ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza 14-15-16 febbraio 2018
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA
FA LENTAMENTE IL SUO ESORDIO IL SISTEMA COPERNICANO ...
come ricorderete, al termine dell’itinerario della scorsa settimana, abbiamo seguito a Londra. Questo è il quattordicesimo itinerario del nostro viaggio sul territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età moderna agli esordi della scienza e siamo in compagnia di Giordano Bruno che
Nell’aprile 1583 Giordano Bruno lascia Parigi e parte per Londra dove è ospitato dall’ambasciatore di Francia Michel de Castelnau. Insieme all’ambasciatore francese Giordano Bruno fa visita diverse volte alla regina Elisabetta [Elisabetta I la Grande, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, che ha regnato dal 1558 al 1603, un periodo che ha preso il nome di “èra elisabettiana” e che corrisponde al Rinascimento inglese]; Giordano Bruno viene accolto a corte soprattutto per la fama che ha acquisito [come sappiamo] con la pubblicazione delle sue prime opere che lo hanno reso un celebre studioso de “l’arte della memoria”, un argomento che interessa alle donne e agli uomini di potere dell’epoca. Giordano Bruno viene chiamato a insegnare mnemo-tecnica all’Università di Oxford e, su richiesta di un folto gruppo di studenti, decide di tenere, da filosofo, una serie di Lezioni sulle teorie copernicane.
Giordano Bruno a Oxford presenta, davanti a un gran numero di studenti, le tesi di Copernico [il quale è morto da quarant’anni e le sue tesi sono in circolazione da mezzo secolo] e mette in evidenza che lui, sulla scia di Niccolò Cusano e di Bernardino Telesio, è già andato oltre le tesi copernicane [che rivoluzionano l’assetto dell’Universo ponendo il Sole al centro del sistema] in quanto critica il fatto che Copernico concepisca ancora l’Universo come uno spazio limitato, non infinito, chiuso all’interno della sfera delle stelle fisse, che per Copernico è ancora un oggetto esistente secondo il pensiero di Aristotele. Bruno presenta e difende con competenza il sistema copernicano ma critica il concetto di finitezza su cui continua a basarsi questo sistema: l’Universo, ribadisce Bruno a Oxford, scandalizzando i professori universitari vetero-aristotelici che lo stanno ascoltando, ha come caratteristica essenziale quella di essere infinito, e questo concetto [dell’in-finito, un concetto che abbiamo studiato due settimane fa] lo porta a formulare una serie di ipotesi conseguenti. Se l’Universo è infinito dobbiamo ammettere, afferma Bruno, che la sfera delle stelle fisse [il firmamento, che costituisce una sorta di confine secondo l’antica astronomia tolemaica] non esiste e, di conseguenza, “ogni punto dell’Universo diventa contemporaneamente il centro e la periferia”.
A questo punto, per conoscere Niccolò Copernico e le sue tesi, un tema che è diventato di scottante attualità agli albori dell’età moderna, approfittiamo anche noi delle Lezioni che Giordano Bruno ha tenuto a Oxford dato che conosciamo il modo in cui ha presentato l’argomento: come facciamo a saperlo? Per rispondere a questa domanda, in primo luogo, dobbiamo fare un preambolo.
Giordano Bruno, ancor prima di concludere il suo ciclo di Lezioni sulle teorie copernicane [ben accolte dagli studenti e biasimate dagli insegnanti vetero-aristotelici], viene invitato a lasciare l’Università di Oxford per cui torna a Londra dove inizia per lui un periodo difficile perché il mondo della cultura, che interpreta ancora il pensiero di Aristotele in modo fondamentalista, fa terra bruciata intorno a lui. La sua amarezza - che Bruno vive comunque come uno stimolante incentivo - traspare dal tono delle introduzioni delle opere che, nel giro di un anno, compone.
Tra il 1584 e il 1585 Bruno compone e pubblica una serie di opere [due trilogie] tra le più importanti della sua produzione: La cena de le ceneri, De la causa, principio et uno, De l’infinito, universo e mondi, Cabala del cavallo pegaseo e L’Asino cillenico, Spaccio de la bestia trionfante, De gl’heroici furori: si tratta di sei opere filosofiche in forma dialogica dette “dialoghi londinesi” o anche “dialoghi italiani” perché sono scritte in lingua volgare italiana.
Nella prima di queste opere, intitolata La cena de le ceneri, sulla quale ora puntiamo l’attenzione, Bruno tratta il tema delle teorie copernicane e lo espone nel modo in cui lo ha presentato nelle Lezioni oxfordiane. La cena de le ceneri è un’opera dedicata a Michel de Castelnau, l’ambasciatore francese presso il quale Bruno è ospite a Londra.
Michel de Castelnau è un militare che ha acquisito un ruolo da abile ed esperto diplomatico [che in diplomazia cerca di agire con “lo stile cortese” di Baldassar Castiglione] e inoltre ama studiare e scrivere [e per questo va d’accordo con Bruno]. Di Michel de Castelnau possediamo un Libro di memorie che ha scarso valore letterario ma è assai prezioso perché, come tutti i Libri di memorie di quest’epoca e di tutte le epoche, contiene una miniera di informazioni utili ad arricchire il quadro della Storia di questo periodo.
La cena de le ceneri è un’opera divisa in cinque dialoghi, e Bruno immagina [ma non è detto che questa cena, sfrondata dagli elementi metaforici, non si sia svolta davvero], ebbene, Bruno ipotizza e scrive che il nobile Folco Grivello [sir Fulke Greville], il giorno [il mercoledì] delle Ceneri, inviti a cena, una cena parca durante la quale più che mangiare si dialoga e si riflette, un personaggio che si chiama Teofilo [in greco, Amico di Dio] che è il portavoce dell’autore [il personaggio di Teofilo rappresenta Giordano Bruno che espone la sua Filosofia “nolana”]. Gli altri invitati sono due accademici luterani di Oxford, i dottori Torquato e Nundinio e John [Giovanni] Florio, il precettore della figlia dell’ambasciatore Michel de Castelnau. Dobbiamo presentare brevemente questo personaggio che, non a caso, Giordano Bruno sceglie tra i suoi interlocutori perché i due sono intellettualmente in sintonia.
