ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza 28 febbraio 1-2 marzo 2018
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA
CADE IL DUALISMO ARISTOTELICO TRA LA FORMA E LA MATERIA PER CUI SI PROCLAMA
CHE «IL TUTTO, SECONDO LA SOSTANZA, È UNO» ...
Anche il sedicesimo itinerario del nostro viaggio sul territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età moderna agli esordi della scienza lo percorriamo in compagnia di Giordano Bruno.
Tutti gli apparati di potere, ai quali Bruno non ha risparmiato [come abbiamo potuto constatare] molte critiche tutte ben motivate, hanno cercato di cancellare il suo pensiero, ma la Filosofia nolana è sopravvissuta. Il pensiero di Bruno ha portato all’abbattimento delle barriere presenti nel sistema tolemaico, ha rivelato l’esistenza di un Universo molteplice e non centralizzato, ha aperto la strada alla Rivoluzione scientifica e alle idee della cosmologia moderna, e poi Bruno è stato universalmente considerato un martire del libero pensiero: che significato ha questa affermazione? Significa che Bruno ha sostenuto caparbiamente la possibilità [il diritto] che la persona deve avere di poter formulare delle ipotesi e di esporre le proprie tesi purché esse siano eticamente corrette [il pensiero di Bruno è, in questo senso, fortemente selettivo e lui pensa - come Platone - che una tesi sia moralmente corretta solo se ispirata alla realizzazione del Bene comune]. Bruno sostiene che la persona non può essere giudicata e condannata da un’autorità che fa coincidere la propria visione del mondo con la Verità assoluta decretando che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, ma pensa che un’autorità “autorevole” debba chiarire che cos’è Bene e che cos’è Male in modo da indicare la via che porta alla creazione di una comunità basata sull’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà e la misericordia, i valori dell’Umanesimo di cui Bruno si fa portavoce.
La riflessione che Giordano Bruno intesse sulla natura del Bene e del Male utilizzando i concetti di Verità, di Prudenza, di Impegno nello studio, di Legge e di Giudizio [riflessione contenuta nel testo del dialogo Spaccio de la bestia trionfante da noi studiato la scorsa settimana] ha influenzato il mondo della cultura della sua epoca e delle epoche successive fino ai giorni nostri. Da numerosi saggi che sono stati scritti sull’argomento sappiamo che esiste uno stretto rapporto tra le Opere di Giordano Bruno - in particolare lo Spaccio de la bestia trionfante e De gl’heroici furori - e i testi composti dagli autori di teatro che vivono a Londra nel momento in cui Bruno vi soggiorna e vi pubblica i suoi dialoghi.
Nel corso del sesto itinerario abbiamo già detto che nel 1601 [l’anno dopo la condanna e l’uccisione di Giordano Bruno] viene pubblicato a Londra il dramma La tragica storia del dottor Faust dello scrittore Christopher Marlowe [1564-1593] e, in quest’opera, la figura di Faust - mago, scienziato e poeta - rievoca senza ombra di dubbio la persona e il pensiero di Giordano Bruno soprattutto in quanto autore del dialogo De gl’heroici furori, un’opera che stiamo per studiare e che Marlowe conosce bene.
E poi, proprio in questi anni, a Londra, comincia a essere attivo [tra il 1564 fino al 1616] colui che, in primo luogo come attore e poi come autore e regista, diventerà uno dei più grandi artefici della Storia del Teatro: William Shakespeare, se è esistito [voi sapete che si continua a evocare una sorta di mistero sull’esistenza di William Shakespeare, si allude al fatto che, sotto lo pseudonimo di Shakespeare ci possa essere la penna di John Florio, che abbiamo già incontrato, o di Francis Bacon, che incontreremo a suo tempo].
Tutte le contraddizioni di ordine morale, religioso e politico che Giordano Bruno mette in evidenza nel testo dei dialoghi della trilogia morale, William Shaskespeare le racconta sul palcoscenico. Chi è William Shakespeare che noi collochiamo nel paesaggio intellettuale in cui domina la figura di Giordano Bruno? Le informazioni relative alla sua biografia sono effettivamente molto scarse ma Shakespeare, più che una persona reale, è diventato uno straordinario “genere letterario” che dà i suoi frutti in Teatro, nel Melodramma, nel Cinema. William Shakespeare oggi è “un catalogo di 36 opere” raccolte, per la prima volta, in edizione completa nel 1623. Chi non conosce almeno i titoli di Pene d’amor perdute, Romeo e Giulietta, Enrico IV, La bisbetica domata, I due gentiluomini di Verona, Sogno di una notte di mezza estate, Il mercante di Venezia, Molto rumore per nulla, Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra, Coriolano, Amleto, Otello, Re Lear, Macbeth, Le allegre comari di Windsor, La tempesta e via dicendo?
