ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza 21-22-23 marzo 2018
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA
SI RIFLETTE SUL FATTO CHE CONOSCERE È ESSERE ...
Il diciannovesimo itinerario del nostro viaggio sul territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età moderna agli esordi della scienza coincide con la Lezione pre-pasquale che ha come protagonisti due grandi personaggi: Giordano Bruno [all’inizio e alla fine] e Tommaso Campanella.
Come sappiamo, Giordano Bruno - in seguito alla denuncia del patrizio veneto Giovanni Francesco Mocenigo - viene arrestato a Venezia e rinchiuso nel carcere dell’Inquisizione la sera del 23 maggio 1592: capisce subito di dover organizzare meticolosamente la sua difesa tanto sul piano filosofico che su quello tecnico perché sa che, di fronte alla giustizia inquisitoria, la sua vita è in gioco. Difatti, durante gli interrogatori, si difende con avvedutezza dalle accuse dell’Inquisizione veneziana e ammette le differenze che esistono fra le concezioni che lui ha espresso nelle sue Opere e i dogmi cattolici [i dogmi contenuti nei decreti del concilio di Trento] e si giustifica affermando che un filosofo ragiona autonomamente e fa delle ipotesi secondo «il lume naturale» e, di conseguenza, il pensiero può giungere a conclusioni discordanti con le materie di fede senza che per questo il filosofo debba essere considerato un eretico. Bruno si dichiara pronto a discutere e, eventualmente, a prendere atto degli “errori” che può aver commesso nei confronti della dottrina della Chiesa e, se così fosse, è disposto a ritrattare e a chiedere perdono. Dopo otto mesi di detenzione, durante i quali Bruno attende invano l’inizio del processo, arriva dal tribunale dell’Inquisizione di Roma la richiesta di estradizione dell’imputato [c’era da tempo, come sapete, un fascicolo aperto che lo riguardava], e l’estradizione viene concessa: i giudici veneziani sono ben contenti di togliersi di torno questo scomodo personaggio e i membri del Senato veneziano, sebbene con una certa esitazione, approvano la scelta. E così il 27 febbraio 1593 Giordano Bruno viene tradotto a Roma e rinchiuso nelle carceri del Palazzo del Sant’Uffizio [e lui auspica l’estradizione a Roma purché le cose si muovano]: il processo ha inizio ma viene subito sospeso e l’imputato deve attendere per mesi l’avvio del dibattimento perché gli accusatori cercano nelle sue molte Opere e nelle testimonianze di numerosi testi [che però si dimostrano tutti poco affidabili] nuovi capi d’imputazione contro di lui.
Come abbiamo già detto al termine dell’itinerario della scorsa settimana, la sera dell’11 ottobre 1594 nella prigione romana di Tor di Nona dove è custodito Bruno giunge in catene un altro domenicano: si chiama Tommaso Campanella, ha 26 anni [vent’anni meno di Giordano Bruno] e anche lui è in rotta con il suo ordine religioso, anche lui è incriminato per eresia. Fra’ Tommaso Campanella è da tempo tenuto sotto stretta sorveglianza dall’Inquisizione per aver pubblicato nel 1591 un Libro intitolato Filosofia dimostrata attraverso i sensi [Philosophia sensibus demonstrata] nel quale sostiene e sviluppa le tesi di Bernardino Telesio. Bruno e Campanella, entrambi detenuti in isolamento, non s’incontrano. Campanella non farà la fine di Giordano Bruno ma trascorrerà comunque in galera complessivamente ben ventisette anni della sua vita.
Chi è Tommaso Campanella. Giovan Domenico Campanella nasce il 5 settembre 1568 in provincia di Reggio Calabria e c’è una polemica [c’è stata negli anni ‘60] tra il comune di Stilo e quello di Stignano che entrambi rivendicano i natali del filosofo [oggi mi par di capire che questo tema non interessi granché] e, comunque, c’è una casa della famiglia Campanella a Stignano e una a Stilo con relative lapidi commemorative. Di essere nato a Stilo ha più volte affermato lo stesso Campanella durante gli interrogatori relativi ai suoi numerosi arresti: per esempio il 23 novembre del 1599 nel carcere di Castel Nuovo a Napoli davanti al giudice Antonio Peri dichiara: «Io son di una terra chiamata Stilo in Calabria Ultra, mio padre si domanda Geronimo Campanella e mia madre Caterina Basile». Nella parrocchia di San Biagio situata nel borgo di Stilo si è conservato anche un atto di battesimo così redatto: «A dì 12 settembre 1568, battezzato Giovan Domenico Campanella figlio di Geronimo e Catarinella Martello, nato il giorno 5, da me Don Terentio Romano, parroco di S. Biaggio nel Borgo». Per quanto riguarda la differente indicazione del cognome della madre, Basile e Martello, si presume che Martello sia un soprannome, quello del padre di Caterina, che probabilmente era un fabbro. Però c’è un decreto del Ministero della Pubblica Istruzione del 16 maggio 1968, stilato dopo un’interrogazione del Consiglio comunale, che fissa la casa natale di Tommaso Campanella nell’attuale Comune di Stignano che, a quel tempo, era un casale del vasto territorio della contea di Stilo, adducendo, a prova di questo fatto, un documento conservato nell’archivio catastale provinciale di Napoli sul quale si legge che “nei pressi del maestoso palazzo della nobile famiglia dei Lamberti c’era la casa dove è nato Tommaso Campanella”.
