti [scrive Platone nel Simposio], è l’Eros a dare impulso alla Ragione [sul piano della conoscenza], ad arricchire l’Anima [sul piano della dimensione spirituale] e a mettere in moto l’Universo [«l’Amor che muove il sole e l’altre stelle» ha scritto Dante in chiave teologico-platonica per concludere la cantica del Paradiso della Divina Commedia, dove “l’Amor platonico” diventa l’immagine del Dio cristiano].
Secondo la Filosofia elaborata da Marsilio Ficino e da Pico della Mirandola nelle loro opere, il pensiero neoplatonico segue l’indicazione del Simposio di Platone e considera “l’Amore [l’Eros] come l’energia che scaturisce dalla suprema Idea del Bene” [che con il cristianesimo è andata assumendo caratteri divini rispetto al pensiero laico di Platone] e questa energia [l’Amore, l’Eros] vivifica la Ragione, l’Anima e l’Universo ma con la differenza, come abbiamo studiato nel corso del viaggio dello scorso anno, che il neoplatonismo rinascimentale estende la riflessione sul ruolo di questi tre elementi per chiarirne la funzione [sul piano della conoscenza, della dimensione spirituale e della ricerca scientifica]. Noi, a questo proposito, adesso ci chiediamo come abbiamo risposto al terzo quesito del questionario di fine anno in relazione alle definizioni che sono state date sul tema della Ragione, dell’Anima e dell’Universo nell’ambito della Storia del Pensiero Umano agli albori dell’Età moderna?
Puntiamo la nostra attenzione sulla tabella che contiene il risultato delle nostre scelte in relazione ai tre temi rinascimentali per eccellenza: dell’Anima [la Psiche], dell’Universo [il Kosmos] e della Ragione [il Logos].
Il riquadro riporta – secondo la grandezza dei caratteri – la quantità di consensi che hanno avuto i temi su cui abbiamo riflettuto.
La Ragione-il Logos
mediante lo studio deve diventare consapevole delle sue potenzialità e dei suoi limiti in modo da acquisire le competenze necessarie per praticare la giustizia secondo la Legge uguale per tutti ...
L’Anima-la Psiche
è la parte fremente dell’Intelletto nella quale operano le azioni dell’apprendimento in funzione de lo studio …
L’Universo-il Kosmos
ha una forma che equivale alla conoscenza dell’Universo stesso la cui comprensione è data da lo studio ...
La definizione che, senza ombra di dubbio, ha riscosso più consensi riguarda il tema della Ragione: «La Ragione [il Logos] mediante lo studio deve diventare consapevole delle sue potenzialità e dei suoi limiti in modo da acquisire le competenze necessarie per praticare la giustizia secondo la Legge uguale per tutti». Più distanziato nelle scelte è il tema dell’Anima: «L’Anima [la Psiche] è la parte fremente dell’Intelletto nella quale operano le azioni dell’apprendimento in funzione dello studio». E, infine, quello meno scelto è stato il tema dell’Universo: «La forma dell’Universo [il Kosmos] equivale alla conoscenza che si ha dell’Universo stesso la cui comprensione è data dallo studio».
Come vediamo c’è un filo che lega questi tre temi [un filo che per il pensiero rinascimentale ha un valore fondamentale]: il filo dello “studio”, perché “lo studio” rappresenta l’attività più strettamente legata al concetto dell’Eros in quanto “l’Amor platonico è un’energia permeata dallo spirito di conoscenza” [“La tensione erotica è orientata verso il sapere” afferma Platone nei suoi Dialoghi, e la tensione erotica equivale alla voglia di studiare].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Ci sono momenti particolari in cui si manifesta in voi con maggiore intensità la voglia di studiare?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Sembra che a Pietro Bembo la voglia di studiare sia cresciuta quando nel 1504 Ludovico Ariosto gli ha fatto leggere un certo numero di ottave del poema che ha cominciato a scrivere e che sarebbe diventato l’Orlando furioso.