Shakespeare ha rinnovato il modo di fare teatro, una forma d’arte che si è particolarmente sviluppata nel corso del 1500 [e anche Bruno - sulla cui scia stiamo procedendo - scrive commedie con spirito riformatore e, all’inizio, lo abbiamo incontrato proprio come autore teatrale seguendo i quadri della rappresentazione del Candelaio].
Shakespeare [e molte studiose e molti studiosi pensano ne abbia discusso con Bruno] rompe l’impostazione statica che aveva la rappresentazione e, difatti, nelle sue opere ci si muove nel tempo e nello spazio, e troviamo elementi fantastici, elementi tragici e comici che convivono insieme perché Shakespeare rifiuta i concetti della Poetica di Aristotele, già messi in discussione da Bruno due decenni prima, che aveva codificato l’opera teatrale [la tragedia] dentro un’unità di tempo, di luogo, di azione e di genere. I personaggi shakespeariani rappresentano tutte le manifestazioni dell’animo umano, dalle più elevate alle più spregevoli, e sono diventati figure meta-teatrali [sono andate oltre il loro ruolo] e continuano a essere di una contemporaneità straordinaria, così come molti personaggi dei dialoghi di Bruno che, però, non avendo potuto usufruire del più largo bacino di utenza del teatro, sono rimasti, e rimangono, nell’ombra.
Le studiose e gli studiosi affermano che alcune opere - Amleto, La tempesta e Pene d’amor perdute - sono state influenzate dal pensiero filosofico di Giordano Bruno.
La scorsa settimana abbiamo già fatto riferimento alla figura di Amleto, il famosissimo principe di Danimarca, il quale denuncia amaramente il fatto che nella società aumenta il marciume perché i vizi vengono spacciati per virtù, e il testo di questo celebre dramma di Shakespeare segue la riflessione che Bruno imbastisce nel testo de lo Spaccio de la bestia trionfante [sono numerosi i saggi che documentano le corrispondenze tra i due testi e fra poco faremo un esempio].
Pene d’amor perdute è il titolo di una delle prime commedie di Shakespeare, scritta tra il 1593 e il 1596, e il testo di quest’opera viene considerato di gran pregio letterario perché l’autore mette in evidenza, con grande acutezza, il potere e l’ambiguità del linguaggio che viene usato spesso come uno strumento truffaldino sebbene, però, sia anche un straordinario mezzo, poetico, per descrivere i propri sentimenti. Ormai è accettata da tutte e da tutti gli studiosi l’identificazione del personaggio di Berowne [Beron] con Giordano Bruno e sono in molte e in molti tra le studiose e gli studiosi a pensare che il Nolano [Bruno] e il Bardo [Shakespeare] si siano frequentati a Londra e che il giovane Shakespeare abbia appreso da Giordano Bruno, filosofo accreditato anche alla corte della regina Elisabetta, l’uso spregiudicato del linguaggio.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Dal testo della commedia Pene d’amor perdute è stato anche tratto un film [nel 1999] dal regista e interprete Kenneth Branagh che potete visionare...
Le studiose e gli studiosi di filologia hanno avuto spesso buon gioco a mettere in relazione gli argomenti della riflessione filosofica di Giordano Bruno con i temi della poesia di William Shakespeare. Facciamo uno degli esempi che è stato messo maggiormente in evidenza: tutte e tutti noi conosciamo la dolorosa poesia del famoso monologo dell’atto III dell’Amleto: «Essere …o non essere. È questo il problema … » dove il morire è paragonato al dormire, e dove si mette in evidenza che nel sonno, così come nell’eterno riposo della morte, si trova la tranquillità dagli affanni quotidiani. Ebbene, se si legge un frammento tratto dal testo de lo Spaccio de la bestia trionfante si capisce che l’autore dell’Amleto ha potuto trovare, nelle parole di Giordano Bruno, un utile spunto per dare voce alla riflessione esistenziale del suo personaggio. Leggiamo che cosa fa dire Giordano Bruno a Saulino da Sofia ne lo Spaccio de la bestia trionfante quindici anni prima che Amleto prenda la parola.
LEGERE MULTUM….
