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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA NASCE UNA NUOVA METODOLOGIA BASATA SU “L’ESPERIMENTO SCIENTIFICO” ...

Lezione N.: 
24

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi 

La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza  9-10-11  maggio  2018    

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA

NASCE UNA NUOVA METODOLOGIA BASATA

SU L’ESPERIMENTO SCIENTIFICO...

     Il ventiquattresimo itinerario che questa sera stiamo per intraprendere è il terzultimo di uesto viaggio che, dopo sette mesi, si sta per concludere sul territorio de “la sapienza poetica e filosofica dell’Età moderna agli esordi della scienza”.

     Come ricorderete, la scorsa settimana abbiamo incontrato Galileo Galilei facendolo passare attraverso le tavole del palcoscenico, vale a dire utilizzando il famoso testo teatrale intitolato Vita di Galileo, composto dal 1938 al 1955, da Bertolt Brecht e noi continuiamo ad avvalerci del testo di quest’opera che rappresenta con grande efficacia un modello di quella che è stata chiamata la “drammaturgia epica”, un genere su cui abbiamo riflettuto la scorsa settimana.

     Quindi proseguiamo con l’intento di mettere in relazione la drammaturgia epica [un genere letterario significativo da conoscere] con la storia biografica [un altrettanto significativo genere letterario da utilizzare] però questa sera iniziamo partendo dalla storia biografica di Galileo.

     Come abbiamo letto la scorsa settimana, “Il Galileo”, che all’inizio del dramma brechtiano  parla e agisce sul palcoscenico, si trova a Padova, nel territorio della Serenissima Repubblica di Venezia, mentre corre l’anno 1610 e ha già quarantasei anni: ma chi è stato prima di allora Galileo Galilei nella vita reale, dove ha studiato, come si è formato e perché è a Padova da diciotto anni, dal 1592?

     Galileo Galilei è nato a Pisa il 15 febbraio 1564, suo padre si chiama Vincenzo e sua madre Giulia Ammannati. Galileo si è sempre considerato “un fiorentino” piuttosto che un pisano perché suo padre è di Firenze così come tutti i suoi antenati. Vincenzo Galilei, suo padre, è un musicista e “uno scrittore di cose musicali”, da lui Galileo ha ereditato una sorta di “arguzia bertoldesca” [ne abbiamo parlato alcune settimane fa] che gli ha permesso di coltivare il sarcasmo e l’ironia, inoltre dal padre ha acquisito l’indipendenza di giudizio, la vivacità del pensiero e un certo disprezzo per quella forma di autoritarismo che impone di credere per forza nei dogmi, di qualunque tipo essi siano. Da Giulia Ammannati, sua madre, Galileo ha ereditato il carattere aspro e litigioso, e anche una certa aggressività che spesso si manifesta con ingiurie e sferzanti irrisioni verso gli avversari. Insomma, Galileo Galilei ha ereditato dai suoi genitori un bel caratterino che, a volte, è stato anche la causa di certe sue sventure.

