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SUL TERRITORIO DEL SECOLO DELLA SCIENZA FILTRA [CON PRUDENTE AMBIGUITÀ] L’IDEA CHE SI DEBBANO METTERE TUTTE LE ATTIVITÀ UMANE SOTTO IL CONTROLLO DELLA RAGIONE E SOTTO LA GUIDA DELL’INTELLETTO ...

Lezione N.: 
18

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi 

La sapienza poetica e filosofica del ‘600: il secolo della scienza  10-11-12  aprile 2019

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DELLA SCIENZA

FILTRA [CON PRUDENTE AMBIGUITÀ] L’IDEA CHE SI DEBBANO METTERE TUTTE LE ATTIVITÀ UMANE

SOTTO IL CONTROLLO DELLA RAGIONE E SOTTO LA GUIDA DELL’INTELLETTO ...

     Questo è il diciottesimo itinerario del nostro viaggio [e questa sera avete ricevuto anche il Questionario che, con le nostre scelte, ci permette di dare una forma al territorio che abbiamo attraversato. Compilatelo con calma, avete tempo, perché come già sapete la Lezione di questa sera prelude alle vacanze di Pasqua, del 25 aprile e del 1° maggio che, come da calendario, si presentano tutte in fila e, di conseguenza, ci si ferma per tre settimane].

     Come ben sapete ci troviamo sul territorio del ‘600, che è stato definito il secolo della scienza. E in queste ultime settimane ci siamo intrattenute e intrattenuti con Renato Cartesio [René Descartes] del quale come ricorderete abbiamo conosciuto gli aspetti salienti e documentati della sua biografia, i principali temi contenuti nei testi delle sue Opere e i punti rilevanti del suo pensiero [abbiamo seguito le sue riflessioni sul tema dell’esistenza del dubbio metodico, di Dio come supremo garante della Verità e dell’Io]. Cartesio riflette [e noi abbiamo seguito, facendo l’analisi, la sua riflessione] in modo che la persona con una sintesi possa affermare: «Io dubito dunque penso e, se penso, sono e, se sono, Io so di essere il mio stesso Pensiero». Questo ragionamento contiene l’idea che “la persona deve saper porre sotto il controllo della ragione che agisce sotto la guida dell’intelletto tutte le sue attività” e deve prendere atto che un’affermazione di questo tipo rimanda inevitabilmente a due interrogativi che - sulla scia del pensiero cartesiano - continueranno ad accompagnarci nei viaggi a venire sul territorio della modernità: il primo interrogativo è “che cos’è l’Io, che natura ha?” [e sentiremo parlare, strada facendo nei secoli che verranno, di Io puro, Io spurio, Io personalizzato, Io pseudonimo, Io collettivo, Io narrante e via dicendo], mentre il secondo interrogativo è “che cos’è il Pensiero, che natura ha?”, un quesito che rimanda a un’ulteriore domanda fondamentale chiave: quando, come e perché possiamo parlare di Pensiero “Umano”?

     Come abbiamo detto in conclusione dell’itinerario della scorsa settimana, Cartesio, nonostante abbia dato inizio a questa riflessione che si colloca sul piano etico, è stato accusato di trascurare il tema della Morale e, quindi, decide di trattare la questione con determinazione partendo da un interrogativo semplice ma stimolante e provocatorio: “Ma noi esseri umani lo sappiamo che cosa ci stiamo a fare al mondo?” [che senso ha vivere?]. E questo interrogativo, per Cartesio, corrisponde a un quesito che comporta [che comporterebbe] una presa di coscienza consapevole: “La persona [si domanda Cartesio] è consapevole del fatto che la fondazione della Morale dipende dalla capacità che ha la mente umana, supportata dalla ragione e guidata dall’intelletto, di elaborare principi chiari, distinti e ben definiti in modo che la persona possa sempre orientare i propri comportamenti verso il Bene comune?”. Ma che cosa significa, per Cartesio, che la persona deve essere capace di elaborare principi morali che siano chiari, distinti e ben definiti: in che senso fa questa affermazione?  [Riflettiamo con la consapevolezza che non si tratta di una passeggiata ma di un’escursione impegnativa].

     Cartesio pensa che ogni persona debba partecipare a fondare una Morale che sia basata su principi chiari, distinti e ben definiti e, contemporaneamente, ritiene che quello che lui chiama “un solido edificio morale” vada edificato [s’insegni a edificarlo] con la dovuta gradualità e, di conseguenza, la persona, afferma Cartesio, si troverà sempre a fare i conti [e Cartesio ragiona sempre da matematico] con la costruzione di “una Morale provvisoria”. Che cosa significa affermare che la persona deve imparare a fare sempre i conti con “una Morale provvisoria”?  Cartesio [per evitare di essere condannato per “disfattismo”] utilizza con molta prudenza la dicitura “Morale provvisoria”, e la sua [come quella di padre Mersenne sul piano esegetico] viene definita “una prudente ambiguità” [perché Cartesio imbastisce un ragionamento sul filo del rasoio]: questo è un atteggiamento che diventa un vero e proprio “stile” [un “habitus ambiguus”] che contraddistingue il comportamento di quelle persone [che vanno a costituire un movimento di pensiero] che, in questo periodo, si dedicano alla ricerca scientifica mettendo in primo piano l’apporto della ragione guidata dall’intelletto. Cartesio sa che può sembrare strano [e anche blasfemo per gli apparati di potere tanto religiosi quanto profani] accostare l’aggettivo “provvisorio”, che richiama qualcosa di momentaneo, revocabile e malsicuro, al termine “Morale”, però è convinto che un principio morale non possa essere mai fissato per sempre, definito in eterno e in modo irrevocabile perché la Storia del Pensiero insegna, afferma Cartesio, che le regole, le norme, le dottrine, anche i dogmi non hanno una validità assoluta in eterno, contrariamente ai postulati della Matematica e ai Valori umani universali [uguaglianza, giustizia, pace, solidarietà, misericordia]. Per cui quando Cartesio afferma che si deve fondare una Morale basata su principi chiari, distinti e ben definiti intende non una Morale assoluta ma “una Morale che sia utile” perché:  «non c’è niente di peggio del dogmatismo morale che produce non comportamenti etici ma atteggiamenti ipocriti»[come sta scritto nella Letteratura dei Vangeli].

     Ma quando Cartesio, chiamato ad esprimersi, elenca i punti di quella che considera “una Morale che sia utile” fa capolino “la sua prudente ambiguità” [e, quindi, bisogna procedere facendo la massima attenzione - come lui fa - nel camminare su questo sentiero impervio]. La Morale che Cartesio definisce “utile e provvisoria” deve fondarsi, scrive Cartesio, su quattro punti fondamentali: «Come primo punto è utile che la ragione della persona si conformi agli usi e ai costumi civili del paese in cui vive. Come secondo punto è utile che la persona, fra le varie vie possibili che le si presentano, ne scelga una, sia pure a caso, e poi la segua risolutamente come se questa via fosse stata scelta in base a un criterio razionale. Come terzo punto  è utile che la persona non voglia piegare la Natura ai suoi voleri ma che adatti il proprio intelletto alla Natura in modo da non aspirare a cose impossibili. Come quarto punto è utile che la persona consideri a fondo le varie attività umane per poi scegliere la propria occupazione secondo ragion veduta».