Per non far torto a nessuno dei due Comuni chiamati in causa la Scuola invita a visitarli entrambi. Stilo [partiamo da Stilo] è un pittoresco paese della costa ionica calabrese di circa 3800 abitanti, disposto a gradinate sotto le rocce del monte Consolino dove si trovano i resti del castello normanno fatto costruire da Ruggero II nell’XI secolo in vista del Mar Ionio. Stilo ha avuto un patrimonio di ben 18 Chiese molte delle quali sono andate perdute con il terremoto del 1783 ma, tuttavia, restano il Duomo, l’Abbazia di San Giovanni Therestis, la chiesa di San Domenico, la chiesa di San Francesco situata in piazza Carnovale al centro della quale vi è il monumento a Tommaso Campanella, e poi nella parte alta del paese si trova uno dei monumenti più importanti al mondo dell’arte bizantina: la Cattolica di Stilo che è una costruzione del X secolo a pianta quadrata con cinque cupolette disposte su tamburi cilindrici e tre absidi. Un monumento significativo e curioso di Stilo del X secolo è “La fontana dei delfini o Gebbia” perché è un’opera araba che testimonia l’alleanza tra i Bizantini di Calabria e gli Arabi di Sicilia che sono rappresentati da due delfini intrecciati, e questa alleanza è stata stipulata per scacciare Ottone II di Germania da queste terre e, difatti, il 13 luglio dell’anno 982 si è svolta la battaglia di Stilo in cui gli alleati arabo-bizantini hanno sconfitto l’imperatore sassone. Ora puntiamo l’attenzione su Stignano: Stignano è un paese di circa 1360 abitanti, posto in bella posizione su uno sperone in vista del Mar Ionio che vanta una serie di bei monumenti come la Villa Caristo, il Castello e la Torre di San Fili.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Utilizzando la guida della Calabria e navigando in rete fate visita a Stilo e a Stignano...
Buon viaggio…
A Stignano, in una famiglia di umili origini, è nato il pittore Francesco Cozza [1605-1682] che, si pensa, fosse cugino di Tommaso Campanella da parte di madre. Il pittore Francesco Cozza - autore di molte Opere significative - è stato allievo, a Roma, di Domenico Zampieri detto il Domenichino, uno dei maggiori fautori del classicismo. Cozza ha anche realizzato un famoso ritratto di Tommaso Campanella, conservato presso la collezione della Fondazione Camillo Caetani a Sermoneta, in provincia di Latina.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Navigando in rete potete andare a osservare le Opere di Francesco Cozza, in particolare il ritratto di Tommaso Campanella: è un’immagine molto diffusa che rappresenta il filosofo in età matura con il volto serissimo e piuttosto accigliato…
Ma noi abbiamo ancora a che fare con il giovanissimo Giovan Domenico Campanella alle prese con “il suo [direbbe Bruno] eroico furore per la conoscenza”.
Il padre Geronimo che è un ciabattino [uno scarparo] e la madre Caterina che fa la lavandaia [e non dev’essere campata a lungo] non si possono permettere di far studiare i loro figli [Campanella ha un fratello che si chiama Giovan Pietro e numerose sorelle delle quali non abbiamo nessuna notizia]; si narra che - quando nel 1581 la famiglia Campanella abita a Stignano - Giovan Domenico è solito penetrare prima che spunti l’alba nell’edificio della Scuola che lui non può frequentare perché i suoi genitori non hanno i soldi sufficienti per pagare la retta e di nascosto, con grande attenzione, ascolta le Lezioni del maestro il quale, quando un giorno lo scopre, prima lo brontola severamente [minaccia di bastonarlo] ma poi all’udire la sua giustificazione [«Mi piace la Scuola, mi piace studiare ma non ne ho la possibilità!»] lo interroga [«Allora, sentiamo che cosa hai imparato restando nascosto qui!» urla il maestro colpito dal fatto che un ragazzino sia così attratto dalla Scuola] e si rende conto che Giovan Domenico conosce a memoria tutto il programma e capisce che è animato davvero dal demone della conoscenza e ha delle doti non comuni, e allora cerca il padre, parla con lui e lo sollecita a fare in modo che il ragazzo vada a studiare a Napoli [«Con la memoria che si ritrova potrebbe studiare il diritto canonico», dice il maestro]. Inoltre Giovan Domenico non perde una messa nella sua parrocchia perché viene celebrata da un frate domenicano, un eccelso predicatore che lo affascina e lo ispira, il quale, durante l’omelia, racconta la vita e i meriti di due grandi membri dell’Ordine, protagonisti della stagione della Scolastica medioevale: Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, che abbiamo incontrati anche noi molto da vicino a suo tempo.
E così, nella primavera del 1582, il ciabattino Geronimo Campanella manda il figlio a Napoli da un suo fratello che abita e lavora lì in modo che questo zio faccia entrare il nipote nell’Ordine domenicano: Giovan Domenico supera brillantemente l’esame d’ammissione ed entra nell’Ordine sebbene, in questo momento, non abbia una reale vocazione religiosa ma, siccome desidera ardentemente seguire corsi regolari di studio, la vocazione se la fa venire, e sarà, difatti, per tutta la vita, un coerente frate domenicano.
