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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA LA FILOSOFIA RINASCIMENTALE SOSTIENE L’IDEA DELL’IMMANENZA DI DIO ...

Lezione N.: 
6

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza   22-23-24  novembre  2017

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA

LA FILOSOFIA RINASCIMENTALE SOSTIENE L’IDEA DELL’IMMANENZA DI DIO ...

     Questo è il sesto itinerario del nostro viaggio sul territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età moderna: siamo sulle tracce degli esordi della scienza e sappiamo dagli itinerari delle scorse settimane che la scienza, in Età rinascimentale, è ancora un settore del sapere in incubazione, strettamente legato al fenomeno della magia perché la magia si presenta come una disciplina [una materia di studio] ancorata a una lunga tradizione, dedita, fin dal tempo dell’Età assiale della Storia [da più di due millenni], a un’intensa attività di ricerca.

     Gli esordi della scienza, quindi, vanno cercati nell’ambito dello sviluppo della disciplina magica perché, in Età rinascimentale, la dimensione magica influenza il pensiero filosofico e, in particolare, indirizza la speculazione teologica vale a dire stimola la riflessione sul rapporto tra Dio e il Mondo, e la domanda è: Dio trascende il Mondo oppure è tutt’uno con il Mondo?

     Come abbiamo studiato la scorsa settimana, noi sappiamo che sul piano teologico la dottrina ufficiale della Chiesa proclama l’assoluta trascendenza di Dio [Dio è totalmente distaccato dal Mondo e scisso dalla realtà umana], mentre i filosofi rinascimentali, in primis i membri dell’Accademia platonica fiorentina, sulla scia del pensiero magico [del pensiero ermetico, che abbiamo studiato la scorsa settimana], sviluppano l’idea che esista un rapporto molto stretto tra Dio e la Natura, tanto stretto che i filosofi del Rinascimento, in particolare Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, arrivano a negare la distinzione e la differenza tra Dio e il Mondo, e questo è un pensiero che viene chiamato “immanentismo” [Dio che si estende in tutto] e “panteismo” [Dio che è in tutte le cose].

     Gli intellettuali che coltivano queste idee, considerate blasfeme dal Sant’Uffizio, agiscono all’interno della cristianità e si sentono parte integrante della comunità cristiana e pensano che, senza questa forma di teologia, senza un rapporto intimo tra Dio e la Natura, “l’incarnazione” [la Parola di Dio che si fa carne, secondo il testo del Vangelo di Giovanni] non sarebbe stata possibile e, di conseguenza, Gesù Cristo non avrebbe avuto la possibilità di rivelarsi.

     Si capisce che si determina uno scontro epocale tra i membri del Sant’Uffizio che sostengono e difendono a colpi di Inquisizione la visione trascendente di Dio e che, quindi, condannano la magia come fenomeno di carattere immanentista e panteista, e i Filosofi rinascimentali che sostengono e difendono, a colpi di argomentazioni esegetiche che valorizzano le figure dei Magi e la comparsa della Stella, la visione immanente di Dio, ritenendo anche che la magia rappresenti una dimensione dello spirito utile per entrare in contatto con la divinità attraverso la Natura che è stata creata da Dio ed è animata dalla stessa Intelligenza divina perché la vita che regola la Natura è la stessa vita di Dio.

     Ora, indipendentemente dalla violenta disputa teologica e dal valore conoscitivo che può avere la disciplina magica, qual è la conseguenza di ciò che sta avvenendo sul terreno della Storia del Pensiero Umano: che cosa succede in pratica? In pratica agli albori dell’Età moderna succede che, tanto i filosofi rinascimentali difensori dell’immanenza [di un Dio che si estende in tutto ed è presente in tutte le cose] quanto i pensatori che propugnano la trascendenza [un Dio totalmente distaccato dal Mondo e scisso dalla realtà umana], aumentano il loro impegno nello studio del funzionamento dei fenomeni fisici, ed è proprio in questo clima che emergono molti elementi che vanno a dare forma allo scenario degli esordi della scienza. E ora prendiamo il passo sull’itinerario di questa sera.

     Fa parte dello scenario degli esordi della scienza [e non lo possiamo ignorare perché produce degli effetti] il fatto che il pensiero teologico, in relazione al tema della magia, elabora una significativa esegesi anche dei testi dell’Antico Testamento nei quali questo argomento è più che mai presente. In particolare è Pico della Mirandola il quale, in quanto studioso della cultura ebraica come sappiamo dal viaggio dello scorso anno, si occupa di questo tema lasciando, in proposito, un’interessante testimonianza che, proprio perché si presenta in chiave filologica, costituisce un incentivo per i filosofi rinascimentali estimatori della disciplina magica a studiare ancor di più e ancor meglio i fenomeni della Natura; difatti se, tra gli attributi del Dio dell’Antico Testamento, c’è anche quello che lo definisce come un Mago significa che la disciplina magica assume un ruolo nell’ambito della teologia.

     Pico della Mirandola mette in evidenza questo concetto in un’opera [che abbiamo studiato durante il viaggio dello scorso anno e che adesso ritroviamo in un diverso contesto] che s’intitola Heptaplus, un vocabolo greco che come ricorderete significa “sette volte sette”. L’Heptaplus di Pico della Mirandola è un trattato sull’interpretazione in chiave allegorico-cabalistica del racconto biblico della creazione, ed è formato da sette Libri ognuno dei quali è suddiviso in sette capitoli più un proemio [una prefazione]. Pico della Mirandola, nel quarto Libro dell’Heptaplus, tesse l’elogio della figura di Dio così come viene rappresentata nel Libro dell’Esodo per produrre una riflessione sul tema della magia [che è una disciplina strategica in epoca rinascimentale e lui la vuole valorizzare in chiave filologica]; è significativo il fatto che Pico, sebbene abbia pochi strumenti d’indagine a sua disposizione, capisca che molti testi della Letteratura dell’Antico Testamento sono influenzati dalla tradizione magica perché la Letteratura biblica [la Letteratura beritica] ha le sue radici nella cultura babilonese e in quella egizia, due apparati per i quali la magia è un’arte con due obiettivi: può essere l’attività che sa realizzare, in modo naturale, fenomeni meravigliosi “a fin di bene” oppure può essere un’azione atta a realizzare situazioni maligne con l’aiuto demoniaco “a fin di male”, e le due cose, a volte, s’intrecciano.