     La famiglia Galilei, nel 1574, si trasferisce a Firenze dove il decenne Galileo inizia a studiare le discipline umanistiche, in particolare segue il corso di Logica nel convento di S. Maria di Vallombrosa, vestendo anche l’abito di novizio. Studia anche il disegno e la prospettiva, e si diletta di musica segue l’esempio del padre, suona il liuto e scrive Galileo: «Ero ricchissimo d’invenzione e superai nella gentilezza e grazia del toccare il liuto il mio medesimo padre che, di tale strumento, era virtuoso». Suo padre non la deve aver presa bene anche perché «di musica [afferma Vincenzo Galilei] si campa male» e, difatti, la famiglia Galilei versa in disagiate condizioni economiche per cui Vincenzo desidererebbe che Galileo facesse il medico, professione che dava un certo reddito; nel settembre del 1581, lo invia a Pisa, all’Università, dove Galileo rimane quattro anni senza conseguire alcun titolo accademico, però, non sono stati anni perduti per la sua educazione: viene attratto dagli studi scientifici, legge e studia le Opere di Aristotele [la Fisica, la Metafisica, l’Etica] e di Platone [i Dialoghi], e poi, secondo lo spirito del tempo, influenzato dal naturalismo di Bernardino Telesio [che, come ben sappiamo, sta prendendo campo, seppur lentamente per la condanna del Sant’Uffizio], comincia a sentire un profondo interesse per l’osservazione del “gran libro della natura”. E l’attenta osservazione delle cose lo porta alla sua prima scoperta: la tradizione vuole che il giovane Galileo non ancora ventenne, nel vedere oscillare una lampada nel duomo di Pisa, valendosi dei battiti del polso per misurare il tempo, constatasse che le oscillazioni della lampada diminuivano d’ampiezza ma continuavano ad avere la stessa durata, e da questa osservazione Galileo trae la “Legge dell’isocronismo delle piccole oscillazioni del pendolo”. La parola greca “isocronismo” nasce dalla congiunzione di due termini: “ìsos” che significa “uguale” e “chrònos” che significa “tempo”. Galileo, tenendo conto dell’angolo di spostamento del pendolo, della sua lunghezza e dell’accelerazione di gravità, costruisce la formula per calcolare la durata costante del tempo indipendentemente dall’ampiezza dell’oscillazione del pendolo, e se da una parte abbiamo difficoltà [almeno io] a capire il ragionamento scientifico di Galileo, dall’altra siamo però perfettamente consapevoli del fatto che sta indagando sulle caratteristiche fisiche del movimento [di come avviene il movimento sulla terra] e comprendiamo che sta leggendo “il libro della natura” mediante il linguaggio matematico per dimostrare che “la matematica è la lingua della scienza”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Qual è il livello delle vostre competenze matematiche e che rapporto avete con questa disciplina?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     La scoperta de “la Legge dell’isocronismo delle piccole oscillazioni del pendolo” fa nascere in Galileo il desiderio di studiare in modo approfondito la geometria, e questa sua scelta lo mette in contrasto con la volontà paterna: il padre [come sappiamo] vorrebbe che studiasse medicina.

     Dopo la scoperta de “la Legge dell’isocronismo delle piccole oscillazioni del pendolo” il giovane Galileo si concentra sullo studio della geometria che lo porta a trovare le dimostrazioni di alcuni teoremi sul centro di gravità dei solidi per cui comincia a essere considerato “un esperto geometra”, e inizia a presentarsi con questo titolo. Nel 1586 Galileo, studiando il principio di Archimede che dice: «Ogni corpo immerso in un fluido riceve una spinta diretta lungo la verticale e rivolta dal basso verso l’alto, pari al peso del fluido spostato dal corpo stesso»,  Galileo inventa e costruisce “la bilancella”, una stadera idrostatica, cioè adatta a pesare i liquidi, mediante la quale misura i pesi specifici di numerosi corpi.

     Intanto il giovane Galileo coltiva anche l’amore per gli studi letterari ai quali continuerà a dedicarsi per tutta la vita, e il frutto di questi studi è contenuto nei testi di alcune opere significative, scrive: Due Lezioni circa la figura, il sito e la grandezza dell’Inferno di Dante [un geometra che prende le misure dell’Inferno dantesco] tenute all’Accademia fiorentina, le Postille all’Ariosto [abbiamo già ricordato quanto Galileo sia stato appassionato lettore de L’Orlando furioso] e le Considerazioni al Tasso [Galileo apprezza anche Torquato Tasso che, con la sua Gerusalemme liberata, incontreremo strada facendo]. L’innato gusto artistico di Galileo si rivela in quasi tutte le sue opere scientifiche che lui scrive con una prosa limpida ed elegante [sono in più parti delle vere e proprie creazioni d’arte] tanto da superare l’aridità di molti argomenti di carattere tecnico.

     Nell’attesa di una stabile occupazione che gli possa dare un reddito Galileo, intanto, impartisce Lezioni private ed entra in relazione con i matematici [che di solito sono anche astronomi] più insigni del suo tempo quali il gesuita tedesco Cristoforo Clavio del Collegio Romano che ha diretto la commissione degli studiosi che hanno attuato la riforma gregoriana del calendario [consultando l’enciclopedia e navigando in rete potete informarvi su questa riforma], poi Galileo conosce Guidobaldo dei marchesi del Monte di Pesaro il quale comprende il valore del giovane studioso e si adopera presso la Corte medicea per fargli ottenere la cattedra di matematica nello Studio di Pisa. La cattedra di matematica all’Università pisana viene assegnata a Galileo nel luglio del 1589 ma con un salario da fame: sessanta scudi annui.

