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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA ENTRANO IN VIGORE I DECRETI DEL CONCILIO TRIDENTINO ...

Lezione N.: 
9

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza    10-11-12  gennaio  2018

 SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA

ENTRANO IN VIGORE I DECRETI DEL CONCILIO TRIDENTINO ...

Ben tornate e ben tornati a Scuola: buon anno di studio a tutte e a tutti voi che rendete possibile sul territorio, per quanto sia ancora evanescente nella società odierna, la presenza della Scuola pubblica degli Adulti perché sapete quanto sia importante non perdere mai la volontà di imparare! Inizia, con il nono itinerario, la seconda parte di questo Percorso di Alfabetizzazione culturale che utilizza la Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura [inizia la seconda parte di questo viaggio, che cronologicamente va da Natale a Pasqua, e che comprende tutta la stagione invernale fino alla prossima primavera] e, quindi, riprendiamo il nostro cammino sul territorio della sapienza poetica e filosofica agli albori dell’Età moderna nel momento in cui si registra un cambiamento di mentalità e, difatti, negli itinerari dello scorso anno, prima della vacanza natalizia, ci siamo dedicate e dedicati alla ricerca dei germi che fanno fermentare un pensiero nuovo che caratterizza l’epoca moderna: il pensiero scientifico.

E in proposito, negli ultimi itinerari dello scorso anno abbiamo seguito dal 1529, insieme a Ludovico Ariosto e a Pietro Bembo, le Lezioni tenute all’Università di Padova da un giovane ricercatore, assistente del professor Federico Delfino, titolare della cattedra di matematica dell’ateneo padovano, e abbiamo imparato da questo giovane studioso, che compie le sue ricerche per dare una prospettiva storica alle idee che si coltivano nella facoltà in cui studia, che i germi del pensiero scientifico vengono coltivati già da più di due secoli durante l’autunno del Medioevo, durante l’ultima stagione della Filosofia scolastica [con Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone, Guglielmo di Ockham, Giovanni Buridano].

Ebbene, nell’ambito della Filosofia scolastica, si è consolidato il concetto di esperienza” [l’episteme, in greco], e ha preso campo la pratica della sperimentazione” [l’epistemologia] ed è diventato centrale il tema dell’interpretazione dei fenomeni [l’ermeneutica] cercando le cause studiando il funzionamento dei fenomeni stessi.

E, due secoli dopo, il giovane ricercatore che come sappiamo si chiama Bernardino Telesio tira le fila di un lungo processo di gestazione [un processo che, durante l’Umanesimo, ha visto lo spirito scientifico progredire a stretto contatto con la disciplina magica, come abbiamo studiato] e nel pieno della sua maturità, dal 1565 al 1586, questo studioso pubblica un’opera, che viene considerata la prima pietra miliare sul cammino che porta alla nascita della scienza moderna, intitolata De rerum natura iuxta propria principia [Della natura delle cose secondo i loro propri principi], e di Bernardino Telesio, con il quale abbiamo celebrato il Natale, conosciamo la vita e il pensiero. E in questo nuovo anno appena iniziato, dalle linee portanti del pensiero di Bernardino Telesio riprendiamo il passo sul cammino del nostro percorso.

Nell’opera De rerum natura iuxta propria principia [Della natura delle cose secondo i loro propri principi], pubblicata integralmente nel 1586, Bernardino Telesio afferma che la Natura deve essere studiata [iuxta propria principia] secondo le proprie leggi, senza nessun ricorso a Dio [ad accorgimenti di tipo metafisico].

La conoscenza della Natura, afferma Telesio, deriva dall’esperienza poiché i sensi sono la forma più certa del sapere e il ragionamento dato dall’intelletto serve per mettere in ordine le sensazioni e si basa sulla memoria. Conoscere, afferma Telesio, è patire” [secondo il significato di “modificare, mutare” che per estensione ha in latino questo verbo] quindi conoscere è avvertire il mutarsi delle cose per mezzo di uno stimolo con cui la realtà esterna tocca la coscienza, l’anima materiale della persona. Non esiste, afferma Telesio, differenza tra ciò che è sensibile e ciò che è intelligibile perché la sensibilità e l’intelligenza non sono altro che due diverse maniere di sentire le cose e non differiscono per qualità. Ogni scienza razionale, afferma Telesio, è, dunque, anche una scienza sensibile e le Scienze naturali sono discipline superiori rispetto alle altre, compresa la matematica, perché si riferiscono direttamente alla sensazione. Ogni tentativo di spiegare la vita e i fenomeni della Natura con principi che non siano insiti nella materia - dato che tutto è materia - non ha alcun senso, afferma Telesio, e il motore immobile, l’oggetto trascendente previsto da Aristotele per mettere in movimento la realtà cosmica, è solo un concetto astratto.