Giovan Domenico Campanella rimane poco più di un mese a Napoli: ci tornerà sette anni dopo, nel 1589 e, nel frattempo, i suoi spostamenti sul territorio - dovuti al completamento della sua formazione giovanile - ci consentono [come è successo per Giordano Bruno] di disegnare una mappa dei luoghi frequentati da Campanella e anche l’osservazione dei luoghi [nel loro aspetto naturale e antropico, come nel caso di Stilo e di Stignano] è utile per promuovere l’investimento in intelligenza.
Nella primavera del 1582 il giovane Giovan Domenico Campanella viene accolto nell’Ordine domenicano ma il convento di San Domenico Maggiore a Napoli, dove si è formato Giordano Bruno, è superaffollato e, di conseguenza, viene inviato in quanto calabrese a compiere il noviziato nel convento di Placanica, una località in provincia di Reggio Calabria che confina col territorio di Stignano [quindi torna vicino a casa], e qui studia con grande impegno dimostrando di essere un ragazzo prodigio.
Placanica [anticamente Mocta Paganica] è un piccolo comune di 1170 abitanti circa nell’area metropolitana di Reggio Calabria situato su una collina in prossimità della costa del mar Jonio. Vanta un Castello medioevale costruito nel 1283, alcune Chiese [Santa Caterina, San Basilio Magno] degne di nota, e il Convento dei domenicani dove Campanella ha compiuto il noviziato è proprio situato nel centro storico.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida della Calabria e navigando in rete fate visita a Placanica e andate anche a visionare la caratteristica “Gola di Mazzuccari” scavata dal torrente Precariti…
A quindici anni Giovan Domenico Campanella pronuncia i voti nel convento di San Giorgio Morgeto prendendo il nome di Tommaso in onore di Tommaso d’Aquino.
Anche San Giorgio Morgeto [siamo all’interno della città metropolitana di Reggio Calabria e all’ingresso del Parco nazionale dell’Aspromonte] merita attenzione: è un comune di circa 3100 abitanti situato su una collina e il suo Castello del IX secolo, che si trova nel punto più alto del borgo, fornisce un vasto panorama sul mar Tirreno fino a capo Vaticano e alle isole Eolie. San Giorgio Morgeto è una località ricca di storia e il nome Morgeto deriva dal re Morgete, un personaggio dalle caratteristiche mitiche ricordato negli Scritti di Antioco di Siracusa [460 a.C. circa], di Tucidide [460-404 a.C. circa] e di Dionigi di Alicarnasso [60-7 a.C. circa]. Il Convento dei domenicani di San Giorgio Morgeto, dove ha preso i voti Campanella, è una costruzione di origine bizantina inserita nel centro storico. Uno dei tratti distintivi dell’antico e pittoresco borgo di San Giorgio Morgeto è la ristrettezza dei vicoli: c’è un vicoletto, che porta il nome di “il Passetto del Re”, che è largo solo 40 centimetri [per un breve tratto è formato da una minuscola scalinata] e ha il primato di essere uno dei vicoli più stretti del mondo e, secondo la leggenda, costituiva una via di fuga per il re Morgete che, in caso di pericolo, poteva allontanarsi dal Castello per far perdere le sue tracce nel labirinto dei vicoli del borgo. Secondo la tradizione, percorrere “il Passetto del Re” è di buon auspicio e in certi momenti dell’anno c’è molto affollamento.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida della Calabria e navigando in rete fate visita a San Giorgio Morgeto la cui biblioteca comunale è dedicata a Tommaso Campanella...
Dal 1585 al 1587 fra’ Tommaso Campanella, per compiere gli studi superiori, si trasferisce a Nicastro, una località che - insieme a Sambiase e a Sant’Eufemia Lamezia - costituisce il comune di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida della Calabria e navigando in rete fate una visita al territorio di Lamezia Terme che comprende l’ubertosa piana di Sant’Eufemia… A otto chilometri a ovest di Nicastro ci sono le Terme Caronte dove sgorga un’acqua termominerale sulfurea e alcalina usata da secoli per bagni, fanghi, inalazioni, nebulizzazioni, irrigazioni, tutte pratiche utili nelle malattie del ricambio, delle articolazioni, della pelle, ginecologiche e respiratorie...
Ma, almeno con il pensiero, possiamo portare la mente alle Terme...
A vent’anni fra’ Tommaso Campanella, per specializzarsi in Teologia, va a Cosenza dove uno dei suoi insegnanti gli fa conoscere i primi due Libri del De rerum natura iuxta propria principia [Della natura delle cose secondo i loro propri principi] di Bernardino Telesio, un’opera che abbiamo visionato prima della vacanza natalizia e che costituisce, come sappiamo, una delle pietre miliari sul cammino della scienza. La lettura di quest’opera cambia la vita a fra’ Tommaso perché il pensiero di Telesio modifica completamente la prospettiva con cui lui aveva finora guardato la Natura e i suoi fenomeni [Scrive Campanella: «Fra tutti mi piacque Telesio, libero filosofante, il quale cava le sue dottrine dalla natura delle cose e non da vani detti astratti»]. Fra’ Tommaso, dopo aver conosciuto l’opera di Bernardino Telesio, capisce che l’istruzione da lui ricevuta nella Scuola domenicana, sebbene sia ricca, non gli è sufficiente, non soddisfa più le sue esigenze in relazione alla via, alla nuova via [lastricata di moderni fermenti] che vuole intraprendere e, quindi, ricapitoliamo.
