ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza 4-5-6 aprile 2018
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA
EMERGE L’IDEA CHE OGNI ENTE PUÒ, SENTE E AMA ESSERE ...
Ben tornate e ben tornati a Scuola. Inizia, con il ventesimo itinerario, la terza e ultima parte di questo Percorso che si svolge sul territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età moderna agli esordi della scienza: inizia il conto alla rovescia in relazione alla durata di questo viaggio ma il cammino da fare è ancora lungo.
Abbiamo celebrato la Pasqua insieme a Giordano Bruno e a Tommaso Campanella. Con fra’ Tommaso Campanella dobbiamo ancora fare un po’ di strada insieme mentre ci siamo accomiatate e accomiatati da Giordano Bruno anche se non mancherà certo l’occasione in futuro di rincontrare questo personaggio perché sono numerose le personalità che, nell’ambito della Storia del Pensiero Umano, si rifanno alle idee contenute nelle Opere di Giordano Bruno. Questa sera, intanto, dobbiamo ancora dire due cose che riguardano Giordano Bruno, e lo faremo alla fine.
E ora riprendiamo il nostro cammino in compagnia di fra’ Tommaso Campanella, un cammino arduo da affrontare perché fra’ Tommaso vuole tenere insieme la metafisica neoplatonica, il naturalismo telesiano e l’aristotelismo dottrinale di Tommaso d’Aquino. Prima della vacanza pasquale abbiamo seguito fra’ Tommaso ad Altomonte, il paese in provincia di Cosenza [a sessanta chilometri a nord di Cosenza, siete andate e andati a visitarlo? Siete sempre in tempo] dove per punizione viene trasferito dai suoi superiori perché aveva cominciato a frequentare i corsi di studio dell’Accademia telesiana.
Nell’agosto del 1589 fra’ Tommaso Campanella, nel convento di Altomonte, conclude la stesura della sua prima opera intitolata Philosophia sensibus demonstrata [Filosofia dimostrata in base ai sensi]. In questo trattato, suddiviso in otto parti che Campanella chiama “dispute”, fra’ Tommaso, come abbiamo studiato quindici giorni fa, utilizza i concetti del naturalismo e i punti salienti del sistema di Bernardino Telesio per dare forma a un proprio pensiero incentrato, in particolare, sul tema della conoscenza. E, a questo punto [dopo la composizione di quest’opera scritta anche, come sappiamo, in difesa del sistema telesiano e a completamento di questo sistema], fra’ Tommaso non vuole più rimanere ad Altomonte [in periferia] perché lui intende partecipare al dibattito culturale in corso nei centri a più alta densità intellettuale e, alla fine del 1589, abbandona il convento calabrese e va a Napoli, una delle capitali culturali del sud d’Europa, perché sa di poter essere ospitato nel palazzo dei marchesi Del Tufo [i retroscena della relazione tra Campanella e i Del Tufo non li conosciamo con precisione]. Il gentiluomo Mario Del Tufo, barone di Orta e di Matino, che però preferisce vivere a Napoli da marchese, accoglie volentieri fra’ Tommaso perché è interessato a entrare in relazione intellettuale con un giovane intelligente e telesiano.
A Napoli fra’ Tommaso, senza togliersi l’abito domenicano, tiene comunque le distanze dal grande convento di San Domenico Maggiore e dialoga e polemizza con gli intellettuali laici della città che lo invitano nei loro palazzi come per esempio il filosofo, alchimista, commediografo e scienziato [si occupa di ottica, di astronomia, di agricoltura, di botanica, di idraulica, di matematica] Giovanni Battista Della Porta, accademico dei Lincei dal 1610, dalla fondazione da parte di Federico Cesi di questa importante istituzione. Una delle opere di cui Della Porta è autore s’intitola Fisiognomica nella quale sostiene anche che “la simpatia e l’antipatia non sono controllabili con la ragione”. Fra’ Tommaso Campanella non condivide questa posizione e, in proposito, scrive due brevi trattati intitolati De sensu rerum [il senso delle cose] e De investigatione rerum [La ricerca del senso delle cose]: due Libri che sono andati perduti, mentre non è andato perduto il testo di un’opera intitolata De sensu rerum et magia [Il senso delle cose e la magia], un trattato che fra’ Tommaso compone, in latino, tra il 1590 e il 1592, dedicandolo al granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, sperando che la dedica potesse giovare. Anche quest’opera, come molte altre sue opere, è stata sottoposta a molti rimaneggiamenti da parte dell’autore: fra’ Tommaso la riscrive in italiano nel 1604, poi la ritraduce in latino nel 1609 e la fa pubblicare, in versione definitiva, nel 1620 a Francoforte, e l’azione del “rimaneggiare” si concilia con l’esercizio dell’investire in intelligenza.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di questi verbi - ricomporre, riordinare, ritoccare, ristrutturare, rinnovare o quale altro - mettereste per primo accanto al termine “rimaneggiare”?...
Scrivetelo...
