ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza 16-17-18 maggio 2018
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI
DELLA SCIENZA HA LUOGO IL “DIALOGO DEI MASSIMI SISTEMI” ...
Questo è il venticinquesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età moderna agli esordi della scienza” ed è la penultima tappa del nostro lungo e impegnativo Percorso, il prossimo tragitto [il ventiseiesimo e ultimo] sarà caratterizzato da una Lezione più breve compresa nel contesto di un sobrio incontro conviviale. Lo so che l’affermazione “sobrio incontro conviviale” non è molto gradita al nostro compagno di viaggio Galileo Galilei al quale piace magiare bene e abbondantemente ma deve farsene una ragione lui che ha sempre sostenuto la necessità di “agire secondo ragione”.
Come sapete, nel 1592 [da qui riprendiamo il filo del discorso] Galileo Galilei accetta l’offerta da parte del Senato di Venezia della cattedra di matematica all’Università di Padova dove incontra e conosce fra’ Tommaso Campanella con il quale tiene corrispondenza per più di quarant’anni. A Padova Galileo si trattiene per 18 anni e a suo dire sono stati gli anni più felici della sua vita: sono gli anni in cui entra in contatto epistolare con il mondo scientifico internazionale e un altro Epistolario importante è quello che Galileo tiene con Giovanni Keplero, che abbiamo incontrato qualche settimana fa. Nel 1597 Galileo riceve in omaggio il Mysterium cosmographicum di Keplero e la lettura di quest’opera lo affascina particolarmente, nonostante alcuni aspetti della mentalità di Keplero, legati al mondo antico, Galileo non li condivida, e questo rapporto lo conforta perché il clima creato dalla Controriforma è soffocante. Leggiamo un frammento della Lettera che Galileo scrive a Keplero in data 4 agosto 1597 [lo stesso giorno in cui riceve la sua opera] all’inizio della loro corrispondenza.
LEGERE MULTUM….
Galileo Galilei, Epistolario [Lettera del 4 agosto 1597 a Giovanni Keplero]
Caro Keplero, già da molti anni sono anch’io dell’idea di Copernico, e da questo punto di vista sono state da me scoperte anche le cause di molti fenomeni naturali, che senza dubbio fuori dalla sua ipotesi sono inspiegabili. Ho già raccolto molti ragionamenti che salvano il suo sistema e che possono confutare gli argomenti contrari a tale tesi, ciò che, tuttavia, fino ad ora non ho osato dire alla luce, sgomento della sorte dello stesso Copernico, nostro maestro, il quale, anche se presso qualcuno si è procurato una fama immortale, tuttavia presso gli altri che sono infiniti (ché tale è il numero degli ignoranti) vien fuori tra risa e fischi. Io avrei il coraggio di palesare le mie riflessioni, se come te ce ne fossero molti; ma siccome le cose non stanno così, tale faccenda dovrò rimandarla. …
Dal tono di questa Lettera si capisce che Galileo è preoccupato: Giordano Bruno, che ha utilizzato la rivoluzione di Copernico per costruire il suo sistema filosofico, sta in galera e ne esce solo tre anni dopo per salire sul rogo, e per fra’ Tommaso Campanella sta per iniziare una lunghissima detenzione. Galileo non ha il coraggio di “palesare le sue riflessioni” ma non rinuncia tuttavia alla ricerca scientifica e studia “il moto” e crea e sviluppa il metodo sperimentale [come abbiamo studiato la scorsa settimana]. Nel 1609 costruisce “il perspicillo”, un cannocchiale, utilizzando e perfezionando gli strumenti ottici provenienti dall’Olanda, e comincia a esplorare il cielo con passione e con metodo, e il 12 marzo 1610 pubblica [come abbiamo studiato la scorsa settimana] un opuscolo di cento pagine che si intitola Sidereus Nuncius [La buona notizia della scoperta delle stelle] nel quale riporta tutta una serie di osservazioni che ha fatto: che la Luna ha una superficie formata da valli e monti, che la Via Lattea è un ammasso di stelle, che il pianeta Giove ha quattro satelliti che si comportano come la Luna; ebbene, tutti questi fenomeni, scrive Galileo, possono “essere salvati” soltanto all’interno del sistema ipotizzato da Copernico.
Nel settembre del 1610 Galileo viene invitato a Firenze dal granduca Cosimo II che lo nomina “primo filosofo e matematico” dello Stato fiorentino. E Galileo giunge a Firenze il 12 settembre 1610 ben accolto dalla corte medicea che si fa vanto di ospitare quello che “i liberi ingegni” [che tuttavia sono pochi] considerano un personaggio geniale: il fatto è che, anche a Firenze, gli accademici di tradizione aristotelica e gli ecclesiastici in linea con le direttive del Sant’Uffizio, considerano Galileo “un nemico del genere umano che va trattato di conseguenza”. Ma procediamo con ordine.