     In molte parti dei testi biblici la magia viene presentata come “una delle componenti della potenza divina” e Pico della Mirandola cita, a questo proposito, l’esempio più classico, quello che si trova nella prima parte [i primi 18 capitoli] del testo del Libro dell’Esodo. Il Libro dell’Esodo [in ebraico “Shmot, Nomi”] è un testo formato da 40 capitoli [sono capitoletti, come tutti quelli dei testi biblici, e i primi 18 capitoli del Libro dell’Esodo occupano una decina di pagine], e di questo Libro conosciamo la maggior parte delle trame anche se non lo abbiamo mai letto, e siamo a conoscenza [con l’assidua mediazione del cinema] della storia di Mosè salvato dalle acque, dello scontro tra Mosè e Faraone, dell’uscita degli Ebrei dall’Egitto, del rituale della Pasqua, del passaggio del Mar Rosso, dei quarant’anni passati nel deserto dal popolo ebraico con la manna che cade dal cielo, di ciò che succede sul monte Sinai, dell’importanza delle tavole della Legge, dell’episodio del vitello d’oro.

     Il Dio dell’Esodo è “il Dio della liberazione” e, come sottolinea Pico della Mirandola nell’Heptaplus, è un personaggio che possiede alcune caratteristiche molto interessanti, e quella più significativa consiste nel proclamarsi come “Dio dei prodigi” e, di conseguenza, come “Dio dei maghi”. Il Dio dell’Esodo, scrive Pico della Mirandola, si considera “il Mago per eccellenza” e si definisce come “il signore della Magia”.

     Tutto il testo della prima parte del Libro dell’Esodo [i primi 18 capitoli, puntualizza Pico della Mirandola] esalta la cultura magica in quanto disciplina che si occupa della gestione del potere e non poterebbe essere diversamente perché la prima stesura di questo Libro avviene in area babilonese dove l’interdipendenza tra potere e magia, così come avviene in Egitto, è una prassi acquisita. Gli scrivani ebrei, in esilio a Babilonia, deportati come sapete da Nabuccodonosor nel 587 a.C. quando conquista Gerusalemme, si appropriano del genere letterario del midrash [il racconto cerimoniale, che è andato formandosi in Mesopotamia con l’Epopea di Gilgamesh e il poema Enuma Elish] e cominciano a scrivere la Storia delle loro tradizioni, fatte di miti e di leggende tramandate oralmente da secoli, con l’obiettivo di conservare l’identità religiosa e linguistica del loro popolo: prendono forma degli straordinari racconti [i racconti biblici] nei quali c’è un super soggetto, il Dio d’Israele [il cui nome principale è “Io sono Colui che sono”], il padrone della Storia [il Dio di Adamo, di Noè, di Abramo, di Isacco di Giacobbe, con i quali stipula un patto, la berit], il Sommo gestore del potere, e la gestione del potere comporta l’uso della magia e gli scrivani d’Israele, operanti a Babilonia, quando operano nelle loro Scuole di scrittura, sono influenzati da questa idea e tutte le volte che è necessario la mettono in pratica.

     l Libro della Genesi e il Libro dell’Esodo nascono, quindi, in un contesto dove la tradizione magica risulta essere un fattore strettamente legato alla gestione del potere: i maghi occupano i gradini più alti nella scala gerarchica tanto in Babilonia quanto in Egitto, e tutti i maggiori avvenimenti raccontati dagli scrivani nella prima parte del Libro dell’Esodo sono caratterizzati, come scrive Pico della Mirandola nell’Heptaplus, dalla manifestazione di prodigi straordinari, di eventi eccezionali legati alla magia e Dio [il Dio d’Israele], nel Libro dell’Esodo, si auto-proclama “il padrone della Magia” [El Adonai] per poter realizzare, in modo naturale, afferma Pico della Mirandola, cose meravigliose. E, difatti, la liberazione del popolo ebreo dalla schiavitù d’Egitto avviene mediante prodigi straordinari, strabilianti nel bene e nel male.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando il volume della Bibbia che avete nella vostra biblioteca domestica leggete o rileggete il primi 18 capitoli del Libro dell’Esodo… Si tratta di una lettura propedeutica per poter capire molti riferimenti presenti nelle Opere della Storia della Letteratura, dell’Arte e della Filosofia

     Pico della Mirandola, nel quarto Libro dell’Heptaplus, punta l’attenzione e riflette [e ci fa riflettere] sui capitoli dal 7º all’11º del Libro dell’Esodo che riguardano lo scontro, la sfida di prestigio tra Faraone [il re d’Egitto], che si presenta come una divinità attorniato dai suoi maghi e il Dio d’Israele, El-Adonai [e questo - ci fa notare Pico della Mirandola - è l’attributo con cui viene nominato il Dio d’Israele in questi capitoli dell’Esodo], un Dio che ha trasferito i suoi poteri magici a Mosè assistito da suo fratello Aronne. E ora, per dare spazio alla riflessione che dobbiamo fare e per procedere con ordine, leggiamo un brano che contiene gli ultimi versetti del capitolo 6 e i primi del capitolo 7 del Libro dell’Esodo [seguiamo l’indicazione di Pico].