A che tipo di “rimaneggiamenti” vi siete dedicate e dedicati ultimamente?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Nell’opera intitolata De sensu rerum et magia [Il senso delle cose e la magia] fra’ Tommaso, dopo aver nuovamente esposto i principi del naturalismo, fornisce, perfezionandola sempre meglio, una sua versione del sistema di Telesio nella quale esalta l’autonomia delle forze che agiscono nella Natura [che si comportano secondo iuxta propria principia, secondo leggi proprie], ribadendo però che “la spiegazione ultima delle cose va ricercata nella primitiva azione divina” e, quindi, fra’ Tommaso colloca, in modo sempre più evidente, il naturalismo nell’ambito della metafisica e della dottrina cristiana nel rispetto dell’ortodossia: l’operazione è piuttosto complessa da condurre.
Fra’ Tommaso Campanella nel testo dell’opera intitolata De sensu rerum et magia [Il senso delle cose e la magia] afferma che i tre principi cardine del sistema telesiano - la materia, il caldo e il freddo - di cui è composta la Natura, sono frutto della creazione divina, e scrive Campanella, con uno stile ricco di accenti mitici: «Dio prima fece lo spazio, composto, secondo la sua essenza [di Padre, Figlio e Spirito Santo], di Potenza, Sapienza e Amore, e dentro a questo spazio pose la materia, che è la mole corporea. Nella materia Dio seminò due principi attivi, il caldo e il freddo, in modo da animare i due principi passivi, la materia e lo spazio. Con il processo di animazione, combattendo, si sono formati due elementi, il Cielo e la Terra [e nella prosa di Campanella traspare il mito della creazione secondo il poema epico assiro-babilonese intitolato Enuma Elish (Lassù nell’alto dei Cieli) che descrive la nascita del Cielo e della Terra come conseguenza della lotta tra il dio Marduk e la dea Tiamat, un mito del quale il testo del Libro della Genesi riporta l’eco], che combinandosi insieme [il Cielo e la Terra], dalla loro virtù fatta languida [sensibile] nascono gli enti [le cose]. Il Cielo e la Terra nel generare gli enti [le cose] hanno per guida le tre influenze fondamentali [i tre principi da cui dipende l’esistenza del Kosmos], la Necessità, il Fato e l’Armonia, e ogni ente [ogni cosa] contiene l’Idea di sé». Il Mondo creato, scrive Campanella, esiste e dipende da quelle che lui chiama le tre “primalità” [primalitates], la Potenza [la primalità del Padre], la Sapienza [la primalità del Figlio] e l’Amore [la primalità dello Spirito Santo]. Le primalità corrispondono, scrive Campanella, alla natura divina [alle tre persone della Santissima Trinità, alla forma di Dio, Una e Trina] e contribuiscono a dare ad ogni essere un triplice carattere, e scrive Campanella: «Dio ha dato a tutti gli enti [a tutte le cose e a tutti gli esseri] la Potenza di vivere, la Sapienza e l’Amore quanto basti alla loro conservazione. Dunque il calore [il principio fondamentale del naturalismo] può essere, sente di essere e ama essere e, di conseguenza, così ogni ente [ogni cosa] può, sente e ama essere, e desidera eternarsi come Dio, e attraverso Dio nessuna cosa muore ma si muta soltanto, anche se ogni cosa pare morta all’altra e in verità è morta, così come il fuoco pare cattivo al freddo ed è veramente cattivo per lui, ma per Dio e in Dio ogni cosa è viva e buona».
Fra’ Tommaso sostiene che se si considera ogni cosa nel Tutto ci si rende conto che nulla muore veramente, e scrive Campanella: «Muore il pane e si fa chilo, muore il chilo e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme, e patisce varie morti e vite, dolori e piaceri». Per continuare la riflessione che stiamo facendo, a questo punto dobbiamo sottolineare il fatto che le parole-chiave e le idee-cardine che fra’ Tommaso utilizza per tessere il suo sistema [piuttosto complesso perché vuole dare un fondamento metafisico al naturalismo] provengono - oltre che dall’opera di Bernardino Telesio - dalla tradizione della Scolastica che è l’argomento predominante dei suoi studi giovanili, derivano dal modo in cui la Scolastica nel corso dell’autunno del Medioevo [un territorio su cui abbiamo viaggiato qualche anno fa] ha interpretato il concetto di Trinità: i trattati, scritti in età medioevale, sul tema della Trinità sono innumerevoli perché ogni magister [ogni Scuola] vuole dare un’impronta il più possibile cristiana a un concetto [la triade Uno, Intelletto e Anima] concepito in termini laici dalla Filosofia neoplatonica di Ammonio e di Plotino.
Fra’ Tommaso ragiona in questi termini e scrive: «Le cose sono quello che possono essere e hanno una determinata natura in virtù della Potenza [La Potenza del Padre], e Dio [Dio Padre] attraverso la sua Potenza dona la Necessità alle cose [l’Universo esiste per Necessità], mentre la Sapienza [la Sapienza del Dio Figlio] permette agli esseri di conoscere il Fato [il Destino delle cose] cioè di saper vedere la successione di causa-effetto che si manifesta nei processi naturali [da cui scaturiscono i fenomeni] e, infine, l’Amore [la manifestazione del Dio Spirito Santo] permette l’Armonia fra gli esseri, perché gli esseri amano essere così come sono e non diversamente da ciò che sono».