Sappiamo che [e lo sappiamo dalla loro voce viva] la lettura dell’Orlando furioso ha rallegrato e fatto venire voglia di studiare a tanti personaggi che abbiamo già incontrato [come Niccolò Machiavelli] e che incontreremo strada facendo come Bernardino Telesio, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Galileo Galilei [«Quando entro nel Furioso - scrive Galileo - veggo aprirsi un guardaroba, una tribuna, una galleria regia ornata di cento statue antiche, e ripiena di cose rare, preziose, meravigliose»], tanto per citarne alcuni. Chissà se la lettura dell’Orlando furioso fa lo stesso effetto anche a noi!
Noi abbiamo letto solo le prime 4 ottave del primo canto di quest’opera e abbiamo scoperto una serie di cose interessanti: prima di tutto il fatto che l’autore non ha scritto il poema solo per divertire le cortigiane e i cortigiani del suo tempo ma, soprattutto, ha operato “per dare forma [semantica, grammaticale e sintattica] alla “volgar lingua” e per partecipare al dibattito su “la questione della Lingua”. E poi abbiamo capito che per entrare in contatto con un’opera come il poema dell’Ariosto bisogna essere disposte e disposti a investire in intelligenza perché in ogni verso si trova un rimando, e spesso questo rimando richiama un intero apparato letterario e adesso ci troviamo di fronte a questa situazione perché, dopo aver letto “la proposizione” [la 1ª ottava] e “la dedica” [la 2ª, la 3ª e la 4ª ottava], con le successive cinque ottave Ariosto compone quello che si chiama “l’antefatto” [dalla 5ª alla 9ª ottava del primo canto] e, di conseguenza, dobbiamo procedere con ordine anche perché il tradizionale “rituale della partenza” si è concluso e quasi senza accorgercene abbiamo preso il passo su un territorio ricco di “paesaggi intellettuali” da osservare.
Con le ottave de “l’antefatto” dell’Orlando furioso [dalla 5ª alla 9ª ottava del primo canto] Ludovico Ariosto riprende un racconto rimasto in sospeso. Ludovico Ariosto inizia l’Orlando furioso da dove si è interrotto [a causa della morte dell’autore] l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e, quindi, non si può certo ignorare questo rimando anche se ci mette di fronte a uno scenario piuttosto complesso e interlocutorio: chi è Matteo Maria Boiardo [che abbiamo già citato più di una volta ed è un personaggio che non possiamo ignorare] e che caratteristiche ha il suo poema, Orlando innamorato, il cui titolo è già di per sé provocatorio? Ebbene, rispondiamo a queste domande con il consenso di Pietro Bembo - un consenso necessario, perché stavamo parlando di lui - il quale, però, ci comunica di essere favorevole a che si apra una parentesi sul Boiardo e sulla sua opera.
Matteo Maria Boiardo è nato nel 1441 [33 anni prima di Ludovico Ariosto] a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, ed è il figlio del conte di Scandiano, Giovanni Boiardo, e della nobildonna Lucia Strozzi. La sorella del padre, sua zia Giulia Boiardo, ha sposato Gianfrancesco Pico signore di Mirandola ed è la madre di Giovanni Pico della Mirandola [Pico della Mirandola e Matteo Maria Boiardo sono cugini].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Utilizzando la guida dell’Emilia Romagna e navigando in rete fate un’escursione a Scandiano [Comune di circa 25 mila abitanti, «…terra di sapienti e di poeti…», ha scritto Giosuè Carducci] …
Uno dei luoghi di maggior interesse storico e artistico da visitare sul territorio di Scandiano è certamente la “Rocca dei Boiardo”, buon viaggio...
La formazione culturale di Matteo Maria avviene sotto la direzione del nonno Feltrino Boiardo, amico degli umanisti dell’epoca e umanista lui stesso. Matteo Maria, fin da ragazzo, compone versi in latino e traduce in volgare [dal greco e dal latino] le opere di Erodoto, di Cornelio Nepote, di Senofonte, anche se preferisce dedicarsi al “romanzo popolare” piuttosto che alla Letteratura classica. Inizia ben presto anche a frequentare la corte degli Estensi a Ferrara [dal 1461] ospite del duca Borso d’Este e di suo fratello Ercole che lo sollecita a scrivere il poema cavalleresco che lui ha in mente di comporre, e così Boiardo inizia la stesura dell’Orlando innamorato dopo aver raccolto le sue liriche giovanili in volgare [180 sonetti] in un volume intitolato Amores [Amorum libri tres], tre Libri sul tema dell’Amore [l’argomento è all’ordine del giorno, e Boiardo si rifà a Platone, a Ovidio e a Petrarca]: questo Canzoniere è dedicato ad Antonia Caprara, una ragazza da lui amata in gioventù [la sua Musa recalcitrante] della quale non si hanno notizie e si pensa “recalcitrante” perché Boiardo scrive: «Sola non cura il mio tristo languire, | e sola il può curar; ché solo a lei | il mio viver è in mano e il mio morire». Nel 1472 Matteo Maria si sposa con Taddea Gonzaga di Novellara e hanno sei figli [quattro femmine e due maschi].