Prima di trasferirsi a Firenze presso la corte medicea il 12 settembre 1610, Galileo scopre [il 25 luglio 1610] «la stravagantissima meraviglia di Saturno» ma, data la limitata portata del suo cannocchiale, lui crede che gli anelli di Saturno, caratteristici di questo straordinario pianeta, siano due strani satelliti, e scrive: «La stella di Saturno non è una sola, ma un composto di tre, le quali quasi si toccano né mai tra di loro si muovono o mutano», e poi osserva le macchie solari - e queste, invece, le vede molto chiaramente - che danno a Galileo la possibilità di introdurre un nuovo argomento che smentisce un’altra intoccabile affermazione aristotelica, quella della “incorruttibilità dei cieli” [le stelle non potevano avere imperfezioni].
Poi, a Firenze, nel settembre 1610 scopre che “Venere presenta fasi come la Luna” e questa è la prima prova decisiva in favore del sistema copernicano, e Galileo può dichiarare di aver risolto due grandi questioni dibattute a lungo tra i filosofi, e scrive: «L’una questione è che i pianeti tutti sono di loro natura tenebrosi [non provvisti di luce propria come la Terra], accadendo anco a Mercurio l’istesso che a Venere; l’altra questione è che Venere necessariissimamente si volge intorno al Sole e, per analogia, intorno al Sole girano tutti li altri pianeti, cosa ben creduta da i Pitagorici, Copernico, Keplero e me, ma non sensatamente provata, come ora in Venere e in Mercurio». Queste affermazioni [visto che il fenomeno della divulgazione delle notizie si è diffuso] suscitano polemiche violentissime e sarcastiche ma Galileo mette a disposizione degli studiosi i risultati delle sue ricerche e delle sue osservazioni e ottiene le adesioni dei maggiori astronomi e matematici del tempo, prima fra tutte quella di Giovanni Keplero che, quando riesce a vedere i satelliti di Giove con un cannocchiale che Galileo ha inviato al Principe elettore di Colonia, fa un’affermazione [con un gioco di parole] che ha suscitato scalpore. Keplero, soddisfatto per quello che ha visto, pronuncia la storica frase attribuita all’imperatore Giuliano l’Apostata [331-363] quando ha dovuto prendere atto che il cristianesimo a Roma era ormai la religione dominante, e Giuliano, dopo aver tentato di ripristinare i culti ellenistico-pagani senza riuscirvi, in punto di morte [secondo la tradizione] ha affermato: «Vicisti, Galilaee! »[Hai vinto, o Galileo] ma “il Galileo” a cui Giuliano si riferisce è Gesù Cristo; ebbene, Keplero utilizza questa frase per sottolineare il fatto che Galileo Galilei ha dato inizio a una nuova epoca così come Gesù ha spaccato la Storia in due [inizia con questo aneddoto l’Età moderna?].
Di fronte a queste manifestazioni di consenso Galileo si fa coraggio e decide di andare a Roma per avere l’approvazione dei dotti padri gesuiti del Collegio Romano, cioè dell’Istituto pontificio di ricerche scientifiche, diretto da un suo estimatore, il gesuita tedesco Cristoforo Clavio, che abbiamo già citato. Il viaggio del marzo 1611 a Roma diventa trionfale per Galileo il quale, ospite dell’ambasciatore di Toscana, viene circondato dai più illustri studiosi dell’Urbe, e i padri gesuiti tengono in suo onore una riunione accademica alla quale vogliono conferire particolare solennità invitando anche i cardinali e confermano, con qualche insignificante riserva, tutte le sue scoperte scientifiche.
Il papa in carica, Paolo V [Camillo Borghese, che regna fino al 1621], lo riceve con benignità e «non comportò, scrive Galileo, c’io dicessi pure una parola in ginocchioni e gli alti prelati, gli aristocratici, i litterati, vollero guardare col mio portentoso occhiale il cielo e ascoltare la mia parola che dava anticipazioni sulla vera struttura dell’Universo». Il cardinale Maffeo Barberini [il futuro papa Urbano VIII, sponsorizzato da Campanella] scrive: «Il signor Galileo è ornato d’una incomparabile virtù» e pure l’austero cardinale Roberto Bellarmino, pur non accettando se non come ipotesi matematiche le nuove idee, non disdegna d’accostare l’occhio «al cannone overo ochiale del valente matematico, signor Galilei», e l’ammirazione generale viene riassunta dal cardinale Del Monte in una Lettera [nella quale racconta l’avvenimento] al granduca di Toscana che si conclude con queste parole: «Se noi fussimo ora in quella Republica Romana antica, credo certo che al signor Galileo Galilei sarebbe stata eretta una statua in Campidoglio, per onorare l’eccellenza del suo valore».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
A Firenze, in piazza dei Giudici, quello che si chiamava “Museo di Storia della Scienza” ora si chiama “Museo Galileo”... Lo si può visitare utilizzando una guida di Firenze, navigando in rete o di persona: in particolare attira la nostra attenzione la Sala VII che s’intitola “Il nuovo mondo di Galileo”... Questo è il momento di entrare in questa sala...