E poi fra’ Tommaso scrive: «Tutti gli enti [le cose, gli esseri] si compongono di Potenza [in virtù del Padre], di Sapienza [in virtù del Figlio] e di Amore [in virtù dello Spirito Santo] e ognuno è [esiste] perché può essere, perché sa di essere e perché ama essere, e combatte contro il non-essere e, quando gli manca il potere dell’essere o il sapere dell’essere o l’amore dell’essere, ciascuno, per non morire, cerca di attingere la maggior sensibilità possibile dagli enti [dalle cose] che lo circondano».
Tutte le cose [ribadisce Campanella, fedele alla lezione di Telesio] hanno sensibilità e trasmettono sensibilità, e scrive: «Tanta sciocchezza è negare il senso alle cose perché non hanno occhi, né bocca, né orecchie, quanto è negare il moto al vento perché non ha gambe, e il mangiare al fuoco perché non ha denti, e il vedere a chi sta in campagna perché non ha finestre da cui affacciarsi e all’aquila perché non ha gli occhiali. La medesima sciocchezza indusse altri a credere che Dio abbia un certo corpo e gli occhi e le mani mentre Dio è Potenza, Sapienza e Amore». Chi non prende in considerazione questo fatto, scrive Campanella nell’opera intitolata De sensu rerum et magia [Il senso delle cose e la magia] offre spazio al non-essere [in cui si configura l’Antagonista di Dio, le Tenebre, Satana] che impone le sue nefaste primalità, e le primalità del non-essere, scrive Campanella, presenti inevitabilmente nel mondo finito, sono l’Impotenza, l’Insipienza e l’Odio, e solo in Dio, che è infinito, le primalità dell’essere non sono contrastate dalle primalità del non-essere.
Le primalità del non-essere sono potenze negative che possono essere contrastate con la disciplina magica [con la magia, e anche Campanella è mago] che, come abbiamo studiato a suo tempo all’inizio di questo viaggio, opera per scoprire le regole che fanno funzionare i fenomeni della Natura. Fra’ Tommaso afferma che il mago è il sapiente che studia per scoprire le relazioni esistenti tra le cose, e scrive: «Beato chi legge nel Libro della Natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non dal proprio capriccio, e impara così l’arte e il governo divino, facendosi di conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio che è Potenza, Sapienza ». La magia, scrive Campanella, si manifesta attraverso le sensazioni che possono essere negative o positive e la persona deve imparare a coglierle nel modo più lucido possibile perché è attraverso i sensi che la persona capisce di essere parte integrante di un ordine universale e, quindi, la magia, che contiene le regole per osservare, attraverso i sensi, i fenomeni della Natura, è la disciplina che permette alla persona di armonizzarsi con l’ordine dell’Universo nella consapevolezza che quest’ordine [il Kosmos] è il frutto della Potenza, della Sapienza e dell’Amore di Dio.
A volte diciamo: «Ho avuto una buona sensazione», ebbene, questa è un’affermazione che descrive uno stato “magico”, “artistico”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Che cosa dà una buona sensazione al vostro gusto, al vostro udito, al vostro olfatto, al vostro tatto e alla vostra vista?... Bastano cinque brevi enunciati per entrare in armonia [come scrive fra’ Tommaso Campanella in De sensu rerum et magia (Il senso delle cose e la magia)”] con l’ordine dell’Universo, scriveteli: date un senso ai sensi...
Scrivere è un esercizio che arricchisce la persona in potenza, in sapienza e amore, e quando si scrive [ribadisce Campanella] si può essere, si sa di essere e si vuole essere…
Fra’ Tommaso è fuggito a Napoli dal convento calabrese di Altomonte anche per far pubblicare la sua prima opera intitolata Philosophia sensibus demonstrata [Filosofia dimostrata in base ai sensi], della quale conosciamo il contenuto. La pubblicazione di quest’opera, avvenuta nel 1591 [opera che Campanella dedica a Mario Del Tufo e che divulga ancor più di quella di Telesio i principi del naturalismo], non passa inosservata e questo avvenimento provoca scandalo soprattutto nel convento di San Domenico Maggiore per il fatto che un domenicano - il quale per giunta vive fuori dall’istituzione senza il consenso dei suoi superiori [ospite del marchese Mario Del Tufo notoriamente laico e, sebbene non dichiaratamente, anticlericale] - scriva un trattato per esaltare il sistema materialistico di Bernardino Telesio utilizzando in modo irriverente [dice l’accusa] il pensiero fisico di Aristotele e, peggio ancora, in modo blasfemo quello metafisico di Tommaso d’Aquino con lo scopo di giustificare e divulgare le teorie del naturalismo considerate eretiche dal Sant’Uffizio.
Il fatto è che, però, risulta difficile trovare nell’opera di fra’ Tommaso anche una sola affermazione eretica [perché, come abbiamo studiato, fra’ Tommaso avvolge il sistema telesiano - per cui la Natura funziona “iuxta propria principia” (secondo Leggi proprie) - in una cornice metafisica coerente con i principi della dottrina], tuttavia, un giorno della prima settimana d’agosto del 1591 fra’ Tommaso Campanella viene arrestato dalle guardie del nunzio apostolico con l’accusa di “pratiche demoniache”.