I fenomeni che danno vita alla Natura, afferma Telesio, avvengono a causa di principi inerenti alla Natura stessa, e il principio determinante è il caldo quando agisce in relazione al freddo. La Natura, afferma Telesio, essendo pura materia, sarebbe inerte, in quanto massa corporea che riempie lo spazio, se non fosse mossa da un principio dinamico che si esprime nel contrasto del caldo [con la dilatazione e l’espansione] e del freddo [con la contrazione e la restrizione], e a causa di tale contrasto si è prodotto prima il Cielo e il calore degli Astri, e in seguito è nata la Terra che, quando è privata del Sole, ritorna al freddo originario. Dal Cielo e dalla Terra sono poi derivate tutte le cose della Natura: le piante, gli animali, l’essere umano che secondo Telesio non è provvisto di vita spirituale, poiché lo spirito umano non è che spirito animale dotato di maggior calore, di maggiore agilità e nitidezza, e anche la superiorità di uno spirito umano sugli altri, afferma Telesio, dipende da ragioni naturali come, per esempio, l’ambiente di vita e la grandezza del cervello; anche la morale, afferma Telesio, ha una base naturalistica e tutti i sentimenti umani dipendono da cause materiali: la gioia deriva dalla consapevolezza della propria forza vitale e la tristezza è l’espressione di un indebolimento dell’energia vitale. Il fine ultimo della vita umana, afferma Telesio, è, quindi, la conservazione della vita stessa e la ricerca del giusto equilibrio tra il piacere e il dolore. Tuttavia Bernardino Telesio non disdegna la metafisica e riconosce alla persona - tassativamente, però, sul piano della fede - un’anima immortale, creata da Dio, alla quale dà il nome di forma superaddita cioè aggiunta e ammessa al di fuori di ogni possibile ragionamento”.

Nelle pagine finali del suo Libro Bernardino Telesio dichiara di essere consapevole che la sua capacità di sperimentazione ha dei limiti ed è ancora all’inizio: «Non si può volare per aria su di un bastone, bisognerebbe che ci fosse dentro una macchina, ma una macchina così non esiste ancora e forse non esisterà mai, perché l’essere umano è troppo pesante. Ma naturalmente, non si può dire. Ne sappiamo troppo poco. Davvero, siamo appena al principio». Queste sono le parole con cui si conclude un’opera che leggeremo strada facendo il cui autore si rifà al pensiero di Telesio che, però, afferma anche ottimisticamente di essere certo che le sue ricerche sarebbero state condotte da altri e portate molto più avanti «affinché gli esseri umani, scrive Telesio, possano non solo sapere tutto ma anche avere il potere su tutto per rendere il vivere più umano possibile » [chissà quale giudizio darebbe oggi Telesio sulla scienza che spesso non opera per rendere il vivere più umano possibile?].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In quale campo, secondo voi, la scienza si deve impegnare maggiormente per “rendere il vivere più umano possibile”?… 

Scrivete quattro righe in proposito

 Bernardino Telesio [che si dichiara uomo di fede] non esclude l’esistenza del mondo della metafisica e dichiara che Dio, la vita morale, l’immortalità dell’anima trascendono la Natura e ne rappresentano il necessario completamento ma, nonostante quest’atto di sottomissione che Telesio compie [e tenendo conto del fatto che non siamo più nel Medioevo] viene spontaneo domandarsi: come mai l’opera di Bernardino Telesio [nel 1593 e nel 1596 quando lui è già morto da qualche anno] viene dichiarata eretica e messa all’Indice? Siamo nell’epoca della Controriforma, e che significato ha questa affermazione?

           La reazione della Chiesa di Roma alla Riforma protestante è passata alla Storia sotto il nome di Controriforma e ha preso corpo con un Concilio riunito da papa Paolo III a Trento nel dicembre del 1545, un avvenimento di notevole importanza che si è protratto, anche a causa di una lunga serie di interruzioni e di riprese, per 18 anni fino al 1564. La storia del Concilio di Trento è assai complessa e se la dovessimo studiare nei particolari [e ci sono molti saggi in proposito] non basterebbe un viaggio intero. L’aggettivo tridentino è stato usato fino a poco tempo fa per definire molti aspetti caratteristici della Chiesa cattolica ereditati dal Concilio di Trento e mantenuti per i successivi quattro secoli fino al Concilio Ecumenico Vaticano II, nel 1965.

Convocare un Concilio ecumenico, in particolare un Concilio come il Tridentino, non è stata impresa facile: vediamo di chiarire, a grandi linee, questa affermazione.

Già nel 1520 Martin Lutero [1483-1546] aveva chiesto la convocazione di un Concilio per dirimere il suo contrasto con il papa Leone X, Giovanni di Lorenzo de’Medici, e la sua richiesta viene sostenuta da molti, in particolare dall’imperatore Carlo V che vedeva, però, nell’assemblea conciliare soprattutto uno strumento non solo per la riforma della Chiesa ma anche per accrescere [con la riconciliazione tra le parti] il suo potere imperiale. Tra i primi fautori di un Concilio di riconciliazione” tra la curia romana e i protestanti bisogna ricordare il vescovo di Trento Bernardo Clesio [insigne umanista e grande personaggio dell’epoca sul quale potete informarvi consultando l’enciclopedia e navigando in rete] e il cardinale agostiniano Egidio da Viterbo, collaboratore di papa Giulio II che nel 1506 gli ha affidato la riforma dell’ordine agostiniano che lui ha attuato, e anche Lutero è un monaco agostiniano che ha preso molto sul serio la riforma voluta da Giulio II.

Ma all’idea di un Concilio si oppone fermamente il secondo papa Medici eletto nel 1523 dopo il brevissimo pontificato di Adriano VI, Clemente VII [Giulio di Giuliano de’Medici] perché persegue una politica filo-francese favorevole a Francesco I di Valois e, quindi, è ostile all’imperatore Carlo V d’Asburgo che come sappiamo auspicava la convocazione del Concilio [si capisce che gli affari della gestione del potere vaticano prevalgono sul tema della riforma della Chiesa], e poi Clemente VII teme che il Concilio possa prendere il sopravvento sul potere papale [per giunta Clemente VII ha paura di poter essere deposto in quanto figlio illegittimo di Giuliano de’ Medici].