LEGERE MULTUM….

Libro dell’Esodo

Quando Dio [Yhwh, Io sono Colui che sono]  parlò a Mosè in Egitto gli disse: «Io sono [El-Adonai] il Signore [El-Adonai è un attributo particolare che viene genericamente tradotto con il termine “Signore” ma del quale Pico della Mirandola ci farà capire l’autentico significato], riferisci a Faraone, re d’Egitto, tutto quel che ti dirò!». E Mosè rispose al Signore: «Io non so parlar bene, come potrà ascoltarmi Faraone?». Ma [El-Adonai] il Signore disse a Mosè: «Vedi, io faccio in modo che di fronte a Faraone tu abbia la stessa potenza [di El-Adonai] del Signore, e Aronne, tuo fratello, parlerà come un profeta. Tu dirai ad Aronne tutto quel che io ti comanderò, e sarà tuo fratello a parlare a Faraone: gli dirà di lasciar partire gli Israeliti dal suo paese, io farò in modo che Faraone non ceda. Moltiplicherò i miei prodigi [de-enot, plurale di de-en] in Egitto, ma il Faraone non vi ascolterà. Allora io punirò severamente gli Egiziani. Farò uscire dall’Egitto gli Israeliti, il mio popolo, come fosse un grande esercito. Quando io interverrò contro l’Egitto per liberare gli Israeliti, tutto l’Egitto riconoscerà che io sono [El-Adonai] il Signore».    

Mosè e Aronne eseguirono esattamente gli ordini [di El-Adonai] del Signore. Quando essi si presentarono a Faraone per parlargli, Mosè aveva ottant’anni e Aronne ottantatre.  Il Signore [El-Adonai] disse a Mosè e ad Aronne: «Se Faraone vi chiederà di fare un prodigio [de-en] a sostegno delle vostre parole, tu dirai ad Aronne: “Prendi il tuo bastone e gettalo davanti a Faraone! Il bastone si trasformerà in serpente!”». 

Mosè e Aronne andarono da Faraone e agirono come [El-Adonai] il Signore aveva comandato. Aronne gettò il suo bastone davanti a Faraone e a suoi ministri, e il bastone si trasformò in serpente. Allora Faraone convocò i sapienti, gli incantatori, gli indovini e, i maghi dell’Egitto, con le loro magie, fecero la stessa cosa. Ciascuno gettò il suo bastone e i bastoni divennero serpenti. Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni. Però il cuore di Faraone si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva predetto [El-Adonai] il Signore». …

     In questa pagina del Libro dell’Esodo gli scrivani d’Israele mettono in evidenza l’ostinazione di Faraone che non vuol lasciare partire gli Israeliti, e questa ostinazione voluta dal Signore [da El-Adonai] è un espediente letterario che permette agli scrivani di esaltare nei capitoli successivi “la potenza magica” del loro Dio [di El-Adonai].

     I capitoli dal 7º all’11º del Libro dell’Esodo contengono una narrazione “spettacolare” perché raccontano lo straordinario avvenimento denominato “le dieci piaghe d’Egitto”: chi non conosce questo evento che è diventato proverbiale?

     “Le piaghe d’Egitto” vengono presentate [scrive Pico della Mirandola nell’Heptaplus riflettendo su questo mitico avvenimento in chiave filologica] come degli straordinari “prodigi magici” e queste due parole, in ebraico, corrispondono al termine “de-enot” [plurale di de-en] che definisce “i fenomeni destinati a incidere sull’equilibrio della Natura” perché la magia, scrive Pico della Mirandola nell’Heptaplus compiacendosi per l’esito della sua ricerca filologica, è una disciplina che vuole studiare il funzionamento degli eventi naturali per poterli governare e tenere in ordine.

     Nel significativo testo dei capitoli dal 7º all’11º del Libro dell’Esodo [del quale, ancora una volta, si consiglia la lettura] ci troviamo di fronte a un catalogo di situazioni “naturali” che debordano verso la calamità [e l’aggettivo “straordinario” ha, in proposito, una valenza ambivalente] e il ruolo preminente dei maghi [dei Magi] è sempre stato quello di studiare i fenomeni per contenere le calamità naturali, o anche [come in questo caso, nel caso de “le piaghe d’Egitto”] per riprodurle. Il racconto de “le piaghe d’Egitto” presenta uno straordinario repertorio di calamità naturali soggette al controllo della magia: l’inquinamento dell’acqua trasformata in sangue, le invasioni delle rane, delle zanzare e dei mosconi, la morìa del bestiame, la diffusione di ulcere e ascessi sul corpo di tutti gli esseri viventi [compresi, per ironia, anche i maghi egizi], il flagello della grandine, la devastazione dei campi a opera delle cavallette, la discesa delle tenebre e, in ultimo, l’epidemia che uccide i giovani primogeniti di ogni famiglia egiziana.

     In questo racconto [in questo midrash] vengono riuniti insieme dagli scrivani ebrei, con grande abilità, elementi di tradizioni diverse: sumere, assire, babilonesi, egizie, con l’intento di dichiarare che, questo Dio - al quale viene attribuito il nome di “El-Adonai” - possiede una potenza magica superiore a quella di tutti gli altri maghi.