A causa della pubblicazione della sua prima opera intitolata Philosophia sensibus demonstrata [Filosofia dimostrata in base ai sensi] fra’ Tommaso Campanella viene arrestato nell’agosto del 1591 e processato [è il suo primo processo] nel convento di San Domenico Maggiore: il presidente del collegio giudicante è il padre provinciale dell’ordine domenicano di Napoli, fra’ Erasmo Tizzano, e la sentenza viene emessa un anno dopo, il 28 agosto 1592. Fra’ Tommaso Campanella viene assolto dall’accusa di “praticare con il demonio” ma viene condannato per “aver aderito al sistema naturalistico telesiano”, considerato eretico, e “per aver travisato l’ortodossia filosofica di Tommaso d’Aquino” e, inoltre, per aver frequentato per mesi senza il permesso dei superiori le case di “individui estranei e avversi alla religione”; perciò, viene condannato a un anno di carcere che, però, ha già scontato [perché è passato un anno da quando era stato arrestato] e, quindi, viene scarcerato e gli viene ordinato di rientrare, entro otto giorni [dopo aver letto per penitenza il Libro dei Salmi], nel suo convento calabrese di Altomonte. Ma fra Tommaso, che ha 24 anni, non intende ubbidire all’ordine del tribunale perché non vuole rinunciare a frequentare il mondo della cultura al quale è convinto di poter offrire un contributo fondamentale, e per realizzare questo suo progetto [piuttosto pericoloso] può contare sul fatto che, come ben sappiamo, all’interno dell’ordine domenicano, così come negli altri ordini religiosi, ci sono varie correnti e c’è anche una corrente telesiana i cui membri, sotto traccia, agiscono per quanto è possibile per proteggersi reciprocamente: tra questi c’è anche chi riesce a ricoprire posti di potere come il padre provinciale di Calabria fra’ Giovanni Battista da Polistena [un cripto-telesiano], grande estimatore dell’opera di fra’ Tommaso, il quale lo munisce di una bella Lettera di presentazione al granduca di Toscana Ferdinando I.
E così, il 2 ottobre 1592, dopo aver eluso la sorveglianza, fra’ Tommaso Campanella fugge alla volta di Firenze portando con sé i suoi Libri e i suoi manoscritti sperando di poter ottenere - su raccomandazione di Ferdinando I - una cattedra da insegnante a Pisa o a Siena. Ma il granduca diffida e chiede informazioni sul conto di fra’ Tommaso al cardinale Del Monte il quale, a sua volta, si rivolge all’inquisitore fra’ Vincenzo da Montesanto che trasmette al cardinale un’informativa con un giudizio molto negativo su fra’ Tommaso Campanella [considerato soggetto pericoloso] e, quindi, il granduca, su consiglio del cardinale, non lo riceve più. Il 16 ottobre 1592 fra’ Tommaso, molto deluso, lascia Firenze e si trasferisce a Bologna dove, appena arrivato, subisce un’aggressione intimidatoria da parte di due falsi frati che sono due agenti dell’Inquisizione i quali, dopo averlo immobilizzato, gli sequestrano tutti gli scritti che in una gerla sta portando con sé in modo che il tribunale li possa esaminare per poter trovare prove a suo danno.
Da Bologna nel gennaio del 1593 fra’ Tommaso si sposta a Padova, ospite del convento di Sant’Agostino, e, con l’identità di uno studente spagnolo, s’iscrive all’Università dove incontra e intesse una costruttiva relazione intellettuale con Galileo Galilei. Ma il Sant’Uffizio lo tiene sotto osservazione [i giudici, che hanno in mano le sue opere e i suoi appunti, individuano dei capi d’accusa] e, nel dicembre del 1593, fra’ Tommaso viene nuovamente arrestato e accusato di una serie di reati [e l’elenco di questi “presunti reati” dimostra come sia diventato normale, con la Controriforma, violare il diritto d’opinione]: un primo reato attribuito a fra’ Tommaso Campanella è quello di aver scritto un opuscolo intitolato De tribus impostoribus [I tre impostori (Mosè, Gesù e Maometto)] indirizzato contro le tre religioni monoteiste ma questa si dimostra un’accusa infondata perché questo Libretto, di cui si favoleggiava, non è mai stato scritto [era uno dei tanti espedienti da interrogatorio]. Un secondo reato, attribuito a fra’ Tommaso Campanella, è quello di sostenere le opinioni atee di Democrito, che fra’ Tommaso ha spesso citato senza però condividere il suo ateismo, ed è un’accusa tratta dall’esame della sua opera De sensu rerum et magia [“Il senso delle cose e la magia”, che abbiamo già esaminato]. Un terzo reato, attribuito a fra’ Tommaso Campanella, è quello di essere un oppositore della dottrina e dell’istituzione della Chiesa avendo dialogato invece di denunciarli con “due giudei” [due giudeizzanti] condividendo anche alcune loro tesi considerate eretiche, e “i due giudeizzanti”, con i quali fra’ Tommaso ha dialogato, vengono arrestati subito dopo di lui - sono Ottavio Longo originario di Barletta e Giovanni Battista Clario di Udine, medico dell’arciduca Carlo d’Asburgo - e tutti e tre, reclusi nel carcere dell’Inquisizione di Padova, vengono sottoposti più volte alla tortura perché confessino il loro reato ma non hanno alcun reato da confessare [come può essere considerato un reato il dialogo interconfessionale? Ribatte fra’ Tommaso].