     A Pisa Galileo rimane soltanto tre anni: la sua materia è considerata di secondaria importanza [anche lui la considera tale]: insegna la geometria euclidea e l’astronomia tolemaica della cui non veridicità Galileo è sicuro anche se il sistema descritto da Copernico nell’opera intitolata Sulla rivoluzione dei corpi celesti [che è in circolazione da cinquant’anni] non è stato ancora confermato da prove certe [e il Sant’Uffizio lo condanna così come la Chiesa luterana].

     In questo periodo, per conto proprio, Galileo si occupa dello studio del moto: scrive un’opera, in latino, intitolata De motu,  rimasta inedita per lungo tempo, nella quale descrive i risultati dei suoi esperimenti [i cimenti] su “la caduta dei gravi” per dimostrare che l’accelerazione è uguale per tutti i corpi e non è variabile col peso, come voleva la dottrina aristotelica. Siccome in quest’opera Galileo spesso scrive: «Se, per ipotesi [appunto per ipotesi], si lanciasse giù dalla torre [la torre di Pisa] un grave [un oggetto di un certo peso] …», questa affermazione ipotetica ha fatto sì che sorgesse una tradizione secondo la quale lo studioso avrebbe eseguito esperimenti buttando oggetti pesanti [dei gravi] dall’alto della torre pendente ma, in realtà, questo non è mai avvenuto per il fatto che le Leggi comunali che vietavano il lancio di oggetti dalle torri, dalle finestre, dai tetti erano molto severe.

     Che Galileo non abbia mai sperimentato la caduta dei gravi dalla torre di Pisa [ma bensì in luoghi idonei e con strumenti idonei] è avvalorato anche dal tono di certe sue affermazioni nel testo dell’opera De motu dove in un certo numero di casi parla di “esperimento mentale”, e leggiamo che cosa scrive in proposito: «In caduta verticale, infatti, due gravi di peso diverso cadono con tempi così rapidi da non potersi calcolare con esattezza le differenze. Che la velocità di caduta dei gravi non sia in relazione al peso, come pretendeva Aristotele, può essere dimostrato con un esperimento mentale, con una situazione immaginaria tanto convincente da non doversi riprodurre nella pratica [scrive ironicamente Galileo]. Si immagini che dalla torre si lancino due suicidi: avendo lo stesso peso essi cadranno con una determinata velocità. Ma se durante la caduta i due si abbracciano, formando un unico corpo di peso doppio, secondo Aristotele dovrebbero raddoppiare la velocità. Se poi si separassero dovrebbero rallentare fino a dimezzarla. Basta immaginare questo evento per capire che la natura non funziona in questo modo».

     Galileo pensa che per capire il funzionamento della natura non basti fare appello semplicemente all’esperienza ma sia necessario utilizzare una nuova metodologia basata su “l’esperimento scientifico”. Il metodo sperimentale - che Galileo s’ingegna a mettere a punto - non studia direttamente la natura ma la ricrea artificialmente in laboratorio, riproducendo un modello semplificato degli eventi naturali per evitare [scrive Galileo] quelle situazioni accidentali che complicano il manifestarsi dei fenomeni, e per rallentare i tempi con cui normalmente si svolgono i processi naturali, in modo che l’esperimento elimini ogni “rumore” [ogni fonte di disordine] e venga abolita ogni interferenza che possa influire negativamente sull’osservazione dei risultati ottenuti.

     L’esperimento non può essere [afferma Galileo] un’osservazione casuale ma deve essere “una precisa domanda posta alla natura” e il termine che Galileo usa per definire la verifica di un’ipotesi per mezzo di un’esperienza sensata [sensibile, sperimentale] è la parola “cimento”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La parola “cimento” richiama i termini: verifica, prova, rischio... A quale verifica vi siete sottoposte e sottoposti ultimamente?... Quale prova avete dovuto superare?... E avete corso qualche rischio?...

Scrivete quattro righe in proposito, cimentatevi nella scrittura...