Giordano Bruno, Spaccio de la bestia trionfante
SOFIA Il sonno [o Saulino] è elargitor di beni e solleva da gli turbamenti del viver cotidiano, che esso placa gli molesti richiami de l'istinti, e non ti fastidisca [o Saulino] il coruccio de la morte perché essa non è che dormire, e se ne lo stato di non-essere che la morta cagiona si fusse pure rinfrancati da sogni di letizia allora tal condizione è da agognarsi [da desiderarsi] come il vero orizonte de l'Essere. ...
Bruno afferma che la morte è come il sonno e se in questo sonno si potessero anche fare dei bei sogni allora la condizione del non-essere sarebbe la vera dimensione [il vero orizonte] dell'Essere, e le parole del celebre monologo dell'atto III dell'Amleto traducono in poesia gli stessi concetti espressi da Giordano Bruno in Spaccio de la bestia trionfante.
E adesso leggiamo il monologo dall'atto III dell'Amleto che tutte e tutti conoscete a memoria.
LEGERE MULTUM….
William Shakespeare, Amleto
AMLETO Essere … o non essere. È questo il problema.
È meglio per l’anima soffrire oltraggi per colpa della fortuna, o è meglio prendere le armi contro questi guai e opporvisi e distruggerli? È meglio morire?
In fondo, morire, è nulla più che dormire. È con un sonno che noi mettiamo fine al crepacuore, ai mille insulti che riceviamo e ai fastidiosi inconvenienti della carne.
Noi dobbiamo invocare la nostra fine con devozione.
Morire è come dormire, e dormire è sognare, e forse … E qui è il problema: che sogni faremo dopo che saremo usciti dal tumulto della vita mortale? …
E ora riflettiamo su La tempesta, un’opera in cui Shakespeare [così come ha fatto Marlowe nel Faust] celebra la figura del mago rinascimentale nel modo in cui Giordano Bruno ne ha disegnato il ruolo.
Il protagonista de La tempesta di William Shakespeare è un personaggio di nome Prospero che, per il modo in cui parla e per come si comporta, rimanda alla figura di Giordano Bruno. La tempesta, ultima composizione di Shakespeare, del 1611, è un’opera problematica, densa e polivalente, scritta in modo apparentemente semplice e lineare nello stile [lo stile già utilizzato da Bruno nei suoi dialoghi] de “la favola pastorale e mitologica”.
Prospero rappresenta il Duca spodestato di Milano il quale, dopo aver vissuto per dodici anni in un’isola deserta - con la figlia Miranda, il selvaggio e deforme Calibano e lo spirito Ariel - usa i suoi poteri magici per scatenare una tempesta in modo da far espiare le loro colpe al Re di Napoli e a suo fratello Antonio che lo hanno spodestato. Questa tempesta gli permette di riacquistare il Ducato e provoca anche le nozze di sua figlia Miranda con Ferdinando, il figlio del Re di Napoli.
Il racconto è tutto qui [una favola pastorale che sembra fuori dal tempo e dallo spazio] ma tanto le problematiche [mitiche, religiose, intellettuali, sociali e politiche] che s’intrecciano in questo testo quanto le parole-chiave che Prospero mette in risalto - la Verità, la Prudenza, l’Impegno nello studio, la Legge e il Giudizio - sono le stesse che Giordano Bruno, venticinque anni prima, elenca nel testo de lo Spaccio de la bestia trionfante come principi per sovvertire l’ipocrisia di un sistema che spaccia i vizi per virtù. Il personaggio di Prospero è poliedrico [dalle tante facce] e rappresenta l’uomo di fronte alla vita e alla morte, il padre che cerca di rapportarsi coi problemi di una figlia, il duca che riflette sul tema del governo e del governare, ma Prospero è, in primo luogo, un mago e uno scienziato che opera agli esordi della scienza e cerca soluzioni che [secondo la Lezione di Bruno] siano orientate al raggiungimento del Bene comune [la tempesta deve avvenire a fin di bene]. Prospero, inoltre, rappresenta anche il drammaturgo stesso che, con la sua azione magica, sta costruendo lo spettacolo nello spettacolo: lui inventa i personaggi, inventa il testo, inventa la tempesta, inventa il teatro dentro la rappresentazione teatrale, un’idea che, in modo ancora embrionale e ancora troppo macchinoso, aveva già iniziato a elaborare Giordano Bruno nella commedia il Candelaio. La figura di Ariel ne La tempesta rappresenta lo spirito al servizio del mago e del regista, ed è il teatrante, il musico, il mimo, il danzatore, l’attore, e tutti i mezzi del teatro, creati da Prospero, confluiscono in lui: un po’ come tutti i personaggi creati da Giordano Bruno nei suoi dialoghi confluiscono nel personaggio del Nolano per attivarne il pensiero.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La tempesta è sinonimo di burrasca, di uragano, di bufera… Vi siete ritrovate e ritrovati in mezzo a una tempesta?...