     La potenza magica, scrive Pico della Mirandola nell’Heptaplus, - secondo gli scrivani d’Israele che hanno composto il testo del Libro dell’Esodo - è “una caratteristica divina” e consiste nell’operare modifiche nell’assetto naturale, consiste in uno stravolgimento temporaneo dell’ordine naturale sempre, però, sottolinea Pico della Mirandola nell’Heptaplus, all’interno delle logiche e delle dinamiche della Natura; quindi, nonostante il contesto della narrazione abbia un tono drammatico [c’è una guerra in corso e questo Dio, tanto quanto Faraone, dimentica la pietà], tuttavia, quella del “mago” emerge come una figura positiva, che ha un ruolo importante sul piano sociale perché è addetta a tenere sotto controllo l’ordine della Natura.

     È evidente, afferma Pico della Mirandola nell’Heptaplus, che gli scrivani ebrei autori del Libro dell’Esodo, che sono in esilio a Babilonia, in un posto dove la classe sociale dei maghi sta al vertice della gerarchia istituzionale [i Magi sono sovrintendenti, sono ministri, vivono a stretto contatto con l’autorità superiore, autentificano le qualità dei sovrani e comandano più dei sovrani stessi], abbiano voluto attribuire al loro Dio [al Dio tribale dei loro antenati cananei] i poteri e i titoli più alti che, in quella società, potevano essere riconosciuti.

     E, allora, veniamo al dunque, poniamoci l’interrogativo al quale Pico della Mirandola dà una risposta con una certa soddisfazione che traspare dal testo della sua opera Heptaplus; si domanda Pico: quale nome gli scrivani d’Israele attribuiscono al Dio dell’Esodo, e quale operazione filologica compiono per dare autorevolezza al loro racconto, un’autorevolezza che solo le parole-chiave possono dare, visto che “in principio è la parola”?

     Abbiamo ripetuto leggendo in continuazione il termine “El Adonai” che non risulta essere un nome proprio ma un attributo [il nome proprio di Dio, che è stato rivelato a Mosè nel terzo capitolo del Libro dell’Esodo - andate a leggerlo o a rileggerlo questo capitolo - non può essere pronunciato e, quindi, per nominare Dio servono degli attributi] e Pico della Mirandola - che è diventato esperto in filologia ebraica [e sa che in ebraico le vocali non fanno testo] - ci fornisce l’interpretazione del termine “El Adonai”, nel quale: la parola “El]” [Elohim, l’Onnipotente Altissimo è l’attributo che indica la divinità nella sua massima potenza [l], mentre la parola “de-enot” [plurale di de-en] significa “i prodigi magici” [dn] e, di conseguenza il termine “El Adonai” [l-dn] corrisponde a: “Dio che compie prodigi con il potere della magia”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Se poteste compiere un prodigio con il potere della magia [magari senza imitare El-Adonai che sembra avere una certa propensione verso la crudeltà] su quale fenomeno naturale vorreste incidere a fin di bene?…

Scrivete quattro righe in proposito…

     Nel Rinascimento la ricerca esegetica sul testo del Libro dell’Esodo compiuta da Pico della Mirandola nell’Heptaplus interessa moltissimo gli intellettuali che considerano la magia una disciplina utile per studiare la Natura e i suoi fenomeni. I pensatori rinascimentali che aspirano a essere considerati dei maghi [senza badare troppo alla sostanza del contenuto del Libro dell’Esodo ma puntando piuttosto l’attenzione sulla forma in chiave filologica] sono convinti che se “El-Adonai” [il Dio che compie prodigi con il potere della magia] ha deciso di trasmettere la sua competenza a due persone normali ma non particolarmente dotate come Mosè [che pensa bene ma non sa parlare] e Aronne [che ha una buona dizione ma una modesta capacità di pensiero] perché possano sostenere una lotta di liberazione anche cruenta in favore di un popolo oppresso, ebbene, questo significa che la magia, per volontà della divinità stessa, costituisce un aspetto importante dell’esperienza umana, una peculiarità che va coltivata a fin di bene entrando in armonia con la Natura.

     In questo senso si sentono “maghi”, oltre a Giordano Bruno [1548-1600] il quale manifesta queste idee in tutti i suoi Dialoghi, anche i filosofi di tendenza naturalistica come Bernardino Telesio [1509-1588] autore de La natura secondo i suoi propri principi e Tommaso Campanella [1568-1639] autore di Filosofia dimostrata in base ai sensi, e questi tre grandi personaggi saranno i primi che incontreremo a breve e, ora, quindi, dobbiamo preparare il terreno per questi incontri [non facilissimi da sostenere].

     I filosofi rinascimentali che si definiscono “maghi” hanno come obiettivo quello di indagare per scoprire il funzionamento delle forze misteriose della Natura, e si propongono di intercettare l’energia armonica che pervade e tiene in ordine la Natura stessa, e per questo motivo studiano l’applicazione di apposite “arti occulte” i cui protocolli costituiscono la materia su cui si basa il pensiero magico.

     E il pensiero magico rinascimentale elabora due concetti fondamentali che due secoli dopo monopolizzeranno anche l’interesse degli intellettuali romantici: il primo è stato chiamato “simpatia cosmica” e consiste nel fatto che in ogni parte della Natura, anche nel mondo minerale che pare privo di vitalità, sussistono attrazioni e repulsioni, esistono situazioni che sono state chiamate “affinità elettive” [un’espressione che ha assunto col tempo un ruolo letterario], così come esistono “antipatie” fra i vari elementi naturali che, quindi, non si cercano, non si associamo ma si respingono. La seconda nozione è direttamente collegata alla prima e riguarda “le qualità occulte” presenti nella materia naturale che possiede “proprietà nascoste” che è necessario conoscere e catalogare. Se l’Universo - secondo il pensiero magico rinascimentale - è “un grande essere vivente” significa che possiede anche la sua anima: l’Anima del Mondo, uno Spirito [Pneuma] che pervade tutti gli oggetti che compongono la realtà, e questo significa che, fra tutti gli oggetti presenti nell’Universo, anche lontani tra loro, esiste la stessa interdipendenza che c’è tra i vari organi del corpo umano e tra i vari fenomeni della natura, perché “tutto è collegato con Tutto”. Quindi, attraverso il principio della simpatia cosmica, esiste la possibilità di attuare [di evocare] “un intervento a distanza”: tutte le cose, anche quelle separate nello spazio, hanno tra loro rapporti continui e costanti. I maghi, in quest’ottica - e qui ci troviamo sulla soglia della scienza sperimentale -  studiano i fenomeni magnetici [la calamita], elettrici, chimici e trovano delle spiegazioni nell’ipotesi che ci siano delle forze attrattive e repulsive insite nella materia: tra l’acqua, lo zucchero e il sale, per esempio, esistono rapporti di “simpatia” mentre tra l’acqua e l’olio di “antipatia”.

