ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza 14-15-16 marzo 2018
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA
LA SCOPERTA DELLA FIGURA ELLITTICA PRODUCE
UNA NUOVA IMMAGINE DELL’ARMONIA ...
Questo è il diciottesimo itinerario del nostro viaggio sul territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età moderna agli esordi della scienza e questa sera prendiamo il passo ancora in compagnia di Giordano Bruno.
Come sappiamo, Giordano Bruno dal novembre del 1585 [quando parte da Londra] fino al 23 maggio del 1592 [quando viene arrestato a Venezia] viaggia incessantemente: soggiorna in tredici città europee, insegna in una decina di importanti Università, incontra eminenti personalità e tiene cicli di Lezioni nelle loro dimore [palazzi borghesi e castelli nobiliari] e poi, soprattutto, utilizzando generi letterari diversi, scrive ininterrottamente per comporre Opere che possano illustrare, nel miglior modo possibile, i concetti salienti del suo pensiero.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Osservando una carta dell’Europa che trovate sull’Atlante geografico della vostra biblioteca domestica e navigando in rete seguite gli spostamenti di Giordano Bruno da una città all’altra dal 1585 al 1592: da Londra raggiunge Parigi poi Magonza, Wiesbaden, Marburg, Wittenberg, Praga, Tubinga, Helmstedt, Francoforte, Zurigo, poi torna a Francoforte e successivamente giunge a Venezia ma, dopo alcuni giorni, si trasferisce a Padova e, infine, ritorna a Venezia…
Se volete potete calcolare quanti chilometri ha percorso il Nolano in pochi anni…
Sappiamo [dalla scorsa settimana] che nel luglio del 1591 alla Fiera del libro di Francoforte Bruno incontra due importanti editori, il senese Giambattista Ciotti e il fiammingo Giacomo Brittano, entrambi attivi a Venezia, i quali gli comunicano [hanno anche una Lettera da consegnargli] che il patrizio veneto Giovanni Francesco Mocenigo lo invitava a Venezia perché «gl’insegnasse li secreti della memoria e gli altri che egli professava, come si vede nei suoi libri » [Mocenigo aveva ultimamente acquistato da Ciotti il De minimo, il De monade e il De immenso].
Perché mai Giordano Bruno - che è una persona accorta - ha deciso di tornare in Italia sapendo che il rischio di finire nelle mani dell’Inquisizione era concreto? Non sapremo mai esattamente che cosa abbia alterato la reale percezione del pericolo a cui poteva andare incontro, fatto sta che, nell’agosto del 1591, Giordano Bruno giunge a Venezia.
Nell’agosto del 1591 Giordano Bruno arriva a Venezia ma non si sa se il motivo del suo ritorno in Italia dipenda dall’offerta di Giovanni Francesco Mocenigo perché passano diversi mesi, circa sette, prima che il Nolano accetti l’ospitalità del patrizio veneto. Giordano Bruno ha quarantatre anni e non è una persona alla quale mancano i mezzi, anzi, è considerato un «omo universale » [che non ha bisogno di essere mantenuto da qualcuno] pieno di ingegno e di spirito creativo. Quando arriva a Venezia, difatti, si trattiene in città solo pochi giorni e poi parte per Padova dove ha appuntamento con il suo discepolo e copista Hieronymus Besler che, come sappiamo, sta frequentando l’Università padovana, e all’inizio di settembre del 1591 [come abbiamo detto la scorsa settimana] Giordano Bruno inizia a tenere un ciclo di Lezioni di matematica frequentato soprattutto dagli studenti tedeschi iscritti all’Università di Padova: è per questo motivo [ci si chiede] che è tornato in Italia? Bruno era stato accusato dagli aristotelici di tutte le Università in cui ha insegnato di non conoscere la matematica: vuole quindi dimostrare il contrario proprio nell’ateneo padovano che è uno dei centri più rinomati per questa disciplina? Le Lezioni padovane di matematica di Giordano Bruno - molto suggestive per il modo in cui tratta i vari argomenti - sono state pubblicate postume in tre volumi.
Il corso si conclude a novembre, il suo discepolo Hieronymus Besler torna in Germania [per motivi di famiglia, e i due non s’incontreranno più] e Bruno ritorna a Venezia ma è solo alla fine di marzo del 1592, dopo quattro mesi, che si stabilisce in casa di Mocenigo il quale, come sappiamo, è interessato allo studio dell’arte della memoria e alle discipline magiche, e Bruno accetta di istruirlo.