Scrivete quattro righe in proposito...
La tempesta è un’opera che sarebbe piaciuta a Giordano Bruno [ci si sarebbe riconosciuto] perché esalta il teatro come laboratorio della creatività, ed è proprio attraverso queste sperimentazioni andate a buon fine che, in questo momento, il teatro raggiunge la sua piena autonomia come forma d’Arte. L’isola de La tempesta rappresenta la Natura [il grande tema agli esordi della scienza], simboleggia l’intera Natura portata sul palcoscenico del teatro dove si riflette anche sul fatto che, tutte le persone, mentre vivono, fanno teatro.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il testo de La tempesta - che trovate in biblioteca e in rete - potete leggerlo o rileggerlo in modo propedeutico perché prima o poi capita l’occasione di assistere alla rappresentazione di quest’opera basilare della Storia del teatro ma bisogna prepararsi per non naufragare davanti ai personaggi di Ariel, di Miranda, di Calibano e, naturalmente, di Prospero…
A Giordano Bruno sarebbe piaciuto soprattutto quando, nell’Atto IV de La tempesta, Prospero recita quel pezzo famoso durante il quale le attrici e gli attori [che sono gente in carne e ossa] si spogliano degli abiti dei personaggi perché i personaggi sono soltanto spiriti che vivono per il breve tempo della rappresentazione: i personaggi sono della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, ed ecco che anche l’ultima opera di William Shakespeare [che abbiamo evocato sulla scia di Giordano Bruno che, anche in questo caso, ci ha messo lo zampino] termina in chiave esistenziale] nel segno del sogno e del sonno.
E leggiamolo questo celebre brano dall’Atto IV de La tempesta.
LEGERE MULTUM….
William Shakespeare, La tempesta
PROSPERO Questi nostri attori, come del resto avevo già detto, erano soltanto degli spiriti, e si sono dissolti nell’aria, nell’aria sottile.
E simili in tutto alla fabbrica senza fondamento di questa visione, le torri incappucciate di nubi, gli splendidi palazzi, i sacri templi, lo stesso globo terrestre e tutto quello che c’è dentro, s’avvieranno al dissolvimento, e al modo di questo spettacolo senza corpo che avete visto ora dissolversi, non lasceranno dietro a sé nemmeno uno strascico di nube.
Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, circondata dal sonno è la nostra breve vita. …
Il pensiero etico di Giordano Bruno, espresso in particolare nel testo de lo Spaccio della bestia trionfante, richiama i valori tradizionali dell’Umanesimo [uguaglianza, giustizia, pace, solidarietà e misericordia] e si diffonde a livello internazionale.
Lui sa, però, di parlare a molti che sono solamente dei semplici curiosi e, quindi, vuole andare oltre a quello che è lo schema accademico tradizionale [non gli basta proclamare i valori tradizionali dell’Umanesimo] ma Bruno si propone come guida di una minoranza coraggiosa [vuole stimolare un gruppo, seppur minoritario, di persone intrepide ed eroiche] a impegnarsi con spirito alternativo [alternativo al sistema petulante di tutti i curiali, i cortigiani e i prelati] sul piano della conoscenza, e lo fa con un’opera ancor più provocatoria delle altre, la terza opera della trilogia morale, intitolata De gl’heroici furori. E anche sul frontespizio del volume contenente il dialogo De gl’heroici furori, stampata a Londra nel 1585.
De gl’heroici furori è uno scritto composto da dieci dialoghi, diviso in due parti di cinque dialoghi ciascuna, in cui Giordano Bruno affronta il tema della morale in chiave gnoseologica cioè in base alla capacità di conoscenza che la persona ha [“gnosis”, in greco, significa “conoscenza”]. Giordano Bruno si pone il problema di come la persona, che si caratterizza per essere una creatura accidentale e destinata ad avere una fine, possa riuscire a conoscere e ad amare l’Uno che si identifica con il Tutto, Dio, che è in-finito. Può una persona con i suoi limiti intellettuali, si domanda Bruno, accedere a una conoscenza che possa, almeno in parte, andare oltre questi limiti? Bruno è consapevole del fatto che i tempi non sono maturi per un cambiamento di rotta sul piano educativo - vige la dittatura dell’ignoranza [e il tema è ancora di attualità] - e Bruno afferma che, di conseguenza, la soluzione da lui proposta è, per ora almeno, praticabile da poche persone “furiose”.