     Un buon esempio di “cimento”, vale a dire di ricerca scientifica tramite sensate esperienze, è il modo con cui Galileo studia la forza di gravità, arrivando a scoprire la “Legge del moto uniformemente accelerato dei gravi”, una clamorosa smentita della teoria di Aristotele che considerava la velocità di caduta proporzionale al peso degli oggetti.

     Galileo, per lo studio del moto gravitazionale, costruisce uno strumento relativamente semplice dal punto di vista tecnologico, “il piano inclinato”, che consiste in una trave lunga sei metri, di legno pregiato per impedirne l’inarcamento, inclinabile a piacimento e dotata di una scanalatura accuratamente levigata per ridurre al minimo l’attrito delle palle che devono rotolarvi dentro. Questo apparecchio tanto semplice ha già le caratteristiche di un moderno strumento scientifico perché può essere modulato a piacimento per rilevare i dati utili a misurare i parametri dell’evento osservato e studiato. L’inclinazione, per esempio, può essere diminuita per rallentare i tempi di caduta oppure aumentata fino a sfiorare la verticalità [con la verticalità la caduta libera diventa un semplice caso-limite e nasce il concetto di “caso-limite”].

     Inizialmente Galileo, per rilevare esattamente i tempi di caduta, pone a intervalli regolari sul piano inclinato dei campanelli in modo tale che suonino al passaggio della palla e, avendo lui [come sappiamo] studiato musica, conta sulla sensibilità del suo orecchio che è ben allenato a percepire i ritmi e gli intervalli sonori ma, dopo un po’, ritiene questa soluzione ancora non idonea perché non permette una precisa quantificazione dei tempi e allora, con la sua ingegnosità, Galileo risolve il problema costruendo “un orologio ad acqua” per cui, quando la palla inizia a rotolare lungo il piano inclinato, un rubinetto comincia a far gocciolare acqua in un contenitore sottostante mantenendo una pressione costante in tutte le misurazioni: alla fine della caduta, chiuso il rubinetto, Galileo procede a pesare il liquido raccolto trasformando le quantità di tempo in quantità di peso che diventano misurabili e confrontabili con grande precisione. Galileo scopre così che, nonostante una maggiore inclinazione del piano faccia aumentare la velocità di caduta, il rapporto fra gli spazi percorsi e i tempi impiegati rimane costante per qualsiasi inclinazione, anche nel caso limite della caduta libera, e scopre soprattutto che quest’accelerazione non dipende dal peso dell’oggetto come sosteneva Aristotele che ragionava secondo la logica delle categorie, una logica significativa ma astratta, priva della concretezza data dalla metodologia sperimentale. Quante volte abbiamo detto: «Adesso voglio fare un esperimento!».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Che cosa vi ha permesso di scoprire un esperimento che avete fatto?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Nel 1591 il padre di Galileo muore e lui, con il reddito insufficiente che si ritrova, si deve far carico della madre, di due sorelle e di un fratello e, quindi, è costretto a cercarsi un nuovo lavoro anche perché gli altri insegnanti dell’Università pisana gli sono ostili in quanto ligi alla dottrina tradizionale d’impronta aristotelica, nei confronti della quale Galileo è irriverente e, siccome la sua fama è cresciuta per merito delle sue scoperte e siccome ha cominciato come sappiamo a godere della protezione di alcuni matematici influenti [Clavio, del Monte] nel 1592 riesce a farsi assegnare la cattedra di matematica allo Studio di Padova [lì, come abbiamo già detto, conosce fra’ Tommaso Campanella e inizia a tenere corrispondenza con lui].

     La cattedra di matematica all’Università di Padova Galileo la tiene per diciotto anni, e sono stati a detta di lui gli anni più sereni e felici della sua vita, quantunque il bisogno lo costringa a impartire molte Lezioni. All’inizio, a Padova, il suo stipendio è di centottanta fiorini annui ma poi riceve un aumento fino a mille fiorini annui quando per la fama del suo insegnamento, dei suoi studi sia teorici che pratici e per il successo delle sue invenzioni e per il clamore che suscitano le sue osservazioni astronomiche diventa famoso in tutta Europa.