Ora noi non possiamo fare a meno di domandarci come mai, nonostante queste manifestazioni di consenso nei confronti di Galileo, di lì a qualche tempo il tribunale dell’Inquisizione, per ordine del Sant’Uffizio, lo convoca e lo mette sotto accusa?
La vittoria di Galileo produce un grande dibattito che se continuasse provocherebbe [pensano le autorità] un intollerabile sconquasso: a questo punto i teologi dovrebbero provvedere [così afferma l’autorevole matematico e astronomo gesuita Cristoforo Clavio, come riporta anche il testo della sesta scena di Vita di Galileo di Bertolt Brecht che abbiamo letto la scorsa settimana], a “rimettere in ordine il cielo” e ciò comporterebbe ammettere che non si possono mai proclamare delle verità assolute [e che le ragioni di Telesio, di Bruno e di Campanella dovrebbero essere prese in considerazione]! Dire che Galileo ha ragione e approvare il sistema copernicano, secondo il Sant’Uffizio, avrebbe una ricaduta devastante. Le scoperte di Galileo, difatti, innescano un importante dibattito nel quale lo scienziato interviene scrivendo, tra il 1612 e il 1615, quattro Lettere, dette Lettere copernicane.
Le scoperte di Galileo sono in disaccordo non solo con la dottrina aristotelica ma anche col significato letterale di alcuni passi delle Sacre Scritture in particolare il brano [i versetti 12 13 e 14] del capitolo 10 del Libro di Giosuè [e questo era il punto-chiave della contestazione al sistema copernicano perché nel testo di questo brano si presuppone che il sole giri intorno alla terra] quando, nel contesto di un cruento episodio di guerra, Giosuè prega il Signore: “sole fermati su Gabaòn e la luna sulla valle di Aialòn” [“Quando il Signore ubbidì a un essere umano e combatté a fianco degli Israeliti contro gli Amorrei”], ma gli esegeti-filologi del ‘400, come Lorenzo Valla nelle sue Annotazioni evangeliche del 1449, hanno già dichiarato d’impronta allegorica questa affermazione derivata [come si legge nel versetto 13 del capitolo 10 del Libro di Giosuè] dal Libro del Giusto una raccolta di poemi epici utilizzata dagli autori biblici per dare maggior rilievo letterario al loro testo.
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Siccome in ogni biblioteca domestica c’è una Bibbia andate a leggere i primi 15 versetti del capitolo 10 del Libro di Giosuè...
Galileo, di conseguenza, per sostenere i risultati delle sue ricerche [mentre viene attaccato tanto nelle Università quanto dai pulpiti] decide di dedicarsi, - come Copernico, Telesio, Bruno, Keplero, Campanella - all’esegesi biblica con l’intento di porre dei limiti tra la scienza e la fede … E Galileo sostiene le sue tesi esegetiche soprattutto in due delle quattro cosiddette Lettere copernicane. Nel 1613 scrive al suo discepolo Benedetto Castelli [Lettera copernicana al Castelli] e poi, più ampiamente, nel 1615, scrive alla signora Cristina di Lorena [Lettera copernicana a Madama Cristina di Lorena]: in questi due scritti Galileo pone [e molto prende da Giordano Bruno] la sottile distinzione de “la doppia rivelazione divina della verità”: la rivelazione si presenta in due forme diverse, scrive Galileo, una contenuta nei Libri Sacri e l’altra affidata da Dio alla ragione umana. Il primo tipo di rivelazione, scrive Galileo, è di dominio della religione e non si manifesta secondo il significato letterale del Testo sacro ma ne svela in chiave allegorica il senso etico [non rivela come è fatto l’Universo ma svela come deve predisporsi il cuore umano nella ricerca della via del Bene]. Il secondo tipo di rivelazione, scrive Galileo, è di dominio della scienza e Dio ha voluto che la sua interpretazione fosse affidata alla ragione umana e questa verità da svelare “è scritta in linguaggio matematico nel gran libro della natura”. Per cui, scrive Galileo, Dio, in nome del libero arbitrio, vuole che la scienza e la religione siano indipendenti l’una dall’altra e, quindi, che il diritto alla libera ricerca scientifica sia garantito.
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C’è una questione sulla quale vorreste che la ricerca scientifica facesse dei significativi passi in avanti?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Naturalmente di fronte a queste affermazioni di Galileo il dibattito si fa sempre più aspro e un certo numero di ecclesiastici condivide le tesi di Galileo compreso il cardinale Maffeo Barberini [il futuro papa Urbano VIII, come sappiamo] e fra’ Tommaso Campanella, dalla galera, sollecitato dal cardinale Bonifacio Caetani, come sappiamo, scrive l’Apologia per Galileo e nel testo di quest’opera, pubblicata a Francoforte nel 1622, traduce le tesi esegetiche galileiane concentrandole come abbiamo studiato in “cinque affermazioni di principio” che danno un fondamento autonomo al pensiero scientifico.