Il 21 maggio Bruno informa Mocenigo che sarebbe tornato a Francoforte per far stampare le sue Lezioni padovane ma il giorno dopo il patrizio lo fa sequestrare in casa dai suoi servitori e il giorno successivo, il 23 maggio, Mocenigo presenta al tribunale dell’Inquisizione una denuncia scritta, nella quale Bruno viene accusato di blasfemia, di disprezzare le religioni, di non credere nella Trinità e nella transustanziazione, di ritenere che il mondo sia eterno e che esistano infiniti mondi, di praticare arti magiche, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine. Quel giorno stesso, la sera del 23 maggio 1592, Giordano Bruno viene arrestato e rinchiuso nelle carceri dell’Inquisizione di Venezia, in San Domenico a Castello.
Perché Mocenigo ha denunciato Giordano Bruno? Non è facile rispondere a questa domanda. Bruno capisce che la sua vita è in gioco, e ritiene che, in base alle accuse, debba dare ordine alle sue idee. Sa che tutto quello che dirà verrà trascritto e conservato e, quindi, organizza la sua difesa in modo meticoloso [e, difatti, il processo dura ben sette anni], e la sua mente non va in panne perché, anche se diffida dei giudici inquisitori, tuttavia confida nella Giustizia [è convinto che - anche se ora verrà condannato - in futuro, in base al materiale di archivio e in base alle nuove scoperte che giustificano le sue idee, verrà sicuramente assolto].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Di fronte a una accusa ingiusta che avete ricevuto come avete organizzato la vostra difesa per dimostrare che eravate innocenti?...
Scrivete quattro righe in proposito...
In che modo Giordano Bruno pianifica e predispone la sua difesa?
Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo ricordarci che - in funzione della didattica della lettura e della scrittura - stiamo assistendo a un processo: il processo virtuale al signor Alfredo Traps, uno dei protagonisti del romanzo La panne, scritto nel 1954 da Friedrich Dürrenmatt. Lo scrittore, citando nell’incipit l’affermazione di Giordano Bruno che dice: «Convertitevi alla Giustizia perché separati da essa siamo separati da noi stessi e la nostra mente va in panne …», [cioè trova un impedimento che ostacola la corretta comprensione della realtà] narra che quattro pensionati - un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia - occupano il loro tempo [avendo lavorato nel campo della giustizia] mettendo in scena i grandi processi della Storia: di Socrate, di Gesù, di Giovanna d’Arco, di Dreyfus, ed è probabile che abbiano anche rifatto il processo a Giordano Bruno assolvendolo. Ma quando, qualche volta, capita loro di processare una persona in carne ed ossa [per puro divertimento, tanto per passare una serata di carattere conviviale] tutto diventa più divertente. Questa persona, il quinto protagonista del romanzo, è, in questo caso, il rappresentante di commercio Alfredo Traps, che, come già sappiamo, un giorno il fato ha condotto alla villetta dove si riuniscono i quattro ex uomini di Legge perché la sua automobile è rimasta in panne lì vicino, e il padrone di casa [il giudice] gli offre gratuitamente ospitalità, e Traps accetta anche di partecipare al gioco dei quattro vegliardi e assume, con un certo compiacimento, la parte dell’imputato. Lui però si rammarica di non poterli aiutare perché afferma divertito di non aver commesso alcun reato, ma i quattro, a cominciare dall’avvocato che lo deve difendere, lo rassicurano dicendogli che “un crimine si finisce sempre per trovarlo e che c’è sempre qualcosa da confessare” e, difatti, durante la cena - una cena da favola [così la definisce Traps] - mentre viene invitato dal giudice istruttore a raccontare la sua storia, senza che lui se ne renda conto [sedotto anche dalle gustose vivande, portate in tavola dalla governante Simonetta, e ammaliato dal buon vino], subisce un vero e proprio interrogatorio durante il quale, nonostante il suo avvocato difensore lo inviti a moderarsi, fa tutta una serie di ammissioni sul modo, non proprio corretto, con cui ha fatto carriera, in un contesto in cui emerge anche la morte, per malattia, del suo ex principale, il signor Gygax, al quale Traps dichiara, senza ritegno, di aver soffiato il posto poco prima che lui morisse. Dopo una serie di numerose portate innaffiate da ottimi vini, i commensali, prima di riattaccare con il pollo [una specialità di Simonetta], si concedono una pausa e l’avvocato difensore ne approfitta per fare, insieme a Traps, due passi in giardino anche per comunicargli di essere molto preoccupato per come si è messa la situazione e per disapprovare il suo comportamento superficiale, per cui lo invita alla cautela visto che ha già commesso troppi errori senza, probabilmente, essersene neppure accorto. Andiamo avanti a leggere il testo di questo romanzo.
LEGERE MULTUM….