     E ora, a proposito di osservazioni astronomiche, proseguiamo il nostro cammino seguendo la scia della drammaturgia epica: leggendo [in funzione della didattica della lettura e della scrittura, come abbiamo fatto la settimana scorsa] un frammento da Vita di Galileo di Bertolt Brecht tatto dalla terza scena del dramma.

     Ci troviamo nella stanza di lavoro di Galileo a Padova, è notte fonda e lo scienziato insieme al suo amico Sagredo, avvolti in pesanti mantelli, sono al telescopio. È il 10 gennaio 1610 e Galileo, servendosi del telescopio [perspicillo], ha scoperto una serie di fenomeni celesti che confermano il sistema copernicano. Galileo viene ammonito dal suo amico Sagredo delle possibili conseguenze di queste scoperte, ma Galileo conferma la sua fede nella ragione umana. In scena compare anche il procuratore della Repubblica veneta, Priuli, che dirige lo studio di Padova e che, assai agitato, ha qualcosa da ridire a Galileo a proposito del telescopio che - con la mediazione di Priuli - ha presentato alle autorità della Serenissima come sua invenzione ottenendo il raddoppio del suo stipendio. Priuli ha scoperto [anche lui ha fatto una scoperta] che il telescopio è un oggetto di provenienza olandese in vendita, per quattro soldi, su tutte le bancarelle di tutte le città, sì, ma il valore che il telescopio ha per la Filosofia lo ha scoperto Galileo. Leggiamo.

LEGERE MULTUM….

Bertolt Brecht, Vita di Galileo

III. 10 gennaio 1610: Galileo, servendosi del telescopio, scopre fenomeni celesti che confermano il sistema copernicano. Ammonito dal suo amico Sagredo delle possibili conseguenze di tali scoperte, Galileo afferma la sua fede nella ragione umana.

Milleseicentodieci, ai dieci di gennaio  Galilei vide che il cielo non c’era.

Stanza di lavoro di Galileo a Padova. È notte. Galileo e Sagredo, avvolti in pesanti mantelli, sono al telescopio e osservano la Luna.

 

SAGREDO (al telescopio, a mezza voce) Il bordo esterno della falce è tutto seghettato, irregolare, scabro. Sulla parte buia, vicino alla fascia chiara, si vedono dei punti luminosi. Uno dopo l’altro, emergono dall’oscurità. Da quei punti s’irradia la luce, invadendo zone sempre più vaste, che vanno a confluire nel resto della parte chiara.

GALILEO Come spieghi quei punti luminosi?

SAGREDO Non può essere.

GALILEO Come, non può essere? Sono montagne.

SAGREDO Montagne su un astro?

GALILEO Montagne altissime. E le loro cime ricevono i primi raggi del sole nascente, mentre le pendici sono ancora nell’oscurità. Tu vedi la luce del sole scendere man mano dalle cime verso le vallate.

SAGREDO Ma questo contraddice a tutti gli insegnamenti d’astronomia da duemila anni.

GALILEO Sì. Quello che hai visto ora, non è mai stato visto da nessuno all’infuori di me. Tu sei il secondo.

SAGREDO Ma la luna non può essere una terra con monti e valli come la nostra, allo stesso modo che la terra non può essere una luna.

GALILEO La luna può essere una terra con monti e valli, e la terra può essere una luna. Un qualunque corpo celeste, uno tra migliaia. Guarda ancora. La parte in oscurità, la vedi proprio tutta buia?

SAGREDO No. Adesso che la guardo con attenzione, vedo che è soffusa di un lieve chiarore grigiastro.

GALILEO E che luce può essere? Non sai rispondere? È la luce della terra!

... continua la lettura ...

     Rispetto a ciò che abbiamo letto sulla scia della drammaturgia epica brechtiana dobbiamo fare un passo indietro rispetto al 10 gennaio 1610 perché Galileo durante il periodo padovano [1592-1610] prende una serie di iniziative sulle quali dobbiamo puntare l’attenzione fino a quando deciderà di trasferirsi da Padova a Firenze, dalla Serenissima Repubblica di Venezia al Granducato di Toscana.