A questo punto il Sant’Uffizio, il 5 marzo 1616, decide di emanare un decreto che stabilisce la messa all’Indice dell’Opera di Copernico, che viene dichiarata: «stolta, assurda e formalmente eretica», e Galileo viene, in forma privata, severamente ammonito dal cardinale Roberto Bellarmino che lo consiglia [ma si tratta di una minaccia] di «astenersi da ogni discussione relativa al sistema del mondo»: Galileo, di fronte al cardinale, tace [e chi tace acconsente], ma continua, tuttavia, pur rispettando il silenzio, a studiare, a osservare, a sperimentare, a scoprire e a scrivere.
L’introduzione del decreto del Sant’Uffizio che condanna l’Opera di Copernico contiene la motivazione che ha portato i padri inquisitori [così si definiscono] a prendere questo provvedimento: in realtà - a parte la formula denigratoria che abbiamo letto [«Opera stolta, assurda e formalmente eretica»] - non viene data una valutazione di merito nei confronti del sistema copernicano [è diventato, infatti, sempre più difficile sostenere la centralità della Terra rispetto a quella del Sole e all’interno dell’istituzione ecclesiastica i telesiani, i copernicani e i galileiani sono in aumento] ma il decreto vuole sostenere quanto possa essere rischioso per l’Umanità indagare sul funzionamento della Natura quasi che questo possa influire negativamente sulla vita della gente semplice [delle masse popolari alle quali è meglio dare una prospettiva religiosa di carattere consolatorio].
E a questo proposito è utile leggere il testo della Scena VIII di Vita di Galileo di Bertolt Brecht che presenta il colloquio tra Galileo, amareggiato dopo la lettura del decreto del Sant’Uffizio, e frate Fulgenzio, figlio di poveri contadini, che ha studiato la matematica e pratica l’astronomia, il quale però, pur ammirando Galileo, è entrato in crisi di fronte al dettato delle Autorità ecclesiastiche e vuole abbandonare gli studi perché si è convinto che la libera ricerca - cambiando l’ordine delle cose - fa cadere le credenze acquisite dalle masse popolari, povere e ignoranti: credenze che rendono accettabili le loro misere condizioni di vita, dandogli addirittura un senso. Galileo respinge le argomentazioni di fra’ Fulgenzio invitandolo e stimolandolo a usare la ragione.
LEGERE MULTUM….
Bertolt Brecht, Vita di Galileo
VIII. Un colloquio. Dopo il decreto del Sant’Uffizio del 5 marzo 1616
Galileo lesse il verdetto e un monacello venne a trovarlo. Era figlio di poveri contadini,
voleva sapere come acquistare il sapere, voleva saperlo, voleva saperlo.
Palazzo dell’ambasciata fiorentina a Roma. Galileo sta parlando con frate Fulgenzio.
GALILEO Parlate pure: il vostro abito vi dà diritto a dire tutto quel che volete.
FULGENZIO Ho studiato matematica, signor Galilei.
GALILEO Con questo dovreste ammettere che due e due possono anche fare quattro.
FULGENZIO Signor Galilei, non chiudo occhio da tre notti per tentar di conciliare il decreto, che ho letto, con le lune di Giove, che ho viste. Stamattina ho deciso di dire la messa e poi di venirvi a trovare.
GALILEO Per dirmi che le lune di Giove non esistono?
FULGENZIO No. Sono riuscito a convincermi che il decreto è stato saggio. È servito a rivelarmi quanto possa essere rischiosa per l’Umanità un’indagine libera da ogni freno: tanto, che ho preso la decisione di abbandonare l’astronomia. Ma ho pure sentito il bisogno di esporvi alcuni motivi in proposito.
GALILEO So benissimo quali sono questi motivi.
FULGENZIO Capisco la vostra amarezza. Alludete a certi poteri straordinari di cui dispone la Chiesa.
GALILEO Chiamateli pure strumenti di tortura.
... continua la lettura ...
Come abbiamo detto, Galileo viene severamente ammonito dal cardinale Roberto Bellarmino che lo invita perentoriamente “ad astenersi da ogni discussione relativa al sistema del mondo”: Galileo, con una certa preoccupazione addosso, rispetta il silenzio anche se continua a studiare, a osservare, a sperimentare, a scoprire e a scrivere.
Galileo, nel 1619, scrive un Discorso sulle comete perché l’anno precedente nel cielo ne erano apparse ben tre, e il cardinale Maffeo Barberini [il futuro papa Urbano VIII] lo incoraggia a scrivere su questo fenomeno senza però tirare in ballo Copernico che è all’Indice, e Galileo, molto prudentemente con una certa preoccupazione addosso, scrive che le comete sono un’illusione ottica, un riverbero luminoso: «Si presume la cometa sia, scrive Galileo, non cosa reale ma solo apparente come gli arcobaleni e gli aloni solari e lunari, effetto ottico dei riflessi della luce solare su masse di vapori elevantisi dall’atmosfera terrestre» mentre Galileo, invece di essere reticente, avrebbe potuto approfittare dell’occasione [come aveva fatto Tycho Brahe a Praga qualche anno prima] per ribadire che le comete sono corpi d’origine celeste che viaggiano effettivamente nel cielo senza trovare ostacoli e, di conseguenza, le calotte di cristallo a cui starebbero attaccati i pianeti, come continuano a sostenere gli aristotelici, non esistono. Galileo, che comincia a vederci poco, preferisce descrivere l’efficacia del suo “metodo sperimentale” e, a questo punto, entra in scena, anche per prenderlo in giro, il gesuita Orazio Grassi [il quale sa che Galileo sta dissimulando].