John [Giovanni] Florio è un umanista di origine italiana ed è un uomo di mondo [e già questi due dati lo avvicinano a Bruno]; sua madre è inglese [di lei non sappiamo altro] e lui è nato a Londra nel 1553 mentre suo padre, Michele Agnolo Florio, è un insegnante e uno scrittore toscano [era un frate forse di origine ebraica] che, avendo aderito alla Riforma protestante si è dovuto rifugiare in Inghilterra e poi la famiglia Florio aveva vagabondato per l’Europa e questo fatto aveva offerto al piccolo John l’opportunità di imparare un gran numero di lingue per cui quando da adulto ritorna in Inghilterra si fa un nome come insegnante di francese e di inglese [per questo sta ricoprendo il ruolo di precettore della figlia dell’ambasciatore Michel de Castelnau] e si distingue come autore di due Sillabari [intitolati Primi frutti e Secondi frutti] e come autore di un grande dizionario [il primo a essere composto] italiano-inglese intitolato Un mondo di parole. Ma l’opera principale di John [Giovanni] Florio è la traduzione inglese dei Saggi di Montaigne, pubblicata nel 1603, che ha permesso la conoscenza di quest’opera a William Shakespeare, di cui Florio sembra sia stato buon amico.
Noi non sappiamo se Giordano Bruno abbia conosciuto i Saggi di Montaigne anche se tra il pensiero di Bruno e quello di Montaigne, a volte, si colgono delle affinità, ma questa, riguardante l’opera di Montaigne, è un’altra storia della quale ce ne occuperemo a suo tempo: ora, dopo aver presentato John [Giovanni] Florio e aver detto che ha tradotto anche in inglese il Decameron di Giovanni Boccaccio facendo conoscere quest’opera oltre Manica, torniamo a La cena delle ceneri.
Teofilo - nel corso della cena - risponde alle domande degli altri protagonisti ed espone il pensiero del Nolano [del filosofo Giordano Bruno] iniziando dall’elogio e dalla difesa della teoria dell’astronomo polacco Niccolò Copernico che continua, a quarant’anni dalla sua morte, a essere attaccato dai conservatori che considerano il suo sistema non veritiero ma solo come un’ipotesi ingegnosa costruita per far crescere la sua fama di astronomo. I commensali de La cena de le ceneri chiedono a Teofilo di riferire che cosa ha imparato dal suo incontro con il Nolano su Niccolò Copernico. Bruno [il Nolano] però, in prima istanza, fa dire a Teofilo qual è la sua visione della realtà, non propriamente conforme alla visione di Copernico anche se lui si considera un copernicano, e presenta - mettendola per la prima volta ufficialmente per iscritto - la sua idea: lui concepisce “un Universo infinito senza centro e senza confini, un Universo che contiene mondi innumerabili e che procede da Dio quale Causa infinita, e anche Dio è, a sua volta, in-finito”. Bruno [il Nolano] fa dire a Teofilo che è vano sostenere l’esistenza della volta cristallina del firmamento [il firmamento era considerato come una calotta solida di cristallo] alla quale sono fissate le stelle, che è vano sostenere la finitezza dell’Universo e affermare che in questo Universo esista un centro dove ora dovrebbe trovarsi immobile il Sole come prima vi s’immaginava ferma la Terra. Bruno [il Nolano] fa dire a Teofilo che la sua visione della realtà deriva dall’insegnamento di Bernardino Telesio e, prima ancora, da quello contenuto nell’opera Docta ignorantia [La dotta ignoranza] del cardinale e umanista Nicola Cusano [1401-1464] che sostiene, da oltre un secolo, l’infinità dell’Universo in quanto effetto di una Causa infinita. Bruno [il Nolano] fa dire a Teofilo che lui, ovviamente, è consapevole che nelle Sacre scritture si legge tutt’altro - si parla della finitezza dell’Universo e della centralità della Terra - ma afferma che la Scrittura deve essere letta in chiave metaforica e che Dio desidera si faccia una distinzione tra le dottrine morali e la filosofia naturale, per cui occorre distinguere tra il ruolo dei teologi e quello dei filosofi: ai primi spettano le questioni morali, ai secondi la ricerca di come è fatta la realtà. Bruno [il Nolano] ne La cena de le ceneri fa dire a Teofilo, prima di tutto, che Dio pretende si tracci un confine netto fra le Opere di filosofia naturale e le Sacre scritture portatrici di un messaggio di carattere morale: la Sacra scrittura, afferma Bruno, deve dare un indirizzo morale alla ricerca scientifica senza ostacolarne il percorso.
Intanto compare in tavola la prima portata e i commensali de La cena de le ceneri, prima di cominciare a mangiare, chiedono a Teofilo - dopo aver ascoltato la sua introduzione - di riferire quello che ha imparato su Niccolò Copernico dal suo colloquio con il Nolano.
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Avete già pensato al menu della vostra cena delle Ceneri?...
Pensateci e scrivete quattro righe in proposito...
I commensali de La cena de le ceneri, mentre viene servita in tavola la prima portata, chiedono a Teofilo che comunichi anche a loro ciò che il Nolano gli ha insegnato in relazione alla figura di Niccolò Copernico e delle sue teorie cosmologiche. Giordano Bruno [il Nolano] fa dire a Teofilo [il suo alter ego] che la rivoluzione cosmologica ha avuto inizio mezzo secolo prima in una zona dell’Europa dove non era neppure facile osservare il cielo: tra le nebbie del mar Baltico che avvolgono, per gran parte dell’anno, la regione della Prussia polacca dove ha condotto i suoi studi e ha svolto il suo lavoro di ricercatore Niccolò Copernico.