Nella primavera del 1473 Boiardo accompagna in una grandiosa cavalcata [la celebre e coreografica cavalcata degli Estensi] il duca Ercole I, succeduto al fratello Borso, fino a Napoli per andare a prelevare la sua sposa Eleonora d’Aragona. Boiardo, nel 1482, ha già completato i primi due Libri dell’Orlando innamorato [di 29 e 31 canti ciascuno] mentre la composizione del terzo Libro procede con molta lentezza, nel giro di dieci anni, dal 1484 alla morte avvenuta il 19 dicembre 1494, e di questo Libro compone solo otto canti interi più 26 ottave del canto IX.
L’Orlando innamorato resta interrotto nel momento in cui arriva in Italia nel settembre 1494 il re francese Carlo VIII chiamato in aiuto da Ludovico il Moro, signore di Milano, contro il re di Napoli. Boiardo, che è capitano dell’esercito estense a Reggio, è costretto [visto lo stato di allerta] a interrompere la stesura dell’Orlando innamorato [e registra questo fatto nell’ultima ottava da lui scritta: «Mentre che io canto, o Iddio redentore, | Vedo la Italia tutta a fiamma e a foco…»], e non avrà più modo di riprendere la stesura del poema a causa della morte sopraggiunta tre mesi dopo.
Come abbiamo già detto, nell’Orlando innamorato Boiardo ha fuso insieme il ciclo carolingio [ponendo come protagonista dell’opera Orlando, paladino di Francia] con il ciclo bretone [quello dei cavalieri della Tavola rotonda di re Artù] e il poema ruota tutto intorno al tema dominante dell’Amore [di quanto sia difficile attuare i principi dell’Amore platonico in quanto energia emanata dall’Idea del Bene]. Non è facile riassumere la trama dell’Orlando innamorato ma, a grandi linee, possiamo dire che la scena si apre con una giostra ordinata da Carlo Magno durante la quale [siamo a Parigi] appare una fanciulla bellissima, accompagnata da quattro giganti e da un guerriero. Tutti i cavalieri presenti alla giostra - anche Orlando e Rinaldo, cugini tra loro - si innamorano della ragazza che si chiama Angelica [un personaggio creato da Boiardo], ed è la figlia del re del Catai [della Cina settentrionale] che è stata inviata lì da suo padre proprio perché, con la sua bellezza e i suoi inganni, possa provocare la rovina della corte carolingia, ed è accompagnata dal fratello Argalìa il quale viene ucciso durante la giostra da Ferraguto o Ferraù che s’impossessa del suo elmo [nell’Orlando furioso questo personaggio, Ferraù, lo incontreremo a suo tempo]. Quindi Angelica, rimasta sola, fugge inseguita da Orlando e da Rinaldo e, durante la fuga beve inconsapevolmente alla fontana dell’amore e s’innamora di Rinaldo che, però, beve alla fontana dell’odio e disgustato se ne torna a Parigi. Intanto Gradasso, re di Sericana, che vuole impossessarsi di Baiardo, il cavallo di Rinaldo, e di Durlindana, la spada di Orlando, invade la Spagna e il re Marsilio, re di Spagna, invoca aiuto a Carlo Magno che subito glielo concede. Rinaldo, comandante dell’esercito, è rapito dal mago Malagigi su richiesta di Angelica e confinato su un’isola lontana.