Friedrich Dürrenmatt, La panne
Vede caro Traps, disse l’avvocato difensore «Noi giochiamo con gli ospiti del giudice, che fungono da imputati; sono spesso venditori ambulanti o turisti di passaggio, due mesi fa ci capitò di condannare a vent’anni di carcere perfino un generale tedesco. Passava di qui per caso con la moglie, e solo la mia arte valse a salvarlo dalla forca». «Che produttività!» disse Traps con meraviglia. «Ma la faccenda della forca non mi convince tanto, lei esagera un po’, egregio avvocato, la pena di morte è da tempo pur stata abolita». «Nella giustizia pubblica,» rettificò il difensore «ma qui noi l’abbiamo reintrodotta perché rende il nostro giuoco più emozionante e originale». «Avrete anche il boia, immagino, vero?» disse Traps ridendo. «Naturalmente,» confermò il difensore «abbiamo anche quello. Pilet». «Pilet?». «Perché si meraviglia?». … «Ma quello è l’oste della trattoria “Al bove”, e ci procura i vini che beviamo». … «Oste lo è sempre stato» disse il difensore sorridendo. «Esercitava la sua professione pubblica in via accessoria, a titolo onorifico. Ormai lo hanno licenziato da vent’anni. Era abilissimo nella sua arte». Gocce di sudore freddo imperlarono la fronte di Traps. Il difensore si stupì: «Ma cosa le capita, caro Traps? Non si sente bene?». Traps stava cenando seduto accanto a un boia. … Ma Traps voleva essere tollerante, libero da preconcetti - in fondo non era né un bigotto né un filisteo, e anzi, ora gli sembrava che la serata senza il boia sarebbe stata meno divertente, e già godeva al pensiero di raccontare, e nel migliore dei modi, la sua avventura … E così alla fine scoppiò in una risata liberatoria: «Ci sono cascato! Ho avuto paura! Il giuoco diventa sempre più spassoso!». «Confidenza per confidenza» disse il difensore mentre tornavano verso la casa: «Come ha ucciso Gygax?». «Io l’avrei ucciso?». «Be’, se è morto…». «Ma io non l’ho ucciso!».
... continua la lettura ...
Vedremo - quando riprenderemo la lettura del romanzo - per quale ragione il pubblico ministero parla con enfasi e con ironia di “uno splendido omicidio che si presenta in tutta la sua bellezza sia sul piano filosofico che su quello tecnico”.
Giordano Bruno, quando viene rinchiuso nel carcere dell’Inquisizione di Venezia la sera del 23 maggio 1592, capisce di dover organizzare meticolosamente la sua difesa tanto sul piano filosofico che su quello tecnico e, a questo proposito, pensa di poter confidare nel fatto che le teorie da lui sostenute, a cominciare da quella copernicana, possano essere, a breve, confermate [ma poi il suo pensiero, col passar del tempo, risulterà vano]. Bruno, come già abbiamo detto la scorsa settimana, è al corrente dell’iniziativa intrapresa da un giovane matematico che studia astronomia nel seminario di Tubinga per dimostrare che le orbite dei corpi celesti non corrispondono a una circonferenza [a un cerchio perfetto] ma bensì a un’ellisse.
La scorsa settimana abbiamo detto che nel testo del poema De immenso, scritto nel 1591 a Francoforte, Giordano Bruno allude, con un certo compiacimento, al fatto di aver ricevuto una Lettera da Tubinga [e Bruno non rivela chi sia il mittente, forse è l’astronomo Tycho Brahe? Ma Bruno ha molte conoscenze]: in questa Lettera gli si comunica che un allievo del seminario [quindi un giovane ricercatore che studia in un ambiente dove si simpatizza per le dottrine di Copernico] sta cercando di dimostrare - con i suoi calcoli - che la forma delle orbite dei corpi celesti è ellittica e se questa realtà venisse confermata [e Bruno è fiducioso che questo avvenga presto] la forma, data da Aristotele e poi da Tolomeo all’Universo, diventerebbe un reperto del pensiero antico, e la Chiesa, di fronte a questo nuovo quadro cosmologico, dovrebbe [pensa Bruno] riconsiderare i principi della sua dottrina e il tribunale dell’Inquisizione dovrebbe tenerne conto.
Si presume che Bruno non sappia chi sia questo giovane studioso perché non lo nomina, ma appena viene arrestato spera che la sua ipotesi possa essere confermata, purtroppo i tempi della ricerca sono lunghi e ancora più lunghi sono i tempi della divulgazione dei risultati acquisiti dalla ricerca.Ma, di chi stiamo parlando?
Stiamo parlando di un personaggio che si chiama Johannes Kepler, meglio noto come Giovanni Keplero, e Giordano Bruno [questa sera a posteriori] è curioso di conoscere questo personaggio perché, anche se non sappiamo bene in quali termini, Bruno deve aver sperato di poter utilizzare per la propria difesa i risultati degli studi di questo giovane matematico, ma non è stato materialmente possibile per Bruno, nella segregazione della galera, poterlo fare. Chi è Giovanni Keplero e in che cosa consiste la sua opera?