     Il 4 agosto 1597 Galileo riceve in omaggio il Mysterium cosmographicum di Giovanni Keplero [che abbiamo incontrato a suo tempo] e il giorno stesso Galileo gli risponde con una Lettera che segna l’inizio di un’amichevole e cordiale corrispondenza tra i due grandi astronomi. In questa Lettera Galileo spiega a Keplero di essere un convinto copernicano nonostante, ufficialmente [come da programma], insegni ai suoi alunni il sistema tolemaico. Giovanni Keplero coltiva una profonda ammirazione per Galileo il quale però, pur mantenendo un affettuoso rapporto con il suo interlocutore, nutre qualche riserva nei suoi confronti perché l’aperta mente scientifica di Galileo mal sopporta l’eccessiva preoccupazione di carattere teologico [anche se ne capisce l’importanza], certe deviazioni astrologiche, certe fantasticherie pitagoriche e certe “stramberie” [le chiama Galileo] di carattere mitologico presenti nella geniale opera di Giovanni Keplero, il quale, sebbene sia giunto [come abbiamo studiato] a enunciare le famose Leggi sul moto dei pianeti, rimane per Galileo ancora una figura di transizione tra il vecchio e il nuovo mondo scientifico. Dobbiamo sapere che Galileo lascia cadere l’invito a una corrispondenza che gli ha rivolto Tycho Brahe [il grande astronomo danese al quale Keplero succede come direttore dello Studio astronomico praghese nel 1601] perché Galileo avversa nei suoi scritti il sistema di compromesso di Tycho Brahe [la Terra al centro, il Sole che ruota attorno alla Terra e i Pianeti che girano attorno al Sole] che, secondo Galileo, ha rallentato il diffondersi della nuove idee.

     Durante il periodo padovano [1592-1610] Galileo compie degli studi sulle calamite [studi che riprenderà a Firenze], poi su diversi problemi della meccanica, un materiale che entrerà a far parte dell’opera Discorsi delle Nuove Scienze. Di questo stesso periodo è anche l’invenzione di “un’eccellente pompa idraulica” [invenzione che riceve l’elogio del sovrintendente Priuli nel testo del dramma brechtiano, come abbiamo letto poco fa] che Galileo nomina come «un edificio da alzar acque e adacquar terreni» e questa realizzazione gli ha fruttato qualche guadagno [ma non tale da risolvere la sua sempre precaria condizione economica], poi inventa e costruisce “un termometro ad aria” [che non funziona granché bene] e “un compasso geometrico”, una specie di regolo calcolatore [ben funzionante], che Galileo ha dovuto difendere contro un plagiario, Baldassarre Capra, con un processo nel quale ha vinto la causa.

     Infine a Galileo viene attribuita l’invenzione del cannocchiale [il perspicillo]: nel giugno del 1609, mentre si trova a Venezia, Galileo viene a conoscenza dell’esistenza di “un occhiale”, costruito in Olanda, «col quale [scrive Galileo] le cose lontane si vedevano così perfettamente come se fussero state molto vicine». In verità i cannocchiali olandesi si erano già sparsi per l’Europa e qualcuno era giunto anche in Italia, ma erano grossolani, erano poco più che giocattoli. La sua sorprendente abilità tecnica e le buone lenti che l’industria veneta del vetro gli ha fornito hanno consentito a Galileo di costruire un buon cannocchiale e, in seguito, Galileo si è trasformato in un piccolo industriale del nuovo strumento ottico, ne ha prodotti a decine e li ha venduti in Italia e in Europa.

     Il merito maggiore di Galileo non sta nell’aver perfezionato il cannocchiale già ideato e costruito dagli olandesi nelle sue parti fondamentali, ma nell’uso prodigioso che ne ha fatto: lo ha rivolto verso il cielo e in pochi giorni [come abbiamo letto poco fa] ha scoperto le asperità della superficie lunare, le miriadi di stelle formanti la Via Lattea, la natura delle nebulose, le più importanti stelle telescopiche che occhio umano abbia mai viste e, nel gennaio 1610, individua i primi quattro satelliti di Giove, ch’egli, in onore della casa regnante di Toscana, ha chiamato Astri Medicei. E perché la notizia di tante scoperte fosse rapidamente conosciuta nel mondo degli studiosi, in tre giorni ha scritto il Sidereus Nuncius [La buona notizia della scoperta delle stelle], un opuscolo di cento pagine che fa stampare il 12 marzo 1610, con dedica al granduca di Toscana Cosimo II, già suo allievo e, da questo momento, inizia le trattative per trasferirsi a Firenze, come primo matematico dello Studio di Pisa e primo matematico e filosofo del granduca, senza obbligo d’insegnamento né di residenza.