L’idea di un Concilio riprende quota sotto il pontificato del successore di Clemente VII, il cardinale Alessandro Farnese che prende il nome di Paolo III [papa dal 1534 al 1549] e di questo personaggio bisogna pur dire qualcosa. Alessandro Farnese, figlio di Pier Luigi I signore di Montalto, nella Maremma laziale, e di Giovannella Caetani discendente di Bonifacio VIII, riceve una buona formazione umanistica a Roma all’Accademia di Pomponio Leto e una vasta competenza matematica sotto la guida dello scienziato Alberto Piglio. Ma il ragazzo è talmente indisciplinato che entra ed esce in continuazione di galera perché ne combina di tutti i colori e allora viene allontanato da Roma e mandato a Firenze all’Accademia neoplatonica dove Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cristofaro Landino, Angelo Poliziano e Lorenzo de’ Medici lo mettono in riga e, quando ritorna a Roma, viene assunto come proto-notaio apostolico da papa Innocenzo VIII [il genovese Giovanni Battista Cybo], e poi il papa Borgia, Alessandro VI [tra l’altro sapete che don Rodrigo ha una relazione con la sorella di Alessandro, Giulia Farnese], lo nomina cardinale e lui fa carriera fino al pontificato.

Da pontefice Paolo III Farnese, in primo luogo, allarga il collegio cardinalizio con l’inserimento di figure che sono tutte favorevoli ad attuare una riforma come i cardinali Reginald Pole e Giovanni Gerolamo Morone [che appartengono alla corrente degli Spirituali - con la quale simpatizzano Ariosto e Bembo - e vogliono la riconciliazione con i protestanti] e i cardinali Gasparo Contarini e Gian Pietro Carafa [che, anche in caso di rottura definiva con i protestanti, auspicano una riforma radicale della Chiesa].

Nel 1537 Paolo III convoca - prima a Mantova e poi l’anno successivo a Vicenza - un’assemblea di tutti i vescovi, di tutti gli abati e di numerosi principi dell’Impero, per dichiarare la sua volontà di indire un Concilio, rammaricandosi del fatto che l’instabilità e l’incertezza provocata in tutta Europa dal conflitto in corso tra Francesco I e Carlo V non ne permettano la realizzazione.

L’imperatore Carlo V continua ad auspicare, per motivi politici più che per motivi religiosi, la ricomposizione dello scisma protestante [che significava soprattutto una riunificazione europea], mentre per il papato l’obiettivo è quello di arrivare a un chiarimento in materia di dogmi e di dottrina, ai protestanti invece preme, in primo luogo, continuare a portare il loro attacco all’autorità del papa. Carlo V, nel 1541, si fa promotore di un incontro al vertice a Ratisbona tra i cattolici [che intanto hanno cominciato a definirsi usando l’antico termine “katholikòs” che significa “universale”] e i riformati [i quali non vogliono più essere più chiamati “protestanti” ma “autori della riforma”].

Ratisbona [che significa “fortezza sul fiume Regen”] è una città di origine romana e si trova al centro della Baviera, nel sud-est della Germania, alla confluenza del Danubio con il suo affluente Regen, a poca distanza dalla Selva Bavarese e della Selva Boema [e non si può perdere l’occasione di compiere un’escursione in questi luoghi].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida della Germania [che trovate in biblioteca] e navigando in rete fate una visita a Ratisbona il cui centro storico fa parte del patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, buon viaggio

I Colloqui di Ratisbona del 1541 tra le due delegazioni [i membri delle quali si sono molto impegnati sul piano del dialogo attraverso un serrato e colto dibattito] - la delegazione cattolica guidata dal cardinale legato pontificio Gasparo Contarini e quella riformata dal teologo Filippo Melantone, teorico della Riforma luterana, che abbiamo incontrato lo scorso anno - non sono serviti a evitare la rottura ma per confermarla e, soprattutto, per chiarire le differenze tra le due posizioni che, sebbene si sia trattato di una sconfitta soprattutto da parte imperiale, hanno però soddisfatto entrambe le parti [tanto le esigenze dottrinali di Lutero che quelle degli esperti della curia romana]. Il fallimento dei Colloqui di Ratisbona segna, quindi, un decisivo passo verso la rottura definitiva tra cattolici e protestanti e, di conseguenza, la convocazione di un Concilio da parte dei vertici della Chiesa cattolica viene giudicata improrogabile per ribadire ufficialmente le verità di fede contenute nella dottrina cattolica, per cui, con la bolla Initio nostri del 22 maggio 1542, Paolo III indice il Concilio per il 1º ottobre [Kalendas octobris] 1542 a Trento, ma poi è costretto a rimandare e, con la bolla Etsi cunctis del 6 luglio 1543, proroga la data d’inizio per il 6 luglio 1543 perché le ostilità tra Francesco I e Carlo V non sono ancora cessate.

Trento viene scelta perché, pur essendo una città italiana, si trova dentro i confini dell’Impero ed è retta da un principe-vescovo [che ha la possibilità di gestire l’evento sul piano organizzativo], ma Paolo III è costretto ancora a prorogare la data d’inizio del Concilio e, per poterlo fare, deve attendere la firma del trattato di Crépy [Crépy è un comune della regione francese della Piccardia dove Francesco I e Carlo V concordano un armistizio nelle guerre italiane], e solo allora il papa può finalmente emanare la bolla di convocazione, la Laetare Jerusalem del novembre 1544, e il Concilio si apre solennemente a Trento il 13 dicembre 1545 nella cattedrale di San Vigilio, e il grande organizzatore dell’evento è il principe-vescovo Cristoforo Madruzzo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida del Trentino-Alto Adige [che trovate in biblioteca] e navigando in rete fate un’escursione a Trento per visitare i significativi monumenti di questa città, buon viaggio

Con l’enciclopedia e in rete andate a incontrare il principe-vescovo Cristoforo Madruzzo: è una figura molto interessante, visibile anche nel ritratto dipinto da Tiziano

 La prima fase del Concilio di Trento viene gestita da papa Paolo III, Alessandro Farnese, il quale affida il coordinamento dei lavori a tre cardinali che rappresentano tre diverse correnti: Giovanni Maria Ciocchi del Monte [della corrente dei conservatori moderati], Marcello Cervini [dei riformisti] e Reginald Pole [degli spirituali].