     Ma a che gioco sta giocando Cartesio? Sembra - con questi quattro punti dotati di una banalità disarmante - che lui stia battendo la strada del conformismo presentando quattro affermazioni che, formalmente, invitano la persona a ubbidire a criteri di buon senso, mentre invece con “prudente ambiguità” detta sul piano etico una norma di comportamento dirompente, contenente l’idea che la persona deve essere decisa, risoluta e costante nell’azione e nella ricerca, in modo da porre sotto il controllo della ragione e sotto la guida dell’intelletto tutte le sue attività: questa è la regola che ogni persona deve far propria per partecipare a fondare una morale utile [fruttuosa] e provvisoria [sempre migliorabile], basata su principi chiari e ben definiti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In quale occasione avete usato [o dovuto usare] “una prudente ambiguità” facendo credere di aderire a una regola da voi non condivisa per poi trasgredire tacitamente?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Ufficialmente Cartesio [così come padre Mersenne] si presenta come “un conformista che si adatta alla mentalità del suo tempo” mentre, in realtà, s’impegna con circospezione a far filtrare nella società e nella comunità scientifica, l’idea poco gradita agli apparati di potere di mettere tutte le attività umane sotto il controllo della ragione e sotto la guida dell’intelletto, e questa idea favorisce la nascita di un eterogeneo “movimento di opinione” [complessivamente denominato “libertinage”] che deve agire sotto traccia con prudente e necessaria ambiguità perché è un periodo in cui tutte le idee sono sottoposte a un ferreo controllo da parte dei regimi [religiosi e profani].

     In Francia per esempio, nel corso del ‘600, si assiste all’instaurazione del “regime assoluto” [un modello istituzionale di grande successo]: la Francia di Cartesio [e di padre Mersenne] è quella di Luigi XIII detto il Giusto al quale nel 1643 succede il figlio, Luigi XIV [detto il Re Sole che, paradossalmente, non è estraneo al libértinage], il quale afferma senza alcun pudore «lo Stato sono Io» mentre gli scienziati devono stare molto attenti alle affermazioni che fanno. Riflettiamo seguendo la scia di Cartesio.

     Per noi, oggi, le affermazioni di Cartesio [e degli scienziati secenteschi] sono acquisite: affermare per esempio, come fa Cartesio che «il Corpo umano, la Natura e tutto l’Universo, e anche i sogni e le passioni, sono “macchine” [apparati meccanici] delle quali dobbiamo scoprire il funzionamento» risulta essere un’asserzione molto pericolosa e, quindi, Cartesio, in quanto sperimentatore del funzionamento di queste “macchine”, è sempre a rischio, insieme a tutti coloro che la pensano e che agiscono come lui. Cartesio - portando avanti le ricerche che già da secoli altri scienziati hanno intrapreso - sa che il corpo degli animali e degli esseri umani è “una macchina idraulica percorsa da tubi nei quali circolano costantemente dei fluidi” [e questa realistica affermazione va fatta con prudenza perché detta in questi termini viene considerata come se fosse un insulto nei confronti di Dio Creatore]. I nervi, scrive Cartesio, sono come piccoli cordoni che provengono tutti dal cervello, lungo e dentro i quali soffia un vento leggerissimo, che chiama “lo spiritus”. Nelle vene e nelle arterie, scrive Cartesio, circola il sangue che va in ebollizione quando entra nel cuore, l’organo caldo per eccellenza [così come Aristotele definisce il cuore], ed è subendo questo processo di riscaldamento, dovuto al cuore, che il sangue si dilata e circola.

     È bene sapere che, in questo momento, parlare di “circolazione del sangue” non è troppo prudente, ma Cartesio studia questo fenomeno ed è anche per merito suo [sebbene le sue ipotesi risultino ancora involute] se William Harvey nel 1628 rende nota “la teoria sulla circolazione del sangue” e “la teoria sul cuore come muscolo pulsatile”. Per Cartesio nella Natura non ci sono né forze occulte, né segreti, né meccanismi divini perché oramai “l’epoca della tecnologia” come ha insegnato Francis Bacon è cominciata e, anche quando Cartesio è sollecitato a dire dove, nella persona, ci possa essere un punto d’incontro tra l’anima e il corpo, ebbene, quando deve spiegare in che modo sia possibile che due sostanze così diverse, come la materia e lo spirito, possano avere dei rapporti tra loro, la risposta di Cartesio è di “carattere fisiologico”: «L’anima si trova in una ghiandola piccolissima del cervello, la ghiandola pineale »[l’epifisi]. Le parti del cervello e del cuore, afferma Cartesio, sono doppie, come sono doppie le mani, i piedi, gli occhi, il naso, le orecchie [eccetera...], ebbene, «la ghiandola pineale [così afferma Cartesio, mentre seziona cadaveri clandestinamente] è l’unico componente della macchina umana senza doppio perché il suo compito è quello di unificare». Ma, naturalmente, il ragionamento di Cartesio non risolve certo il problema dei rapporti tra l’anima e il corpo [tra la materia e lo spirito, e a maggio torneremo a riflettere su questo dualismo...] e, difatti, quando, per ora, gli si fa notare che lui ha solo “spostato il problema”, Cartesio, candidamente, con tutto il candore che ha l’ironia, risponde che “Dio [la sua speciale Carta di credito] ha voluto così”: con questa affermazione perentoria non intende dire che “Dio ha concepito le ghiandole come deposito dell’anima o dello spirito” [questa è un’affermazione puramente ipotetica] ma intende affermare che «proprio in questo momento storico Dio vuole che abbia inizio l’epoca della fisiologia, della tecnologia, della scienza, così come, fin da principio, Dio ha voluto che cominciasse l’epoca della Matematica [«Nel momento in cui il pensiero creatore di Dio si mette in moto - afferma Cartesio - inizia la Matematica così come noi la conosciamo»] e, tutto ciò, per volere di Dio, ha avuto inizio per il Bene dell’Umanità». La Storia della salvezza, pensa Cartesio, si muove nella direzione indicata dalla scienza su un binario formato da “la volontà di Dio” e da “il libero arbitrio di cui l’Io usufruisce”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Incuriosirsi è bene e, quindi, utilizzando l’enciclopedia [tanto cartacea quanto telematica] andate a leggere che cosa si dice della “epifisi” [la ghiandola pineale]... Non è facile [per i non addetti ai lavori] capire tutto ciò che viene detto in relazione a questo singolare oggetto anatomico, tuttavia prenderete atto che, nel corso della spiegazione, viene nominato anche Cartesio e verrete a sapere che “tuttora il significato fisiologico dell’epifisi non è completamente noto [e, in questa atmosfera di incertezza e di mistero, potrete anche sentire la risata compiaciuta di Cartesio al quale piace rimanere al centro dell’attenzione quando si parla di questo oggetto anatomico non ancora ben definito nelle sue funzioni]”...   