Giovanni Keplero [Johannes Kepler] è nato nel 1571 a Weil, una cittadina situata nella regione tedesca del Württemberg. Nasce in una famiglia di modeste condizioni e studia prima [dal 1584] nel seminario di Adelberg e poi dal 1589 in quello di Tubinga dove frequenta le Lezioni del professor Michael Mästlin, grande astronomo e strenuo divulgatore delle teorie di Copernico, che lo inizia alla disciplina astronomica in chiave copernicana e lo incoraggia ad applicare la matematica [materia in cui Giovanni è particolarmente portato] al campo astronomico.
Nel 1600 Keplero [e Bruno ha già subito il supplizio], quando sta insegnando matematica a Graz, rimane coinvolto nelle polemiche religiose e nello scontro, non indolore, tra cattolici e protestanti per cui si rifugia a Praga perché viene invitato da Tycho Brahe [i due sono in comunicazione per il fatto che coltivano gli stessi interessi su determinate questioni matematiche] che lo nomina suo assistente e, l’anno dopo, nel 1601, alla morte di Brahe - e con il beneplacito dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo - Keplero diventa il direttore dello Studio astronomico praghese dove continua a condurre le sue ricerche. A Tubinga [facciamo un passo indietro] Giovanni Keplero nel 1591 aveva cominciato a scrivere un’opera [ed è questa la notizia a cui allude Giordano Bruno quando lo cita senza nominarlo nel suo poema De immenso], e quest’opera [che Bruno, in galera, non potrà mai leggere] viene pubblicata a Graz nel 1596 con il titolo Mysterium cosmographicum, de admirabili proportione orbium coelestium [Il mistero cosmografico, sull’ammirabile proporzione delle orbite celesti]. In questo trattato Keplero - con i suoi calcoli - mette in evidenza come il sistema di Copernico non sia semplicemente un’ipotesi ma si presenti come “la spiegazione più convincente” sul movimento dei corpi celesti nel Cosmo.
Quest’opera [Mysterium cosmographicum] è molto importante [siamo agli albori della scienza, ed è su questo territorio che stiamo viaggiando da ottobre] perché l’autore fa senza pregiudizi una approfondita riflessione su una serie di lacune e di limiti che, sotto il profilo scientifico, sono presenti nella sua mente [una mente formatasi nell’ambito del neoplatonismo rinascimentale, così come le stesse lacune e gli stessi limiti sono presenti nella mente di tutti gli altri astronomi]; in questo trattato Keplero analizza quei pensieri, quei ragionamenti e quelle idee che risultano essere ancora sotto l’influenza del pensiero metafisico [una situazione che - come ricorderete - era già stata smantellata dall’Opera di Bernardino Telesio], come l’idea che Dio non poteva creare il Cosmo se non usando una geometria basata sulla “perfezione assoluta” che hanno le figure regolari [il quadrato, il triangolo isoscele, il cerchio] in modo da formare poliedri regolari con i lati e gli angoli uguali: la creazione divina, quindi, non potrebbe essere che “perfetta”, ma, scrive Keplero, possiamo davvero fare questa affermazione?
È molto interessante osservare, scrive Keplero, come in teoria, ragionando in questo modo [disegnando sulla carta la volta celeste usando le figure geometriche regolari], prenda forma un Cosmo perfetto così come è stato descritto dal Timeo di Platone e dal De caelo di Aristotele e come pensano debba essere l’aspetto dell’Universo i Neoplatonici rinascimentali [Marsilio Ficino, Pico della Mirandola] i quali prefigurano un Cosmo “regolare” [téleios, in greco] in quanto regolare corrisponde a “perfetto” e perfetto corrisponde a “divino”. Il fatto è, scrive Keplero, che questo mirabile quadro virtuale non trova però riscontro nell’osservazione reale del Cosmo e soprattutto non regge alla concreta verifica matematica. Quando gli astronomi, scrive Keplero, - Copernico, Brahe, Mästlin [tanto per citare i più importanti] - osservano il cielo [con rudimentali strumenti ma con la massima attenzione] non vedono la regolarità che è stata disegnata sulla carta e, quindi, Keplero formula un’idea nuova: il quadro dell’Universo non corrisponde alla regolarità [che prevede di comporre il quadro applicando alla volta celeste le figure geometriche per eccellenza] ma il quadro è soggetto alla complessità [per cui si deve osservare la volta celeste per capire quali siano le regole matematiche che ne determinano, secondo i momenti, il quadro d’insieme]. Keplero afferma che non è possibile conoscere realmente la forma e il funzionamento dell’Universo mantenendo nei propri occhi e nella propria mente il concetto di regolarità [di perfezione] perché in tal caso il risultato dell’osservazione non risulta reale e, quindi, per capire la forma e il modo in cui il Cosmo si muove bisogna, con la matematica e con la geometria, studiarne la complessità.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale parola scrivereste accanto al termine “regolarità”, e quale parola scrivereste accanto al termine “complessità”?...