Nei primi due anni [dal 1545 al 1547] i padri conciliari discutono, senza trovare un accordo [in modo “piuttosto burrascoso”, dicono le cronache], sull’ordine dei temi da trattare: se prima si dovessero trattare gli argomenti di natura dogmatica oppure quelli di natura disciplinare, e le discussioni continuano finché nel 1547 a Trento scoppia una piuttosto ristretta, per fortuna, epidemia di peste [uno dei flagelli di quest’epoca] per cui la sede del Concilio viene spostata precipitosamente a Bologna dove, finalmente, vengono redatti e approvati i regolamenti e l’ordine di discussione degli argomenti. Come primo provvedimento di carattere dottrinale l’assemblea riafferma, come verità indiscutibile, il cosiddetto Simbolo niceno” [la formula del Concilio di Nicea del 325 sulla natura di Gesù Cristo, definito «vero Dio e vero Uomo della stessa sostanza del Padre, omoousios»] e viene scritto, in modo più ampio, così come viene recitato ancora oggi, il testo del Credo”.

Il Concilio di Trento, durante la prima fase [in particolare dal 1547 al 1549 con sede a Bologna per evitare la peste ma più che altro per sottrarsi all’invadenza dell’imperatore Carlo V], fissa i canoni della Sacra Scrittura e ribadisce quali sono i Libri ispirati da Dio e, in proposito, viene accettata come ufficiale la versione della Bibbia detta Vulgata tradotta da Gerolamo in latino nel V secolo e viene censurata la traduzione in tedesco fatta da Lutero. Il Concilio respinge la dottrina del libero esame delle Scritture formulata da Lutero [secondo cui l’interpretazione del testo biblico avviene in base alla coscienza autonoma del singolo credente], e il Concilio ribadisce che l’interpretazione dei testi biblici spetta unicamente all’autorità ecclesiastica.

Poi il Concilio enuncia la dottrina sul peccato originale” [il decreto del 17 giugno 1546] e ne ribadisce la reale esistenza per ereditarietà di ciascuna persona alla nascita per cui è necessaria una giustificazione che è data non dalla fede come sostiene Lutero, ma dal sacramento del battesimo che lava tale peccato, sebbene, nella persona battezzata rimanga una concupiscenza” [rimane la tentazione del peccato] e questo stato richiede, di conseguenza, una continua domanda di grazia che giustifica l’esistenza e la reale efficacia, voluta da Dio, dei sacramenti, che non si possono ridurre a due e considerare solo come puri simboli come prescrive Lutero. Nel decreto del 13 gennaio 1547 si legge: «La persona che riceve la grazia mediante i sacramenti cambia realmente, sia in sé sia in un nuovo comportamento, con atti meritori che a loro volta confermano e incrementano la grazia. Gli atti sono una conseguenza della grazia ma è necessario volerli, perché è obbligatoria la cooperazione della persona che deve volgere l’attenzione alle verità di fede, deve dare loro un assenso interiore, deve riconoscere, di conseguenza, il proprio peccato e detestarlo, e infine deve amare Dio con tutto il cuore». Il Concilio condanna, quindi, la posizione di Lutero il quale sostiene che i sacramenti non creano alcun cambiamento nella persona che rimane nei suoi peccati: «l’unica differenza, sostiene Lutero, è che Dio non glieli imputa più, e lo fa con un atto puramente unilaterale perché è Lui che predestina», e il Concilio smentisce questa affermazione e condanna la teoria della predestinazione ribadendo che la persona si salva in virtù della propria libertà [del libero arbitrio].

La questione del peccato originale pone dei problemi che erano già in discussione da molto tempo e i padri conciliari si pongono una domanda sempre rimasta da tempo in sospeso: anche Maria di Nazareth, la madre di Gesù, ha ereditato il peccato originale o si deve pensare che sia stata concepita immacolata? Sul complesso tema de l’Immacolata concezione” [Sisto IV aveva già istituito nel 1474 la festa dell’Immacolata concezione] il Concilio, anche per evitare spaccature, si è limitato a dire che le affermazioni sul peccato originale espresse nei documenti conciliari non riguardano «la beata e immacolata vergine Maria» e che la Chiesa avrebbe, in avvenire, espresso, in proposito, un parere definitivo.

Il Concilio poi impone, per decreto, il divieto di predicazione ai non ecclesiastici e l’obbligo di residenza e di servizio pastorale dei vescovi nelle loro diocesi, contrariamente  sarebbero stati tolti loro i benefici ecclesiastici.

Infine viene ribadita, con un decreto, la dottrina generale dei sette sacramenti” [battesimo, cresima, eucaristia, confessione, ordine, matrimonio, estrema unzione] ritenuti istituiti personalmente da Gesù Cristo e in possesso di una reale efficacia salvifica.