Nel monastero domenicano di Cosenza un suo insegnante di Teologia fa conoscere a fra’ Tommaso Campanella i primi due Libri del trattato De rerum natura iuxta propria principia [Della natura delle cose secondo i loro propri principi] di Bernardino Telesio [un’opera che abbiamo visionato prima della vacanza natalizia] e questa esperienza fa cambiare in lui la prospettiva con cui aveva finora osservato la Natura, i fenomeni della Natura e il modo in cui aveva affrontato lo studio. Scrive fra’ Tommaso più di quarant’anni dopo in un’opera intitolata Syntagma de libris propris (La disposizione dei miei Libri) del 1632: «La lettura del trattato De rerum natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio è stata per me una rivelazione e una liberazione insieme: ho scoperto che non esisteva soltanto la filosofia scolastica e l’insieme dei dogmi aristotelici ma che la Natura poteva essere osservata per quello che è [iuxta propria principia, secondo le proprie Leggi], e poteva e doveva essere indagata con i mezzi concreti posseduti dall’essere umano, con i sensi e con la ragione, prima osservando e poi ragionando, senza schemi precostituiti presentati e imposti alla stregua della verità». Con queste parole fra’ Tommaso ricorda quando, nell’ottobre del 1588, entusiasta per la scoperta fatta, avrebbe voluto abbracciare e ringraziare Bernardino Telesio che, da anni [come sappiamo], era tornato a vivere e a insegnare a Cosenza, ma, purtroppo, non aveva fatto in tempo perché - proprio nel momento in cui lui stava studiando la sua opera - il maestro moriva ottantenne, e il giovane fra’ Tommaso, il giorno del solenne funerale di Bernardino Telesio nel duomo di Cosenza, non aveva potuto fare altro che deporre sulla sua bara alcuni versi latini in cui esprimeva tutto il suo rincrescimento.
Fra’ Tommaso, dopo aver conosciuto l’opera di Bernardino Telesio, capisce che la pur buona istruzione da lui ricevuta nella Scuola domenicana non gli è sufficiente e allora comincia a frequentare i corsi di studio dell’Accademia telesiana [dove operano i discepoli di Telesio: Paolo Bombino, Sertorio Quattromani detto il Montano, Giulio Cavalcante e Giacomo Gaeta] e si specializza nel metodo naturalista. Comincia a riflettere alla luce di questo metodo e sempre nell’opera Syntagma de libris propris del 1632 scrive: «Divenni inquieto ed esaminai tutti i commentatori d’Aristotele, i greci, i latini e gli arabi e cominciai a capire che dei loro dogmi si poteva e si doveva dubitare, perché era necessario indagare se le cose ch’essi dicevano fossero davvero nella Natura, che io avevo imparato dal maestro Telesio essere il vero codice di Dio. E allora decisi di rileggere in chiave telesiana tutti i Libri di Platone, di Aristotele, di Plinio, di Galeno, degli Stoici e dei seguaci di Democrito». Naturalmente il comportamento considerato trasgressivo del ventenne fra’ Tommaso Campanella subisce la disapprovazione dai suoi superiori e per punizione viene trasferito nel convento di Altomonte.
Altomonte è un comune di circa 4500 abitanti in provincia di Cosenza [a sessanta chilometri a nord di Cosenza] presente nel catalogo del borghi più belli d’Italia. Ad Altomonte, attraverso vicoli tortuosi e scalinate, si arriva nella parte più alta del borgo dove c’è la chiesa di Santa Maria della Consolazione ultimata nel 1360, la quale, per le sue forme gotiche, è una delle più interessanti testimonianze del periodo angioino in Calabria, mentre una poderosa Torre ricorda il periodo normanno, e naturalmente c’è ancora il convento dei domenicani che ha ospitato il giovane e “inquieto” fra’ Tommaso Campanella.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con una guida della Calabria e navigando in rete andate a visitare Altomonte dove potete osservare le forme gotiche della chiesa di Santa Maria della Consolazione pensando che, così come sono, le ha viste anche fra’ Tommaso Campanella…
Ad Altomonte fra’ Tommaso Campanella non rimane certo inattivo. Un giorno riceve la visita di due suoi amici: Giovanni Francesco Branca, un medico di Castrovillari, e Rogliano da Rogiano, medico e filosofo. Costoro sono due intellettuali telesiani che hanno conosciuto fra’ Tommaso all’Accademia di Cosenza e che nutrono per lui una grande stima. Sono andati a trovarlo per mostrargli indignati il Libro dell’aristotelico Jacopo Antonio Marta da poco pubblicato a Napoli e intitolato In favore di Aristotele contro i principi di Bernardino Telesio. Fra’ Tommaso scalpita di fronte a questa iniziativa editoriale che getta discredito su Bernardino Telesio e intensifica il suo lavoro per replicare [e già stava scrivendo un’opera sul pensiero di Telesio].