Grassi compone un’opera, intitolata Libra astronomica, scritta con lo pseudonimo di Lotario Sarsi, per criticare duramente Galileo accusandolo sarcasticamente di essere un eretico per giunta pusillanime [“pauroso delle fiamme terrene e ultraterrene”]. Nel 1623 Galileo risponde a Grassi componendo in volgare Il Saggiatore, uno scritto polemico sotto forma di Lettera, che viene pubblicato a cura degli Accademici dei Lincei che lo dedicano al papa Urbano VIII [Maffeo Barberini] in occasione della sua elezione il 6 agosto 1623. Galileo ne Il Saggiatore sostiene con efficacia l’autonomia della ricerca scientifica e la concezione matematica dell’Universo ricordando a padre Grassi che in campo scientifico [e Galileo lo accusa polemicamente di essere un incompetente] ci vuole “grande precisione” [un metodo accurato e rigoroso] e, di conseguenza, non si può e non si deve usare “la libra” [come nel titolo, Libra astronomica, dell’opera di Grassi] che è una grossa bilancia [che Galileo etichetta come la metafora dei luoghi comuni che fanno apparire realtà ciò che non è], «la libra è inadatta a misurare, scrive Galileo, così delicata materia come l’astronomia», perché «per dare, afferma Galileo, un peso e una misura a ciò che è scritto in termini matematici nel libro della natura è necessaria una piccola bilancia da saggiatore »[il saggiatore - ed ecco il significato del titolo dell’opera di Galileo - è colui che pesa l’oro e gli ingredienti per preparare i farmaci]. Il Saggiatore ottiene successo e piace al papa e, di conseguenza, Galileo s’illude sia giunto il momento di stendere “il grande dialogo sulla costituzione del mondo” al quale sta pensando da oltre venticinque anni.
Nasce così il Dialogo dei Massimi Sistemi, capolavoro della letteratura scientifica di ogni tempo e di ogni paese, il cui titolo si riferisce ai massimi sistemi del mondo, il tolemaico e il copernicano. Quest’opera viene composta a Firenze dove Galileo vive, con molta lentezza a causa di tutta una serie di problemi che si frappongono a questa operazione [a cominciare anche da sopraggiunti problemi di salute, soprattutto alla vista] perché se da una parte il papa lo riceve sempre con manifestazioni “di grande stima ed affetto” [Galileo è spesso a Roma ospite del papa] dall’altra c’è il decreto del Sant’Uffizio che condiziona pesantemente il lavoro di Galileo. Quando l’opera viene completata iniziano le trattative per l’imprimatur e Galileo, in proposito, deve “impegnarsi a esporre il sistema copernicano come una semplice ipotesi matematica «senza concedere ad esso la verità assoluta» e il papa lo obbliga anche, nella parte finale del Dialogo, a scrivere un inno sull’onnipotenza divina per dichiarare che «Dio, a sua discrezione, può aver disposto i cieli in molti modi inescogitabili dal nostro intelletto, e che il pretendere di svelare il grande arcano della natura col ridurla a una particolare fantasia umana significa limitare e coartare la divina potenza e sapienza», per cui l’ultima parola sulla realtà dell’Universo non spetta alla scienza ma alla fede.
Galileo deve accettare queste imposizioni ma non può fare a meno di usare il sarcasmo e, quindi [così come in tutto il testo del dialogo ha giocato d’astuzia per raggiungere l’obiettivo che si è proposto], pone in bocca al personaggio di Simplicio [che passa per ignorante] le parole dell’inno conclusivo, e il papa - messo in guardia dai membri del Sant’Uffizio - ha prima il sospetto e poi la convinzione di esser stato ritratto e preso in giro nella figura di Simplicio.