Carlo V ritiene che il trasferimento della sede del Concilio per paura della peste da Trento [città entro i confini dell’impero dove si erano manifestati solo una decina di casi di febbre pestilenziale] a Bologna [città pontificia dove il rischio sanitario era lo stesso] sia una scusa adottata dal papa per sottrarre i cardinali alla sua ingerenza perché, in realtà, Carlo V non condivide il tono autoritario dei testi dei decreti conciliari i quali sanciscono un allontanamento definitivo tra cattolici e protestanti, e lui, invece, vorrebbe si ammorbidissero i toni per il fatto che vuole trattare con i feudatari tedeschi che si sono ribellati all’autorità imperiale aderendo alla Riforma: difatti nel 1548, firma con loro un accordo di non belligeranza ad Augusta e Paolo III reagisce sospendendo [sine die] i lavori del Concilio, promulgando i decreti approvati e promuovendone l’immediata attuazione- Nel 1549 Paolo III muore e termina anche la prima fase del Concilio di Trento perché [morto un papa se ne fa sempre un altro] iniziano le grandi manovre per il conclave.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Secondo voi che cosa influenza il corso della vostra vita: la predestinazione, il caso, la necessità, la libera volontà, o cos’altro?...

Scrivete una riga in proposito...

 Ludovico Ariosto nel testo dell’Orlando furioso riflette, anche, su questo tema interlocutorio - qual è il fattore o i fattori che influenzano il corso della vita della persona? e su questo tema il Concilio di Trento dà delle direttive che impongono delle scelte ben precise -; Ariosto si domanda, poeticamente, che cosa possa influenzare il corso della vita delle donne e dei cavalier dei quali canta le imprese nel suo poema, e si domanda da quale fattore sia influenzata la fuga di Angelica, che è il motivo conduttore dell’opera: dal caso, dalla necessità, dalla predestinazione, dalla libera volontà? Ariosto dà una risposta a seconda delle situazioni, in relazione agli incontri che Angelica fa [il tema della fuga è in relazione con quello degli incontri], incontri che, a quanto sembra, è costretta a subire, anche se, per il carattere che ha, Angelica non è disposta a sottomettersi.

Abbiamo quasi ultimato la lettura del primo canto dell’Orlando furioso che come sappiamo è quanto leggeremo del poema, e la scena che ci si presenta di fronte nella 71ª ottava del canto I [qui ci siamo fermate e fermati prima della vacanza] ci mostra Angelica e Sacripante che avanzano nella foresta in sella sul medesimo cavallo, e ora leggiamo versi e commento dalla 72ª ottava alla 81ª, l’ultima del I canto.

 Sacripante, re di Circassia [regione pedemontana del Caucaso] ed ennesimo innamorato di Angelica [personaggio creato da Boiardo], incontra per caso la fanciulla nella foresta dove, ben nascosta, si è fermata per riposare. Angelica, dopo aver sentito Sacripante spasimare per lei, decide per necessitàdi uscire dal cespuglio fiorito che la nasconde per mostrarsi a lui: ha infatti bisogno di qualcuno che la protegga e la scorti mentre sta fuggendo da Rinaldo. Sacripante [che è un po’ sempliciotto] s’illude di essere predestinato a impalmare la fanciulla e mostra subito la volontà di difenderla quando, all’improvviso, un misterioso cavaliere di bianco vestito arriva al galoppo con fare minaccioso attraverso il bosco e Sacripante lo affronta ma, nel terribile scontro [dall’impeto tremendo] il re circasso ha la peggio: viene disarcionato dallo sconosciuto avversario e, sebbene per fortuna non rimanga ferito per via dell’armatura di buona fattura, tuttavia resta imprigionato sotto il peso del suo cavallo morto nel violentissimo urto. È Angelica, dopo che l’incognito cavaliere si è allontanato precipitosamente, a liberare Sacripante il quale, dopo aver subìto questa umiliazione, ne patisce una ben peggiore perché viene a sapere da un messaggero, repentinamente comparso sul sentiero del bosco, di essere stato atterrato da una donzella energica, ma soprattutto bella che si chiama Bradamante [Bradamante è, con Marfisa, una delle due donne guerriere presenti nel poema, l’una e l’altra sono creature di Matteo Maria Boiardo]. Dopo essersi così pronunciato anche il messaggero riparte al galoppo sul suo ronzino e Sacripante è tristissimo, rosso dalla vergogna: gli era capitata una situazione fortunata e ora soffre per essere stato steso a terra da una femmina e, con questo stato d’animo, sta cavalcando insieme ad Angelica, silenzioso e incapace di parlare. Angelica e Sacripante non hanno percorso più di due miglia che sentono risuonare il bosco che li circonda con un tale rumore e strepitio che sembra tremi tutta la foresta, e, poco dopo, compare dalla vegetazione un destriero possente, abbellito con oro e adornato riccamente, che procede scavalcando a balzi i cespugli e i torrenti e travolge e distrugge gli alberi e ogni altro oggetto che impedisce il suo passaggio.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 72

72 Non furo iti duo miglia, che sonare

odon la selva che li cinge intorno,

con tal rumore e strepito, che pare

che triemi la foresta d’ogn’intorno;

e poco dopo un gran destrier n’appare,

d’oro guernito e riccamente adorno,

che salta macchie e rivi, ed a fracasso

arbori mena e ciò che vieta il passo.

 Angelica prende la parola e dice: «Se i rami intricati e la scarsa luce non m’ingannano gli occhi il destriero che, in mezzo al bosco con gran frastuono, si apre a forza la strada, è Baiardo. È certamente Baiardo, lo riconosco, e questo fatto può far bene alla nostra causa [come ben nostro bisogno intende]! Perché un solo cavallo per due persone è poco adatto, e lui viene a soddisfare subito [ratto] il nostro bisogno!».

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 73

73 «Se l’intricati rami e l’aer fosco

(disse la donna) agli occhi non contende,

Baiardo è quel destrier ch’in mezzo il bosco

con tal rumor la chiusa via si fende.