Un quarto reato, attribuito a fra’ Tommaso Campanella, è quello di aver approvato un sonetto satirico “in burla di Cristo” scritto da Pietro Aretino [fra’ Tommaso ribadisce e spiega che l’Aretino vuole colpire con i suoi sonetti satirici gli ecclesiastici corrotti che, in realtà, sono loro a mettere Cristo in burla]. Un quinto reato, attribuito a fra’ Tommaso Campanella, è quello di “possedere un Libro di geomanzia” che gli è stato sequestrato al momento dell’arresto: “la geomanzia” [dal greco “gea, terra” e “mantéia, indovinare”] è un antico sistema divinatorio nato in Persia, diffuso in Oriente e portato in Europa dagli Arabi, per cui si prende una manciata di terriccio, la si getta al suolo con garbo e [se si è indovine e indovini] s’interpretano le forme che vengono a crearsi, e le figure possibili da interpretare sono sedici, alcune benefiche e altre di auspicio meno lieto [il popolo, la via, la testa del drago, la fanciulla, il bambino, la coda del drago, la massima fortuna, il carcere, la minima fortuna, l’incontro, la tristezza, la gioia, il bianco, il rosso, l’acquisizione, l’ammissione], e la geomanzia veniva tradizionalmente usata, soprattutto, in funzione urbanistica e architettonica per trovare la migliore localizzazione per edificare gli edifici e l’arredamento degli interni.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per sistemare l’arredamento all’interno della vostra casa di quali fattori - in accordo con le leggi della natura o con la tradizione - avete tenuto conto?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Nel frattempo a Roma, dall’esame che viene condotto dai periti del Sant’Uffizio sui testi delle due opere di fra’ Tommaso Campanella intitolate Philosophia sensibus demonstrata [Filosofia dimostrata in base ai sensi] e De sensu rerum et magia [Il senso delle cose e la magia] - due opere che stanno riscuotendo molto successo in tutti gli ambienti culturali europei [perché il naturalismo sta prendendo campo] - emergono nuove imputazioni. L’imputazione più grave è che il Dio Trinitario di Campanella risulta, al giudizio degli inquisitori, troppo immanente perché se ogni essere, come scrive Campanella, è profuso dalle stesse caratteristiche [le tre primalità] di Dio - Potenza, Sapienza e Amore - ciò significa che la Santissima Trinità non è solo “super omnia” [al di sopra di tutto], ma anche “insita omnibus” [inserita in tutte le cose].
Il Sant’Uffizio, di conseguenza di fronte a questo grave reato, chiede lo spostamento del processo da Padova a Roma e, difatti, l’11 ottobre 1594 fra’ Tommaso Campanella, come sappiamo, viene tradotto nel carcere dell’Inquisizione romana a Tor di Nona, dove, come abbiamo gia ricordato, è rinchiuso, in stretto isolamento [ma fra’ Tommaso non lo sa] Giordano Bruno.
Fra’ Tommaso Campanella, per difendersi soprattutto dalle accuse di essere un oppositore della Chiesa, scrive una serie di opere tra cui De monarchia Christianorum [La monarchia dei Cristiani] un testo che è andato perduto ma del quale si conosce il contenuto, e De regimine ecclesiae [Il governo della Chiesa]: in questi due trattati fra’ Tommaso mette in evidenza che è Gesù Cristo, mediante i principi dettati dal Vangelo, che governa realmente la Chiesa [spesso gli ecclesiastici, afferma Campanella, amministrano secondo le regole della ragion di Stato in antitesi ai principi del Vangelo .«Sono talmente cattolici che si dimenticano di essere cristiani», afferma Campanella] e poi ha il coraggio di scrivere, per difendere e sostenere la sua posizione filosofica, un opuscolo intitolato Defensio Telesianorum ad Sanctum Officium [Difesa dei Telesiani davanti al Sant’Uffizio] dove ribadisce l’ortodossia del pensiero di Bernardino Telesio e la buona fede di coloro [a cominciare da lui] che sostengono il sistema naturalistico secondo il quale la Natura funziona “iuxta propria principia”, secondo Leggi proprie che sono state create da Dio [dalla Potenza, dalla Sapienza e dell’Amore di Dio] ma delle quali Dio rispetta l’indipendenza [la natura usufruisce di un suo libero arbitrio].
Dalla fine di aprile del 1595 fra’ Tommaso viene sistematicamente e quasi quotidianamente sottoposto alla tortura per fiaccarne lo spirito, finché il 16 maggio viene emessa la sentenza che lo condanna alla detenzione [con l’obbligo del silenzio] nel convento domenicano di Santa Sabina sul colle Aventino. Il 31 dicembre 1596 dal confino di Santa Sabina viene trasferito nel convento di Santa Maria sopra Minerva ma, nel 1597, subisce un nuovo processo per ulteriori accuse mosse contro di lui [e tutte infondate]: riportato nel carcere di Tor di Nona conosce e dialoga con il detenuto Francesco Pucci che rincontreremo, seppur brevemente, la prossima settimana, fra’ Tommaso si difende tenacemente e il 17 dicembre 1597 viene assolto e viene liberato ma è diffidato dallo scrivere [e firma una dichiarazione in proposito] e viene consegnato ai suoi superiori perché lo confinino in qualche convento dove «non possa dare scandalo».