     Come abbiamo detto poco fa, Cartesio pensa che la Storia della salvezza si muove nella direzione indicata dalla scienza [perché la scienza non può che operare a fin di Bene, altrimenti scienza non è...], e questo movimento avviene su un binario formato da “la volontà di Dio” e da “il libero arbitrio in possesso dell’Io”, e Cartesio vuole cimentarsi con questo ennesimo paradosso: come si concilia la volontà indiscutibile di Dio con il libero arbitrio dell’Io?

     I due cardini principali del pensiero etico di Cartesio sono “la volontà di Dio” e “il libero arbitrio che assicura l’autonomia della persona [dell’Io]”, e Cartesio riflette sul fatto che “il concetto dell’autonomia dell’Io” è teoreticamente in contrasto con “il concetto della volontà di Dio” perché, afferma Cartesio, in caso di conflitto, è sempre la volontà di Dio a prevalere imponendo la sua potenza, per cui gli uomini di potere credono [s’illudono,] di poter agire come se la loro volontà s’identificasse con quella di Dio, ma la persona saggia sa [perché l’autonomia del proprio Io glielo suggerisce] che “la volontà di Dio sta sempre sopra ogni autorità umana” [e nessun potere umano - afferma Cartesio - può vantarsi di esistere per grazia di Dio e di comandare in nome di Dio].

     Questo ragionamento cartesiano corrisponde a un orientamento politico contrario all’egemonia che si sta imponendo dei regimi monarchici assoluti, e si pone come un atto rivoluzionario. Cartesio pensa che si debba demolire il presupposto su cui si basa la pretesa dei monarchi di esercitare “il potere assoluto”, Cartesio nega che “la volontà di Dio possa passare direttamente attraverso la volontà del re, sé-dicente monarca per volontà divina”, ma Cartesio sa anche che chi denuncia esplicitamente questo [malaugurato] impianto ideologico fa una brutta fine e, quindi, [lui e tutti quelli che la pensano come lui] ritiene, di conseguenza, sia un atteggiamento prudente quello di non contraddire pubblicamente [agendo con prudente ambiguità] l’idea nefasta che “la volontà del re s’identifica con i voleri di Dio”.

     In proposito, c’è un episodio in cui Cartesio è costretto a essere prudente, ambiguo, ma non succube. Di che episodio si tratta? Cartesio vive prudentemente in Olanda ma, ogni tanto, fa [tacitamente] una scappata a Parigi, ospite di padre Mersenne, ma il re Luigi XIII, tramite i servizi segreti, viene a conoscenza della sua presenza in città nel corso di una di queste visite lampo. Il re sa benissimo che Cartesio, sebbene sia un suddito piuttosto riottoso e per giunta sgradito all’Inquisizione, è uno studioso di valore e va rispettato e, quindi, per metterlo alla prova e per dimostrare la sua magnanimità di sovrano, lo invita a corte. Cartesio è molto preoccupato ma deve accettare l’invito e, insieme a padre Mersenne, viene ricevuto nel Castello di Fontainebleau, e immagino che abbiate visitato la cittadina turistica e climatica di Fontainebleau che si trova a una cinquantina di chilometri da Parigi, situata a breve distanza dal corso della Senna e nel bel mezzo della famosa foresta omonima, una località divenuta celebre soprattutto per il Castello che è stato una delle più grandi dimore reali di Francia, un sito di grande interesse storico e artistico. Cartesio, accolto con fare magnanimo dal re, viene invitato a tenere un discorso e lui con grande arguzia, dimostrando tutta la sua conoscenza delle tecniche pittoriche e decorative, tiene una conferenza,  apparentemente apologetica sulla lungimiranza dei re francesi, sulla preziosa raffinatezza formale che contraddistingue “la [famosa] Scuola di Fontainebleau”, un grande laboratorio artistico nato con il contributo dopo il 1527, in pieno Rinascimento, di un gruppo di esperti artisti italiani, i maggiori rappresentanti del cosiddetto “manierismo cinquecentesco” [Rosso Fiorentino, Francesco Primaticcio, Nicolò dell’Abate, Sebastiano Serlio, Jacopo Barozzi detto il Vignola] che sono stati chiamati ad affrescare l’interno del Castello realizzando dei capolavori. Poi Cartesio, oltre che di Storia dell’Arte, parla [con prudente ambiguità] anche di Filosofia e di Religione concludendo il suo discorso con un’affermazione, passata alla storia nell’ambito della “prudenza ambigua”, della quale il re Luigi XIII si compiace pensando di aver ricevuto da un suddito riluttante come Cartesio un’approvazione per avere appena proclamato il suo “potere assoluto” [abolendo tutti gli organi di controllo sull’operato del sovrano in campo legislativo, esecutivo e giudiziario per cui la persona del re viene a identificarsi con lo Stato stesso]. Dice Cartesio al termine del suo discorso di Fontainebleau: «Io credo nella stessa religione del mio re e della mia nutrice». Ma appena torna al suo posto tra gli applausi dei membri della corte, parlando a bassissima voce all’orecchio di padre Mersenne [al quale dobbiamo la conoscenza di questo episodio che lui descrive in una Lettera del suo prezioso Epistolario], Cartesio completa questo discorso per snaturarne l’intento celebrativo nei confronti del re e per chiarirne il risvolto filosofico, con il pensiero rivolto alla sua nutrice: «Ho detto, facendo uso della nostra prudente ambiguità, che io credo nella stessa religione del mio re e della mia nutrice, ma è evidente che i comportamenti del mio re dipendono più dalla sua digestione che dalla volontà di Dio, mentre i comportamenti della mia nutrice, vecchia contadina, dipendevano direttamente dalla bontà, dalla misericordia e dalla giustizia di Dio. Sul piano del ragionamento il mio re deduce dalla sua imbecillità, mentre la mia nutrice intuiva la Verità attraverso l’idea del Bene che l’amore e la volontà di Dio avevano posto in lei».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della Francia e navigando in rete fate una visita a Fontainebleau per ammirare soprattutto gli affreschi dei “manieristi cinquecenteschi” che meritano di essere conosciuti...

     Cartesio proclama che “per fare la volontà di Dio” ci si deve basare sulla bontà, sulla misericordia, sulla giustizia e sulla sapienza che sono attributi divini chiari e distinti profusi da Dio nella sostanza pensante e, quindi, anche nell’Io di ciascuna persona, e, di conseguenza, se il re pretende senza giustificazione che i suoi voleri s’identifichino con la volontà di Dio senza però essere buono, misericordioso, giusto, sapiente, e dimostrando anche di ignorare le norme classiche del diritto [ignorando che non può esistere una sovranità assoluta, perché la sovranità, per entrare in esercizio, deve essere regolamentata, deve sottostare a delle regole], se il re soffre di imbecillità a causa della sua reale o presunta ignoranza, è lecito, afferma Cartesio, che venga spodestato [perché l’imbecillità e l’ignoranza sono due malattie, dalle quali, chi ha la pretesa di governare, deve guarire, e il farmaco utile per percorrere la via della guarigione è lo studio].