Questo è certo Baiardo, io ‘l riconosco:

deh, come ben nostro bisogno intende!

ch’un sol ronzin per dui saria mal atto,

e ne viene egli a satisfarci ratto».

 Sacripante [il Circasso] smonta e si avvicina al fianco di Baiardo: pensa di riuscire a impugnarne il freno ma il destriero risponde agendo con i muscoli posteriori [colle groppe] girandosi velocemente come un fulmine [come un baleno], ma non arriva a colpire dove ha indirizzato i calci: povero il cavaliere se avesse colpito in pieno perché questo cavallo ha una tale forza nel calciare da riuscire a spezzare anche una montagna di metallo!

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 74

74 Smonta il Circasso ed al destrier s’accosta,

e si pensava dar di mano al freno.

Colle groppe il destrier gli fa risposta,

che fu presto a girar come un baleno;

ma non arriva dove i calci apposta:

misero il cavallier se giungea a pieno!

che nei calci tal possa avea il cavallo,

ch’avria spezzato un monte di metallo.

 Baiardo invece, umile e docile, va mansueto verso Angelica [dalla donzella] così come il cane è solito saltellare introno al padrone dopo che è stato lontano da lui per due o tre giorni. Infatti Baiardo si ricorda di lei che, in Albracca [città del Catai inventata dal Boiardo dove Angelica si rifugia insidiata da Agricane e salvata da Sacripante], lo ha accudito personalmente nel periodo in cui Angelica amava Rinaldo, mentre lui si mostrava crudele e insensibile [perché aveva bevuto alla fontana del disamore].

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 75

75 Indi va mansueto alla donzella,

con umile sembiante e gesto umano,

come intorno al padrone il can saltella,

che sia duo giorni o tre stato lontano.

Baiardo ancora avea memoria d’ella,

ch’in Albracca il servìa già di sua mano

nel tempo che da lei tanto era amato

Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.

 Angelica impugna con la mano sinistra la briglia del cavallo e con la destra gli accarezza il collo e il petto, e il destriero, che è dotato di ottima intelligenza [ch’avea ingegno a maraviglia], si dimostra, nei confronti di lei, mansueto come un agnello. Nel frattempo Sacripante coglie l’attimo favorevole e monta Baiardo, lo sprona e poi lo tiene a freno. Angelica abbandona la groppa del suo ronzino, ora alleggerito [disgravato], e si rimette quindi, più comoda, in sella.

LEGERE MULTUM….
Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 76

76 Con la sinistra man prende la briglia,

con l’altra tocca e palpa il collo e ‘l petto:

quel destrier, ch’avea ingegno a maraviglia,

a lei, come un agnel, si fa suggetto.

Intanto Sacripante il tempo piglia:

monta Baiardo, e l’urta e lo tien stretto.

Del ronzin disgravato la donzella

lascia la groppa, e si ripone in sella.

 Poi, guardandosi attorno, Angelica vede sopraggiungere di corsa, tra lo sferragliare dall’armatura, un possente guerriero e si arrabbia molto [s’avvampa di dispetto e d’ira] perché riconosce Rinaldo [il figliuol del duca Amone]. Lui la ama e la desidera più della propria vita: lei lo odia e lo evita più di quanto faccia la gru con un falcone. Prima era accaduto che lui odiasse lei più della morte mentre lei lo amava: ora la sorte si è invertita.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 77

77 Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira

venir sonando d’arme un gran pedone.

Tutta s’avvampa di dispetto e d’ira;

che conosce il figliuol del duca Amone.

Più che sua vita l’ama egli e desira;

l’odia e fugge ella più che gru falcone.

Già fu ch’esso odiò lei più che la morte;

ella amò lui: or han cangiato sorte.

 Ciò è stato causato da due fontane, che si trovano nelle Ardenne [regione boscosa tra il Reno e la Mosa] poco distanti tra loro, le quali rilasciano acqua [hanno liquore] che produce effetti contrari: l’una riempie il cuore di desiderio d’amore mentre chi beve l’altra viene privato dell’amore e il proprio ardore iniziale si tramuta in ghiaccio. Rinaldo ha assaporato l’acqua dell’una e ora si tormenta d’amore, Angelica ha bevuto quella dell’altra e ora lo odia e fugge da lui.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 78

78 E questo hanno causato due fontane

che di diverso effetto hanno liquore,

ambe in Ardenna, e non sono lontane:

d’amoroso disio l’una empie il core;

chi bee de l’altra, senza amor rimane,

e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.

Rinaldo gustò d’una, e amor lo strugge;

Angelica de l’altra, e l’odia e fugge.

 Quest’acqua mescolata a un filtro magico [quel liquor di secreto venen misto] che trasforma in odio la passione amorosa fa subito oscurare gli occhi, che prima erano sereni, della donna che Rinaldo ha visto, la quale con voce tremante e il viso triste  scongiura Sacripante di non aspettare che il cavaliere si avvicini, e lo supplica di fuggire insieme a lei.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 79

79 Quel liquor di secreto venen misto,

che muta in odio l’amorosa cura,

fa che la donna che Rinaldo ha visto,

nei sereni occhi subito s’oscura;

e con voce tremante e viso tristo

supplica Sacripante e lo scongiura

che quel guerrier più appresso non attenda,

ma ch’insieme con lei la fuga prenda.