Dopo un mese, nel gennaio del 1598, fra’ Tommaso elude la sorveglianza, lascia il convento di Santa Maria sopra Minerva e prende la via di Napoli dove fino a luglio rimane nascosto, probabilmente ancora ospite di Mario Del Tufo. A questo proposito fra’ Tommaso un po’ di anni dopo, quando si troverà in Francia, racconterà che in quel periodo a Napoli aveva dato Lezioni di geografia nelle case di alcuni nobili intellettuali napoletani e poi, nonostante avesse firmato una dichiarazione in cui s’impegnava a non farlo, aveva scritto molto: una Cosmographia, una Encyclopaedia facilis e un trattato intitolato Epilogo Magno di quello che della natura delle cose ha filosofato fra’ Tommaso Campanella servo di Dio [un sunto del suo pensiero naturalistico in chiave metafisica]. E poi comincia a concepire un’opera in cui vuole compiere il tentativo di fondare “una filosofia universale” che sia una filosofia di carattere cristiano, con oggetti metafisici in sintonia con i principi del Vangelo, ma non relegata in ambito cattolico. In luglio, quando si rende conto di essere pedinato dagli agenti dell’Inquisizione, fra’ Tommaso, ben travestito e sotto falso nome, riesce a eludere la sorveglianza e, via mare a bordo di una nave da carico, fugge in Calabria.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In quale occasione avete eluso la sorveglianza per fare qualcosa che vi veniva vietato?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Questa sera abbiamo avuto a che fare più che altro con tribunali, processi, sentenze e voi sapete che stiamo leggendo - e siamo giunti alla conclusione - il romanzo intitolato La panne, scritto nel 1954 da Friedrich Dürrenmatt, e stiamo assistendo a un processo virtuale inscenato per gioco, con il suo consenso, contro il signor Traps.
Come ormai ben sappiamo, lo scrittore narra di quattro pensionati [un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia] che occupano il loro tempo [avendo lavorato nel campo della giustizia] a mettere in scena i grandi processi della Storia ma a volte, per divertimento, per passare una serata di carattere conviviale, capita loro di processare anche una persona reale e allora tutto diventa più divertente In questo caso la persona è il rappresentante di commercio Alfredo Traps, che, come sappiamo, riceve ospitalità nella villetta dove si riuniscono i quattro ex uomini di Legge perché la sua automobile è rimasta in panne e lui accetta con piacere di impersonare per gioco il ruolo dell’imputato rammaricandosi [divertito] di non aver commesso alcun reato, ma i quattro lo rassicurano dicendogli che “un crimine si finisce sempre per trovarlo e che c’è sempre qualcosa da confessare” e, difatti, durante la pantagruelica cena viene invitato dal giudice istruttore a raccontare la sua storia e lui, senza che se ne accorga [sedotto dalle abbondanti e gustose vivande], subisce un vero e proprio interrogatorio durante il quale - nonostante il suo avvocato difensore lo inviti alla prudenza - fa delle ammissioni sul modo scorretto con cui ha fatto carriera, in un contesto in cui emerge anche la morte del suo ex principale, il signor Gygax, al quale Traps, senza farsi degli scrupoli, ha soffiato il posto poco prima che lui morisse d’infarto. Traps afferma di aver saputo dalla moglie di Gygax - con la quale si compiace di aver avuto una relazione - che non era il primo infarto che l’uomo subiva ma, pur essendo a rischio, teneva nascoste le sue condizioni di salute perché la notizia non avesse ripercussioni sulla sua posizione di prestigio. Le ammissioni di Traps suscitano l’ilarità dei quattro vecchi e il giudice istruttore pronuncia la parola dolus e plaude alla confessione di un delitto perfetto, di uno splendido omicidio che si presenta, dice: «in tutta la sua bellezza sia sul piano filosofico che su quello tecnico!». Traps invoca le prove della sua colpevolezza e il pubblico ministero tiene, con gioiosa enfasi, la sua requisitoria, poi è la volta dell’avvocato difensore [che viene però ricusato da Traps] e, infine, il giudice emette la sentenza e, quindi, noi proseguiamo nella lettura: chissà se anche un boia - visto che Traps viene sedotto dal valore della giustizia - sarà chiamato in causa?
LEGERE MULTUM….