     Durante il viaggio in carrozza per tornare a Parigi, dopo la visita a corte, padre Mersenne, come scrive nella Lettera del suo Epistolario con la quale ci fa conoscere questo episodio, invita Cartesio [che è già pronto, il giorno dopo, a tornare in Olanda] a mettere bene in chiaro che la figura di Dio, che Cartesio evoca nel suo sistema filosofico, deve essere svincolata da ogni apparato di potere che senza alcun ritegno osa strumentalizzare in modo pretestuoso la volontà di Dio a suo vantaggio. Padre Mersenne ricorda a Cartesio che anche lui - per sostenere il suo sistema filosofico - si serve in chiave teoretica dell’idea dell’esistenza di Dio, e gli ricorda che ha utilizzato due attributi divini, “la perfezione [la completezza] e la veracità [l’oggettiva attendibilità]”, per giustificare la presenza delle idee innate [chiare e distinte] nella mente della persona. E Cartesio segue fedelmente l’invito di padre Mersenne, e si avvale anche della sua consulenza in proposito.

     Padre Mersenne invita Cartesio a inserire nei testi delle sue Opere una serie di considerazioni di natura esegetica in modo da chiarire il carattere del Dio di cui sta proclamando l’esistenza, e che Cartesio chiama “a garanzia” per dare certezza [veracità] al suo sistema filosofico, e padre Mersenne consiglia a Cartesio di far propria la figura del “Dio dei Profeti”, in particolare di quella che emerge nel testo del Libro di Isaia. Cartesio segue il suggerimento di padre Mersenne, e si avvale della sua competenza in materia e, di conseguenza, nei testi delle sue Opere Cartesio puntualizza che il Dio del quale annuncia e dimostra, teoreticamente, l’esistenza a priori è “il Dio di cui Gesù Cristo si ritiene Figlio”, una divinità che ha le stesse caratteristiche del Dio dei Profeti [El-nebijim]. Un Dio che, per sua natura, non gradisce i culti religiosi compiuti superstiziosamente e ipocritamente allo scopo di ingraziarsene il favore, ma predilige la bontà del cuore delle persone [la disponibilità alla solidarietà e alla misericordia che la persona ha verso le altre persone]. Il Dio dei Profeti è una divinità che non vuole essere strumentalizzata dagli apparati di potere, e le sue scelte sono sempre alternative nei confronti delle strutture amministrative che producono una burocrazia fine a se stessa che perde la prerogativa di “essere a servizio delle persone”. Il Dio dei Profeti è [viene definito dagli scrivani che ne hanno descritto il carattere] “un’Eccellenza antagonista” e il Libro di Isaia è uno dei capisaldi di una teologia che è stata definita “alternativa all’ordine costituito”.

     Con la Letteratura dei Profeti [con il midrash-nebijim] abbiamo avuto a che fare di recente quando, durante il viaggio di due anni fa all’inizio della primavera dell’anno 2017, siamo entrate ed entrati nella Cappella Sistina [ricordate?] per osservare il soffitto di questo edificio sul quale Michelangelo [seguendo le direttive di papa Giulio II e i consigli del bibliotecario vaticano Fedra Inghirami] ha affrescato anche sette figure di Profeti [Zaccaria, Gioele, Isaia, Ezechiele, Daniele, Geremia e Giona] per indirizzare l’osservatrice e l’osservatore alla lettura dei Libri omonimi [ai nomi dei Profeti corrisponde il titolo di un Libro, e il soffitto della Cappella Sistina, come abbiamo imparato due anni fa, raffigura prima di tutto “una biblioteca” e quasi tutte le figure rappresentate hanno in mano un Libro e, se volete, potete leggere o rileggere i REPERTORI ... di questo Percorso]. Intanto, nell’immediato, seguendo l’indicazione di padre Mersenne, come fa Cartesio, potete utilizzare il volume della Bibbia [che tutte e tutti voi avete nella vostra biblioteca domestica] per andare a leggere l’elenco dei Libri dei Profeti. Il canone [l’indice] dell’Antico [o Primo] Testamento, confezionato dal concilio di Nicea nel 325, presenta i Libri dei cosiddetti “Profeti maggiori” secondo quest’ordine: Isaia, Geremia, Ezechiele, Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia.

     Al primo posto del canone è stato collocato il Libro di Isaia non perché sia il più antico [il più antico è il Libro di Amos] ma per il suo “carattere cristologico” [il testo sembra prefigurare in alcune sue parti i principali eventi della vita di Gesù Cristo]. Il Libro di Isaia è un’opera composita ed è formata da 66 capitoli divisi in tre parti [c’è un Proto Isaia, un Deutero Isaia e un Trito Isaia] scritte in tre momenti diversi dal VI al III secolo a.C. [e ancora una volta dobbiamo ricordare che abbiamo trattato questo argomento in modo specifico durante il viaggio dell’anno 2007-2008 quando abbiamo attraversato l’impervio territorio della Sapienza poetica beritica studiando quel complesso fenomeno che ha portato alla stesura dei Libri della Bibbia da parte di qualificate e autorevoli Scuole di scrittura]. I nomi dei Profeti corrispondono alla sintesi dei programmi [teologici, dottrinali e politici] che le Scuole di scrittura hanno concepito con l’obiettivo di poterli realizzare, e “Isaia” significa “il Signore salva” [il Signore invita a prendere l’iniziativa per costruire la salvezza, operando per la salvaguardia di valori che si potrebbero perdere per sempre], e questo concetto fa da filo conduttore in tutto il testo [i tre testi] del Libro di Isaia.

     Nel testo del Vangelo secondo Matteo e in quello secondo Luca [che è stato completato a Roma dalla Scuola Ellenistica Clementina diretta da papa Clemente Romano all’inizio del II secolo] si mette in evidenza che nel Libro di Isaia c’è il programma che Gesù di Nazareth è venuto a realizzare. Cartesio, dopo aver letto con attenzione il Libro di Isaia [“il Signore salva”], ritiene che “la volontà di Dio” sia quella di salvare l’Umanità non attraverso l’arroganza dei monarchi che dichiarano la loro sovranità assoluta in nome di Dio per imporre il loro nefasto potere, ma afferma che la salvaguardia del Creato e del Genere Umano si realizza attraverso lo studio, con la ricerca e tramite l’attivazione di processi di conoscenza messi in atto dagli scienziati, che si presentano come moderni collaboratori di Dio [El-nebijim], come moderni profeti, dediti a indicare la via che porta al Bene comune dell’Umanità.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando il volume della Bibbia che avete nella vostra biblioteca domestica leggete i capitoli 9,  10  e  11 del Libro di Isaia...  Non c'è di meglio, per destabilizzare i poteri [che si credono] assoluti, che riflettere sulle allegorie contenute in questi testi...

     E noi, adesso, leggiamo un frammento dal capitolo 29 del Libro di Isaia per dare evidenza a ciò che abbiamo detto.

LEGERE MULTUM….