Niccolò Copernico [Mikolaj Kopernik] è nato nel 1473 nella città polacca di Toruń che si trova nel cuore della regione baltica. Toruń è un’affascinante città con più di 205 mila abitanti, situata sulle rive della Vistola: il grande fiume che segna il confine tra due regioni storiche della Polonia per cui questa città è per metà in Pomerania e per l’alta metà in Cuiavia. Toruń è stata fondata nel 1233 dai Cavalieri Teutonici e il suo centro storico medioevale [la Città Vecchia] è stato dichiarato patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO per i suoi importanti monumenti e i suoi significativi luoghi storici come: le Mura e le Porte, il Municipio della Città Vecchia considerato il più bell’edificio municipale cinquecentesco della Polonia, la Basilica Cattedrale di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista [c’è il fonte battesimale del XIII secolo dove si presume sia stato battezzato Copernico], la presunta Casa natale di Copernico [in via Copernico, con relativo Museo], la Torre Pendente [che fa parte del sistema delle Mura, costruita nel XV secolo presenta una marcata pendenza in avanti (e si auspica un prossimo gemellaggio con Pisa)], le Rovine [fuori le Mura] del Castello teutonico, la caratteristica Piazza del Mercato della Città Vecchia con al centro il monumento in bronzo fuso nel 1853 dedicato a Niccolò Copernico [raffigurato che punta il dito verso il cielo] sul cui basamento c’è un’iscrizione latina che dice: «Nicolaus Copernicus Thorunensis, motore terrae, solis coelique statore »[Niccolo Copernico, cittadino di Toruń, mosse la terra, fermò il cielo e il sole].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida della Polonia e navigando in rete fate un viaggio a Toruń e visitate la bella città natale di Niccolò Copernico…
Niccolò Copernico è figlio di un mercante proveniente dal villaggio di Koperniki [di qui il cognome della famiglia] in Slesia e sua madre è una nobildonna di Toruń. Presto però rimane orfano di entrambi i genitori e viene adottato, insieme ai suoi fratelli, dallo zio materno che è un vescovo della regione della Varmia, nel nord della Polonia. Nel 1491 Niccolò entra all’Università di Cracovia ed è lì che conosce l’astronomia, una disciplina che lo entusiasma subito e della quale si occuperà per tutta la vita rimanendo [e questo è il destino degli astronomi in questo momento] sempre [fa dire Bruno a Teofilo ne La cena delle ceneri] un ricercatore isolato, perché sono in pochi a capire ciò che sta facendo, con a disposizione solo qualche strumento rudimentale con il quale guarda il cielo [un cielo non facile da osservare perché spesso offuscato dalle cosiddette brume baltiche]: la mappa del cielo [siamo agli esordi della scienza astronomica moderna] l’ha disegnata, e continua a disegnarla, su molti fogli di carta attaccati insieme e stesi sul suo tavolo da lavoro. Come fa a orientarsi? Si orienta perché, dopo aver frequentato l’Università di Cracovia, è venuto in Italia e ha studiato all’Università di Bologna [dove segue il corso di Diritto tenuto dal noto umanista Antonio Urceo Codro, che gli ha insegnato anche tante altre cose di greco e di latino] e poi diventa l’assistente del celebre astronomo ferrarese Domenico Maria Novara [1454-1504] il quale, come titolare della cattedra di matematica all’Università di Bologna, con grande circospezione ma anche con la massima determinazione insegna ai suoi allievi fidati quali sono le operazioni matematiche e le osservazioni celesti che portano decisamente a pensare che “la Terra si muove” e “il Sole è al centro del sistema”. Poi Copernico va a studiare all’Università di Padova acquisendo una vasta cultura filosofica e scientifica: si laurea in diritto canonico, in medicina, e diventa anche esperto in una disciplina che oggi chiamiamo “economia”: difatti, la prima opera che Copernico scrive è un trattato che s’intitola De monetae cudendae ratione [Trattato sul conio della moneta] in cui critica il fatto che ogni Stato, ogni Principato, ogni Città europea batta moneta per conto proprio, e calcola lo spreco di questa procedura e spiega come un sistema monetario omogeneo procuri dei vantaggi che hanno una ricaduta positiva prima di tutto su chi ha un basso reddito, e poi spiega come l’omogeneità del sistema monetario incida favorevolmente sul piano della cooperazione internazionale [perché ogni autorità, invece di aprire un conflitto finanziario, opererebbe per mantenere il giusto valore della moneta comune] e, inoltre, Copernico spiega come un sistema monetario omogeneo favorirebbe il mantenimento della pace perché tutte le guerre hanno, scrive Copernico, una causa di natura economica. Inoltre Copernico in Italia studia all’Università di Ferrara dove si dedica a leggere i Dialoghi di Platone, le Opere giuridiche e filosofiche di Cicerone e gli Scritti del matematico e astronomo Giovanni Bianchini [professore all’Università di Ferrara che era morto nel 1469] il quale ha raccolto le opinioni degli Antichi [di tutti i più importanti filosofi dell’Antichità] su “il movimento della Terra”. Nel 1506 [fa dire Bruno a Teofilo ne La cena delle ceneri] Niccolò Copernico parte dall’Italia con un notevole bagaglio di conoscenze e torna nella Prussia polacca perché, per interessamento delle zio vescovo, è stato nominato canonico di Frombork, e qui - in questo posto tranquillo - si dedica ai suoi impegni ecclesiastici [ma si occupa anche, per conto del Capitolo di Varmia, di catasto, di giustizia e di fisco] e, soprattutto, segue la sua passione cosmografica e cosmologica dedicandosi, per decenni, ai calcoli e alle osservazioni astronomiche fino al 1543 l’anno della sua morte. Nello stesso anno, poco prima di morire [fa dire Bruno a Teofilo], viene pubblicata la sua famosa opera intitolata De rivolutionibus orbium coelestium [Sulle rivoluzioni delle sfere celesti].