E per condurre il suo discorso, secondo il suo stile che conoscete, Bruno utilizza [come fa sempre] una favola mitologica rievocando “il mito di Atteone” che Bruno riprende da Le metamorfosi di Ovidio, e che cosa racconta questo mito [lo ricordate]? Atteone, nipote di Cadmo e di Armonia, è il figlio di Aristeo e di Autonoe ed è un eroe troiano famoso per essere un esperto cacciatore, educato alla caccia dal centauro Chirone, il maestro degli eroi. Un giorno Atteone, mentre è a caccia sul monte Citerone con i suoi cinquanta cani guidati dal capo branco Melampo, nell’ora più calda della giornata imbocca un sentiero che porta verso una cascata che si riversa in un lago e lì, in questo specchio d’acqua fresca e tonificante, vede Diana [la dèa Artemide], nuda, mentre fa il bagno: è un grave peccato guardare una dèa nuda, e lei sente lo sguardo di Atteone addosso a sé che, inevitabilmente, la profana perché vedere è avere, vedere è già possedere, vedere è accedere all’inaccessibile, e Diana ricambia lo sguardo lanciando ad Atteone un’occhiata malevola e lui, atterrito, fugge, e mentre corre sentendosi braccato, per volontà della dèa irata, si trasforma in cervo e quando se ne accorge è ormai troppo tardi perché lui non può più parlare e i suoi cani, ben addestrati alla caccia, lo hanno già raggiunto, per primo Melampo, e lo sbranano facendo a brandelli le sue carni.
Perché Bruno evoca questo mito cruento? Lo evoca perché paragona l’attività di ricerca intellettuale a una caccia, non la comune caccia dove il cacciatore stana e cattura le prede ma quella in cui il cacciatore [la persona che studia] diviene egli stesso preda [è fagocitata dalla foga di voler apprendere], come Atteone che, trasformato in cervo - e il cervo rappresenta “l’oggetto dello studio” [afferma Bruno] - viene sbranato dai suoi cani che rappresentano, afferma Bruno, «i pensieri de le cose divine» che lo divorano mettendolo nella condizione «che tutto vede come Uno, e non vede più distinzioni e numeri ma si truova a intuire il Tutto». Scrive Bruno: «Rarissimi sono gli Atteoni ai quali sia dato dal destino di poter contemplar la Diana ignuda», e gli Atteoni sono quelle persone eccezionali che riescono a elevarsi a quella forma superiore di conoscenza che è appunto “l’eroico furore”, una condizione psicologica, data dall’ardimentosa volontà d’imparare, in cui la persona capisce che per realizzare se stessa [non vale cercare la ricchezza, la gloria, il successo] deve “coltivare il desiderio di assaporare i frutti che maturano nel corso di quel continuo esercizio di investimento in intelligenza che l’Intelletto sa mettere in atto”. E “l’eroico furore”, afferma Bruno, non è un’estasi mistica ma è «un consapevole impeto razionale», è «un calore acceso dal sole intelligenziale dell’anima» e, quindi è qualcosa di qualitativamente superiore alla forma più alta della conoscenza razionale stessa [non è la condizione in cui si sanno tante cose, non è ritenersi saccenti e pedanti]: “l’eroico furore”, afferma Bruno, si identifica con “l’Amore della Conoscenza stessa” [l’Eros]. La persona “furiosa” - e Giordano Bruno si considera tale, affetto da eroico furore - vuole liberarsi dai legami che la tengono avvinta alle cose finite [futili, banali] e, amando la Conoscenza, ama anche Dio [che è la Mente dalla Conoscenza infinita], quindi, la persona “furiosa” ama Dio come principio di tutte le cose e, di conseguenza, si trova ad amare [come fosse Dio] tutte le cose e, attraverso l’Amore [l’Eros], riesce a conoscere profondamente la realtà nella sua essenza proprio perché “l’eroico furore”, afferma Bruno, fa cadere il velo che divide l’Intelletto dalla Materia.