Libro di Isaia   [dal capitolo 29]

Il Signore ha detto: Questo popolo si avvicina a me per onorarmi.  Mi onora però soltanto con la bocca, mentre con il cuore è lontano da me. Tutto il suo culto è senza significato, perché consiste solo in rituali religiosi. Perciò continuerò a sorprendere questo popolo in modo del tutto incomprensibile. Così la presunta sapienza dei suoi sapienti sarà messa in difficoltà e la loro supposta intelligenza non servirà a niente. Guai a quelli che cercano di nascondere al Signore i loro progetti! Tramano nell’ombra, pensano di non essere visti e dicono: Nessuno sa quel che noi facciamo! Essi capovolgono i compiti. Confondono il vasaio con l’argilla. Può forse il vaso dire al vasaio: Non mi hai fatto tu! O ancora: Tu non capisci niente

Fra poco la foresta del Libano diventerà un giardino, e il giardino si cambierà in una foresta. Quel giorno i sordi sentiranno leggere le parole di un Libro e i ciechi, che prima erano nelle tenebre, apriranno i loro occhi e vedranno. Gli umili e i poveri si rallegreranno e gioiranno ancora una volta per quel che farà il Signore. E sarà la fine per gli oppressori e per i calunniatori.

     Risulta evidente [secondo Cartesio e padre Mersenne] che “i re, quando si auto-proclamano monarchi assoluti per grazia di Dio, confondono il vasaio con l’argilla”, perché Dio, il Dio dei Profeti [il Dio di Gesù Cristo, El-nebijim] non fornisce loro alcuna copertura, alcun paravento, alcuna protezione [e una corretta lettura della Sacra Scrittura non legittima il potere assoluto dei monarchi da parte della divinità, ma, in questo momento, un’affermazione del genere mette a repentaglio l’incolumità chi la fa]. Perciò non si può ignorare [come spesso succede quando lo si studia] la valenza politica che ha “l’aspetto esegetico” del pensiero cartesiano, una valenza che si manifesta pienamente nella seconda metà del secolo successivo, il ‘700, il secolo delle Rivoluzioni; per il momento [nella prima metà del ‘600, l’epoca in cui noi ci troviamo] questa valenza rimane latente nell’ambito di un contesto che è stato definito “la tendenza all’ambivalenza del pensiero di Cartesio”.

     Di che cosa stiamo parlando: come si manifesta “l’ambivalenza del pensiero di Cartesio”? Stiamo parlando [così è stata definita la delicata questione] di “ciò che ruota attorno a Cartesio [”il pensiero cartesiano è diventato - metaforicamente parlando - come se fosse un pianeta di un moderno universo intellettuale attorno al quale ruotano numerosi satelliti diversi tra loro]. Che cosa si muove intorno al pensiero di Cartesio? Si può dire, come affermano le studiose e gli studiosi, che “il secolo della scienza” [il ‘600] gravita intorno alle idee di Cartesio tanto per confermarle quanto per superarle anche se Cartesio non ha avuto dei veri e propri discepoli [infatti i satelliti ruotano attorno a un pianeta tenendo sempre le debite distanze]. Ma è successo che la Francia del ‘600 ha riconosciuto in Cartesio [in René Descartes] il suo filosofo e, di fronte a questa affermazione, noi non possiamo non essere sorprese e sorpresi, e ci viene da dire: come può affermarsi il pensiero di Cartesio nella Francia del Re Sole, dell’instaurazione della monarchia assoluta, del rigido controllo ecclesiastico sul modo di pensare? Dobbiamo [come direbbe Montaigne] cavalcare un paradosso.

     Come può Cartesio essere considerato il filosofo per eccellenza della Francia se, come abbiamo appena studiato, espone un pensiero esegetico alternativo al potere assoluto proclamando che la divinità di cui dimostra l’esistenza ha il carattere antagonista del Dio dei Profeti, e se, per prudenza, deve vivere in Olanda per non avere a che fare con i tribunali dell’Inquisizione dato che le sue opere sono all’Indice?

     La risposta dipende da quella che è stata chiamata “la tendenza all’ambivalenza del pensiero di Cartesio”. Che cosa significa? In primo luogo [e lo sappiamo] Cartesio, come padre Mersenne, quando si esprime sul piano religioso, politico e morale, con prudente ambiguità parla adoperando sempre due tipi diversi di linguaggio: utilizza un certo tipo di eloquio quando illustra ufficialmente [come fa a corte di fronte al re] i principi della tradizione ai quali fa finta di dare molta importanza, mentre parla sottovoce [all’orecchio delle persone di cui si fida] quando critica le regole arcaiche con cui vengono governati gli Stati, o quando demolisce la mentalità retriva della maggioranza degli ecclesiastici, o quando denigra gli accademici pedanti che comandano nelle Università. Cartesio, nel momento in cui comincia a manifestarsi una crisi profonda della metafisica - dovuta al fatto che sta entrando in crisi l’idea stessa dell’esistenza di Dio [una crisi generata da un sempre più diffuso senso di inquietudine in tutti i settori della società] sulla scia dell’Umanesimo scettico del tardo-Rinascimento [divulgato soprattutto dai Saggi di Montaigne, come ben sappiamo]: sta entrando in crisi l’idea che garantisce solidità tanto al potere ecclesiastico quanto al potere monarchico, e sta entrando in crisi un’idea che, nella precedente epoca medioevale, non poteva neppure in modo allusivo essere messa in discussione. Cartesio, in alternativa a quella tradizionale [che presenta troppi aspetti antiquati], offre una nuova metafisica che si lega allo spirito scientifico, in modo che sia la moderna scienza nascente e non più la Scolastica medioevale ormai datata a dare una risposta razionale all’esistenza di Dio. Cartesio - con un tono comunicativo simile a quello con cui i teologi proclamano i principi della tradizione - fa filtrare l’idea [l’idea madre del suo sistema] che “la ricerca scientifica è avvalorata dalla presenza di Dio a priori”, e riesce, ancorato a questo presupposto, a presentarsi anche come un filosofo funzionale agli apparati di potere [ecclesiastici e monarchici], quindi, Cartesio riesce ad apparire come il filosofo che opera per contrastare la perdita di credibilità che comincia ad avere, in certi settori della società, il concetto dell’autorità divina. Con il suo linguaggio ben impostato secondo i canoni della tradizione classica, Cartesio riesce molto abilmente a proporre la sua metafisica come argine contro quella che i poteri costituiti considerano una minaccia, ma i poteri costituiti non si avvedono che la vera minaccia si nasconde proprio nel pensiero stesso di Cartesio - ecco in che cosa consiste ironicamente “l’ambivalenza cartesiana” - perché il dubbio metodico di Cartesio, la metafisica razionalista di Cartesio, il Dio antagonista di Cartesio [i temi cartesiani che abbiamo studiato in queste settimane] sono solo apparentemente funzionali al potere [ecclesiastico, accademico e monarchico], in quanto si dimostrano maggiormente a servizio di un moderno sistema di pensiero che sta lievitando sotto traccia. Di conseguenza, se da un lato il pensiero metafisico di Cartesio sembra essere garante dell’antica tradizione, dall’altro l’applicazione del suo metodo porta a minare le basi della tradizione stessa. Cartesio pubblicamente si presenta [con prudente ambiguità] come un ligio continuatore della tradizione ma, in realtà, i temi della sua filosofia fanno germogliare “[un esprit libertin] uno spirito libertino” e, mentre i tradizionalisti, che si sentono rassicurati dalla proclamazione dell’esistenza di Dio a priori, pensano di potersi connettere alla sua metafisica, sotto traccia il sistema cartesiano fa lievitare “il movimento del libértinage” che mette in discussione tutti i principi e mina tutti i fondamenti della cultura tradizionale. Ma chi sono “i libertini”, e a che cosa corrisponde questo termine che per l’alone di ambiguità che porta con sé risulta avere molteplici significati e ci fa pensare anche a certi celebri personaggi letterari?