Friedrich Dürrenmatt, La panne
«Lei, Alfredo,» disse il pubblico ministero in tono cordiale «allacciò quindi una relazione con la signora Gygax. Come gli fu possibile? Una sera, possiamo immaginarci, mentre la città era già immersa nel buio, suonò il campanello, e la signora venne ad aprire, e gli disse che il marito non sarebbe tornato quella sera, lei era già in vestaglia e lo invitava a gradire un aperitivo, e così sedettero uno accanto all’altra in salotto». Traps era meravigliato: «Ma indovini tutto! Sei un mago, Kurt!». «Questione d’esercizio!» spiegò il pubblico ministero. «I destini si assomigliano tutti. Lei era sola, si annoiava, era contenta di parlare con qualcuno, e cominciò a chiacchierare, arrabbiata con il marito, delusa, e allora il nostro amico comprese che lì bisognava ingaggiar battaglia, e presto seppe tutto di Gygax, che le sue condizioni di salute erano precarie, che ogni emozione lo poteva uccidere, che era villano con la moglie e assolutamente convinto della fedeltà di lei (perché da una donna che vuole vendicarsi del marito si viene a sapere tutto), e così Traps continuò la relazione perché aveva deciso di rovinare con qualsiasi mezzo il principale, e venne dunque il momento in cui egli ebbe in mano tutto: i soci d’affari, i fornitori, la donna, e allora fece scattare la trappola, provocò lo scandalo. Deliberatamente.
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Dal gennaio del 1598 fra’ Tommaso, nascosto a Napoli, comincia [come abbiamo detto poco fa] anche a concepire un’opera in cui vuole compiere il tentativo di fondare “una filosofia universale” proponendo un concetto metafisico che possa permettere a tutti gli esseri umani di riflettere sui primi principi [chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?] e sui fini ultimi [che senso ha l’esistenza?], quale concetto?
Nel 1598, nascosto a Napoli, fra’ Tommaso Campanella comincia a scrivere la sua opera più importante che termina di comporre nel 1619 e che s’intitola Universalis philosophiae seu Metaphysicarum rerum, iuxta propria dogmata, partes tres [Opera in tre parti di filosofia universale o di oggetti metafisici, secondo le loro proprie dottrine]. Quando è stata pubblicata a Parigi nel 1638 il titolo di quest’opera è diventato semplicemente Metafisica. Quest’opera - nella quale fra’ Tommaso riprende tutti i concetti fondamentali del suo pensiero disponendoli in modo organico - è divisa in tre parti: la prima parte tratta dei principi del sapere [la Sapienza], la seconda dei principi dell’essere [la Potenza] e la terza dei principi dell’agire [l’Amore]. Fra’ Tommaso definisce “metafisica” la sua filosofia perché intende andare oltre la semplice fisica, oltre i principi del naturalismo attraverso i quali, con i sensi, noi conosciamo le cose, per trattare dei primi principi [chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?] e dei fini ultimi [che senso ha l’esistenza?].
Fra’ Tommaso vuole indagare sulla possibilità che ha la conoscenza scientifica [e siamo agli esordi della scienza] di sussistere “per se stessa” [iuxta propria dogmata, secondo le proprie dottrine] e scrive che “il libro della natura” [Galileo Galilei, come vedremo, mutua questa espressione da Campanella] deve stare al fianco dei Libri delle Sacre Scritture come autonoma fonte di conoscenza per cui non è la Sacra Scrittura a determinare come è fatto “il libro della natura” [perché la Sacra Scrittura si occupa di etica e non di fisica] ma è “il libro della natura” che fa da compendio all’interpretazione di testi biblici.
Come sappiamo, Fra’ Tommaso pone alla base della conoscenza [della gnoseologia] il “sensus inditus” [il senso innato che conosce] cioè l’autocoscienza, per cui se la persona ha coscienza di sé, di conseguenza ha anche coscienza di tutte le cose, per cui la coscienza di sé [l’autocoscienza] è, apparentemente, il criterio della certezza [ed è ciò che succede a Traps: prende coscienza di sé e prende coscienza della realtà]. Ma fra’ Tommaso intuisce che, purtroppo, il “sensus inditus” [il senso innato che conosce] dipende dalla natura soggettiva dei sensi per cui l’intero processo conoscitivo, scrive Campanella, manca di una seria garanzia di oggettività: il “sensus inditus” [il senso innato che conosce] ha molti limiti, la conoscenza sensibile è limitata perché è una conoscenza della modificazione subita che comporta una specie di “smarrimento” del soggetto nell’oggetto [di “alienazione”, la chiama Campanella].
Certo, l’autocoscienza, afferma Campanella, è uno strumento che fa riflettere la persona su se stessa e porta la persona a pensare: “io posso” [posse], “io so” [nosse]e “io voglio” [velle], ma contemporaneamente l’autocoscienza rivela alla persona che non può tutto, che non sa tutto e che non vuole tutto e, quindi, la persona capisce che esistono dei limiti al suo poter conoscere, al suo saper conoscere e al suo voler conoscere. Ed è proprio questa mancanza di garanzia che spinge fra’ Tommaso - e questo è il concetto centrale della sua metafisica [l’inserimento dell’oggetto metafisico universale] - a introdurre nel processo conoscitivo [gnoseologico] quella che lui chiama la Mens [la Mente]. Ogni persona, scrive Campanella, dispone di una Mens [una Mente], e la Mens [la Mente di cui parla] è qualcosa di più dell’intelligenza e dell’intelletto: è, scrive Campanella, un potere incorporeo e divino che serve a potenziare il processo conoscitivo che è di per sé insufficiente in quanto è fondato sulla sensazione, e la Mens [la Mente] - con il suo misterioso potenziale metafisico [scrive Campanella] - rende il processo conoscitivo capace di avvicinarsi alla Verità e, quindi, anche direttamente a Dio [e questo strumento, che ha il carattere dell’immanenza, viene fortemente contestato dall’Inquisizione]. Se a Dio ci si avvicina attraverso la trafila della conoscenza [la gnosis] significa [scrive Campanella, sebbene lui professi la sua fede nel cristianesimo] che la religione è un processo assolutamente naturale e universale: è naturale che ogni creatura - dotata da Dio di una Mente - ami il proprio essere ed è, quindi, naturale che ogni creatura ami Dio che è l’Essere per eccellenza i cui principi costitutivi sono la Potenza, la Sapienza e l’Amore, i tre principi che, scrive Campanella, corroborano, per volere divino, la mente di ciascuna persona.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La mente, perché possa ben funzionare, va esercitata: come esercitate la vostra mente?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Quali sono le conseguenze di questa riflessione di Fra’ Tommaso? Se la religione è un processo assolutamente naturale e universale le varie fedi non servono più se non come fenomeni culturali [Alla fine del ‘700 gli Illuministi e poi i Romantici svilupperanno questa idea].