Nell’agosto del 1589 fra’ Tommaso Campanella, nel convento di Altomonte, conclude la stesura della sua prima opera intitolata Philosophia sensibus demonstrata [Filosofia dimostrata in base ai sensi]. In questo trattato, suddiviso in otto parti che Campanella chiama “dispute”, fra’ Tommaso, seguendo l’insegnamento di Bernardino Telesio che invita i suoi discepoli a pensare con la propria testa, dopo aver criticato aspramente gli aristotelici [che ragionano, afferma Campanella, in termini astratti e oramai anacronistici], utilizza i concetti del naturalismo e i punti salienti del sistema telesiano per dare forma a un proprio pensiero sebbene sia animato da un proposito di carattere ideale [o ideologico]: vuole assumersi [gli viene anche richiesto] il ruolo di avvocato difensore di Bernardino Telesio per riabilitarlo di fronte all’autorità ecclesiastica, e anche se Telesio è già morto [quindi è impossibile poterlo portare in Tribunale] tuttavia la sua opera sta per essere messa all’Indice con il marchio dell’eresia, e fra’ Tommaso vuole interpretare il pensiero naturalistico di Telesio alla luce della Teologia per dimostrare che è un apparato ideologico conforme alla dottrina, più di quanto lo sia il pensiero aristotelico, e per dar prova che si tratta di un sistema concettuale compatibile con l’ortodossia.
Fra’ Tommaso interpreta in chiave teologica il pensiero di Telesio uniformandolo alla dottrina ma finisce lui stesso per essere accusato di deviazionismo e, a sua volta, condannato e punito, ma lui, come Giordano Bruno, è uno di quelli che non cede. Per perorare la giusta causa che si è impegnato a difendere, fra’ Tommaso inizia con il ribadire, in chiave teologica, la bontà del concetto fondamentale su cui si basa il sistema di Telesio: la Natura [afferma Telesio] si comporta in modo autonomo «iuxta propria principia»[mediante principi che le sono propri] e, secondo fra’ Tommaso, le Leggi della Natura possiedono e mantengono la loro autonomia [iuxta propria principia] perché funzionano in virtù dell’azione creatrice di Dio dal quale deriva l’ordine provvidenziale che governa l’Universo [il laico Telesio, pur dichiarandosi uomo di fede, aveva tenuto Dio fuori dal sistema, Campanella - ribadendo che Telesio proclama la presenza di Dio sul terreno della fede - rimette Dio in gioco anche per sottolineare la sua adesione alla tradizione intellettuale dei domenicani] e scrive fra’ Tommaso Campanella nel prologo di Philosophia sensibus demonstrata [Filosofia dimostrata in base ai sensi]: «Chi regola la Natura è quel glorioso Iddio, sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non reprimere le forze della Natura, nella quale tuttavia agisce con misura di modo che i fenomeni possano liberamente esprimersi secondo proprie leggi [iuxta propria principia, Dio ha dato il libero arbitrio anche alla Natura oltre che agli esseri umani], e in questo, aggiunge Campanella, ha creduto per tutta la sua vita il nostro maestro, il cosentino Bernardino Telesio». Dopo aver fatto questa premessa di carattere teologico fra’ Tommaso Campanella, in nome di una giusta causa, per la difesa dell’onore del maestro Bernardino Telesio, spiega i principi su cui si regge il sistema del naturalismo telesiano ma apporta una serie di modifiche che vanno a formare un quadro diverso e il pensiero di Tommaso Campanella acquista una propria identità autonoma.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per quale giusta causa vi state battendo?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Nello spiegare i principi su cui si regge il sistema del naturalismo telesiano, fra’ Tommaso Campanella critica in particolare il modo in cui Telesio ha affrontato il tema della conoscenza e, in proposito, apporta una serie di modifiche che vanno a formare un quadro diverso e nuovo e, di conseguenza, il pensiero di Tommaso Campanella acquista una propria identità autonoma.
Nel trattato Philosophia sensibus demonstrata [Filosofia dimostrata in base ai sensi] fra’ Tommaso Campanella ribadisce, secondo il pensiero di Telesio, che l’Universo è fatto tutto della stessa materia [e, quindi, non esiste la divisione aristotelica tra la Terra e il Cielo] e sottolinea che l’Universo è animato da un elemento determinante, il caldo [la forza che dilata la materia] e, a sua volta, il caldo è supportato da un secondo elemento di contrasto, il freddo [la forza che contrae e restringe la materia] per cui il rapporto dialettico e pratico tra il caldo [la tesi, il Sole] e il freddo [l’antitesi, la Terra] genera la vita e il moto; questa norma è anche la causa della sensibilità perché tutto [tutto ciò che è umano, animale, vegetale, minerale] è dotato di sensibilità e, di conseguenza, tutto è coscienza [è “panpsichismo” che significa “tutto ha un’anima sensitiva, in tutto c’è sensibilità”] e perciò in questo mondo materiale la conoscenza avviene attraverso “un puro sentire” [mediante le sensazioni date dai sensi] e l’intelletto è un organo che tiene in ordine questo meccanismo conoscitivo: «Ma senza le sensazioni la ragione è un senso imperfetto e l’intelletto è un senso illanguidito», scrive Campanella. Fino a questo punto il pensiero di Campanella va di pari passo con quello di Telesio ma l’accordo si arresta sul tema della