Gradasso sconfigge prima Marsilio e poi anche Carlo Magno prendendolo prigioniero: lo libererà se gli verranno consegnati il cavallo Baiardo e la spada Durlindana, ma interviene Astolfo, il comandante di Parigi, che propone a Gradasso di risolvere la questione a singolar tenzone, l’arrogante Gradasso accetta sicuro di vincere ma Astolfo lo abbatte e parte alla ricerca dei due cugini. Tutti i guerrieri si ritrovano in Oriente dove Agricane [altro innamorato deluso di Angelica], re di Tartarìa, assedia per vendetta la ragazza nella città di Albracà, e lì Orlando uccide Agricane in un memorabile duello. La scena si sposta in Africa dove Agramante, re dei Mori [che abbiamo incontrato nella prima ottava dell’Orlando furioso], per vendicare la morte del padre Troiano, ucciso da Orlando, prepara la guerra contro la Francia. Dopo vari eventi le cose si complicano per una singolare inversione delle parti: Angelica beve, infatti, alla fontana dell’odio e Rinaldo a quella dell’amore e ne consegue un grave contrasto fra Orlando e Rinaldo entrambi innamorati di Angelica. Carlo Magno, allora, affida Angelica a Namo, duca di Baviera, promettendola in premio al più valoroso nella imminente battaglia contro l’esercito di Agramante. La battaglia, terribile e sanguinosa, viene perduta dai Cristiani, e il poema Orlando innamorato si interrompe con la scena dell’assedio di Parigi dove si è ritirato Carlo Magno.
Ebbene, Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso riprende a raccontare da dove si è interrotto il poema Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Richiedete in biblioteca il volume dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, sfogliatelo e leggetene qualche ottava, per esempio potete completare la lettura dell’ultima ottava [la 26ª] del Libro terzo dove il poema s’interrompe: siate curiose, siate curiosi ...
E noi ora leggiamo l’incipit dell’Orlando innamorato anche per fare il paragone con l’incipit dell’Orlando furioso.
LEGERE MULTUM….
Matteo Maria Boiardo, Orlando innamorato
1. Signori e cavallier che ve adunati
Per odir cose dilettose e nove
Stati attenti e quïeti, ed ascoltati
La bella istoria che ’l mio canto muove;
E vedereti i gesti smisurati,
L’alta fatica e le mirabil prove
Che fece il franco Orlando per amore
Nel tempo del re Carlo imperatore.
Non vi par già, signor, meraviglioso
Odir cantar de Orlando inamorato,
Ché qualunche nel mondo è più orgoglioso,
È da Amor vinto, al tutto subiugato;
Né forte braccio, né ardire animoso,
Né scudo o maglia, né brando affilato,
Né altra possanza può mai far diffesa,
Che al fin non sia da Amor battuta e presa. …
La Lingua utilizzata da Matteo Maria Boiardo - rispetto a quella dell’Ariosto [il quale vuole innovare la Lingua seguendo l’idea della predilezione per il toscano che ha Pietro Bembo] - è ancora molto legata ai dialetti padani e, quindi, la poesia che ne viene fuori è meno armoniosa ed elegante di quella dell’Ariosto ma tuttavia nel linguaggio del Boiardo è presente tutta la schiettezza e l’energia colorita ed efficace dei cantori popolari, un carattere [lombardo] che però non piace a un letterato cinquecentista [toscano] che si chiama Francesco Berni che compone un Rifacimento dell’Orlando innamorato, pubblicato nel 1541, ammodernandolo nello stile ma snaturandolo nella sua sostanza.
Per quanto riguarda i personaggi e i loro caratteri Matteo Maria Boiardo è un innovatore e crea nuove figure come Rodomonte, Ruggiero e soprattutto Angelica, e rinnova profondamente il carattere di personaggi come Orlando e Rinaldo dando loro una nuova personalità letteraria, e il fatto che Orlando venga presentato come «innamorato» è una notevole novità [la tradizione presentava Orlando con la caratteristica di essere casto e di aspetto non bello, addirittura guercio]. Angelica poi rappresenta una femminilità e una bellezza ormai del tutto fisiche e corporee, questo personaggio è ben lontano dalla figura angelicata della Beatrice di Dante e non è dotato della rettitudine della Laura del Petrarca ma si presenta come una figura piuttosto “smaliziata” [questo risulta indice di modernità].