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Nella Storia della Letteratura, del Teatro, del Melodramma ci sono tanti personaggi che corrispondono alla categoria delle libertine e dei libertini...  Quale figura corrispondente alla categoria delle libertine e dei libertini preferite ricordare mettendola in relazione con l’Opera letteraria che la vede protagonista ?...    

Scrivete quattro righe in proposito...

     Originariamente, soprattutto nella Francia del ‘600, la parola “libertino” [libertin] viene usata per etichettare “un singolo individuo che rigetta le credenze religiose”, ma, poi, diventa il termine che designa l’appartenenza di una persona a un movimento d’opinione, il movimento del “libértinage”, che si presenta come un fenomeno culturale e di costume molto eterogeneo, come un fenomeno complesso, un insieme di correnti di pensiero, ricco di contraddizioni e sul quale bisogna cercare per quanto è possibile di fare chiarezza per poi mettere in evidenza ciò che, sul piano della Sapienza poetica e filosofica, dobbiamo cogliere in modo da capire quale direzione dalla prima metà del ‘600 sta prendendo la Storia del Pensiero Umano in età moderna.

     Inizialmente il fenomeno del “libértinage” s’identifica con una serie di atteggiamenti tenuti da persone appartenenti a un’elitaria minoranza che ambiscono a sentirsi indipendenti dalle regole del pensiero dominante, però, questa aspirazione contiene una contraddizione [in essa si manifesta un paradosso] perché le prime manifestazioni di una simile tendenza, per nulla clandestine e in forma giocosa, si hanno, intorno al 1620, tra i nobili alla corte del re di Francia, quindi, nella cerchia di coloro che professano il pensiero dominante dal quale pretenderebbero [ed è opportuno usare il condizionale] in modo eccentrico [ed ecco il paradosso!] di rendersi indipendenti.

     Le prime manifestazioni di “libertinaggio”, che si colgono in seno all’aristocrazia, diventano, ben presto, “una moda” che coinvolge anche l’alta borghesia in ascesa. I tratti caratteristici più trasgressivi della moda libertina sono “la teorizzazione dell’ateismo” e “la sregolatezza morale”, due atteggiamenti assunti non per dar vita a una mentalità alternativa al sistema ma concepiti in funzione dello “stile [cosiddetto] del divertimento”. Per gli aristocratici libertini è “un divertimento” quello di contraddire l’esistenza di Dio e quello di violare le regole morali conformiste della società aristocratica, facendo però sfoggio della più grande ipocrisia perché “la moda libertina” prevede che venga mantenuto intatto l’assetto conformista e retrivo della società, contrariamente, se non esistesse una società conservatrice da burlare, come si potrebbe trarre divertimento dai suoi molti tipici aspetti caricaturali? [Inevitabile non pensare alla straordinaria figura letteraria di Don Giovanni, protagonista di un catalogo enorme di opere, che entra in scena a Barcellona nel 1630 nella commedia in versi intitolata Burlatore di Siviglia e Convitato di pietra attribuita a Tirso de Molina]. A questo proposito, per assurdo, in Francia, il più libertino di tutti risulta essere il re [pensate a Luigi XIV, il Re Sole], il quale ufficialmente è il garante della conservazione e della tradizione, ma poi, per gioco, utilizzando in modo arbitrario [perfidamente creativo] il suo potere, si diverte a praticare la trasgressione violando le stesse regole su cui si basa il suo autoritarismo: il massimo del divertimento per il re è quando da libertino usa la trasgressione per dare la caccia ai libertini che trasgrediscono. Questo genere di libertinaggio [chiamato “la moda libertina che si sviluppa nell’ambito dell’aristocrazia”] fa parte più che altro della Storia del costume, mentre il tipo di libertinaggio che acquista un’autentica dignità culturale ha un altro carattere ed è stato denominato: “il movimento intellettuale libertino”. Questo movimento, suddiviso in molte correnti, nasce e si sviluppa per iniziativa di un certo numero di intellettuali che si sono formati intorno a Cartesio studiando, in particolare, le Opere di Cartesio, per cui cominciano a catalogare una serie di concetti che, gradualmente, vanno a costituire la base di un nuovo pensiero filosofico, un pensiero, per il momento, ancora confuso ma che si strutturerà e produrrà molti frutti nel secolo successivo, il 1700, come vedremo nei viaggi dei prossimi anni.

     Quali sono i punti salienti che caratterizzano il pensiero, ancora disorganico, disordinato e a volte confuso, del “movimento intellettuale libertino”? Gli appartenenti alla prima corrente di questo movimento si dichiarano genericamente “materialisti” nel senso che intendono “materializzare anche Dio” affermando che, se esiste una divinità, questa non può che identificarsi con la Natura [essere un Demiurgo ordinatore] o immedesimarsi con la Ragione [essere un Pensiero che si manifesta nella mente umana] e, per studiare “il rapporto tra Dio e la Natura” e “il rapporto tra l’idea di Dio e la mente umana”, gli intellettuali “libertini” di questa corrente, detta “materialista o naturalista”, mettono al centro della loro attenzione  il pensiero dei maestri della generazione precedente [dell’età tardo rinascimentale, mantenendolo vivo nonostante i divieti e le condanne dell’Inquisizione]. In prima istanza i libertini della “corrente materialista o naturalista” sono influenzati dal contenuto delle Opere di Bernardino Telesio [del quale abbiamo studiato il pensiero nel viaggio dello scorso anno] che è il fondatore della Filosofia naturalista e riflettono sul fatto che la Natura secondo Telesio funziona “iuxta propria principia” [secondo Leggi che le sono proprie] perché Dio l’ha creata dotata di libero arbitrio e, quindi, i fenomeni naturali possono essere colti con la ragione, nonostante i suoi limiti. Poi i libertini della “corrente materialista o naturalista” sono influenzati dal contenuto delle Opere di Giordano Bruno [del quale abbiamo studiato il pensiero nel viaggio dello scorso anno] che mette in relazione la Mente di Dio con la Natura, e riflettono sul fatto che Dio, afferma Bruno,, oltre a essere un’Entità imperscrutabile, una “Mens super omnia” [la Mente che trascende tutte le cose], è anche una “Mens insita omnibus” [la Mente che sta dentro a tutte le cose] e, di conseguenza l’ombra di Dio si riflette nella Natura e questo riverbero può essere colto dalla ragione, nonostante i suoi limiti. Inoltre i libertini della “corrente materialista o naturalista” sono influenzati dal contenuto delle Opere di fra’ Tommaso Campanella [del quale abbiamo studiato il pensiero nel viaggio dello scorso anno] e riflettono sul fatto che la religione [“religio indita”, come la chiama Campanella] è un sentimento innato, per cui tutte le persone, amando se stesse, pensano di amare Dio e, quindi, la ragione ci suggerisce con tutti i suoi limiti che c’è “una religione universale” e la diversificazione spesso conflittuale tra le religioni non ha ragione di essere [Campanella insegna a Parigi dal 1634 al 1639, l’anno della sua morte].