Il Dialogo dei Massimi Sistemi è una conversazione della durata di quattro giorni tra tre personaggi: il primo è Filippo Salviati [1582-1614], gentiluomo fiorentino, accademico dei Lincei e della Crusca, devoto amico di Galileo, che con grande acume e logica inesorabile, mettendo in evidenza le prove date da Galileo, difende l’immagine copernicana del mondo; il secondo personaggio è Francesco Sagredo [1571-1620], gentiluomo veneziano e anch’egli grande amico ed estimatore di Galileo, nel cui palazzo sul Canal Grande si svolge il dialogo, il quale si dimostra poco competente nella materia astronomica e non prende posizione ma, dopo aver soppesato attentamente le argomentazioni, propende decisamente per l’immagine copernicana del mondo; il terzo personaggio è Simplicio - al quale Galileo, facendo finta di volergli dare una certa importanza, attribuisce il nome di un celebre filosofo neoplatonico del VI secolo, grande commentatore delle Opere di Platone e di Aristotele - che nel dialogo sostiene, con il pedante linguaggio della tradizione, l’ormai desueto pensiero aristotelico cadendo spesso in contraddizione. Ci vuole poco a capire che in quest’opera [non facile da leggere] Galileo, attraverso la voce dei personaggi, proclama che il sistema copernicano non è una fantasia, non è un’ipotesi ma descrive, con il supporto imprescindibile della matematica e dell’osservazione, l’immagine di un Cosmo che mostra il Sole al centro e la Terra che, insieme agli altri pianeti, gli gira intorno.
I membri del Sant’Uffizio, confidando nel ruolo di controllore che ha Urbano VIII sul pensiero di Galileo, quando si rendono conto della portata alternativa di quest’opera, intervengono decisamente presso il papa e lo sollecitano a cessare di proteggere “lo stolto scienziato” e lo obbligano a prendere provvedimenti nei suoi confronti.
Il Dialogo dei Massimi Sistemi viene stampato nel febbraio del 1632 a Firenze e Galileo lo dedica a Ferdinando II de’Medici [1610-1670] granduca di Toscana, succeduto a Cosimo II nel 1621. Nel luglio del 1632 l’Inquisitore di Firenze riceve l’ordine da Roma di farne sospendere la vendita, e gli si comanda di comunicare a Galileo che a settembre dovrà recarsi a Roma per mettersi a disposizione del Sant’Ufficio. Galileo, fidando nella protezione del granduca [del quale è pur sempre primo matematico e filosofo], tenta invano di resistere, porta come pretesto la tarda età, la salute malferma, l’inclemenza della stagione, ma poi nuovi ordini minacciosi, nei confronti dei quali il granduca non può far nulla, lo obbligano a mettersi in viaggio per Roma.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il cinema si è occupato della figura di Galileo e nel 1968 la regista Liliana Cavani ha girato un film intitolato Galileo, mentre nel 1975 il regista Joseph Losey ha girato un film tratto dal dramma Vita di Galileo di Bertolt Brecht... Gli ultimi anni di Galileo Galilei è il titolo di un’opera teatrale di Ippolito Nievo, e speriamo che qualche compagnia, prima o poi, la metta in scena visto che l’ultima rappresentazione c’è stata nel 1854...
A Firenze, nella zona di Arcetri, potete, in particolare, visitare “Villa il Gioiello” dimora [come sapete] di Galileo dal 1631, in via di Pian dei Giullari 42... Galileo è per noi uno di casa...
E, ora, a questo proposito, è utile leggere il testo della Scena XII di Vita di Galileo di Bertolt Brecht che presenta il colloquio tra il papa Urbano VIII che tenta di difendere Galileo e un simbolico Cardinale Inquisitore [quello che ha sempre l’ultima parola] che sollecita il papa ad intervenire nei confronti dello scienziato perché “non si può fondare la compagine umana sul dubbio ma, bensì, va fondata sulla fede.
LEGERE MULTUM….
Bertolt Brecht, Vita di Galileo
XII. Il Papa a colloquio con il Cardinale Inquisitore.
In Vaticano. Papa Urbano VIII, durante la vestizione, sta dando udienza al Cardinale Inquisitore.
PAPA (a voce altissima) No, no e no!
INQUISITORE Dunque, Vostra Santità si prepara davvero a dire ai suoi dottori di ogni facoltà, ai rappresentanti degli ordini ecclesiastici e del clero tutto, qui convenuti con la loro ingenua fede nella parola di Dio tramandata dalla Scrittura, che non si deve più credere alla Bibbia?
PAPA Non voglio mettermi contro la tavola pitagorica. Questo poi no!
INQUISITORE Contro la tavola pitagorica o contro lo spirito del dubbio e dell’insubordinazione? Il mondo, Santità, è percorso da un’inquietudine nefanda, e l’inquietudine dei loro cervelli costoro la trasferiscono alla terra, alla terra immobile. «Le cifre parlano chiaro»: questo è il loro grido di battaglia! Ma da dove provengono quelle cifre? È presto detto: dal dubbio. Loro mettono in dubbio ogni cosa, e possiamo noi fondare la compagine umana sul dubbio anziché sulla fede? … Ed ecco, d’altro canto, l’amore di Vostra Santità per le arti fatto oggetto di frizzi ingiuriosi, come quello che si legge sui muri delle case romane: «Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini»! E fuori d’Italia?
... continua la lettura ...