Ora da Toruń, navigando sulla Vistola, ci dobbiamo spostare nel nord della Polonia, sulla costa del Mar Baltico dove, sulla laguna alla foce della Vistola, sorge la cittadina di Frombork [di circa 2800 abitanti], fondata dai Cavalieri Teutonici nel 1278. Frombork, durante il secondo conflitto mondiale, ha subito danni notevoli ma è stata ricostruita così com’era. Il settore più interessante di Frombork è costituito dal colle della Cattedrale sul quale si trova la cittadella episcopale circondata da mura con porte e torri. La Torre più famosa è quella di Copernico nella quale ha abitato, ha studiato e dalla quale ha osservato il cielo [quand’era possibile]. Nel cinquecentesco palazzo vescovile dei vescovi di Varmia, è stato allestito il “Muzueum Mikolaja Kopernika” che raccoglie i cimeli, gli oggetti e gli incunaboli [libri stampati prima del 1500] dell’astronomo, manca la sua preziosa biblioteca che oggi si trova a Uppsala in Svezia perché, nel 1626, l’esercito svedese ha saccheggiato la cittadina di Frombork compresa la Torre di Copernico. Sul lato nord della cerchia muraria sorge la Cattedrale dell’Assunta, costruita in forme gotiche tra il 1329 e il 1388, nella quale ci sono molte anonime lastre tombali: c’era anche quella di Copernico perché la sua sepoltura è stata identificata col metodo del DNA nel 2008, e dal 2010 la tomba di Niccolò Copernico ha una lapide di granito nero con sopra incisa una rappresentazione del modello copernicano del sistema solare con il Sole in oro.
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Con la guida della Polonia e navigando in rete [dove potete vedere molte immagini fotografiche] fate un viaggio per visitare la cittadina di Frombork: come Niccolò Copernico ha messo “in movimento la Terra” così voi mettete in moto la vostra curiosità…
Abbiamo parlato della tomba di Niccolò Copernico e questo particolare ci fornisce l’occasione per aprire una parentesi in funzione della didattica della lettura e della scrittura. Come sapete stiamo leggendo il primo racconto, intitolato Lida Mantovani, della raccolta Cinque storie ferraresi di Giorgio Bassani, pubblicata nel 1956 e sappiamo che la protagonista, Lida Mantovani, è una ragazza che ha avuto un bambino di nome Ireneo nel corso di una relazione con David, un ricco giovane rampollo appartenente alla comunità ebraica ferrarese. Lida, quando viene abbandonata definitivamente da David che non intende sposarla né tanto meno vivere con lei e neppure riconoscere il bambino, è costretta a lasciare la casa nella quale ha vissuto con lui per tornare dalla madre Maria [anche lei ragazza madre e, quindi, madre e figlia sono accomunate dalla stessa esperienza] che abita in via Salinguerra, vicino alle mura di Ferrara e, aiutata da Lida, si mantiene lavorando di cucito per conto di una sartoria maschile. Dopo qualche anno, un vicino di casa, un uomo un po’ più anziano di Lida, che di mestiere fa il rilegatore, Oreste Benetti, prende l’abitudine di recarsi ogni sera alla stessa ora in visita alle due donne, conversando con loro con gentilezza e cortesia, poi provvedendo anche a rendere più vivibile la loro casa, poi facendo molti regali a Lida e relazionandosi in modo positivo con Ireneo che lo chiama zio. Che intenzioni ha Oreste? Ha intenzione di chiedere a Lida se lo vuole sposare convinto di poter fornire alla ragazza l’occasione di riscattarsi socialmente oltre che economicamente e ritenendo anche, essendo lui molto religioso, di poterla far uscire, col matrimonio, dalla condizione di peccato mortale nel quale lei si trova. Oreste, dopo aver dichiarato la sua intenzione, chiede a Lida - che, in verità, non sa che cosa dire - di non rispondergli subito, ma di pensarci bene perché lui è disposto ad aspettare pazientemente e vorrebbe essere accettato per quello che è.
La situazione di stallo arriva a una svolta nel momento in cui, durante il rigido inverno del 1929, Maria Mantovani si ammala e muore, e la presenza di Oreste diventa per Lida davvero fondamentale in questa triste circostanza, e lui fa fronte, con determinazione e con grazia, a tutte le incombenze di carattere materiale e spirituale che ci sono da affrontare in un momento del genere e provvede a che Maria Mantovani abbia anche una tomba “in un bel posto del Camposanto Comunale di Ferrara, un posto da signori”. Leggiamo questa pagina.
LEGERE MULTUM….
Giorgio Bassani, Cinque storie ferraresi Dentro le mura
LIDA MANTOVANI
I funerali di Maria Mantovani si svolsero nel tardo pomeriggio dello stesso giorno.
Il carro di terza classe avanzava scorrevole sulla neve battuta, e dietro, oltre al prete e a un piccolo chierico, camminava il solo Oreste. Docile al suo consiglio, Lida era rimasta a casa. Quanto a lui, l’antico seminarista prediletto da Don Castelli, l’ex soldato del Carso, tutto quel rigore di clima gli infondeva energia, gli restituiva per incanto le ore di sonno perdute la notte precedente. Camminava a occhi bassi. Con l’andatura che gli si regolava d’istinto su quella del prete, non smetteva mai di fissare i solchi impressi nella neve dalle ruote alte e sottili del carro, le piccole frane di neve che, staccandosi via via dai cerchioni, infarinavano appena la lucida, nera vernice dei raggi e delle balestre. …
Tornò che era già notte. E dalla strada, anziché bussare ai vetri come nei giorni passati, volle farsi precedere dalla forte scampanellata che era soltanto sua. Lida lo attendeva in fondo alla scala. … Doveva aver dormito. Infatti il suo viso, prima segnato dalla stanchezza, adesso appariva fresco, riposato. Si era cambiata completamente. … Sedette al suo vecchio posto, appoggiando le braccia conserte sul tavolo, e guardando intanto Lida affaccendata attorno alla stufa economica. Non ne perdeva un gesto. La osservava con l’espressione tutta particolare, mista di intima gioia e di gratitudine, che sempre affiorava dai suoi occhi ogni qualvolta credeva di scoprire in una frase, in un gesto, in un semplice sguardo di lei, studio e desiderio di piacergli. … “Per stanotte sarà meglio chiamare di nuovo la Bedini,” disse a un certo punto. “Bisogna che ci passi, più tardi. Domani ho in mente di presentarmi da Don Bonora. Penso che il ragazzo il prossimo paio di settimane dovrebbe venire a dormirle a casa. In seguito vedremo”. Ormai era lui che disponeva del futuro.