La mente va esercitata e a questo proposito, per concludere, dobbiamo [come abbiamo accennato all’inizio] ancora dire due cose che riguardano Giordano Bruno.
La prima la espongo con rammarico perché certi avvenimenti lasciano l’amaro in bocca e, di conseguenza, si potrebbero, in proposito, fare affermazioni sgradevoli. Ebbene il 18 febbraio del 2000 [l’anno giubilare del perdono], a distanza di 400 anni dal rogo con il quale è stato ucciso Giordano Bruno, il papa Giovanni Paolo II - tramite una Lettera del segretario di Stato cardinale Angelo Sodano inviata a un Convegno in corso di svolgimento a Napoli sull’Opera del filosofo nolano - ha espresso profondo rammarico per la morte atroce di Giordano Bruno, e si legge in questa Lettera: «Anche se la morte di Giordano Bruno costituisce oggi per la Chiesa un motivo di profondo rammarico, tuttavia questo triste episodio della storia cristiana moderna non consente la riabilitazione dell’opera del filosofo nolano arso vivo come eretico, perché il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana». Ma è stato lo stesso Giordano Bruno che nel corso del processo ha sempre ammesso che molte idee - da lui espresse come filosofo - contenute nelle sue Opere non sono compatibili con la dottrina cristiana e, quindi, bastava che il Sant’Uffizio gli negasse l’imprimatur: era proprio necessario bruciarlo? Come si concilia nella Lettera papalina del 2000 l’espressione di profondo rammarico con la perseveranza di un tono inquisitorio che non toglie il marchio di eretico a Giordano Bruno ma lo conferma? Che cosa dobbiamo pensare? [Fate funzionare la mente, dice giustamente Campanella]. Dobbiamo pensare che il papa [santo subito] e il suo segretario di Stato, il cerino, sebbene con grande rammarico, lo avrebbero acceso anche loro?
La seconda cosa da dire è meno sgradevole. Le studiose e gli studiosi di astronomia hanno dedicato a Giordano Bruno un cratere lunare e due asteroidi, e così si avvalora anche il riferimento [da noi fatto a suo tempo] che si trova nell’opera teatrale intitolata La tragica storia del dottor Faust del drammaturgo inglese Christopher Marlowe [1564-1593]. Scrive Marlowe: «I cardinali dormienti si affannano a condannare Bruno, lui invece è lontano. Il suo superbo corsiero vola come il pensiero. Vola alto nello spazio infinito del cielo».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In biblioteca [richiedendo un Atlante lunare] e sulla rete [cercando la Mappa della Luna] potete andare a osservare dove si trova il cratere chiamato “Giordano Bruno”...
Sbarcateci...
Mentre i due asteroidi della fascia principale dedicati a Bruno si chiamano: “5148 Giordano” e “13223 Cenaceneri” [in riferimento all’opera La cena delle ceneri che conosciamo].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Ci sarà un’immagine e una descrizione di questi due corpi celesti in biblioteca e in rete?...
Cercatela...
Nel luglio del 1598, quando a Napoli [dove sta nascosto] si rende conto di essere pedinato dagli agenti dell’Inquisizione, fra’ Tommaso, ben travestito e sotto falso nome, riesce a eludere la sorveglianza e, via mare a bordo di una nave da carico, fugge in Calabria e sbarca a Piana di Sant’Eufemia, raggiunge Nicastro e di qui, il 15 agosto 1598, arriva a Stilo, la sua città natale, e viene accolto nel convento domenicano di Santa Maria di Gesù nel quale rimane tranquillo per poco. Che cosa lo mette in agitazione: le lotte contadine che sono in corso [così come in tutta Europa] anche in Calabria? Questa è un’altra storia di cui ci occuperemo la prossima settimana procedendo con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé.
Fra’ Tommaso Campanella ci esorta a esercitare la mente perché, secondo lui, la mente umana è corroborata dalla Potenza, dalla Sapienza e dall’Amore: tre principi “metafisici” [tanto religiosi quanto laici] che sono sicuramente utili per non perdere la volontà di imparare.
Per esercitare la mente in modo da poter investire in intelligenza, la Scuola è qui, e il viaggio continua…