Il Saggiatore e il Dialogo dei Massimi Sistemi sono opere complesse e di difficile lettura [ma si deve sapere] che hanno come obiettivo quello di diffondere l’applicazione di “un metodo sperimentale” attraverso il quale si possa dimostrare il reale funzionamento del sistema copernicano, e poi è bene sapere che da questi testi emergono alcune considerazioni significative che vanno a costituire la sintesi di pensiero [in chiave teologica, senza che Galileo coltivi un particolare interesse per la Teologia] di quella della feconda stagione che è stata definita “naturalistica” la quale è fiorita [e l’abbiamo vista fiorire] sul territorio che abbiamo attraversato nel corso di questo lungo viaggio [incontrando, tra gli altri, Bernardino Telesio, Giordano Bruno e Tommaso Campanella che - come abbiamo studiato - sono i grandi protagonisti di questa stagione agli albori dell’Età moderna]. E allora riflettiamo.
Chi governa la Chiesa della Controriforma capisce che dare ragione a Galileo - accettare i concetti contenuti nelle sue Opere, in particolare Il Saggiatore e il Dialogo dei Massimi Sistemi - significa far crollare, insieme ai cieli di Tolomeo, anche una serie di dogmi che caratterizzano la dottrina: il mutamento dell’immagine del mondo porta alla revisione di tutte le certezze consacrate dalla tradizione e spoglia la realtà di tutti i significati simbolici a cui la Chiesa ha dato un valore e, prima di tutto, cade il dualismo simbolico per eccellenza: la divisione tra la Terra e il Cielo, tra la casa degli Umani e il trono di Dio. E spaventa il fatto che il pensiero di Galileo abolisce totalmente la mediazione della Chiesa tra l’essere umano e il mondo perché i rapporti tra la singola persona e il mondo vengono regolati dalla ragione scientifica e non dai dogmi della religione. I processi intentati a Galileo, e la messa all’Indice delle sue Opere, ubbidiscono a queste ragioni ideologiche e i detentori del potere teologico, impauriti temendo di perdere il loro ruolo, si pongono delle domande inquietanti: se la Terra è solo un pianeta tra i pianeti per quale privilegio essa [si domandano i teologi] dovrebbe essere il luogo della Storia della salvezza e della redenzione? Nell’ipotesi che negli altri pianeti vi siano degli abitanti non appartenenti alla stirpe di Adamo, in che modo Dio [si domandano i teologi] si è rivelato a loro? E che senso ha per gli extraterrestri [che è un termine coniato dalla teologia della Controriforma] l’incarnazione di Gesù? E se i Cieli sono corruttibili, sono non-regolari, sono non-perfetti dove [si domandano i teologi] si potrà collocare il trono di Dio? E che ne è [si domandano i teologi] della dignità dell’essere umano se non è più al centro dell’Universo? Il “caso Galileo” causa una spaccatura tra il progresso scientifico e la Chiesa e ci sono voluti tre secoli e mezzo perché la Chiesa cattolica, con il Concilio Ecumenico Vaticano II [1962-1965], non solo riprendesse in considerazione Galileo, ma facesse anche sue “le ragioni di Galileo”. E quali sono “le ragioni di Galileo” che emergono dalle sue Opere?
Galileo, nelle sue Opere, si ritrova a fare la sintesi di pensiero [in chiave teologica, senza coltivare un particolare interesse per la Teologia], della feconda stagione che è stata definita “naturalistica”, che è fiorita sul territorio che abbiamo attraversato nel corso di questo lungo viaggio [incontrando, tra gli altri, Bernardino Telesio, Giordano Bruno, Tommaso Campanella]. Galileo scrive: «Siccome Dio ha suggerito la Bibbia e ha creato la Natura, è tanto autore del Libro della salvezza quanto del Libro della realtà e, di conseguenza, la Scrittura della Bibbia contiene una verità salvifica mentre il Libro della Natura è depositario di una verità scientifica e, quindi, la Bibbia insegna non come va [come funziona] il Cielo ma come si fa ad andare in Cielo, e Dio, nella Bibbia, si esprime con un linguaggio allegorico per farsi capire da ogni persona in ogni tempo, mentre nella Natura Dio parla un linguaggio scientifico [matematico] che ogni persona “ragionevole” deve imparare a comprendere e il compito dello scienziato, del matematico, del filosofo è quello di indagare [di fare ricerca] senza pregiudizi di tipo dogmatico »[e lui - come Telesio, Bruno e Campanella - ci tiene a essere considerato filosofo]. I pregiudizi dogmatici, scrive Galileo, creano situazioni ridicole e, a questo proposito, nelle sue Opere fa notare l’evidente incongruenza per cui “il magistero di Aristotele è diventato conforme al magistero della Chiesa” senza tenere conto del fatto, scrive Galileo, che dall’anno Mille al Millecinquecento chi pronunciava il nome di Aristotele rischiava di finire sul rogo, e i Filosofi scolastici, scrive Galileo, hanno vissuto pericolosamente [vedi Tommaso d’Aquino] quando hanno usato [disobbedendo al Magistero] le Opere di Aristotele per costruire il potente apparato filosofico della teologia cristiana [di cui