Dopo cena, separati dal tavolo ancora da sparecchiare, rimasero lì a discorrere. Restringendosi a Maria Mantovani e alla sua vita, Oreste ne parlò a lungo e con estrema dolcezza. Disse che nel corso della sua esistenza aveva sofferto tanto, poveretta, proprio perché aveva molto amato, proprio perché aveva avuto troppo cuore. Descrisse infine il luogo del Camposanto Comunale dove l’indomani mattina l’avrebbero sistemata. … Si trattava di un posto veramente bello - assicurò -: da signori. Non l’aveva ancora mica vista, lei, l’arcata di costruzione recentissima che partendo dal fianco destro della chiesa di San Cristoforo, e descrivendo una gran curva uguale identica a quella dell’arcata adiacente a via Borso, era venuta a completare anche dalla parte delle Mura degli Angeli il porticato anteriore della Certosa? Ebbene, sua madre sarebbe stata sepolta appunto là, sotto quegli archi nuovi. No, no, - ribadì -. Rivolto a mezzogiorno, col sole quindi che ci batteva dall’alba al tramonto come in una serra, il posto era senz’altro magnifico.
“Certo è che i loculi, da quel lato,” aggiunse dopo una pausa e piegando le labbra, “vengono a costare abbastanza salati”. … Ma subito, temendo evidentemente di essere stato frainteso, precisò che per carità, lei, Lida, non doveva in alcun modo preoccuparsi per la spesa. … “In tanti anni di lavoro,” esclamò, “qualcosa, grazie al cielo, l’ho pur messa da parte!” … E siccome lei - proseguì, senza riuscire a padroneggiare un lieve tremito delle labbra - gli aveva fatto sperare … e considerando inoltre che questo avrebbe di sicuro resa contenta la sua povera mamma …
“Insomma, quello che è mio fa conto, fin da ora, che sia anche tuo,” concluse, abbassando la voce. … Chino un poco in avanti, la guardava fissamente negli occhi (era la prima volta, fra l’altro, che le aveva dato del tu!). Infine si alzò in piedi, e, congedandosi in fretta, promise che sarebbe tornato la mattina dopo. … Ne avevano talmente tante di cose da dirsi! …
Nel 1543 l’opera di Niccolò Copernico intitolata De rivolutionibus orbium coelestium [Sulle rivoluzioni delle sfere celesti] viene pubblicata a Norimberga e [anche se Copernico non l’ha mai saputo] quest’opera determina il cambiamento di un’epoca [inizia da qui l’età moderna? È un’altra delle tante ipotesi che riguardano questo avvenimento].
L’opera di Copernico, seppur molto lentamente, rivoluziona il modo di guardare il cielo e il modo di concepire la forma e la natura dell’Universo [del Kosmos] visto che dal nostro punto di osservazione abbiamo la sensazione di vedere cose diverse da quello che realmente sono [la Terra è ferma, è piatta, il Sole ci gira attorno] e, quindi, la cosiddetta rivoluzione copernicana cambia soprattutto il modo di pensare perché certe situazioni che sembrano vere in realtà sono apparenti.
Giordano Bruno è un filosofo [nel 1585 a Londra ci tiene a essere chiamato filosofo] che ha contribuito a gettare le basi di questo cambiamento di mentalità promuovendo la diffusione delle teorie copernicane, aprendo - come vedremo tra poco - anche una polemica per come è stata pubblicata l’opera di Copernico. E, quindi, continuiamo - mentre viene servita in tavola la seconda portata - a partecipare a La cena delle ceneri perché i commensali vogliono sapere da Teofilo che cosa gli ha spiegato il Nolano a proposito del fatto che a Copernico si attribuisce di “aver messo in movimento la Terra e di aver fermato il Cielo e il Sole”, che significato hanno queste affermazioni?
L’originalità dell’opera in VI Libri intitolata De rivolutionibus orbium coelestium [Sulle rivoluzioni delle sfere celesti], scritta da Niccolò Copernico a Frombork [in quarant’anni] e pubblicata nel 1543 a Norimberga, sta nel fatto [fa dire Bruno a Teofilo ne La cena delle ceneri] che non nasce da un’esperienza pratica. Ciò significa, spiega Bruno attraverso Teofilo, che è un’opera fondata su una serie di teoremi matematici, costruita in nome dell’ideale matematico, un ideale che Copernico ha assimilato in Italia negli ambienti della cultura neoplatonica e, quindi, l’opera di Copernico, che mette il Sole al centro del sistema, risponde anche all’esigenza di valorizzare la tradizione neoplatonica che ha le sue radici nel pensiero pitagorico.
Copernico - per gettare le basi del suo sistema - si rifà [fa dire Bruno a Teofilo] alle tesi di un grande matematico dell’antichità ellenistica, del III secolo a.C., contemporaneo di Euclide e di Archimede di Siracusa, che si chiama Aristarco di Samo, il quale utilizza per primo in modo efficace la geometria in funzione dell’astronomia. Aristarco di Samo formula e sviluppa un sistema matematico per sostenere e dimostrare la tesi che la Terra gira intorno al Sole; naturalmente questo suo pensiero, e il teorema che ne deriva, viene considerato empio in quanto sembra violare la legge dell’evidenza ma “non tutto ciò che appare evidente è necessariamente vero”, fa dire Bruno a Teofilo ne La cena delle ceneri. Aristarco di Samo ha calcolato anche la distanza tra la Terra e la Luna e tra la Terra e il Sole impostando il problema così bene che l’errore di misurazione rivelato dagli strumenti attuali risulta quasi insignificante.
Copernico, fa dire Bruno a Teofilo, inizia quindi la sua opera scientifica sulla base del sistema di Aristarco e tenendo presente anche il trattato Peri ouranou [De Caelo, Sul cielo] di Aristotele. Copernico fa propria una citazione emblematica contenuta nel trattato Sul cielo di Aristotele e la pone in calce alla sua opera non tanto per la rilevanza che può avere sul piano scientifico ma bensì [fa dire Bruno a Teofilo ne La cena delle ceneri] per il suo valore di principio, un principio in linea con la logica “orfico-dionisiaca” del pensiero di Pitagora.