A questo punto Giordano Bruno [come per chiudere in modo circolare il suo ragionamento] torna al tema cosmologico per unire strettamente la cosmologia con la questione morale e quella conoscitiva. La vera Conoscenza, scrive Bruno, ha inizio quando la persona “furiosa” intuisce che l’Intelletto e la Materia non sono separati. Se Dio è una Mente [Mens insita omnibus, una Mente attiva in tutte le cose] questo significa, afferma Bruno, che l’Intelletto è il principio che dà la forma alle cose, «l’Intelletto [scrive Bruno] è la forma costitutiva de l’Universo e di ciò che in quello si contiene» e la forma è il principio vitale e, quindi, è anche l’anima delle cose, le quali, proprio perché tutte dotate di anima, non hanno imperfezione e, di conseguenza, dobbiamo pensare, scrive Bruno, che la Materia non è qualcosa di indifferenziato, non è “un nulla” come hanno sostenuto molti filosofi, non è “una bruta potenza senza atto e senza perfezione” come sostengono gli Aristotelici, scrive critico Bruno.
Se l’Intelletto è il primo principio della Natura, la Materia, afferma Bruno, - della quale ogni cosa è formata - non può che essere il secondo principio della Natura. La Materia, scrive Bruno, è «la potenza de l’esser fatto, prodotto e creato» ed è un principio equivalente all’Intelletto che è la potenza attiva, «la potenza del fare, del produrre, del creare » e i due principi non possono stare l’uno senza l’altro perché come potrebbe l’Intelletto fare, produrre e creare senza la Materia?
Bruno elimina definitivamente il dualismo aristotelico tra la forma e la materia e sostiene la tesi che il principio formale [l’Intelletto] e il principio materiale [la Materia], sebbene ben distinti, non possono essere ritenuti separati perché «il Tutto, secondo la sostanza, è Uno». In ragione di questo, afferma Bruno, in tutta la Materia c’è la vita e anche la Materia è infinita, e Dio non può essere al di fuori della Materia semplicemente perché non esiste “un esterno” della Materia: Dio, in quanto Mens insita omnibus, è dentro la Materia e, quindi, è anche presente in ogni persona e le persone che ne sono consapevoli, afferma Bruno, ricevono da Dio una continua sollecitazione a esercitare il loro eroico furore conoscitivo.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
“Fare furore” significa “suscitare entusiasmo e ammirazione”... Quale fenomeno [in campo artistico, sportivo, culturale, politico...] ha suscitato in voi entusiasmo e ammirazione?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Sono molte le rappresentazioni artistiche del mito di Diana e Atteone e, quindi, potete - utilizzando i cataloghi di Storia dell’Arte e la rete - andare in ricognizione.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per esempio potete visitare la “Stufetta di Diana e Atteone” che è un ambiente della Rocca Sanvitale a Fontanellato in provincia di Parma celebre per il ciclo di affreschi realizzati nel 1524 dal Parmigianino [Gerolamo Francesco Maria Mazzola], e questo locale era probabilmente il bagno privato della signora Paola Gonzaga moglie di Galeazzo Sanvitale conte di Fontanellato…
Inoltre, volendo, potete leggere i versi dal 138 al 253 del Libro III de Le metamorfosi - un testo che trovate in biblioteca - dove Ovidio racconta il mito di Diana e Atteone…
Le sei opere delle due trilogie [la cosmologica e la morale, che abbiamo studiato] - stampate a Londra nel 1585 - riscuotono successo e Giordano Bruno, il filosofo Nolano [come tutti cominciano a chiamarlo], riceve molti inviti da parte di varie istituzioni di molte città per tenere conferenze e cicli di Lezioni, e il mondo del Nolano diventa l’intera Europa, che lui percorre in lungo e in largo sospinto da quell’impeto conoscitivo che chiama “l’eroico furore”.
Il fatto è che questo “impetus” - con il quale Giordano Bruno divulga le sue idee cosmologiche ed etiche - comincia a mettere in allarme i tribunali dell’Inquisizione perché, come sappiamo, c’è già dal 1576 un fascicolo aperto nei suoi confronti ma, verso la fine del 1585, Giordano Bruno lascia Londra sebbene lì si trovasse in un ambiente protetto e, prima di seguirlo [a grandi linee] in giro per l’Europa, dobbiamo - sempre ispirati dal suo pensiero - aprire una parentesi in funzione della didattica della lettura e della scrittura.