Nell’Orlando innamorato si coglie anche la nostalgia per il mondo cavalleresco medioevale [un tema che comincia ad avere uno sviluppo letterario, al quale il genere del romanzo moderno - che sta per comparire - deve molto] ma i tempi sono cambiati e la figura del cavaliere appare completamente trasformata, e non è più rappresentato come un eroe per eccellenza, come il depositario di tutte le virtù, ma è un uomo con le debolezze, le passioni, i sentimenti, le difficoltà tipiche di tutti gli altri uomini: le sue gesta e le sue azioni sono prevalentemente mosse dall’Amore [dall’Eros] che, nell’Orlando innamorato, diventa il tema centrale di tutta la narrazione ed è anche il principale motivo del travaglio interiore che accompagna il cavaliere perché lui sa - l’autore del poema sa [tanto il Boiardo quanto l’Ariosto] - che andrebbero rispettate le caratteristiche dell’Amore platonico. Infatti, solo se scaturisce dall’Idea del Bene l’Amore [l’Eros] può essere un’energia positiva: utile, vantaggiosa, fruttuosa, efficace, costruttiva, proficua, ma la gestione dell’Eros non è una cosa facile né per i cavalieri di re Artù né per i paladini carolingi.
Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso riprende a raccontare da dove si è interrotto il poema Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e a questo punto - dopo la necessaria premessa che abbiamo fatto - possiamo leggere, con le Note di commento, le cinque ottave de “l’antefatto” [dalla 5ª alla 9ª del canto primo] dell’Orlando furioso.
Ludovico Ariosto dalla 5ª alla 9ª ottava del primo canto dell’Orlando furioso presenta “l’antefatto” nel quale si ricorda come Orlando e Rinaldo - che sono ambedue innamorati di Angelica - siano venuti a contesa per lei, e per questo motivo re Carlo [Carlo Magno] ha consegnato la fanciulla al duca Namo di Baviera perché la custodisca, promettendola a quello dei due paladini che avrà acquistato maggior merito nell’imminente battaglia contro gli Infedeli. Il fatto è che gli Infedeli sconfiggono e mettono in fuga i Cristiani, e Angelica, rimasta senza custodia - visto che anche il duca di Namo viene preso prigioniero - può lasciare liberamente il padiglione nel quale era ospitata.
Nella 5ª ottava [e qui Ariosto afferma che sta ricongiungendo la sua narrazione a quella del poema di Boiardo] si legge che Orlando - che per tanto tempo era stato innamorato della bella Angelica e per lei aveva lasciato in Oriente [in India, in Media, in Tartarìa, dove Angelica era fuggita dopo che Ferraù aveva ucciso, nel torneo di Parigi, suo fratello Argalia come racconta Boiardo nell’Orlando innamorato] trofei immortali ed in numero infinito [tra i trofei c’è anche l’uccisione di Agricane, re di Tartarìa, che insidiava Angelica e lei, tramite Orlando innamorato, si libera di questo molesto pretendente]. Orlando, quindi, con la donna amata, torna in Occidente [in Ponente] dove, ai piedi degli alti monti Pirenei, con i guerrieri di Francia e di Germania, il re Carlo aveva piantato le tende del suo accampamento in campo aperto.
Orlando crede che Angelica, riconoscente, stia andando volentieri con lui ma non è così, e poi bisogna tenere presente che dietro a loro parte anche Rinaldo il quale in precedenza, avendo bevuto alla fonte dell’odio, fugge Angelica, mentre lei, essendosi abbeverata alla fonte dell’amore lo inseguiva, ma ora la situazione si capovolge, lei, inavvertitamente, beve alla fonte dell’odio e lui alla fonte dell’amore e così lui la insegue mentre lei lo fugge. In definitiva Angelica non è disposta a concedersi né a Orlando né a Rinaldo.
Nella 6ª ottava si capisce che i paladini Orlando e Rinaldo tornano in Francia richiamati da re Carlo il quale [a questo punto il soggetto diventa Carlo Magno] ha preparato la guerra contro il re di Spagna Marsilo e il re d’Africa Agramante perché si pentano [“si battano la guancia” scrive Ariosto utilizzando un significativo modo di dire popolaresco] ancora una volta delle loro folli azioni: Agramante per avere condotto dall’Africa tante persone in grado di portare la spada e la lancia, e Marsilio per avere condotto la Spagna nella distruzione del bel regno di Francia. Ed è così che Orlando arriva sul posto al momento giusto, ma subito si pente di esservi giunto.