Come ben sappiamo dal nostro incontro con Bernardino Telesio, Aristotele descrive l’Universo in chiave geocentrica, con la Terra al centro del sistema e il Sole che le gira intorno insieme agli altri pianeti [Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno], però, non si sottrae dal fare un’affermazione interlocutoria riflettendo sul pensiero pitagorico, e Aristotele scrive: « [I pitagorici credono che al corpo più nobile conviene il luogo più nobile; che il fuoco è più nobile della terra; che i luoghi terminali sono più nobili dei luoghi intermedi e i luoghi terminali sono lo spazio estremo e il centro. Da tutto questo essi concludono, per analogia, che non la Terra occupa il centro della sfera cosmica ma il Fuoco. E, aggiunge Aristotele, se questa asserzione avesse un fondamento ragionevole?». Giordano Bruno [per bocca di Teofilo] ne La cena delle ceneri attacca gli aristotelici suoi contemporanei che sono, scrive Bruno “privi della saggezza del loro antico maestro il quale oggi avrebbe capito che è la Terra a muoversi in un Universo infinito”.
Copernico - che non ha strumenti tecnici a disposizione - riflette sull’interrogativo posto da Aristotele [e se i pitagorici avessero ragione?] e si sente rassicurato nel basare la sua ricerca sulla mistica pitagorica e platonica d’impronta orfico-dionisiaca che esalta il Sole per quello che è, per quello che dà e per quello che rappresenta. Copernico [fa dire Bruno a Teofilo ne La cena delle ceneri] vuole dare al suo eliocentrismo delle caratteristiche “religiose” [è un canonico cattolico] e crede che il Sole visibile debba avere nel creato un posto di centralità in quanto, secondo la Filosofia neoplatonica, il Sole visibile rappresenta l’immagine del Sole invisibile [è l’allegoria di Dio]. Nel rivoluzionare il sistema di Tolomeo e nel far perdere alla Terra la centralità [idea che terrorizza l’Inquisizione] Copernico cerca di essere [fa dire Bruno a Teofilo] il più prudente possibile e vuole far rientrare i risultati delle sue ricerche nell’ambito della dottrina della Chiesa. In età contemporanea è stato detto [e questo Bruno lo aveva già previsto] che quella di Copernico non è un’astronomia scientifica, è stato detto che la sua non è una ricerca astronomica ma piuttosto una ricerca geometrica, una ricerca metafisica, una ricerca estetica, ed è successo a lui quel che è capitato a Cristoforo Colombo che ha incontrato un mondo nuovo restando prigioniero nel mondo antico, e a questo proposito si dice che, in fondo, Copernico non è un copernicano perché il suo spazio mentale è ancora quello del Rinascimento tutto intriso di cultura neoplatonica.
Nella seconda parte della sua opera [fa dire Bruno a Teofilo ne La cena delle ceneri] Copernico disegna l’immagine nuova dell’Universo: il Sole è immobile ed è collocato al centro del sistema. Attorno al Sole, su orbite circolari di diverse dimensioni, gravitano, incastonati nelle loro sfere di cristallo, i pianeti, i cinque pianeti classici - Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno - e tra i pianeti c’è anche la Terra che percorre la sua orbita in un anno. La Terra possiede anche un movimento di rotazione su se stessa di 24 ore, e ha come satellite la Luna.
In questo sistema che rivoluziona quello tolemaico resiste però l’antica visione aristotelica: le orbite sono circolari perché il cerchio è la figura perfetta, i pianeti sono incastonati in sfere di cristallo e la sfera delle Stelle è fissa e avvolge tutto l’Universo costituendone il confine e, di conseguenza, l’Universo copernicano è incluso in uno spazio “finito”: a questo proposito, Giordano Bruno ne La cena delle ceneri dichiara, ancora una volta per bocca di Teofilo, il suo disaccordo con questi aspetti, ancora aristotelici, della visione copernicana che però difende nella sua rivoluzionaria struttura complessiva.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Da dove avete la possibilità di guardare il cielo stellato?… E, se riuscite a guardare il cielo stellato [superando l’inquinamento luminoso], sapete dare dei nomi ai corpi celesti e alle loro conformazioni?... A che cosa pensate guardando il cielo?...
Scrivete quattro righe in proposito...
La rivoluzione apportata da Copernico più che nella storia dell’astronomia è da collocarsi nella storia del Pensiero Umano. La rivoluzione copernicana ha svelato come l’Umanità si sia lasciata guidare da “il senso comune”, e il senso comune, basandosi sulle sensazioni e le emozioni, è spesso fonte di errore e, di conseguenza, per definire “il corretto assetto delle cose” si deve seguire la via della ragione. E la ragione, non di rado [afferma Giordano Bruno], è in contrasto con il senso comune che può facilmente cadere nell’irrazionale per cui vediamo “il sole che ci gira intorno”, vediamo che “la terra è ferma ed è piatta”, ma non è così.
Copernico riesce solo in parte a render conto dei fenomeni celesti, anche perché, scrive Giordano Bruno, è soggetto ancora ad alcuni pregiudizi aristotelici.
Il primo pregiudizio è quello del “moto circolare” che è considerato “perfetto” sia da Pitagora, sia da Platone che da Aristotele [la figura perfetta è il cerchio e il moto circolare è perfetto, téleios, in greco, nel senso della completezza perché per la cultura greca è perfetto ciò che è completo], quindi Copernico tende a far rientrare tutto l’Universo in un’immagine geometricamente perfetta e, di conseguenza, governata da figure circolari, ed è per questo che, all’osservazione, molti fenomeni celesti risultano imperfetti [rispetto ai calcoli qualcosa non torna, e a questo proposito dobbiamo aspettare che qualcun altro - che incontreremo a breve - apporti delle modifiche al sistema mettendo in evidenza il fatto che attaccandosi al concetto di perfezione si finisce per cadere nell’imperfezione].
Il secondo pregiudizio è legato al delicato tema che riguarda il moto delle sfere celesti: come fanno i pianeti a muoversi? E, in proposito, Copernico scarta l’idea aristotelica della presenza del Motore immobile [che è una causa puramente di carattere teorico fondata sulla logica] ma, tuttavia, Copernico si rifà a un altro postulato antico: secondo lui, i corpi celesti si muovono proprio perché sono sferici e la sfera, nell’ottica di Pitagora, di Platone e di Aristotele - essendo il solido dotato di maggior completezza essendo tutti i punti della sua superficie equidistanti dal centro -, ha la proprietà intrinseca di muoversi da sé circolarmente.