conoscenza e sul concetto che Bernardino Telesio chiama del “patire”, un verbo che, come ricorderete, in latino significa “modificare” per cui ogni forma di conoscenza [afferma Telesio] è “un patire” [conoscere è patire, è subire una modificazione] perché “il soggetto [scrive Telesio con l’intenzione di mantenere tassativamente il suo sistema nell’ambito del naturalismo] sente [conosce] quando si trova modificato dall’oggetto sentito”. Fra’ Tommaso, sebbene pensi che le sensazioni producono delle modifiche [generano un patire], tuttavia, rileva una contraddizione e avverte la mancanza di un tassello fondamentale nel procedimento che conduce alla conoscenza perché Telesio - per non intaccare il suo impianto naturalista [materialista] - ha rimosso il concetto di coscienza [ma come si fa a conoscere senza essere coscienti di ciò che si sente? Per Telesio sono i sensi la coscienza stessa]. Fra’ Tommaso smentisce il fatto che il soggetto sente [conosce] in quanto è, senza il tramite dell’autocoscienza, direttamente modificato dall’oggetto sentito perché, se così fosse, scrive Campanella, il soggetto, senza coscienza conoscitiva, diventerebbe inevitabilmente l’oggetto del proprio sentire e, quindi, il soggetto sentirebbe se stesso e non l’oggetto da conoscere: di conseguenza, il concetto del “patire” non fa altro che creare un’identità tra il soggetto e l’oggetto, e come può il soggetto che patisce, scrive Campanella, essere contemporaneamente l’oggetto del proprio patimento? Se si ammette che il patire è prodotto dallo stesso soggetto che patisce viene a crearsi, scrive Campanella, uno stato di passività e “il sentire” non può essere soggetto alla passività perché “il sentire” deve risolversi in qualche cosa di attivo. Fra’ Tommaso ribadisce che alla base di ogni forma di conoscenza vi è l’autocoscienza cioè, scrive Campanella «la conoscenza innata che l’anima ha di se stessa »[e qui Campanella riprende un concetto della filosofia neoplatonica, e avvolge in un involucro neoplatonico il sistema telesiano]: quindi «il sentire, scrive Campanella, è, prima di tutto, coscienza di ciò che noi siamo» per cui «conoscere è essere »[cognoscere est esse], e questa forma di autocoscienza, scrive Campanella, è comune a tutti gli esseri [gli umani, gli animali, i vegetali, i minerali] e gli dà il nome di “sensus inditus” [senso che fa conoscere] in quanto tutto, secondo il sistema telesiano, è dotato di sensibilità.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale esperienza legata alla parola “sensibilità” vi ha coinvolte e coinvolti particolarmente?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Nella seconda parte del trattato Philosophia sensibus demonstrata [Filosofia dimostrata in base ai sensi] fra’ Tommaso riflette sul “sensus inditus”: indaga in quale maniera avviene la conoscenza delle cose, perché, scrive Campanella, non c’è un unico modo in cui si realizza la conoscenza. Per esempio, dice Campanella, una cosa è mettere in atto la conoscenza per tornare a casa [ne abbiamo ancora bisogno?] altra cosa è se dobbiamo recarci in un luogo dove non siamo mai state e stati prima e in questo caso bisogna attivare un reale procedimento di conoscenza. Questo significa, scrive Campanella, che il “sensus inditus” [il procedimento dell’autocoscienza] non ha sempre la stessa intensità perché quando la persona ha fatto conoscenza delle molte cose esterne che la circondano l’azione del “sensus inditus” non è strettamente necessaria, quindi, questo significa che il “sensus inditus” subisce un processo di offuscamento prodotto dalle conoscenze che noi abbiamo già acquisito e questo indica che l’autocoscienza è un fenomeno soggetto a trasformazioni: il “sensus inditus” [il senso che conosce] si manifesta anche in “sensus abditus” [in senso nascosto che non ha bisogno di emergere] ma, scrive Campanella, anche le cose che già conosciamo devono essere poste in essere [la strada per tornare a casa va comunque riconosciuta] e, quindi, deve esistere anche una forma di conoscenza “aggiunta e acquisita” che si affianca all’autocoscienza e che può, scrive Campanella, essere chiamata “scientia illata” [conoscenza riportata dentro, dal verbo latino “infero”] o anche “sensus additus” [senso aggiunto, già acquisito]; anche in questo caso “conoscere è essere” perché, conoscendo [e riconoscendo in continuazione] le cose esterne, conosciamo anche ciò che noi stessi siamo diventati attraverso la sensazione [l’esperienza sensibile ci modifica e fa modificare i nostri comportamenti].
Quindi, fra’ Tommaso - dopo aver descritto il fenomeno dell’autocoscienza [il tassello mancante nel sistema gnoseologico telesiano] - vuole fornire una giustificazione [come avvocato difensore] al fatto che Telesio abbia rimosso il concetto di autocoscienza per coerenza con il suo sistema naturalista [Telesio non crede che si conosca attraverso l’anima ma facendo esperienze sensibili nella Natura]: a questo proposito, fra’ Tommaso afferma che le cose esterne possono essere conosciute solo indirettamente, nel momento in cui la persona prende coscienza delle modificazioni che i sensi producono su di lei, quindi, Telesio non ha propriamente sbagliato, afferma Campanella, ma ha volutamente, per coerenza saltato alcuni passaggi fondamentali.