Non vorrete rinunciare a scrivere due parole in proposito!...
Giovanni Keplero ha studiato in seminario [i seminari sono, come ricorderete, istituzioni scolastiche create dal concilio di Trento che spesso diventano laboratori culturali non in linea con l’ortodossia e, per esempio, nel seminario di Tubinga fiorisce un attivo circolo copernicano sebbene l’Opera di Copernico sia stata messa all’Indice dal Sant’Uffizio], Keplero è uomo di fede, è cattolico e non vuole aprire un contenzioso con la Chiesa di Roma, però [siccome sa che una controversia nascerà senz’altro] ritiene sia necessario motivare sul piano metafisico e teologico l’uso virtuoso che lui sta facendo della matematica e della geometria: vuole nobilitare sul piano metafisico le due discipline dalle quali derivano le sue affermazioni in campo astronomico e questo proprio perché pensa che in ambito scientifico si debba seguire la via della ragione e non quella della fede [il suo è un atteggiamento simile a quello di Bernardino Telesio che ha fatto scuola in proposito: quando si parla di Scienza bisogna distinguere tra la ragione e la fede] ma, a differenza di Bernardino Telesio, Keplero vuole coinvolgere anche Dio nella partita, in quanto autore della forma dell’Universo.
Giovanni Keplero - vista la diffidenza del Sant’Uffizio nei confronti della ricerca in campo astronomico - vuole nobilitare sul piano metafisico la matematica e la geometria, le due discipline ritenute fondamentali per lo studio del Cosmo. Keplero vuole ribadire che la matematica e la geometria sono in grado di fornire strumenti d’indagine conoscitiva perché sono due apparati che hanno una valenza teologica e Dio, scrive Keplero, - nel creare la forma dell’Universo - ne ha tenuto conto. Keplero intende esporre le linee di una teologia che avvicini [diremmo oggi] la figura divina con i suoi attributi alla Scienza e afferma che quando Dio ha creato il Cosmo [l’Ordine] ha pensato in termini matematici e geometrici per cui, se Dio pensa matematicamente e geometricamente, scrive Keplero, anche l’essere umano, che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, deve avere una mente strutturata matematicamente e geometricamente.
La matematica e la geometria, scrive Keplero, sono strutture costitutive della mente umana, e la mente di ogni persona è in possesso di competenze matematiche e geometriche innate [che devono essere esercitate e sviluppate attraverso lo studio], e con queste competenze, scrive Keplero, la persona sta dinanzi a un Universo che, a sua volta, è stato creato con Leggi soggette alla matematica e alla geometria e per questo motivo il Cosmo ha una struttura adatta a essere misurata dalla mente umana e, quindi bisogna avere fede nel fatto che la forma dell’Universo può essere conosciuta con la ragione.
Il Creatore, afferma Keplero, ha messo in ordine [kòsmos, in greco] la Materia con criteri matematici e geometrici e, scrive Keplero «ubi materia, ibi geometria »[Dove c’è la materia, lì c’è la geometria] e questa affermazione [che piace molto a Giordano Bruno, che questa sera sta conoscendo Keplero insieme a noi] conduce su un vasto territorio sul quale ci stiamo incamminando dove possiamo cominciare a osservare i paesaggi intellettuali della Scienza vera e propria.
Keplero, con il suo ragionamento teologico, fa in modo che il rapporto tra la persona e la natura si configuri come una relazione di tipo “scientifico” prima ancora che metafisico sottolineando che l’aspetto scientifico non è soggetto alla rivelazione mentre il dato metafisico è vincolato alle verità rivelate e deve avere necessariamente un carattere etico: che cosa significa? Dio, afferma Keplero, ha ispirato i racconti della Sacra Scrittura [il midrash] in termini etici non scientifici [il racconto della creazione ha una valenza allegorica] perché la Sacra Scrittura è il terreno che nutre la fede e, di conseguenza, per percorrere la via della salvezza le persone devono credere e devono agire, scrive Keplero, secondo una verità rivelata che si sintetizza nell’affermazione: «Ama Dio e ama il prossimo come te stessa, come te stesso».
Il fatto che la Terra è rotond, scrive Keplero, è un semplice dato e, che ci si creda o no, non è né un bene né un male. Dio non giudica le persone in base al loro credere se la Terra sia piatta o sia rotonda, ma Dio giudica se, su questa Terra, piatta o tonda che sia, la persona abbia agito a fin di Bene.