     Galileo vuole conquistare quella libertà che gli è necessaria perché ha bisogno di tempo per le osservazioni astronomiche, per le sensate esperienze [gli esperimenti], per le molte opere che si propone di scrivere su “la struttura nuova dell’Universo”. Galileo vorrebbe affrancarsi dalla schiavitù delle Lezioni pubbliche e private, vorrebbe liberarsi dagli studenti [che gli violano l’intimità della casa] ma è sempre pieno di debiti e deve anche mantenere due figlie e un figlio frutti della relazione che ha avuto con una signora veneziana, Marina Gamba. Galileo è stato molto criticato per aver obbligato le due figlie a farsi monache in giovanissima età scaricando sul convento il loro mantenimento, mentre il figlio Vincenzo lo avrà [con grande fastidio] sempre a carico.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Possedete un cannocchiale o un binocolo?...

Scrivete quattro righe sulle vostre osservazioni...

     Galileo Galilei giunge a Firenze il 12 settembre 1610 ben accolto dalla corte medicea che si fa vanto di ospitare quello che “i liberi ingegni” [che tuttavia sono pochi] considerano un personaggio geniale: il fatto è che, anche a Firenze, gli accademici di tradizione aristotelica e gli ecclesiastici in linea con le direttive del Sant’Uffizio, considerano Galileo “un nemico del genere umano che va trattato di conseguenza”. Prima di trasferirsi a Firenze e poi in Firenze stessa Galileo fa una serie di scoperte [vedremo la prossima settimana di che cosa si tratta] che confermano inequivocabilmente il sistema Copernicano: i copernicani esultano in tutta Europa, da Keplero a Campanella. A questo punto Galileo decide di andare a Roma per avere l’approvazione dei dotti padri gesuiti del Collegio Romano, dell’Istituto pontificio di ricerche scientifiche, diretto da un suo estimatore [che abbiamo già citato] il gesuita tedesco Cristoforo Clavio. Il viaggio a Roma di Galileo [del marzo 1611], ospite dell’ambasciatore di Toscana in Vaticano, diventa trionfale: viene circondato dai più illustri studiosi dell’Urbe, e i padri gesuiti organizzano in suo onore una riunione accademica alla quale vogliono conferire particolare solennità facendo intervenire i cardinali, e confermano con qualche insignificante riserva tutte le scoperte scientifiche dello scienziato.

     E noi ora, a questo punto, ci dobbiamo domandare: come mai, nonostante queste manifestazioni di consenso nei confronti di Galileo, di lì a qualche tempo il tribunale dell’Inquisizione, per ordine del Sant’Uffizio, lo convoca e lo mette sotto accusa?

     Galileo ha vinto - il Collegio Romano, diretto dal dotto gesuita Cristoforo Clavio, conferma le scoperte di Galileo - ma la sua vittoria produce un intollerabile sconquasso: a questo punto i teologi dovrebbero provvedere [così afferma Cristoforo Clavio] a rimettere in ordine il cielo e ciò comporterebbe ammettere che non si possono mai proclamare delle verità assolute [quante vittime dell’Inquisizione, ammettendo ciò, passerebbero dal torto alla ragione. Le ragioni di Telesio, di Bruno, di Campanella vanno quindi prese in considerazione]! Dire che Galileo ha ragione, secondo il Sant’Uffizio, sarebbe devastante, presupporrebbe un atto di umiltà “cristiana”, prevale invece un’articolata operazione di “sovranismo cattolico”.

     E, per concludere, a questo proposito, leggiamo un frammento significativo dalla sesta scena di Vita di Galileo.

LEGERE MULTUM….

Bertolt Brecht, Vita di Galileo

VI. Il Collegio Romano, l’istituto pontificio di ricerche scientifiche, conferma le scoperte di Galileo.

Poche volte vide il mondo  i maestri andare a scuola.