Già la scorsa settimana abbiamo annunciato che avremmo preso in considerazione, in chiave letteraria, un’affermazione di Giordano Bruno tratta dal testo de lo Spaccio de la bestia trionfante. Scrive Bruno [come senz’altro ricorderete]: «Convertitevi alla Giustizia perché separati da essa siamo separati da noi stessi e la nostra mente trova una pàtina, …» [come dire va in panne, si arresta per un’avaria e, di conseguenza, la comprensione della realtà ci sfugge, ci appare distorta] e sappiamo che Bruno utilizza la parola tardo-latina “pàtina”, che significa “impedimento”, dalla quale deriva il termine “panne” che indica “l’arresto di un mezzo per un’avaria”. Ebbene, il ragionamento di Bruno - che invita a riflettere sull’affermazione che “senza Giustizia la mente va in panne [cioè trova un impedimento, una pàtina, che ostacola la corretta comprensione della realtà] - ci fa avvicinare al testo di un romanzo il cui autore utilizza, per dare inizio e fine alla narrazione, proprio questa affermazione. Il romanzo che stiamo per iniziare a leggere s’intitola La panne ed è stato scritto, nel 1954, da Friedrich Dürrenmatt [che senza dubbio conoscete, almeno di nome].
Friedrich Dürrenmatt è uno scrittore svizzero-tedesco [è nato a Konolfingen nei pressi di Berna nel 1921 ed è morto a Neuchâtel nel 1990]. Dürrenmatt, inizialmente, si è affermato in campo teatrale come autore polemico, paradossale, trasgressivo, dissacrante, razionalista e scettico e, nello stesso tempo, molto rigoroso sotto il profilo etico [e Giordano Bruno gli è simpatico e, pur senza nominarlo, lo cita spesso]. Nei suoi racconti Dürrenmatt procede sempre sulla strada dell’anticonformismo sarcastico e ironico, utilizzando gli strumenti del grottesco che lui manipola ad arte. Citiamo i titoli di alcune delle sue molte opere: La morte della Pizia, Giustizia, L’incarico, Il giudice e il suo boia, e La panne che stiamo per cominciare a leggere perché in questo testo l’autore evoca il catalogo delle parole-chiave - la Verità, la Prudenza, l’Impegno nello studio, la Legge e il Giudizio - che Giordano Bruno mette in risalto nel testo de lo Spaccio de la bestia trionfante come principi per sovvertire un sistema che spaccia i vizi per virtù: questo intento Dürrenmatt lo manifesta anche con una esplicita citazione [scrive tra virgolette: «...bisogna sempre convertirsi alla Giustizia perché separati da essa siamo separati da noi stessi e allora la nostra mente va in panne»] con la quale, dopo aver riflettuto sul fatto se sia ancora possibile trovare storie da raccontare, inizia la narrazione della quale sono protagonisti quattro pensionati - un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia - i quali occupano il loro tempo [ammazzano il tempo, essendo del ramo] mettendo in scena i grandi processi della Storia: quello a Socrate, a Gesù, a Giovanna d’Arco, a Dreyfus. Ma tutto diventa più divertente quando capita l’occasione di processare [tanto per divertirsi, tanto per passare una serata] una persona in carne e ossa, e questa persona [il quinto protagonista] è il rappresentante di commercio Alfredo Traps, che il destino conduce un giorno alla villetta dove si riuniscono i quattro ex uomini di Legge, perché la sua automobile è rimasta in panne lì vicino, e il padrone di casa [uno dei quattro pensionati] lo accoglie dimostrandosi molto ospitale; Traps, sebbene abbia altri programmi, se ne compiace e non si rammarica di essere rimasto bloccato e pregusta anche il lato piccante della situazione quando i quattro vegliardi, lì riuniti, gli illustrano il loro passatempo e gli domandano se [tanto per divertirsi, tanto per passare una serata] vorrebbe assumere la parte dell’imputato. L’ospite è spiacente e si rammarica di non poterli aiutare perché afferma [divertito] di non aver commesso, ahimè, alcun reato, ma i quattro [a cominciare dall’avvocato che lo dovrebbe difendere] lo rassicurano dicendogli che “un crimine si finisce sempre per trovarlo”, e se la colpa non viene alla luce, la si confeziona su misura perché “bisogna confessare, che lo si voglia o no, perché c’è sempre qualcosa da confessare”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Vi è successo di trovarvi in panne con la vostra auto?...
Scrivete quattro righe in proposito...
E ora cominciamo a leggere questo romanzo che ci accompagnerà per un tratto di strada.
LEGERE MULTUM….