Ma la problematica di carattere geometrico e scientifico interessa poco perché sono i temi riguardanti l’ortodossia religiosa che creano un forte dissenso nei confronti dell’opera di Niccolò Copernico e, in campo cattolico, l’Inquisizione comincia a stargli col fiato sul collo, ma anche il campo protestante - che è legato ancor più saldamente a una visione dell’Universo che fa riferimento all’Antico Testamento [al modo in cui il Libro della Genesi propone il racconto della creazione] - crea problemi a Copernico e Martin Lutero emette un giudizio sferzante nei suoi confronti: «Il canonico Niccolò Copernico, scrive Lutero, è un pazzo che pretende di capovolgere l’astronomia». Ed è in questo contesto - legato alle riserve sia cattoliche che protestanti - che avviene la pubblicazione nel 1543 a Norimberga dell’opera alla quale Copernico ha lavorato per quarant’anni.
Niccolo Copernico, nell’aprile del 1543 è gravemente ammalato, vorrebbe, prima di morire [muore il 24 maggio 1543], far pubblicare la sua opera e per questo motivo affida il manoscritto al matematico austriaco Giorgio Gioacchino Retico [Georg Joachin von Lauchen, detto Retico perché nato in Rezia al confine con la Svizzera], professore all’Università di Wittemberg, già assistente di Filippo Melantone, il teologo della Riforma protestante. Giorgio Gioacchino Retico, nel 1539, fa visita a Copernico a Frombork e si appassiona ai suoi studi, e rimane accanto a lui per due anni scrivendo anche un sunto della sua teoria, Narratio prima de Libris rivolutionum Copernici.
Retico parte alla volta di Norimberga per far pubblicare il manoscritto del trattato di Copernico ma appena giunto deve subito partire perché ha ottenuto un incarico per insegnare all’Università di Lipsia e allora affida la pubblicazione dell’opera al teologo e scienziato protestante Andrea Osiander [1498-1552] il quale sostiene di essere un ammiratore e un difensore di Copernico. Andrea Osiander cura la pubblicazione del De rivolutionibus orbium coelestium [Sulle rivoluzioni delle sfere celesti], ne corregge personalmente le bozze e scrive anche di sua iniziativa una Introduzione anonima all’opera [Ad lectorem de hypothesibus huius operis (Al lettore sulle ipotesi di questo scritto)] facendo credere che questa prefazione l’abbia composta Copernico per sostenere che l’eliocentrismo è solo un’ipotesi matematica non una descrizione dell’Universo com’è effettivamente. Voi capite che questa Introduzione anonima scritta da Andrea Osiander, che forse vuole mettere al riparo Copernico da un’eventuale condanna, ha però favorito una serie di equivoci sulle autentiche intenzioni dell’astronomo, e Giordano Bruno nella parte finale de La cena delle ceneri - mentre viene servita la terza portata - lancia un’invettiva contro Andrea Osiander apostrofandolo come «asino ignorante e presuntuoso» e ribadendo, per bocca di Teofilo, che «Copernico non solo fa ufficio de matematico che suppone, ma anco de fisico che dimostra il moto de la terra».
Giordano Bruno ne La cena delle ceneri, per bocca di Teofilo, s’indigna con chi favorisce, per ragioni di potere, la divulgazione del “senso comune” piuttosto che invitare le persone a riflettere sul “comune senso delle cose”. Bruno non sopporta che tutti gli apparati di potere siano pronti a tappare gli occhi alla gente con l’alibi del “senso comune” e ribadisce con determinazione la necessità di educare le persone a cogliere il “comune senso delle cose” in modo che “imparino a sentire come propri i temi riguardanti il bene comune”, e lancia una pesante invettiva contro chi alimenta la superstizione [contro chi divulga le credenze irrazionali, contra gli untori de l’ignoranza] e, infine, denuncia la nefasta negligenza e deplora l’imperdonabile ritardo [la ignavia nefasta e lo reo indugio] dei membri del mondo della cultura che non sanno e non vogliono recepire la rivoluzione cosmologica che è, scrive Giordano Bruno, soprattutto “un motore” di rinnovamento intellettuale e morale [motore de la rinnovazione de lo intelletto e de’ costumi].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Secondo voi, oggi, su quale tema [o su quali temi] riguardante [o riguardanti] il bene comune ci dovrebbe essere un comune sentire?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Nel 1616, settantatre anni dopo la sua pubblicazione [e trentun anni dopo la pubblicazione de La cena delle ceneri di Giordano Bruno], l’opera De rivolutionibus orbium coelestium [Sulle rivoluzioni delle sfere celesti] di Niccolò Copernico viene condannata dall’Inquisizione e messa all’Indice. Ai vertici del Sant’Uffizio c’è il cardinale Roberto Bellarmino che mentre interroga Galileo Galilei, che è sotto processo, gli rinfaccia [facendo finta di ignorare che Copernico non è l’autore del testo dell’Introduzione alla sua opera] che “anche Copernico, nell’Introduzione alla sua opera, ammette che il sistema eliocentrico è solo un’ipotesi matematica” e Galileo Galilei, che non ha il carattere di Giordano Bruno, tace. Ma questa è un’altra storia di cui ci occuperemo a suo tempo.
Adesso, prima di concludere, ci dobbiamo ancora dedicare con la lettura di una pagina alla storia di Oreste Benetti e di Lida Mantovani. Oreste, di fronte alla stipula dei Patti Lateranensi con la firma del Concordato tra il governo fascista e la Santa Sede l’11 febbraio 1929, si esprime come la propaganda di Regime [dedita a instillare il senso comune nella popolazione] lo ha portato a pensare, e poi il fatto che cominci a sentire Lida un po’ più vicina a lui gli procura una buona sensazione che lo porta a trasfigurare la realtà, e riesce perfino a immaginare la Chiesa e lo Stato coi volti di un uomo e di una donna, i quali, dopo un lungo periodo di rapporti difficili, hanno finalmente deciso di sposarsi. Leggiamo questa pagina intrisa di tutta l’ironia di cui Bassani è capace.