     Questo modo di pensare determina un principio che incide in vari modi, strada facendo, sulla Storia del Pensiero: il principio della “corrispondenza”. Ogni oggetto, in un determinato ordine della realtà, si avvale di una relazione particolare [di “affinità elettive”] con altri oggetti in altri ordini, per esempio: a “la rosa” nel mondo vegetale corrisponde “il leone” in quello animale e una pietra particolare, “il rubino”, in quello minerale, e un profumo particolare e una determinata costellazione celeste e un certo pianeta e un certo tipo di persona, e così via. Per cui, a questo proposito, vengono redatte “mappe” e “tavole” che sono dei veri e propri capolavori artistici e letterari: le cosiddette mappe e tavole delle corrispondenze. Vengono prodotte “le mappe cosmiche di medicina astrale” in cui la testa corrisponde all’Ariete, la gola al Toro, il cuore al Leone, i polmoni ai Gemelli, il bacino al Sagittario, lo stomaco al Cancro, il sesso allo Scorpione, i reni e il fegato alla Bilancia, le articolazioni al Capricorno, la milza alla Vergine, il sistema linfatico ai Pesci, le caviglie all’Acquario. Vengono prodotte “le mappe chiromantiche per la lettura della mano” e “le mappe delle corrispondenze tra il mondo animale e quello vegetale”. Il più famoso compositore di mappe e di tavole di corrispondenze è Giambattista Della Porta [1535-1615].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Giambattista Della Porta - scienziato, drammaturgo e mago - è un personaggio che merita di essere conosciuto e con l’enciclopedia e navigando in rete potete incontrarlo e potete osservare i suoi lavori…

Voi pensate ci siano degli “elementi particolari” – un fiore, un minerale, un profumo, un astro, un animale, un segno … - che vi “corrispondano positivamente” e che possano favorire il vostro umore, il vostro comportamento e i vostri rapporti interpersonali?

Scrivete quattro righe in proposito: componete una mappa o una tavoletta delle vostre “corrispondenze”…

     Quindi, nel Rinascimento, quando si parla di “arti magiche” ci si riferisce soprattutto all’attività di composizione de “le mappe e le tavole delle corrispondenze” per promuovere azioni anche a distanza che possano intercettare la simpatia o l’antipatia cosmica, e l’arte “magica” consiste nell’individuare i punti d’ingresso che conducono all’interno de “la rete delle corrispondenze cosmiche”.

     La parola-chiave “corrispondenza cosmica” coniata nell’ambito della cultura rinascimentale ha influenzato in vari modi la Storia della Letteratura, e, come sappiamo, l’espressione “le affinità elettive” corrisponde al titolo di un famoso romanzo di Wolfgang Goethe [Le affinità elettive, pubblicato nel 1809] in cui l’idea di “corrispondenza cosmica” risulta fondamentale per condurre [come fa Goethe] un gioco tra la scienza, la chimica, in particolare, e la magia.

     E poi, a proposito di maghi e di scrittori, non possiamo ignorare il personaggio di Faust che si trova nel paesaggio intellettuale che stiamo osservando [e tutte e tutti voi lo avete sentito nominare questo personaggio che abbiamo citato per motivi di studio più volte in questi anni]. “Faust” è il nome di un personaggio al quale è legata una significativa leggenda medioevale esistente molti secoli prima che venisse legato ad essa il nome di Faust. Il tema di questa leggenda [è ben noto] consiste nella vendita - con regolare contratto - dell’anima al demonio, ed è una delle tante narrazioni mitiche, create nei secoli dalla tradizione popolare, che sono state poi cantate e diffuse dagli aedi, dai trovatori, dai menestrelli. In Germania questa leggenda è stata ripresa, rielaborata e messa per iscritto e ha dato origine a un vero e proprio genere letterario responsabile di aver dato alla magia “un carattere demoniaco” che è l’aspetto più spettacolare sul piano letterario assunto da questa disciplina ma è anche il meno incisivo sul piano dei risvolti filosofici [che abbiamo messo in evidenza in quanto precorritori degli esordi della scienza].

     In Germania, agli albori dell’Età moderna, è successo che questa leggenda si è intrecciata con la storia di un personaggio realmente esistito: il più celebre di tutti i maghi rinascimentali, un medico tedesco che si chiama Georg o Johannes Faust [1480 ca.-1536 o 1540]. Subito dopo la sua morte comincia a circolare la storia che il dottor Faust avrebbe venduto l’anima al diavolo in cambio della giovinezza, in cambio della bellezza insita nella giovinezza, e il personaggio del dottor Faust, con il quale s’intreccia la leggenda della vendita dell’anima al diavolo, diventa il protagonista di moltissimi racconti. Questi racconti sono stati raccolti per la prima volta in un libro che s’intitola Il libro di Faust ovvero Storia del dottor Johann Faust, pubblicato anonimo in Germania nel 1587, il quale ha avuto uno straordinario successo popolare facendo concentrare l’attenzione degli intellettuali, degli scrittori e degli artisti sulla figura di Faust.