Friedrich Dürrenmatt, La panne
Ci sono ancora storie possibili, storie da scrivere? Se una persona non intende raccontare di sé, né generalizzare in termini romantici, lirici il proprio Io, se non si sente obbligata a parlare con spietata sincerità delle proprie speranze e sconfitte o di come fa all’amore, quasi che, dicendo la verità, ne nascesse un caso universale, ebbene, se una persona non vuole tutto ciò e intende invece difendere cortesemente le sue faccende private, ponendosi di fronte al proprio tema come uno scultore di fronte alla materia da cui trarre una statua, allora scrivere diventa un mestiere più difficile, più solitario e anche più insensato, quindi, sorge il sospetto che non ci sia più nulla da raccontare, e si prende seriamente in considerazione la possibilità di astenersi ma, forse, resta ancora qualcosa per non andare in panne perché può succedere che dal volto di una persona qualunque faccia capolino l’umanità e un semplice contrattempo si dilati involontariamente a fenomeno universale dove giudici e giustizia fanno la loro comparsa, e, forse, anche la grazia, il fatto è che «bisogna sempre convertirsi alla Giustizia perché separati da essa siamo separati da noi stessi e allora la nostra mente va davvero in panne» …
... continua la lettura ...
Il periodo inglese di Giordano Bruno è da considerarsi il più creativo della sua vita perché a Londra ha prodotto le sue Opere principali.
Nel novembre del 1585 l’ambasciatore francese Michel de Castelnau - che come sappiamo dà ospitalità a Bruno - viene richiamato a Parigi e il Nolano decide di partire insieme a lui. A Parigi Bruno va ad abitare vicino al Collège de Cambrai e, quasi quotidianamente, frequenta la biblioteca di Saint-Victor, sulla collina di Sainte-Geneviève, il cui bibliotecario, il monaco Cotin, ha l’abitudine di annotare giornalmente quanto avviene nella biblioteca, e il suo Diario [il Diario del bibliotecario Cotin con le sue centinaia di pagine] è una miniera di informazioni.
Bruno entra in confidenza con il bibliotecario Cotin il quale ha appuntato e conservato per noi delle utili informazioni. Cotin scrive che il filosofo Nolano stava per pubblicare un’opera intitolata Arbor philosophorum [L’albero dei Filosofi] che però non è mai stata trovata, e scrive inoltre che Bruno gli ha confidato che, a suo tempo nel 1576, aveva lasciato l’Italia per «evitare le calunnie degli inquisitori, che sono ignoranti e che, non concependo la sua filosofia, lo hanno accusato di eresia».
Nel gennaio del 1586 viene registrata la presenza di Giordano Bruno alla Sorbona, dove tutte le facoltà universitarie sono controllate da insegnanti aristotelici poco simpatici al Nolano «a causa, come lui scrive, del loro incomprensibile bigottismo», e dai verbali dei collegi dei docenti veniamo a sapere che Bruno ha litigato animatamente con tutti costoro, e il rettorato della Sorbona, nella primavera del 1586, lo esonera dall’insegnamento per «il suo spregevole antiaristotelismo» e, di conseguenza, il Nolano decide di lasciare Parigi e si dirige verso la Germania. Fino al 23 maggio del 1592, quando verrà arrestato a Venezia, Giordano Bruno non fa che viaggiare e noi lo seguiamo sul suo percorso intellettuale.
In quali città soggiorna, quali persone incontra, quali opere produce ancora e, per quale ragione, dopo anni di peregrinazioni in Europa, decide di tornare in Italia sapendo che il rischio di finire nelle mani dell’Inquisizione è concreto?
Per rispondere a queste domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé. Giordano Bruno scrive che “bisogna convertirsi alla Giustizia perché separati da essa siamo separati da noi stessi e la nostra mente va in panne” ed è, quindi, anche per coerenza che Giordano Bruno ha affrontato a testa alta un lungo processo proprio per dimostrare quanto quel Tribunale che lo ha condannato [e oggi lo possiamo dire] non è stato in grado di convertirsi alla Giustizia.
Giordano Bruno ha voluto dimostrare che, sebbene il suo corpo sia stato ridotto in cenere, la sua mente non è andata in panne ma ha continuato e continua ancora a ragionare insieme a noi sui grandi temi della cosmologia, dell’ontologia e dell’etica perché non dobbiamo mai perdere la volontà d’imparare e dobbiamo sempre essere animate e animati dall’eroico furore per la conoscenza.
Per questo la Scuola è qui e il viaggio continua…