 Ma Sacripante, punto nell’orgoglio, le risponde: «Valgo, dunque, così poco ai vostri occhi, visto che mi credete inutile e non capace da potervi difendere da costui? Avete già dimenticato le battaglie d’Albracca, e la notte in cui io, per la vostra salvezza, fui solo e nudo a proteggervi contro Agricane e tutto il campo?» Come fa spesso, Ariosto fa citare a Sacripante un episodio dall’Orlando innamorato di Boiardo quando una notte, avendo avuto notizia che Agricane, re dei Tartari che voleva fare Angelica sua sposa con la forza, era riuscito a penetrare in Albracca, Sacripante era balzato dal letto, per ricacciarlo, così com’era, senz’altra arma «che [scrive Boiardo] il sol brando e scudo | vestito di camicia e il resto nudo».

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 80

80 «Son dunque» disse il Saracino, «sono

dunque in sì poco credito con vui,

che mi stimiate inutile e non buono

da potervi difender da costui?

Le battaglie d’Albracca già vi sono

di mente uscite, e la notte ch’io fui

per la salute vostra, solo e nudo,

contra Agricane e tutto il campo, scudo?».

 Angelica non risponde e non sa cosa fare, perché Rinaldo ormai le è troppo vicino, e minaccia il Saraceno già da lontano quando vede il suo cavallo e quando riconosce il viso angelico che gli ha messo in cuore la passione amorosa. E «quello che seguì tra questi due superbi cavalieri [scrive Ariosto, secondo la consuetudine dei cantastorie] voglio che sia riservato per il prossimo canto».

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 81

81 Non risponde ella, e non sa che si faccia,

perché Rinaldo ormai l’è troppo appresso,

che da lontano al Saracin minaccia,

come vide il cavallo e conobbe esso,

e riconobbe l’angelica faccia

che l’amoroso incendio in cor gli ha messo.

Quel che seguì tra questi duo superbi

vo’ che per l’altro canto si riserbi.

 Come preannunciato, noi non andiamo oltre: faremo però prossimamente ancora delle considerazioni a riguardo del frammento [il I canto] del poema sul cui testo in questi mesi abbiamo puntato l’attenzione in riferimento [ed è bene ricordarlo] ad alcuni temi che riguardano nello specifico il territorio che stiamo attraversando: il tema dell’autonomia della Lingua [anche la Lingua volgare può assumere dignità letteraria] e il tema dell’autonomia della Natura [per spiegare la Natura bisogna partire dalla Natura stessa (iuxta propria principia)]. In funzione della didattica della lettura e della scrittura la prossima settimana imboccheremo una via che, per un verso, richiama il poema di Ariosto ma, in realtà, va in senso contrario, che cosa significa? Vedremo che significato ha questa affermazione, ora dobbiamo tornare a Trento.

            Il conclave, che si apre nel novembre del 1549 dopo la morte di Paolo III Farnese, dura tre mesi per la continua e inconcludente disputa tra cardinali francesi e cardinali spagnoli, e si conclude, nel febbraio del 1550, con l’elezione di un esponente della corrente dei conservatori moderati: il cardinale romano Giovanni Maria Ciocchi del Monte, che già abbiamo citato tra i coordinatori della prima fase del Concilio di Trento. Il nuovo papa decide di chiamarsi Giulio III [forse si sente la nostalgia di Giulio II, ma è difficile trovare un altro pontefice dotato del carattere di Giuliano della Rovere].

Giulio III ha l’intenzione di riaprire i lavori del Concilio a Trento, che erano stati sospesi a suo tempo nel 1548 per le divergenze con l’imperatore Carlo V. Il papa apre una trattativa con l’imperatore che auspica la riapertura del Concilio e, siccome vuole fare un ennesimo tentativo di riconciliazione tra cattolici e protestanti,chiede anche che vengano accolti in questa assise i rappresentanti dei protestanti: Carlo V, come sappiamo, ha stipulato un accordo con i feudatari tedeschi [con i quali vuole vivere in pace] e, quindi, nel maggio 1551 quando Giulio III riapre il Concilio a Trento partecipano ai lavori [dall’ottobre 1551 al marzo 1552] anche tredici rappresentanti dei protestanti tedeschi, inviati dal principe Gioacchino II di Brandeburgo, dal duca Cristoforo di Württemberg, da sei città imperiali della Germania Settentrionale e dal principe Maurizio di Sassonia. Però le animate discussioni tra pastori protestanti e cardinali cattolici non approdano a nulla: i protestanti chiedono la sospensione e la ridiscussione di tutti i decreti già approvati e chiedono che venga stabilita la superiorità dell’autorità del Concilio su quella del Papa. I cardinali cattolici non accettano queste condizioni e i rappresentati dei protestanti, con grande disappunto dell’imperatore, lasciano Trento.

Il Concilio riprende i lavori e formalizza il dogma della presenza reale di Cristo nell’eucaristia istituita nell’Ultima cena e dichiara indiscutibilmente vera la dottrina della transustanziazione” [la reale presenza della carne e del sangue di Cristo sotto le specie del pane e del vino] e, a questo proposito, vengono confermate le pratiche di culto e di adorazione a esso collegate [l’adorazione eucaristica e la festa del Corpus Domini] e, inoltre, viene data una precisa struttura al rito eucaristico [la messa tridentina].

Ma nell’aprile del 1552 il Concilio viene di nuovo sospeso a causa delle guerre che vedono coinvolte le truppe imperiali e quelle dei principi protestanti [il patto di non belligeranza di Augusta si è rotto e la religione diventa un pretesto per farsi la guerra].