Orlando - si legge nella 7ª ottava - si pente perché la donna che lui ama gli viene tolta, ecco come il giudizio umano spesso sbaglia! La donna che dalle coste Orientali [dagli esperii] a quelle Occidentali [ai liti eoi] lui ha difeso con una tanto lunga guerra, ora gli viene tolta, gli viene portata via, in mezzo ai suoi amici, senza adoperare la spada, sulla sua terra, e questo perché il saggio imperatore Carlo Magno, con la volontà di estinguere un grave incendio [di evitare la pericolosa contesa d’amore tra i paladini], ha deciso di togliergliela.
LEGERE MULTUM….
Ludovico Ariosto, Orlando furioso I 5-7
5. Orlando, che gran tempo inamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartarìa lasciato
avea infiniti ed immortal trofei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e di Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna,
6. per far al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia,
d’aver condotto, l’un, d’Africa quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
l’altro, d’aver spinta la Spagna inante
a destruzion del bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi a punto;
ma tosto si pentì d’esservi giunto;
7. che vi fu tolta la sua donna poi:
ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperii ai liti eoi
avea difesa con sì lunga guerra,
or tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza spada adoprar, ne la sua terra.
Il savio imperator, ch'estinguer volse
un grave incendio, fu che gli la tolse. …
Pochi giorni prima era infatti iniziato un conflitto tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, perché entrambi, per la rara bellezza di Angelica, avevano l’animo infiammato dal desiderio amoroso. Carlo non vede di buon occhio questa lite, che mette in dubbio il loro aiuto in battaglia, e allora decide di prendere questa fanciulla [Angelica], che è la causa della disputa, e la consegna nelle mani del duca Namo di Baviera che appare come il vecchio e saggio consigliere di Carlo nella Chanson de Roland e in tutti i cantari successivi, francesi e italiani. Re Carlo promette di darla in premio a chi dei due, Orlando e Rinaldo, nell’imminente conflitto, in quella battaglia campale, avesse ucciso il maggior numero di infedeli, rendendo, con la sua mano, il maggior servizio [“e di sua man prestassi opra più grata”]. Il fatto è che gli eventi hanno fatto venir meno le promesse [“Contrari ai voti poi furo i successi”], perché i cristiani [“la gente battezzata”] perdono la battaglia e devono ritirarsi e, insieme a molti altri, anche il duca Namo viene fatto prigioniero e la sua tenda rimane vuota e Angelica [bontà sua] resta incustodita.
LEGERE MULTUM….
Ludovico Ariosto, Orlando furioso I 8-9
8. Nata pochi dì innanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che ambi avean per la bellezza rara
d’amoroso disio l’animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l’aiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa n’era, tolse,
e dié in mano al duca di Bavera;
9. in premio promettendola a quel d’essi
ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,
degli infideli più copia uccidessi,
e di sua man prestassi opra più grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
ch’in fuga andò la gente battezzata,
e con molti altri fu ‘l duca prigione,
e restò abbandonato il padiglione. …
E, a questo punto, inizia la fuga di Angelica e iniziano anche i suoi incontri [con chi? Lo vedremo].
Dalla lettura di queste ottave si capisce quale sia l’intenzione di Ariosto: oltre a quella di narrare una serie di avventure, il poeta vuole cimentarsi nell’utilizzo di una Lingua che abbia una sua struttura ben definita, una struttura che possa creare uno stile e che sia il frutto di una serie di idee che lui condivide con Pietro Bembo.
Per concludere torniamo in compagnia di Pietro Bembo.
Pietro Bembo nel 1505 lascia Ferrara in fretta e furia [poco prima che la città venga attaccata dalla peste] e si trasferisce a Urbino dove si trattiene fino al 1511. Pietro Bembo, nel vivace clima culturale di Urbino, vuole definire in modo organico le sue idee sulla questione della Lingua e comincia a scrivere quella che viene considerata la sua opera più importante intitolata Prose della volgar lingua, che, dopo una lunga gestazione, verrà pubblicata vent’anni dopo, a Venezia nel 1525. Quest’opera è diventata, durante il Rinascimento, il codice del gusto in fatto di Letteratura volgare e l’idea di base espressa nel trattato [che noi già conosciamo] è che, per la composizione di opere letterarie, gli scrittori italiani debbano prendere come modello i tre grandi autori trecenteschi: Dante e, soprattutto, Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.