     Il pensiero della “corrente materialista o naturalista” del movimento intellettuale libertino è poco sistematico ma fa emergere un dato significativo: sta crescendo la fiducia nella ragione umana, e aumenta la consapevolezza che “i limiti della ragione” vanno studiati [la scienza li deve studiare per capirne la funzione]. Abbiamo citato tre importanti personaggi che abbiamo incontrato nel viaggio dello scorso anno e sappiamo che il loro pensiero è stato condannato dall’Inquisizione, che le loro Opere sono all’Indice e che, soprattutto Bruno e Campanella, hanno pagato duramente [l’uno col rogo, l’altro con 27 anni di galera] la scelta di voler sostenere caparbiamente le loro tesi.

     A questo punto, dobbiamo fare una digressione che serve, con un esempio, per capire come avviene, in questo momento, il travaso delle idee, e di questa digressione è protagonista ancora una volta padre Marin Mersenne il quale ufficialmente si presenta come un acerrimo avversario del libértinage [tanto come moda, quanto come corrente culturale] ,tuttavia, in realtà utilizzando la sua prudente ambiguità, padre Mersenne è un punto di riferimento fondamentale per il movimento intellettuale libertino [padre Mersenne si rende conto che il pensiero del movimento che nasce intorno a Cartesio è disorganico, disordinato, a volte confuso] e, di conseguenza, opera perché, chi ne fa parte, possa far crescere sul piano filosofico le proprie competenze, soprattutto intorno a temi particolarmente difficili da comprendere e da elaborare in prospettiva. Padre Mersenne è anche [come lui ama definirsi] “uno scrittore di cose filosofiche” [più che altro è un pedagogista, un autore che scrive per educare] e compone e fa pubblicare anche un’opera ponderosa sul pensiero di Giordano Bruno, personaggio amato dai libertini, che lui presenta come un trattato “contro le idee di Giordano Bruno” e questa affermazione campeggia nel sotto-titolo e viene ribadita nella prefazione. Giordano Bruno è salito sul rogo a Roma il 17 febbraio 1600, dopo essere stato condannato [il processo è durato sette anni] come “eretico impenitente”, e le sue Opere sono state messe al bando, condannate al rogo anch’esse, e l’Inquisizione considera reato grave il conservarle, il leggerle, e colpa gravissima il divulgarle, ma padre Mersenne, che conosce e apprezza il valore del filosofo Nolano, possiede tutte le Opere di Bruno, le legge, e le studia in modo da poterle [così lui afferma] criticare puntigliosamente: infatti padre Mersenne non condivide tutte le idee di Bruno [rifiuta le sue tesi sul panteismo magico] ma ritiene molto importanti le sue riflessioni sul tema del rapporto tra Dio e la Natura. Padre Mersenne, con questo metodo ben collaudato della critica sistematica, divulga le Opere di Bruno per mantenere vivo il dibattito sulle importanti questioni da lui trattate [come il fatto che il sistema copernicano è quello reale, il fatto che i mondi sono infiniti, il fatto che ogni punto contiene l’Universo intero, il fatto che vada coltivato l’eroico furore per la conoscenza] e, quindi, padre Mersenne [personaggio indecifrabile al suo tempo] mentre ufficialmente passa come un avversario del movimento del libértinage, in realtà ne è uno dei maestri.

     Padre Mersenne si è meritato il soprannome di “postino del pensiero filosofico e scientifico europeo” perché, come già abbiamo avuto modo di dire, viaggia in continuazione da uno Stato all’altro per tenere in relazione tra loro [connessi attraverso i loro Scritti che lui fa circolare] i più importanti intellettuali di diverse tendenze del continente, e questa sorta di accademia ambulante [di rete] ha preso il nome di “circolo Mersenne” [il “circolo culturale alla Mersenne” diventa un metodo moderno di trasmissione della cultura e dei risultati dei vari investimenti in intelligenza].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Fate parte [o avete fatto parte] di un circolo, di un’associazione culturale?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Un’altra corrente del “movimento intellettuale libertino” nasce all’Università di Parigi [la Sorbona] per iniziativa di alcuni insegnanti di tendenza aristotelica chiamati “i padovani”.

     La corrente del “movimento intellettuale libertino [detta] degli aristotelici padovani” pone al centro dell’attenzione il tema dell’Anima negandone l’immortalità. Questa corrente è stata fondata da alcuni insegnanti di tendenza aristotelica chiamati “i padovani” perché eredi di una tradizione importata circa settant’anni prima da un gruppo di “magisteri” dell’Università di Padova che erano stati invitati a divulgare nell’Università parigina l’insegnamento del medico e filosofo Pietro Pomponazzi e, difatti, insegnano che «solo se l’anima è mortale può avere valore», e questa affermazione la traggono dal pensiero [che ritorna in auge] di Pietro Pomponazzi, che abbiamo più volte incontrato nei nostri viaggi.