Sul piano scientifico, afferma Keplero, Dio ha ordinato la mente umana in chiave matematica e, quindi, il rapporto tra la persona e la natura avviene attraverso l’utilizzo delle formule matematiche che - per volere divino - hanno la caratteristica di essere etiche di per sé in quanto Dio le ha usate per creare ed è tassativo che debbano essere usate a fin di Bene. Scrive Keplero: «La formula matematica stringe in unità l’universo misurabile e la persona che misura, e Dio ha scritto il problema e chiede alla persona che si sforzi di risolverlo». Quindi, sostiene Keplero in polemica con il Sant’Uffizio e l’Inquisizione, è “la ricerca attiva della soluzione” che avvicina la mente a Dio, non l’accettazione passiva di una disposizione di cui s’impone la credenza da parte di un’autorità costituita che stabilisce che cosa sia la verità senza l’opportuno riscontro di carattere matematico e geometrico.
Tenendo conto di queste idee, Keplero, nel 1609 [l’anno in cui Galileo Galilei - come vedremo a suo tempo - comincia a usare il cannocchiale] scrive la sua opera più importante intitolata Astronomia nova. Quest’opera inizia con la presentazione delle osservazioni che Keplero ha fatto studiando il movimento del pianeta Marte. Keplero ha osservato a lungo il movimento del pianeta Marte per dimostrare la validità delle teorie di Copernico perché, sulla carta, il sistema copernicano risultava convincente ma, all’osservazione, il movimento dei pianeti si presentava fuori squadra [in modo sbilenco]. Keplero capisce subito che il punto debole del sistema sta nel fatto che Copernico ha continuato a ragionare secondo i principi della geometria regolare di stampo aristotelico e neoplatonico e, difatti, Copernico è ancora convinto che l’orbita dei pianeti sia quella circolare; su questa base Keplero - prendendo come modello il pianeta Marte - imposta il problema, sviluppa i calcoli in base alla questione dello spazio e del tempo, e punta il cannocchiale nella zona del cielo indicata e per l’ora prestabilita, e aspetta di veder passare Marte in quel punto e a quell’ora, ma, quel birichino di Marte [ironizza Keplero] passa sempre un po’ più in su o un po’ più in giù, un po’ prima o un po’ dopo. Ma, è Marte il birichino [si domanda Keplero in tono scherzoso]? Keplero è soddisfatto di questa discrepanza perché ha dimostrato che il problema non va impostato su una presunta idea di regolarità e di perfezione metafisica.
Keplero, con i suoi calcoli, dimostra che il Cosmo funziona secondo regole proprie, complesse e di carattere matematico e, quindi, tenendo conto delle irregolarità e delle imperfezioni del passaggio di Marte - che sono informazioni utili - reimposta il problema e scopre che l’orbita di Marte è ovale, la traiettoria di Marte è un’ellisse in cui il Sole non sta al centro ma ne occupa uno dei fuochi. L’applicazione dell’ellisse all’orbita di tutti i pianeti da parte di Keplero produce il reale funzionamento del sistema di Copernico. E la figura ellittica entra in gioco producendo una nuova immagine dell’armonia che va a influenzare prima di tutto il campo dell’Arte. In campo artistico il susseguirsi di linee ellittiche dà, poco per volta, il via alla costruzione di nuovi equilibri non regolari. Una perla non rotonda ma dalla linea ellittica viene chiamata “barroca” [non regolare] e questa parola avrà, di lì a poco, uno straordinario avvenire: la figura dell’ellisse dall’Universo cade sulla Terra dando origine a nuove forme chiamate “barroche”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale oggetto di forma ellittica attira maggiormente la vostra attenzione?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Le scoperte fatte da Keplero e il suo ordinato metodo di lavoro gli consentono di formulare tre Leggi che costituiscono una pietra miliare sulla via che attraversa il territorio della Scienza ai suoi albori. Le Leggi di Keplero riguardano il tema del movimento, dei rapporti tra i corpi celesti e della relazione tra i corpi in generale.
Ora noi ci avviciniamo a questo argomento per mettere in evidenza in termini umanistici quali sono le parole-chiave, le idee significative e gli interrogativi che emergono con la formulazione delle Leggi di Keplero [in termini umanistici secondo la natura del nostro Percorso].
Giovanni Keplero riassume le sue scoperte in un’opera intitolata Armonie del Mondo pubblicata nel 1619, e le idee contenute in quest’opera stimolano delle riflessioni che hanno una significativa ricaduta sul piano filosofico e letterario.