l’icona de La Scuola di Atene di Raffaello, come abbiamo studiato a suo tempo, ne è la sintesi e il papa l’ha voluta in camera sua]. Così è successo che adesso, scrive Galileo ironico, agli albori del 1600, è chi nega il magistero di Aristotele conforme al magistero della Chiesa che rischia di finire sul rogo e tutto questo [se non fosse tragico, scrive Galileo] è ridicolo, quindi, è sempre dannoso coltivare pregiudizi di tipo dogmatico, e la Chiesa, scrive Galileo provocatoriamente, deve imparare dalla scienza a liberarsi da questo deleterio atteggiamento. Si capisce che Dio, scrive Galileo nelle sue Opere, lascia la persona libera di descrivere la Natura secondo quello che vede con i suoi mezzi, ed è chiaro che quando c’è un contrasto tra il testo biblico e la legge della Natura bisogna dare la precedenza alla Natura perché la Bibbia non è palesemente un libro scientifico ma è, per volontà di Dio, come tutti i Padri della Chiesa hanno affermato, un testo etico. Quindi la persona, scrive Galileo, ubbidisce a Dio quando studia, con metodo scientifico, le Leggi della Natura e non quando accetta in modo acritico quello che la Bibbia scrive in termini allegorici sui comportamenti della Natura. E per Galileo che cosa significa “fare ricerca in modo scientifico”? Galileo, nelle sue opere: Il Saggiatore e il Dialogo dei Massimi Sistemi, insegna che bisogna partire dall’osservazione di un fenomeno con il metodo dell’induzione [dobbiamo imparare, scrive Galileo, a ragionare in modo induttivo] cioè dal particolare: «Osservando bene [scrive Galileo] tutti i casi singoli senza fermarci lì perché dobbiamo poi tradurre i dati dell’osservazione del fenomeno in termini matematici in modo da poter formulare un’ipotesi che ci porti dai casi particolari a un presupposto universale». L’ipotesi formulata, scrive Galileo, non è la verità e va sempre verificata e controllata con “la sensata esperienza” [con l’esperimento] e bisogna compiere esperimenti, scrive Galileo, in condizioni particolari usando, in questo caso, il ragionamento deduttivo, dall’universale al particolare, per poi convalidare, sempre in termini matematici, l’ipotesi di partenza. Se gli esperimenti danno un esito positivo, scrive Galileo, allora l’ipotesi ne esce confermata ma neppure in questo caso diventa la verità, bensì, si trasforma in una Legge che funziona fino a che altre ipotesi sperimentate non la supereranno. Il metodo sperimentale, scrive Galileo, non consiste nel cercare e nel cristallizzare la verità ma serve per conoscere le complesse Leggi della Natura e forse, scrive Galileo, è in questo modo, per ipotesi non per dogmi, che ci si può avvicinare a Dio e, in questo ragionamento, emerge la radice neoplatonica della formazione galileiana.
Galileo vuole che la scienza si emancipi, che si renda autonoma, però lui continua a sentirsi dipendente dalla filosofia: vuole [come Telesio, come Bruno, come Campanella] essere chiamato “filosofo” piuttosto che astronomo o matematico perché la sua formazione neoplatonica lo induce ancora a domandarsi “il perché delle cose”, e alla domanda: perché la ricerca scientifica? Galileo risponde: per avvicinarsi all’Idea del Bene.
Oggi Galileo è stato tradito da quegli scienziati che hanno rinunciato a chiedersi “il perché” della ricerca, limitandosi a definire “il come”. La presunta neutralità per cui non s’indaga sull’essenza della ricerca non piace a Galileo, la scienza non può essere neutrale ma deve essere di parte: deve avvicinare l’Umanità sempre di più all’idea del Bene contrariamente, afferma Galileo, non si può parlare di scienza ma di speculazione [affare, traffico, lucro, mercanteggiamento, sfruttamento].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quando, secondo voi, non si può parlare di scienza ma di speculazione?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Il 20 gennaio 1633 Galileo [vecchio, stanco e malato, dopo aver perso anche la protezione del granduca di Toscana che deve inchinarsi di fronte al Sant’Uffizio], nel pieno dell’inverno, è costretto a partire per Roma e a presentarsi di fronte al tribunale dell’Inquisizione con l’imputazione di essere «veementemente sospetto d’eresia». Galileo, recluso nel convento di S. Maria sopra Minerva, subisce un processo che dura cinque mesi: il 22 giugno 1633 viene emessa la sentenza che può essere mitigata se l’imputato, ritenuto colpevole, firmerà l’abiura. Perché firma?
Questo viaggio sta per concludersi c’è, però, ancora una tappa da percorrere [un po’ più breve ma pur sempre densa e orientata verso un nuovo inizio]: giovedì 24 maggio a Tavarnuzze per i due gruppi uniti del Chianti e lunedì 28 maggio per il gruppo fiorentino. Non perdete, quindi, l’ultimo itinerario di questo viaggio.
Galileo non ritiene sia beato un Paese che ha bisogno di eroi ma pensa che sia felice un Paese in cui le persone non perdono mai la volontà di imparare e pretendono che la Scuola sia aperta a tutti…