Giulio III muore il 23 marzo 1555 e il suo successore viene eletto per acclamazione il 9 aprile nel corso di un brevissimo conclave perché il collegio cardinalizio, preso atto della delicata situazione internazionale con conflitti di religione che scoppiano dovunque, punta su una figura che possa, per la sua esperienza e la sua autorevolezza, riaprire e portare a termine il Concilio: il personaggio in questione è il cardinale Marcello Cervini, nato a Montepulciano vicino a Siena nel 1501, e che abbiamo già citato come coordinatore dei lavori del Concilio di Trento. Marcello Cervini è un cardinale della corrente riformista, è un diplomatico di grande prestigio ed è una persona illibata che si distingue per le sue doti spirituali e decide, per umiltà, di non cambiare nome: sarà papa Marcello II [e si rifà a Marcello I, papa dal 308 al 309 che, secondo la tradizione, era un addetto alle pulizie del palazzo imperiale di Massenzio e guida, con coraggio, una Chiesa che, senza privilegi, non solo resiste alla persecuzione ma vede crescere il numero dei suoi fedeli].

Il discorso di insediamento di Marcello II contiene un drastico programma riformatore: rifiuto e abolizione del fasto rinascimentale in curia nel nome della semplicità e della povertà, eliminazione del nepotismo [divieto di distribuire cariche di rilievo ai parenti], abolizione della guardia svizzera a significare la natura spirituale del papato, lotta durissima contro la corruzione nell’amministrazione vaticana. Il fatto è che Marcello II regna per soli ventidue giorni perché il 1º maggio muore.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Giovanni Pierluigi da Palestrina dedica a papa Marcello II una delle sue più famose composizioni, un mirabile esempio del cosiddetto stile polifonico rinascimentale: la Missa papae Marcelli che potete ascoltare anche attraverso la rete...  

 E, infine, veniamo a illustrare la terza e ultima fase del Concilio di Trento.

         Dopo la repentina morte di Marcello II la corrente riformista riesce ancora in un breve conclave a far eleggere, il 23 maggio 1555, uno dei suoi esponenti, Gian Pietro Carafa che appartiene a una famiglia baronale del Regno di Napoli [la stessa famiglia che ha ospitato a Nocera Bernardino Telesio] ed è una figura nota per il suo ascetismo ma anche per la sua avversione nei confronti della Spagna e degli Asburgo: la non neutralità politica [si allea con la Francia] non giova allo Stato vaticano che viene a trovarsi assediato dalle superpotenze spagnola e imperiale e questa situazione contribuisce a far assumere al nuovo pontefice un atteggiamento assai autoritario.

Gian Pietro Carafa decide di chiamarsi Paolo IV e, anche per contraddire l’imperatore, non intende riaprire i lavori del Concilio ma vuole prendere provvedimenti usando la sua autorità: potenzia la struttura del Sant’Uffizio [e inizia una frenetica attività repressiva] e nel 1559 fa pubblicare l’Indice dei libri proibiti, un elenco di testi ritenuti eretici la cui lettura viene proibita ai fedeli [nella rete cade anche l’opera di Bernardino Telesio al quale il papa chiede di modificare il suo pensiero].

Tuttavia, su consiglio del cardinale Carlo Borromeo [futuro arcivescovo di Milano, personaggio di manzoniana memoria, e santo], Paolo IV riapre, nel 1562, i lavori del Concilio. E il Concilio decreta sul valore del sacramento dell’ordine, considerato istituito da Gesù, e proclama la legittimità della struttura gerarchica della Chiesa, costituita in primo luogo dal pontefice romano, successore di Pietro, e dai vescovi, successori degli apostoli. Per dare dignità alla gerarchia viene istituito in ogni diocesi un apposito istituto detto seminario per provvedere alla necessaria selezione e istruzione del clero. Il Concilio decreta anche sul sacramento del matrimonio, considerato indissolubile, ma stabilisce le norme per un suo eventuale annullamento, e viene resa vincolante la norma del celibato ecclesiastico. Il Concilio decreta inoltre che ogni parroco deve tenere un registro dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni e delle sepolture [questo diventa uno strumento molto utile sul piano anagrafico]. Con la bolla Benedictus Deus, emanata il 30 giugno 1564, Paolo IV approva tutti i decreti e dichiara chiuso il Concilio e istituisce una commissione i cui membri devono vigilare sulla corretta interpretazione delle norme e devono attuare la revisione del breviario, del messale e del catechismo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida di Roma [che trovate in biblioteca] e navigando in rete andate a visitare la “Chiesa del Gesù” che è considerata il simbolo dell’arte della Controriforma

 Il Concilio di Trento è stato un grande avvenimento, positivo sotto molti aspetti [per quanto riguarda l’architettura, l’arte figurativa, la musica, la letteratura], purtroppo tutta una serie di ragioni, di carattere politico più che religioso, ha favorito lo sviluppo di un’azione repressiva nei confronti della libertà di pensiero, che ha inciso negativamente sull’immagine della Chiesa romana, ma la repressione non ha comunque impedito agli studiosi [già abbiamo incontrato Bernardino Telesio] di continuare, nonostante la censura e le condanne, a investire in intelligenza.

Con due di questi coraggiosi personaggi abbiamo appuntamento e stiamo per incontrarli [con uno di questi due staremo assieme fino alle soglie della primavera (un po’ di più di quello che avevo previsto) perché sono personaggi come si suol dire di un certo spessore]: chi sono, qual è il loro pensiero, quali sono i loro ideali e perché sfidano con caparbietà i severi e poco clementi tribunali dell’Inquisizione?

Per rispondere a queste domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé, consapevoli del fatto che, come dicono Giordano Bruno e Tommaso Campanella, non bisogna mai perdere la volontà d’imparare [dobbiamo essere animate e animati da un eroico furore per la conoscenza].

            E per questo la Scuola è qui, e il viaggio, anche quest’anno, continua…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Gennaio 12, 2018