La scoperta che le orbite dei corpi celesti sono ellittiche - che è il tema della prima Legge di Keplero, che è stata formulata dopo la seconda - ha modificato profondamente l’immagine che si aveva del Cosmo sebbene questa nuova immagine sia rimasta per lungo tempo appannaggio di una ridotta minoranza di studiosi, e la parola-chiave “ellisse” è entrata all’inizio del Seicento nella Storia del Pensiero Umano assumendo però una valenza significativa in relazione alla Terra: sulla scia del termine “ellisse”, l’attenzione, dalla figura “circolare” [regolare, perfetta e predominante], si è maggiormente concentrata sulla forma “ovale” per cui succede che “il non-regolare” [ciò che non corrisponde al cerchio perfetto] viene legittimato, soprattutto in campo artistico come abbiamo già detto con l’introduzione delle forme “barroche”, e, di conseguenza, “l’uovo” [il prodotto concreto a cui l’idea ellissoidale inevitabilmente rimanda la mente] è al centro dell’interesse, un interesse che per questo straordinario oggetto, con la sua forte valenza sul piano mitologico, non era mai cessato. Quindi ci dobbiamo domandare, dove porta la trafila: ellisse, ovale, uovo? [Per giunta è prossima la Pasqua ...].
La trafila “ellisse, ovale, uovo” [che per le studiose e gli studiosi corrisponde alla sequenza: matematica, geometria, antropologia culturale] non porta le masse popolari a ragionare sulla profondità degli spazi sul tragitto dell’orbita di Marte, profondità che, in questo momento [e oggi possiamo ancora dire altrettanto], è inaccessibile mentalmente ai più, ed è chiaro che non cambia la vita delle persone il fatto di sapere che l’orbita dei corpi celesti è ellissoidale invece che circolare, ma l’iter che conduce alla parola-chiave “uovo” [alla concretezza terrena rappresentata da questo oggetto] porta piuttosto [anche con la complicità di personaggi - reali e letterari - che incontreremo strada facendo i quali preferiscono, anche se pensano al Cosmo, tenere lo sguardo basso], a riflettere sulla materialità e la fruibilità dello spazio terrestre; in questo contesto, l’idea di “ellisse” cade sulla Terra proprio perché la maggioranza delle persone non si domanda quale sia la forma migliore per l’orbita dei pianeti ma s’interroga se, sotto il sole, sia meglio un uovo oggi che una gallina domani [«Ho n’a fame che mangerebbi n’ovo grando com’è n’orbita spaziosa» chi è l’autore di questo verso che fa parte di una canzonetta popolare del ‘600? Lo incontreremo (lo rincontreremo) anche perché ci rende un bel servizio: ci fa capire che cosa abbiamo inteso dire affermando che l’idea dell’ellisse, l’ovale, dagli spazi cosmici arriva in Terra per dar voce a reali problemi materiali].
Ma torniamo a occuparci delle Armonie del Mondo di Keplero. Nella seconda Legge [concepita prima della prima] e nella terza Legge, Keplero scopre come sono regolamentati gli spazi nel Cosmo: misura i segmenti che congiungono i pianeti col Sole e gli assi delle orbite descritte dai pianeti. Poi scopre come sono regolati i tempi nel Cosmo: il tempo che ci mette un pianeta per percorrere la sua orbita. Keplero scopre che lo spazio e il tempo nel Cosmo stanno in rapporto armonico secondo precise regole matematiche e geometriche applicabili in tutti i suoi punti: regole non metafisiche ma regole proprie del Cosmo. Le Leggi di Keplero non riguardano la natura dei pianeti, lui non si preoccupa di stabilire “che cosa sono” i pianeti, ma si preoccupa di capire “come si comportano” i pianeti.
Nel formulare la terza Legge, Keplero, ha utilizzato alcune scoperte fatte da Galileo Galilei [che è già attivo] col quale tiene corrispondenza. L’Epistolario tra Galileo e Keplero è un documento importantissimo perché i due, per Lettera, affrontano temi fisici basilari come quello dell’origine del movimento: si domandano che origine abbia il movimento, com’è che tutto si è messo in moto, e se c’è da sempre ed è perpetuo questo moto. I due corrispondenti formulano i loro pareri, confrontano le loro scoperte e pur dichiarandosi entrambi neoplatonici fanno un’affermazione che chiude un’epoca: specificano che “le armonie dei Cieli non avvengono per l’effetto di un’Anima del mondo” [di un divino animale che fa da motore]. Scrive Keplero a Galileo nel 1605: «Il mio scopo è di dichiarare che la macchina dell’Universo non è costruita sul modello di un divino animale, ma sul modello di un orologio e in essa tutti i diversi momenti si debbono a una diversa forza attrattiva materiale, allo stesso modo che tutti i movimenti dell’orologio sono dovuti a un semplice pendolo».