     Nel 1601 viene pubblicato a Londra il dramma La tragica storia del dottor Faust dello scrittore Christopher Marlowe [1564-1593]. Marlowe è un autore importante nella Storia della Letteratura rinascimentale europea e “la leggenda di Faust”, che giunge a Marlowe attraverso la tradizione popolare tedesca, lo affascina subito e lui l’accoglie come un’occasione ideale per sviluppare i temi che preferisce: quelli legati agli aspetti più cupi della magia, che viene utilizzata, in forme rituali, per imporre la propria volontà di potenza, il proprio sapere, per esaltare gli aspetti più oscuri e demoniaci della personalità umana orientata verso uno smisurato desiderio di piacere e di bellezza. La vita di Marlowe è modellata su questi valori: è una persona di modeste origini,  figlio di un calzolaio, ma è stato capace di introdursi, spinto dal suo talento e da una forte ambizione, negli ambienti politici e intellettuali londinesi facendosi notare, ben presto, come una delle personalità più provocatorie e anticonformiste del suo tempo, Marlowe si dichiara “mago” [negromante, evocatore di forze demoniache] nel senso del “libero pensatore” e per questo viene denunciato e condannato per ateismo dopo aver ottenuto [per sua fortuna, tanto da evitare il patibolo] un largo successo come drammaturgo, tuttavia viene confinato nel villaggio di Deptford, nei pressi di Londra, e muore comunque giovane e di morte violenta durante una rissa in una taverna. Siamo in un momento storico [tra il 1500 e il 1600] in cui, nell’Europa del nord, assistiamo a uno scontro epocale fra l’aspirazione che coltivano certi intellettuali come Marlowe a un’esistenza “dissoluta” [anticonformista] cioè fuori dagli schemi stabiliti dai princípi della Riforma protestante che impongono una visione austera della vita e sottoposta a un rigido autocontrollo.

     Il dramma in 5 atti dal titolo La tragica storia del dottor Faust di Christopher Marlowe ha una conclusione che guarda anche alla Tragedia classica: Faust cede definitivamente la sua anima al demonio in cambio dell’amore di Elena, la più bella fra tutte le donne, evocata per lui da Mefistofele, ed è attraverso questi testi rinascimentali che W. Goethe trae ispirazione per comporre [e ci lavora tutta la vita] una delle sue opere più famose, pubblicata nel 1808, intitolata Faust. Una Tragedia [un’opera che rincontreremo in futuro quando ripercorreremo i sentieri del Romanticismo titanico, un movimento intellettuale che è legato per molti aspetti alla cultura rinascimentale].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Si presenta ora - sul piano della didattica della lettura e della scrittura - l’occasione per leggere o rileggere il romanzo Le affinità elettive di Wolfgang Goethe perché è un esercizio che s’inserisce nella dinamica intellettuale di questo viaggio Cogliete l’attimo

     L’Europa cattolica [nonostante il pressante controllo del Sant’Uffizio, è in corso il Concilio di Trento] presenta, rispetto al più rigido mondo protestante, esempi di Letteratura più giocosa, come i poemi cavallereschi.

     Tutte le considerazioni che - trattando il tema della disciplina magica - abbiamo fatto sulle misteriose forze della Natura traspaiono in filigrana nel testo del poema Orlando furioso perché Ludovico Ariosto è figlio del suo tempo, ma in che senso possiamo fare questa affermazione, con quali connotati Ariosto è figlio del suo tempo?

     Si può constatare [e la prossima settimana approfondiremo questo argomento] che emerge continuamente nell’Orlando furioso l’elemento idillico della Natura dato dalla sua essenza misteriosa, e la stessa foresta [la foresta è protagonista nel poema] che, lì per lì, si presenta con il suo aspetto tenebroso e inquietante appare come un corpo vivente ricco di seduzioni e di elementi benevoli perché in essa ci sono anche luoghi ameni dove potersi appartare, potersi nascondere e potersi rilassare.

     Dobbiamo prendere atto del fatto che Ariosto nel suo poema non fa mai considerazioni di tipo teologico [se ne guarda bene: sono tempi in cui bisogna stare attenti a quello che si dice e a quello che si scrive] e, soprattutto, non fa alcun riferimento al tema del rapporto tra Dio e la Natura. Ariosto dichiara di non essere un filosofo e non manifesta idee di carattere immanentista e panteista [non afferma mai che “Dio si estende in tutto ed è presente in tutte le cose”] e non fa mai neppure un’allusione al fatto che Dio possa essere presente nella Natura: la Natura non ha carattere divino. Però, nel poema di Ariosto la Natura ha un posto centrale con la sua personalità autonoma [il poeta è figlio del suo tempo]: nell’Orlando furioso la Natura è idillica, poetica, sentimentale, lirica, pastorale, bucolica, elegiaca, fantastica, suggestiva e non è “magica” [nel senso della disciplina pre-scientifica di cui abbiamo parlato finora] perché “la magia ariostesca” è un frutto fantastico dell’immaginario, e un poema cavalleresco deve stimolare il magico effetto della fantasia e, quindi, si può affermare che Ludovico Ariosto preferisce “la Filosofia [cosiddetta] naturalista”, una disciplina che studia come la Natura si comporta secondo “i suoi propri principi”.

     Sarà per questo motivo che “il filosofo naturalista” [per eccellenza] Bernardino Telesio si diverte, fin da bambino, a leggere l’Orlando furioso? Questo interrogativo fa parte di un’altra storia della quale di occuperemo la prossima settimana, ora dobbiamo proseguire nella lettura del primo canto dell’Orlando furioso dove ciò che abbiamo affermato appare nella sua evidenza poetica e, quindi, leggiamo i versi delle ottave dalla 32ª alla 39ª con i relativi commenti.