Cristoforo Clavio, il dotto servo di Dio, diede ragione a Galileo Galilei.

 

Una sala del Collegio Romano. È notte. Alti prelati, monaci e scienziati a gruppi. Galileo, solo, se ne sta appartato. Tutti sono in attesa che Cristoforo Clavio, scienziato di Santa Romana Chiesa, seguito dagli astronomi suoi discepoli del Collegio Romano, dia un parere sulle scoperte di Galileo.

 

MONACO ALLAMPANATO Costoro abbassano la patria del genere umano [la Terra] al livello di una stella errante. Uomini, bestie, vegetali, minerali, tutto cacciano su uno stesso carro e lo spediscono in giro per il deserto dei cieli. A dar retta a loro, non esiste più né cielo né terra! E adesso, a sentire costui [Galileo], anche la terra sarebbe una stella. Soltanto stelle; non c’è altro! Arriveremo al punto che un giorno li sentiremo dire: non ci sono nemmeno uomini e bestie, anche l’uomo stesso è una bestia!

Galileo che aveva tratto di tasca il suo sassolino e, dopo aver giocherellato un po’, lo aveva lasciato cadere sul pavimento; mentre si china a raccoglierlo ...

PRIMO SCIENZIATO (rivolto a Galileo) Signor Galilei, le è caduto qualcosa in terra.

GALILEO Ma no, messere, non m’è caduto in terra: m’è caduto qualcosa in aria! 

PRELATO GRASSO (voltandogli le spalle) Che spudorato!


... continua la lettura ...

     Galileo Galilei è uno scienziato che con le sue rivoluzionarie intuizioni mette a repentaglio gli equilibri teologici e sociali del suo tempo e, anche se una serie di scoperte che lui ha fatto, delle quali ha verificato l’attendibilità, sono inequivocabilmente certe [e, quindi, da difendere senza cedimenti e da divulgare] tuttavia - di fronte all’ordine che il Sant’Uffizio gli impartisce affinché taccia - Galileo si piega e accetta la ritrattazione: perché? Che risposte danno in proposito la Storia, la Letteratura e il Teatro?

     Per rispondere bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé, consapevoli che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare: uno dei massimi piaceri [afferma Galileo] concessi al genere umano.

     Per coltivare questo piacere la Scuola è qui e, quindi, non mancate al penultimo itinerario di questo viaggio e compilate il tradizionale questionario di fine anno: il testo del questionario è allegato IN REPERTORIO ... con il titolo PER INVESTIRE IN INTELLIGENZA ...

 

PER INVESTIRE IN INTELLIGENZA ...

parola per parola … idea per idea ...

Alla fine di questo viaggio bisogna dare una forma – con le nostre scelte – al territorio della 

Sapienza poetica e filosofica dell’età moderna agli esordi della scienza

che abbiamo attraversato ...

Leggi con attenzione queste parole ...

la lingua  la magia  la natura  il dogma  la periferia  l’ipotesi  il dramma 

l’infinito  la potenza  il cosmo  l’esperienza  l’uno  l’animazione  la centralità 

la sapienza  la comunità  l’ellisse  l’essere  l’amore  la matematica  l’esperimento  

... scegline non più di tre e scrivile qui …

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Con l’Età moderna agli albori della scienza nella Storia del Pensiero Umano emerge

una domanda significativa: come vivere? ...

Rifletti su queste affermazioni e [facendo una crocetta nel riquadro] scegline non più di tre ...

□ Prestando la necessaria attenzione ...

□ Senza preoccuparsi della morte ...

□ Leggendo costantemente e cercando lentamente di capire ...

□ Rassegnandosi al distacco dalle persone care ...

□ Ricorrendo a qualche stratagemma per vivere meglio...

□ Mettendo tutto in discussione ...

□ Tenendo una stanza tutta per sé nel retrobottega ...

□ Stando in mezzo agli altri ...

□ Cambiando spesso abitudini ...

□ Coltivando la temperanza ...

□ Facendo qualcosa che nessuno ha mai fatto prima ...

□ Lavorando bene, ma non troppo bene ...

□ Riflettendo su tutto, senza rimpianti ...                               

□ Lasciandosi andare ...

□ Accettando le proprie imperfezioni ...

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 11, 2018