Che cos’è questa “forza attrattiva materiale” di cui parla Keplero? È la constatazione che i corpi celesti si attraggono e che, in generale, tutti i corpi si attraggono: la Terra attrae una pietra così come la pietra attrae la Terra. La dottrina dell’attrazione di Keplero anticipa di quasi settant’anni quella della gravitazione [e questa è un’altra storia legata alla pubblicazione, nel 1687, di un’opera scritta da Isaac Newton, che incontreremo a suo tempo].
Qual è [si domanda Keplero] la forza che attrae? È l’energia magnetica attrattiva che, scrive Keplero, proviene dal Sole il quale, girando su se stesso, comunica ai pianeti la forza motrice ed ecco perché i pianeti si muovono più rapidamente quando sono vicini al Sole [in perielio] e si muovono più lentamente quando ne sono più lontani [in afelio]. Keplero pone le basi della cosmologia moderna e su questi fondamenti Galileo Galilei [col quale abbiamo appuntamento] costruisce i presupposti della scienza moderna.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
«Meglio un uovo oggi che una gallina domani», di fronte a quale situazione vi siete comportate e comportati secondo questo adagio?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Di questi quattro oggetti - un orologio, un flauto, un cannocchiale, un computer – quale scegliereste, scrivetelo...
Quando la sera del 23 maggio 1592 Giordano Bruno viene rinchiuso nel carcere dell’Inquisizione di Venezia capisce di dover organizzare meticolosamente la sua difesa tanto sul piano filosofico che su quello tecnico perché sa che [con i tempi che corrono] la sua vita è in gioco e, difatti, durante gli interrogatori, si difende con avvedutezza dalle accuse dell’Inquisizione veneziana e ammette le differenze che esistono fra le concezioni che lui ha espresso nelle sue Opere e i dogmi sia cattolici [i dogmi contenuti nei decreti del concilio di Trento], sia calvinisti, sia luterani, sia aristotelici, e si giustifica con il fatto che un filosofo ragiona autonomamente [afferma Bruno] e fa delle ipotesi secondo «il lume naturale» e, di conseguenza, il pensiero può giungere a conclusioni discordanti con le materie di fede, senza che per questo debba essere considerato un eretico. Ad ogni modo Bruno si dichiara pronto ad aprire una discussione e, eventualmente, a prendere atto degli “errori” che può aver commesso nei confronti della dottrina della Chiesa e se così fosse è disposto a ritrattare e a chiedere perdono.
Dopo otto mesi di detenzione, durante i quali Bruno attende invano l’inizio del processo, arriva dal tribunale dell’Inquisizione di Roma la richiesta di estradizione dell’imputato [c’era da tempo, come sapete, un fascicolo aperto su di lui], e l’estradizione viene concessa: i giudici veneziani sono ben contenti di togliersi di torno questo scomodo personaggio e i membri del Senato veneziano, sebbene con una certa esitazione, approvano la scelta. E così il 27 febbraio 1593 Giordano Bruno, dopo essere stato tradotto a Roma, viene rinchiuso nelle carceri del Palazzo del Sant’Uffizio [e lui accetta di buon grado l’estradizione a Roma purché le cose si muovano]. Anche qui però - visto che il processo inizia ma viene subito sospeso - deve attendere per mesi l’avvio del dibattimento mentre i suoi accusatori cercano nelle sue molte Opere e nelle testimonianze di numerosi testi [che però si dimostrano tutti poco affidabili] nuovi capi d’imputazione contro di lui.
La sera dell’11 ottobre 1594 nella prigione romana di Tor di Nona dove è custodito Giordano Bruno giunge in catene un altro domenicano, si chiama Tommaso Campanella. Bruno e Campanella però non s’incontrano.
Quindi, prima di cogliere i punti salienti del processo contro Giordano Bruno fino alla lettura della sentenza [Bruno ci teneva che l’epilogo della sua storia avvenisse per Pasqua], la prossima settimana [e non perdete la prossima Lezione perché è quella che precede la vacanza pasquale] iniziamo anche il nostro incontro con Tommaso Campanella. Chi è Tommaso Campanella, come si articola il suo pensiero e quali sono le sue opere?
Per rispondere a queste domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé, consapevoli del fatto che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare, e per di più Giordano Bruno, come abbiamo potuto constatare, e Tommaso Campanella [come vedremo] c’insegnano che bisogna essere animate e animati da “un eroico furore” per la conoscenza.
E, di conseguenza, per promuovere questa virtù - “l’un eroico furore” per la conoscenza [perché di virtù si tratta] - la Scuola è qui e il viaggio continua mentre la primavera è [o dovrebbe essere] sulla soglia a dare un gusto particolare al buon sapore che ha l’apprendimento…