     Il cavaliere [cristiano] Rinaldo e il cavaliere [saracino] Ferraù, dopo aver duellato a lungo con ardore, ritengono di dover interrompere il loro combattimento dal momento che Angelica - che aveva chiesto aiuto a Ferraù perché Rinaldo la inseguiva minaccioso - è scappata piantandoli entrambi in asso. E così i due cavalieri nemici, entrambi innamorati di Angelica, in groppa allo stesso cavallo - quello di Ferraù perché Rinaldo è a piedi [il suo destriero Baiardo lo ha abbandonato] - dimenticano le loro diversità e galoppano per raggiungere la fuggitiva ma, a un tratto, il sentiero si biforca e non sanno quale delle due strade abbia imboccato Angelica e, quindi, i due cavalieri decidono di seguire direzioni diverse. Ferraù, dopo aver girato in lungo e in largo per il bosco, si ritrova sulla riva del fiume da dove era partito e qui, come abbiamo letto la scorsa settimana, gli appare lo spirito di Argalìa, il fratello di Angelica, che Ferraù ha ucciso nel torneo di Parigi [come si legge nell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo] promettendogli che lo avrebbe sepolto con tutta la sua armatura, e invece Ferraù si è tenuto l’elmo di Argalìa come trofeo, lo stesso elmo che gli è caduto nel fiume e che non è riuscito a recuperare. Lo spirito di Argalìa gli appare con l’elmo in mano per farlo riflettere sulla sua colpa: quella di non avere rispettato la parola data.

     Ferraù impara la Lezione che gli viene impartita, riconosce la propria colpa e, seguendo il consiglio [a questo punto prettamente cavalleresco] dello spirito di Argalìa, si propone di partire alla ricerca di Orlando per sfidarlo e per impossessarsi del suo elmo che, oltre a essere di buona fattura, è anche ricco di Storia [Orlando lo ha conquistato in Aspromonte uccidendo in duello Almonte] e questo è, per un cavaliere, un importante trofeo da acquisire! Questo è quanto succede a Ferraù che per un po’ non ricomparirà nel poema; e a Rinaldo, che ha preso un’altra via, quali avventure capitano? Rinaldo il poeta fa fare solo un brevissimo e sfortunatissimo incontro e poi decide di tornare a puntare l’attenzione su Angelica perché il filone principale della trama scorre sulla fuga della fascinosa fanciulla.

     L’Orlando furioso è il poema dedicato a tutte le persone che stanno scappando [e anche questa espressione è diventata proverbiale perché non c’è persona che non stia scappando da qualcosa, da qualcuno e, spesso, anche da se stessa].

     Nella 32ª ottava Rinaldo vede comparire davanti a sé il proprio focoso [feroce] destriero e gli impone di fermarsi perché senza di lui, a piedi, è in pericolo, ma  Baiardo, sordo ai richiami di Rinaldo, non solo non torna da lui, ma si allontana velocemente: Rinaldo lo insegue irritatissimo, ma anche il poeta lo abbandona perché torna a concentrare la sua attenzione su Angelica che fugge.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 32

32. Non molto va Rinaldo, che si vede

saltare inanzi il suo destrier feroce:

«Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!

che l’esser senza te troppo mi nuoce».

Per questo il destrier sordo a lui non riede,

anzi più se ne va sempre veloce.

Segue Rinaldo, e d’ira si distrugge:

ma seguitiamo Angelica che fugge.

     Nella 33ª ottava Angelica fugge tra spaventosi e oscuri boschi, per luoghi inabitati, selvaggi e solitari. Il rumore che lei sente, provocato dal movimento dei rami e dalla vegetazione composta di querce, di olmi e di faggi, le causa improvvise paure che la spingono su insoliti sentieri [strani viaggi], e ogni ombra che vede sui monti o nelle valli, le fa temere di avere ancora alle spalle Rinaldo che la insegue.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 33

33. Fugge tra selve spaventose e scure,

per lochi inabitati, ermi e selvaggi.

Il mover de le frondi e di verzure,

che di cerri sentìa, d’olmi e di faggi,

fatto le avea con subite paure

trovar di qua di là strani viaggi;

ch’ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,

temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

     Nella 34ª ottava il poeta insiste sulla paura di Angelica paragonandola a una cucciola [pargoletta] di daino [damma] o di capriolo [capriuola] che, tra i rami del boschetto nel quale è nata, abbia visto il leopardo stringere alla gola la madre con il suo morso e poi squarciarle il petto o il fianco e, quindi, scappa [s’invola] dall’animale crudele di bosco in bosco e trema per la paura e per il sospetto della sua presenza: per ogni cespuglio [ad ogni sterpo] che tocca al proprio passaggio crede di essere già in bocca alla belva feroce.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 34

34. Qual pargoletta o damma o capriuola,

che tra le fronde del natio boschetto

alla madre veduta abbia la gola

stringer dal pardo, o aprirle ‘l fianco o ‘l petto,

di selva in selva dal crudel s’invola,

e di paura triema e di sospetto:

ad ogni sterpo che passando tocca,

esser si crede all’empia fera in bocca.

     Nella 35ª ottava il poeta segue Angelica nella fuga. Quel giorno, la notte stessa e per metà del giorno seguente la fanciulla vaga senza sapere dove stia andando, e alla fine viene a trovarsi in un boschetto grazioso [adorno], mosso delicatamente da un vento fresco dove due ruscelli trasparenti, riempiendo l’aria del loro gorgoglìo, consentono la presenza sempre dell’erba e la sua crescita; e rendono piacevole da ascoltare il concerto [e rendea ad ascoltar dolce concento], e il loro scorrere lento è interrotto solo da piccoli sassi.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 35

35. Quel dì e la notte e mezzo l’altro giorno,

s’andò aggirando, e non sapeva dove.