LEGERE MULTUM….
Giorgio Bassani, Cinque storie ferraresi Dentro le mura
LIDA MANTOVANI
“Abbiamo tante altre cose da dirci”: questo affermava Oreste ad ogni commiato, o almeno promettevano in silenzio i suoi occhi seri, dolcissimi.
A parlare, in realtà, era sempre lui. … Quando non si lasciava trasportare dall’onda dei soliti ricordi, riguardanti sia gli anni che da ragazzo aveva trascorso in Seminario sia la guerra da lui combattuta più tardi in trincea, sul Carso, si imbarcava in lunghi monologhi incentrati di preferenza sulla religione, e soprattutto sui recenti, risolutivi sviluppi della politica, che la religione interessavano così da vicino.
Dopo la firma dei Patti Lateranensi, del febbraio di quello stesso anno, il suo patriottismo aveva cominciato a effondersi. … Brava la Chiesa - diceva -, che in vista del bene dell’Italia e del mondo aveva saputo porre nel dimenticatoio qualsiasi questione di puntiglio e di rivalsa. Ma bravo però anche lo Stato italiano, a cui bisognava riconoscere il grosso merito di avere imboccato per primo la strada della conciliazione. Ed era chiaro, mentre così si esprimeva, che la Chiesa e lo Stato gli stavano dinanzi coi volti di un uomo e di una donna, i quali, lasciatisi alle spalle un lungo periodo di rapporti difficili, spesso turbati da crisi violente, avevano deciso finalmente di sposarsi. … E da ora in poi quanti bei fatti sarebbero successi! - continuava a dire con occhi esultanti -. La primavera già in arrivo avrebbe veduto aprirsi l’èra della pace e della gioia perpetue, rinnovarsi la mitica età dell’oro. Secondo il precetto della Bibbia e del Vangelo, secondo il sogno e la profezia di Dante Alighieri, Chiesa e Stato si sarebbero riconosciuti sostanzialmente concordi.
Il prete non sarebbe stato più né perseguitato né tenuto in sospetto. La società civile non lo avrebbe più respinto, ma lo avrebbe accolto come un padre da ascoltare e da venerare. E se oggi come oggi la rinascita di un partito cattolico vero e proprio, tipo il Partito Popolare, per intenderci, sarebbe stato azzardato sperarla, non importa: per adesso i risultati raggiunti potevano più che bastare. Non era poco, diciamo pure la verità, avere ottenuto che l’Azione Cattolica e quei giovanotti della FUCI [Federazione Universitaria Cattolica Italiana] fossero lasciati in pace! Non era poco, anzi era moltissimo, ritrovarsi in grado di benedire serenamente nel tricolore con sopra tanto di stemma sabaudo la bandiera della Patria!
Sullo slancio dell’intensa commozione provocata in lui da questi discorsi, ma cambiando tono, veniva infine a parlare di loro, di sé e di Lida, e in ispecie del villino fuori Porta San Benedetto dove a maggio, all’indomani delle nozze, sarebbero andati a stare. … Si lamentava. Se la prendeva col muratore perché una parete scialbata di fresco, trasudando umidità, appariva qua e là macchiata; col carpentiere a causa di una serranda che non funzionava; col geometra per i suoi modi bruschi, scortesi. Ma poi, non appena passava a illustrare il luogo dove il villino sorgeva, ecco il suo volto spianarsi, rischiararsi tutto. Il villino si trovava in fondo a corso San Benedetto - ripeteva per l’ennesima volta, e pareva che stesse accingendosi a descrivere certi aspetti molto particolari, anzi addirittura segreti, di una città lontana lontana, infinitamente più bella e amena e ospitale di Ferrara -: e cioè in quella zona di là dalle mura, situata all’incirca fra la barriera del Dazio e il cavalcavia della linea ferroviaria, che negli ultimi anni era venuta punteggiandosi di case grandi e piccole. Quale più quale meno ciascuno stabile disponeva di un terreno proprio da coltivarsi a orto o a giardino. Loro due avrebbero respirato aria buona, da quelle parti, aah!, aria di campagna … E a questo punto, come soverchiato (la felicità già in vista, già a portata di mano, dalla quale erano attesi, quella evidentemente preferiva rinunciare a descriverla), a questo punto taceva. Venne maggio.
La cena delle ceneri fa parte di una trilogia formata da tre opere composte e pubblicate da Giordano Bruno nel 1585 a Londra - La cena delle ceneri, De la causa, principio et uno, De l’infinito, universo e mondi -; nel testo di queste opere il Nolano sviluppa una serie di temi: Giordano Bruno prende spunto dalla difesa del sistema copernicano [come abbiamo studiato questa sera] per presentare le sue ipotesi sulla forma dell’Universo che, in ragione della sua riflessione, si presenta come un Multiverso [o Pluriverso], e naturalmente espone la sua visione teologica, un tema che due settimane fa abbiamo lasciato in sospeso perché non poteva essere affrontato se non dopo la nostra partecipazione a La cena delle ceneri.
E ora, per concludere, immagino sarete curiose e curiosi di conoscere il contenuto delle tre portate de La cena delle ceneri: che cosa sappiamo in proposito? Ebbene, la cuoca del nobile Folco Grivello [sir Fulke Greville], che ha organizzato la cena, ci mette al corrente e diamo subito a lei la parola: «La prima portata ha da essere una focaccina di farina di ceci a mezzo tagliata, e la prima metà va tosto mangiata e l’altra va per accompagnamento alla seconda portata che è un filetto di aringa affumicata guarnita da un’amara oliva nera, e di terza portata cotta nel sidro va consumata una pera. La cena delle ceneri segna il principio del severo rituale che regola i digiuni e le astinenze del tempo quaresimale».
Giordano Bruno - sulla scia di quel che ha detto la cuoca de La cena delle ceneri - suggerisce che l’unica attività dalla quale non bisogna mai astenersi è lo studio perché “lo studio è cura” e, di conseguenza, soprattutto ora che siamo in tempo quaresimale non dobbiamo, non possiamo e non vogliamo perdere la volontà di imparare.
La Scuola è qui e, animate e animati dall’eroico furore per la conoscenza, il viaggio continua…