Il fatto che non si possano conoscere le cose nella loro essenza reale si manifesta, scrive Campanella, perché il “sensus inditus” [il senso che conosce] non viene adeguatamente coltivato [sono poche le persone che si lasciano attrarre dalla conoscenza] e, quindi, per pigrizia personale ma soprattutto per cause indotte [dai sistemi che sostengono la persistenza dell’ignoranza come strumento di dominio] il “sensus inditus” [il senso che conosce] si è ridotto nella persona a essere un “sensus abditus” [un senso aggiunto, già acquisito e assoggettato a forme di mero addestramento: «Se sai zappare che bisogno hai di imparare a leggere e a scrivere e a far di conto?»] e questa condizione porta la persona a dubitare dell’esistenza delle cose [a vivere nell’insicurezza e sotto protezione] e a dubitare perfino di se stessa [accettando lo stato di sudditanza, l’obbligo della sottomissione]. E pensare, scrive Campanella, che “il dubbio” è un requisito di grande utilità sul piano della conoscenza, e su questo tema ci ha già riflettuto Agostino [e poi ci rifletterà Cartesio che incontreremo strada facendo a suo tempo]. Per quanto possa sembrare strano, scrive Campanella, il dubbio conduce alla certezza perché se dubito esisto altrimenti non potrei dubitare, e se esisto vuol dire che posso esistere [posse], che so di esistere [nosse] e che voglio conservare questa mia esistenza [velle] ma, a questo punto, afferma Campanella, siamo entrati inevitabilmente sul terreno della metafisica e di qui inizia un itinerario di altro tipo, di che tipo?
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Tra i tanti dubbi che avete, quale vi fa maggiormente riflettere?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Il signor Alfredo Traps, per ora, non ha dubbi, ed è anche refrattario a seguire i consigli del suo virtuale avvocato difensore che gli ha consigliato la prudenza.
Sapete che stiamo leggendo il testo del romanzo intitolato La panne, scritto nel 1954 da Friedrich Dürrenmatt, e stiamo assistendo a un processo virtuale inscenato per gioco, con il suo consenso, al signor Traps. Lo scrittore narra che quattro pensionati [un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia] occupano il loro tempo [avendo lavorato nel campo della giustizia] mettendo in scena i grandi processi della Storia: di Socrate, di Gesù, di Giovanna d’Arco, di Dreyfus [probabilmente anche di Giordano Bruno e di Tommaso Campanella assolvendoli]. Ma quando capita loro di processare una persona in carne ed ossa [per puro divertimento, tanto per passare una serata di carattere conviviale] tutto diventa più divertente, e questa persona [il quinto protagonista del romanzo] è il rappresentante di commercio Alfredo Traps, che, come già ben sappiamo, un giorno il fato ha condotto alla villetta dove si riuniscono i quattro ex uomini di Legge perché la sua automobile è rimasta in panne lì vicino, e il padrone di casa [il giudice] gli offre gratuitamente ospitalità [come fa regolarmente con chi capita]. Traps, come imputato, accetta, compiaciuto, di partecipare al gioco rammaricandosi però [divertito e senza ombra di dubbio] di non aver commesso alcun reato, ma i quattro lo rassicurano dicendogli che “un crimine si finisce sempre per trovarlo e che c’è sempre qualcosa da confessare” e, difatti, durante la cena - una cena da favola, così la definisce Traps - viene invitato dal giudice istruttore a raccontare la sua storia e, senza che lui se ne renda conto [sedotto dalle abbondanti e gustose vivande, portate in tavola dalla governante Simonetta, e ammaliato dal buon vino], subisce un vero e proprio interrogatorio durante il quale - nonostante il suo avvocato difensore lo inviti a moderarsi - fa tutta una serie di ammissioni sul modo, non proprio corretto, con cui ha fatto carriera, in un contesto in cui emerge anche la morte del suo ex principale, il signor Gygax, al quale Traps dichiara, senza ritegno, di aver soffiato il posto poco prima che lui morisse d’infarto. Traps afferma anche di aver saputo dalla moglie di Gygax - con la quale ha avuto una relazione - che non era il primo infarto che Gygax subiva e che teneva nascoste le sue condizioni di salute perché la notizia non avesse ripercussioni sulla sua posizione di prestigio. Le parole di Traps suscitano l’ilarità dei quattro vecchi e il giudice istruttore pronuncia la parola dolus e plaude alla confessione, ma Traps non si raccapezza, invoca le prove, e il giudice accusatore dichiara con gioiosa enfasi che si tratta di un delitto perfetto, di uno splendido omicidio del quale dice: «Va definito in tutta la sua bellezza sia sul piano filosofico che su quello tecnico!»: che cosa significa? Proseguiamo nella lettura.
LEGERE MULTUM….
Friedrich Dürrenmatt, La panne
Il nostro amabile imputato potrebbe cogliere nelle mie parole uno sventato cinismo, che è ben lungi dalle mie intenzioni. “Bello” può essere definito il suo reato in un duplice senso: in senso filosofico e nel senso di un virtuosismo tecnico. Noi quattro, egregio Alfredo, abbiamo abbandonato il preconcetto secondo cui nel delitto vi sarebbe solo qualcosa di orribile e spaventoso a vedersi, e nella giustizia, invece, qualcosa di bello. No, anche nel delitto, noi riconosciamo la bellezza quale premessa indispensabile che, sola, rende possibile la giustizia. Fin qui l’aspetto filosofico. Consideriamo ora, con apprezzamento, la bellezza tecnica del reato. Apprezzamento ho detto e credo di aver adoperato la parola esatta perché la mia requisitoria vuol essere non un discorso intimidatorio. …
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Tra quindici giorni vedremo come fu possibile a Traps allacciare una relazione con la signora Gygax.