Trovossi al fine in un boschetto adorno,

che lievemente la fresca aura muove.

Duo chiari rivi, mormorando intorno,

sempre l’erbe vi fan tenere e nuove;

e rendea ad ascoltar dolce concento,

rotto tra picciol sassi, il correr lento.

     Nella 36ª ottava Angelica, giunta in questo boschetto [quivi], crede di essere al sicuro, lontana mille miglia da Rinaldo, e decide [si consiglia], per la stanchezza e il caldo estivo, di riposarsi un po’: scende da cavallo tra i fiori e lascia che l’animale vada a nutrirsi, senza briglia, libero, e quello [il palafren] vaga intorno ai ruscelli che hanno le rive piene di erba fresca.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 36

36. Quivi parendo a lei d’esser sicura

e lontana a Rinaldo mille miglia,

da la via stanca e da l’estiva arsura,

di riposare alquanto si consiglia:

tra’ fiori smonta, e lascia alla pastura

andare il palafren senza la briglia;

e quel va errando intorno alle chiare onde,

che di fresca erba avean piene le sponde.

     Nella 37ª ottava Angelica scorge, non lontano da sé, un bel cespuglio, fiorito di susine [di prun fioriti] e di rose rosse [di vermiglie rose], che si specchia nelle onde limpide dei ruscelli ed è riparato dal sole dalle alte querce ombrose. Il cespuglio è vuoto nel mezzo e si presenta [che concede] come una fresca camera da letto [fresca stanza fra l’ombre più nascose], e le foglie e i rami del cespuglio sono talmente intrecciati [e la foglia coi rami in modo è mista] che non vi passa il sole e nemmeno la vista di qualcuno che guarda.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 37

37. Ecco non lungi un bel cespuglio vede

di prun fioriti e di vermiglie rose,

che delle liquide onde al specchio siede,

chiuso dal sol fra l’alte quercie ombrose;

così vóto nel mezzo, che concede

fresca stanza fra l’ombre più nascose:

e la foglia coi rami in modo è mista,

che ‘l sol non v’entra, non che minor vista.

     Nella 38ª ottava Angelica constata che l’erbetta morbida crea un letto nel mezzo del cespuglio che invita a distendersi, e lei [la bella donna] si corica e si addormenta. Ma non rimane addormentata per molto tempo [ma non per lungo spazio così stette] perché le sembra di udire un calpestìo: si solleva pian piano e presso la riva di uno dei ruscelli vede che è arrivato [giunt’era] un cavaliere armato.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 38

38. Dentro letto vi fan tenere erbette,

ch’invitano a posar chi s’appresenta.

La bella donna in mezzo a quel si mette,

ivi si corca ed ivi s’addormenta.

Ma non per lungo spazio così stette,

che un calpestìo le par che venir senta:

cheta si leva, e appresso alla riviera

vede ch’armato un cavallier giunt’era.

     Nella 39ª ottava Angelica non capisce se questo cavaliere gli è amico o nemico: il timore [tema] e la speranza scuotono il suo cuore dubbioso, e attende la fine di questa avventura e trattiene perfino il respiro [né pur d’un sol sospir l’aria percuote]. Il cavaliere si siede in riva al ruscello reggendosi la testa con un braccio [sopra l’un braccio a riposar le gote] e viene tanto rapito dai propri pensieri, al punto che, immobile, sembra essersi mutato in una pietra.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 39

39. Se gli è amico o nemico non comprende:

tema e speranza il dubbio cuor le scuote;

e di quella aventura il fine attende,

né pur d’un sol sospir l’aria percuote.

Il cavalliero in riva al fiume scende

sopra l’un braccio a riposar le gote;

e in un gran pensier tanto penètra,

che par cangiato in insensibil pietra.

     Questo cavaliere è Sacripante, uno dei tanti corteggiatori di Angelica il quale sta pensando proprio a lei. E noi lasciamo che pensi.

    Da ciò che abbiamo letto si capisce che Ludovico Ariosto preferisce “la Filosofia [cosiddetta] naturalista” [dove la Natura si comporta secondo i suoi propri principi] e forse è proprio per questo motivo che Bernardino Telesio, “il filosofo naturalista [per eccellenza] della Storia del Pensiero rinascimentale”, si diverte, fin da bambino, a leggere l’Orlando furioso. Bernardino Telesio è un personaggio eccezionale perché ha il coraggio di rompere uno schema consolidato e di affermare che i comportamenti della Natura sono “suoi propri” né influenzati da interventi divini né da congetture magiche e soprattutto non sono subordinati ai fondamenti della fisica aristotelica che domina ancora nel campo della cultura universitaria agli albori dell’Età moderna.

     Ci vuole coraggio per mettere in discussione il modo in cui gli Aristotelici stanno interpretando “religiosamente” le Opere di Aristotele: Bernardino Telesio demolisce e ridicolizza il fondamentalismo degli Aristotelici accademici che, per esaltare Aristotele, finiscono per sminuirne l’operato. Chi è Bernardino Telesio e come si articola il suo pensiero?

     Per rispondere a queste e ad altre domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé, consapevoli del fatto che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare.            

     La Scuola è qui, e il viaggio continua [non perdete il prossimo itinerario perché poi ci sarà la pausa dell’Immacolata concezione e, dopo la pausa dell’8 dicembre, ci sarà ancora una sola Lezione prima della vacanza natalizia: non perdete le ultime Lezioni di quest’anno]…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 24, 2017