Questo trattato contiene la prima riflessione sulla Storia della Letteratura italiana. Prose della volgar lingua è un’opera in tre Libri scritta in forma di dialogo [sul modello classico di Platone] tenuto nel 1502 in casa del fratello dello scrittore Carlo Bembo, e gli altri dialoganti, oltre a Pietro e a Carlo, sono: l’umanista di Ferrara Ercole Strozzi, Giuliano de’ Medici duca di Nemours e il futuro cardinale Federigo Fregoso. Il trattato è dedicato a Giulio dei Medici prima di essere eletto papa con il nome di Clemente VII, nel 1523.
L’opera inizia con una discussione interlocutoria sulla lingua da adottare: il latino è preferibile al volgare, e qual è il volgare da prediligere? Perché non bisogna svilire il ruolo del volgare ma difenderne il valore? Bembo poi presenta una Storia del volgare e giustifica, con una lunga serie di esempi, perché è bene scrivere in prosa secondo il modello linguistico utilizzato da Boccaccio per comporre la Cornice del Decameron [il testo che introduce le novelle e ne spiega lo stile colloquiale], mentre, per scrivere in poesia ribadisce, portando molte prove, l’importanza della lingua di Petrarca. Nel primo Libro delle Prose Bembo tratta anche, a livello linguistico e letterario, del rapporto tra il toscano [Lingua italiana per eccellenza secondo lui] e il provenzale [che allora veniva considerata la Lingua volgare più raffinata ed eloquente] per dimostrare che il toscano non è da meno della Lingua di Provenza. Nel secondo Libro evidenzia le qualità che rendono bella la scrittura di Petrarca e di Boccaccio, ovvero la piacevolezza e la gravità. Nel terzo Libro [che da solo occupa metà dell’opera] Bembo presenta una grammatica del volgare, però la sua non è una trattazione sistematica ma è stata definita “una meravigliosa selva di esempi dove sulle regole prevale la bellezza delle parole”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Andate in biblioteca e, dopo aver consultato la Divina Commedia, il Canzoniere e il Decamerone, scrivete un verso di Dante, uno del Petrarca e una riga del Boccaccio di vostro gradimento… A volte gli esercizi sulla questione della Lingua sono più facili di quanto si creda tanto che - per la gioia del Bembo - si possono fare perfino a memoria...
Prose della volgar lingua di Pietro Bembo rappresenta un punto di svolta nella Storia della nostra Lingua, lui, seppur veneziano di nascita, ha proposto il toscano trecentesco come Lingua letteraria per eccellenza e questa è diventata la nostra Lingua nazionale fondata ancora oggi essenzialmente sull’uso dei grandi autori trecenteschi: Dante, ma soprattutto Boccaccio e Petrarca [Bembo possedeva l’autografo del Canzoniere].
Fra quindici giorni - perché la prossima settimana ci fermiamo per la festività di tutti i Santi e la commemorazione dei Defunti - incontreremo ancora Pietro Bembo: lo aspetta una carriera da cardinale [sui generis, come la maggior parte dei cardinali dell’epoca] e sarà ospite di molte città [Roma, Padova, Venezia, Gubbio, Bergamo] anche se, ogni tanto, scapperà a Ferrara, perché? Perché era attirato dal mondo magico della poesia cavalleresca che il suo amico Ludovico Ariosto stava mettendo a punto, ma “la magia” va oltre la poesia, e che ruolo ha la magia in funzione degli esordi della scienza?
Una cosa è “il mondo magico della poesia” che stimola la fantasia, altra cosa è “il territorio della disciplina magica” che incide sugli esordi della scienza.
Quali le affinità, quale la differenza tra il mondo magico della poesia
e la disciplina magica che incide sugli esordi della scienza? …
A cospetto del Boiardo e dell’Ariosto
non si potrebbe dir diversamente
e per rispondere a questa e ad altre domande
bisogna veramente continuare a viaggiare
consapevoli che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare…
La Scuola è qui, il viaggio è iniziato [e ci vediamo tra quindici giorni. in ora solare]…