La celebrazione della Pasqua quest’anno assume per noi un carattere particolare perché dobbiamo rispettare la volontà di Giordano Bruno [nostro compagno di strada in questi mesi] il quale ha virtualmente chiesto di potersi accomiatare nel corso della settimana santa. Giordano Bruno durante il processo durato sette anni non solo non rinnega i fondamenti [che noi abbiamo studiato in queste settimane] della sua filosofia ma spiega puntigliosamente le ragioni su cui si basa il suo pensiero.
Il 12 gennaio 1599 Giordano Bruno, dopo sette anni di processo, viene invitato ad abiurare su otto proposizioni che il tribunale considera eretiche. A Giordano Bruno vengono contestati questi reati: la negazione della creazione divina, la negazione dell’immortalità dell’anima e la negazione che l’anima abbia la stessa forma del corpo, la concezione dell’infinità dell’Universo, dell’esistenza di una molteplicità di mondi e del movimento della Terra dotata anche di anima e la concezione degli astri mossi da forze angeliche. Giordano Bruno è disposto a firmare il documento di abiura a condizione che le proposizioni siano riconosciute eretiche non da sempre e per sempre ma “da ora e per ora [ex nunc]”. I cardinali inquisitori respingono la proposta, e il più accanito a opporsi è il cardinale Roberto Bellarmino. Il 9 settembre 1599 i consultori della Congregazione propongono di sottoporre Giordano Bruno alla tortura per indurlo ad abiurare ma la proposta viene respinta direttamente dal papa Clemente VIII [Ippolito Aldobrandini]. Nell’interrogatorio del 10 settembre Bruno, dopo una denuncia anonima ricevuta dal Tribunale, viene accusato “di aver avuto fama di ateo in Inghilterra”, e nell’interrogatorio del 16 settembre, dopo un’altra denuncia anonima - viene accusato “di aver scritto lo Spaccio de la bestia trionfante direttamente contro il papa”. Bruno, di fronte a queste accuse, tace, e il Tribunale rimanda l’udienza al 21 dicembre 1599 durante la quale Bruno rifiuta recisamente ogni abiura e dichiara di non avere nulla di cui doversi pentire. L’8 febbraio 1600, al cospetto dei cardinali inquisitori e dei consultori [Benedetto Mandina, Francesco Pietrasanta e Pietro Millini], è costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza che lo condanna al rogo in quanto “irriducibile eretico frate domenicano”. Terminata la lettura della sentenza Giordano Bruno si alza e indirizza ai giudici, con voce ferma e parlando lentamente, la frase che verbalizzata da quattro segretari è entrata nella storia: «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam »[Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla].
La mattina del 17 febbraio 1600 - dopo aver rifiutato i conforti religiosi affermando che, in quanto frate domenicano [come ha dichiarato la sentenza], i conforti religiosi se li dava da sé e dopo aver rifiutato un crocifisso affermando che in quel momento era lui medesimo Gesù crocifisso, con “la lingua in giova” [la lingua chiusa in una morsa perché non potesse parlare, comunemente detta “la mordacchia”] - viene condotto in piazza Campo de’ Fiori, denudato, legato a un palo e arso. Era quasi mezzogiorno quando i resti del rogo ormai spento - contenenti le ceneri di Giordano Bruno [l’irriducibile eretico frate domenicano] - vengono caricati dagli operai della municipalità romana su un carretto trainato da un asino e scaricati nel Tevere.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Potete prendere visione del film di Giuliano Montaldo del 1973 intitolato Giordano Bruno magistralmente interpretato da Gian Maria Volonté...
Anche con la mordacchia che gli tagliava la lingua, Giordano Bruno ha continuato finché ha avuto fiato a lanciare il suo monito a tutte e a tutti noi che amiamo lo studio: la stessa esortazione scritta da papa Gregorio Magno quando, nell’anno 590, ha redatto - nel secondo Libro dei suoi Dialoghi - la Regola di San Benedetto. Scrive papa Gregorio:
LEGERE MULTUM….
Gregorio Magno, Dialoghi
La luce che risplende nelle tenebre dell’ignoranza è lo studio [è data dallo studio], e chi studia comincia a risorgere. …
In armonia con questa voce autorevole la Scuola deve ribadire che “studiare” [cioè prendersi cura della propria anima, del proprio intelletto e, di conseguenza, del proprio corpo] è un gesto pasquale per eccellenza, così come è un richiamo pasquale l’invito che Giordano Bruno continua a rivolgere a tutte e a tutti noi perché c’impegniamo a coltivare “l’eroico furore per la conoscenza” affinché il nostro Intelletto mantenga le sue facoltà in modo da non perdere mai la volontà di imparare.
Il viaggio, che è ancora lungo, continua tra quindici giorni e la Scuola sarà qui, ed è qui questa sera per augurare a tutte e a tutti voi - che vi state accingendo a far ruzzolare l’uovo - una buona Pasqua di studio [studium et cura, nunc et semper]…