     Pietro Pomponazzi [che è nato a Mantova nel 1462 ed è morto a Bologna nel 1524 è vissuto un secolo prima dell’epoca moderna nella quale stiamo viaggiando ora] ha studiato medicina a Padova e, proprio all’Università di Padova dal 1487 inizia a insegnare filosofia [in seguito insegna anche a Ferrara e a Bologna]. Pietro Pomponazzi [da medico e da filosofo] si dedica a riflettere sulle questioni più significative della filosofia di Aristotele, e traduce in latino un’opera scritta tra il II e il III secolo di Alessandro di Afrodisia [il primo importante commentatore del pensiero di Aristotele]; poi Pomponazzi, a sua volta, per commentare quest’opera che ha tradotto, scrive un trattato che s’intitola [ha un titolo complesso] Commento al Commento al De Anima di Aristotele di Alessandro di Afrodisia. Si capisce che il tema su cui Pomponazzi vuole riflettere, prendendo spunto da Aristotele e da Alessandro di Afrodisia, è quello dell’Anima. Secondo l’ipotesi aristotelica, Pietro Pomponazzi ritiene che l’Anima umana sia l’elemento attivo dell’intelletto e svolga un’attività di carattere intellettivo in funzione della conoscenza e, di conseguenza, non possa esistere né agire senza il corpo perché la sua funzione è quella di raccogliere in sé le immagini della realtà fornite dai sensi per trasformarle in concetti e, quindi è evidente che una volta spenti i sensi, oscurate le immagini e disattivate le icone [la rete mentale dei concetti], si spegne anche l’Anima. Ne consegue che l’Anima non è immortale ma, proprio per questo, spiega Pietro Pomponazzi, l’Anima è un Valore, e ha valore perché sono proprio le cose deperibili che ci stanno più a cuore [e questo pensiero di Pietro Pomponazzi lo ha utilizzato - come abbiamo studiato a suo tempo - papa Giulio II per far riflettere Michelangelo sul perché doveva affrescare il soffitto della Cappella Sistina, ma questa è un’altra storia che abbiamo già raccontato nel viaggio del 2016-2017 sul territorio della Sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna], sono le cose mortali quelle che curiamo di più, sulle quali puntiamo maggiormente la nostra attenzione e alle quali dedichiamo più studio. Quindi, l’Anima intellettuale, scrive Pomponazzi, può essere lo strumento della ricerca dei Valori assoluti proprio perché non è immortale: infatti, se l’Anima fosse immortale sarebbe anche divina e onnisciente e, di conseguenza, la persona non avrebbe alcun bisogno di fare ricerca e non sentirebbe, come invece, scrive Pomponazzi,  sente l’impellente necessità di “tendere per natura al sapere, come si legge nell’incipit della Metafisica di Aristotele”. Se l’Anima fosse immortale, divina e onnisciente, la spinta verso la conoscenza non si manifesterebbe, scrive Pomponazzi, perché la persona sarebbe già al corrente di Tutto; però, questa sarebbe una condizione innaturale perché la persona non potrebbe godere dei frutti che maturano attraverso la volontà di imparare e, quindi, bisogna essere felici di possedere un’Anima mortale che sappia svolgere un’attività di carattere intellettivo in funzione della conoscenza.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di questi termini - soffio vitale, armonico respiro, afflato spirituale, attività psichica, energia intellettuale, o quale altro - mettereste per primo accanto alla parola “anima”?...

Scrivetelo...

     I membri della corrente libertina degli aristotelici padovani non fanno professione di ateismo ma si definiscono “deisti” [e questo termine entra in circolazione e inizia un suo percorso che seguiremo a suo tempo], nel senso che non negano l’esistenza di un Dio che sia “Somma Sapienza” ma negano il Dio della rivelazione, il Dio delle religioni monoteiste, e criticano “le manifestazioni superstiziose e miracolistiche tipiche delle religioni”; questo comporta, sul piano culturale, la rinascita di un interesse per la filosofia ellenistica di Democrito e di Epicuro, e per il pensiero degli intellettuali pagani come Giuliano l’Apostata, e neoplatonici come Porfirio e Giamblico che, nel I secolo, avevano difeso la dignità del “Dio teoretico della filosofia greca” contro i cristiani più intolleranti. Del ritorno al pensiero ellenistico di Epicuro, basato sulla teoria dell’atomismo di Leucippo e Democrito, ce ne parlerà tra tre settimane un personaggio con il quale abbiamo appuntamento, e poi , empre tra tre settimane, faremo un breve viaggio in Cina perché succede che, a Parigi, suscitano un grande interesse i Resoconti di viaggio dei primi viaggiatori europei verso Oriente, e la sapienza della Cina fondata sul pensiero laico di Confucio suscita ammirazione e, in questo breve viaggio nel viaggio, ci accompagnerà un altro importante personaggio che ci sta aspettando.

     E, ora, per concludere come è tradizione per celebrare la Pasqua cogliamo l’esortazione scritta da papa Gregorio Magno quando, nell’anno 590, ha redatto - nel secondo Libro dei suoi Dialoghi - la Regola di San Benedetto [ogni giorno si componga di quattro ore per lavorare, quattro ore per studiare, quattro ore per pregare e meditare e riflettere, quattro ore per prendersi cura di sé e degli altri, otto ore per riposare]. Scrive papa Gregorio nei suoi Dialoghi:

LEGERE MULTUM….

Gregorio Magno, Dialoghi

La luce che risplende nelle tenebre dell’ignoranza è generata dallo studio, e chi studia comincia a risorgere.

     Bisogna, quindi, ribadire che “studiare” [cioè prendersi cura della propria anima, del proprio intelletto e, di conseguenza, del proprio corpo] è un gesto pasquale per eccellenza da coltivare con impegno affinché si rafforzi la nostra volontà di imparare.

     Si torna a Scuola mercoledì 8 maggio [a Bagno a Ripoli], giovedì 9 maggio [a Tavarnuzze] e venerdì 10 maggio [a Firenze] per compiere gli ultimi tre itinerari di questo lungo viaggio.

     E, infine, scenda su di noi - che ci stiamo accingendo a far ruzzolare l’uovo, oggetto di fecondità materiale e spirituale - l’augurio di una buona Pasqua di studio e, inoltre, è necessario affermare a gran voce: viva il 25 aprile, viva il 1° maggio e viva l’articolo 34 della Costituzione!

     Arrivederci, la Scuola è qui e, affinché non si perda mai la volontà di imparare, il viaggio continua: studiare è cominciare a risorgere!...

 

 

PER INVESTIRE IN INTELLIGENZA ...

parola per parola … idea per idea ...

 

     Alla fine di questo viaggio diamo una forma – con le nostre scelte – al territorio che abbiamo attraversato nell’ottica dei Saggi di Montaigne...

     Leggi queste espressioni, scegline non più di tre e marcale con un segno sul quadratino.

È bene che la persona ...

□ agisca in buona fede ...

□ giudichi misurando il grado dell’autorevolezza altrui ...

□ sappia distinguere tra la pelle e la camicia ...

□ maturi la convinzione di essere, in ogni circostanza, la padrona di se stessa ...

□ capisca che non c’è nulla di più naturale della diversità ...

□ sappia che chi ha imparato a morire ha disimparato a servire ...   

□ pensi che l’essenza della realtà si basa sul paradosso della fermezza nell’incostanza ...   

□ trovi il proprio assetto nel mondo perché tutto si muove insieme a lei ...   

□ si domandi sempre fino a che punto si possano avere precise convinzioni ...   

□ sia consapevole di essere una filosofa o un filosofo involontario e fortuito ...   

□ faccia in modo che ciò che è artificiale non prevalga su ciò che è naturale ...

□ si riservi una retrobottega per sperimentare una forma di distacco preventivo ...  

□ sia consapevole del fatto che sia il fondamentalismo religioso sia l’astuzia della ragione sono due atteggiamenti deprecabili ...

□ aspiri a praticare una vita contemplativa dedicata allo studio con l’intento di ritrovare se stessa ...

□ sia convinta del fatto che la scrittura accompagna la solitudine, lenisce l’angoscia, ammansisce i demoni e rimuove gli incubi ...   

□ sappia che la guerra procura schiavitù, dipendenza e sottomissione, e che solo la vita pacifica può garantire la libertà, l’autonomia, l’indipendenza e la capacità decisionale ...   

□ si ricordi che la parola appartiene per metà a chi parla e per metà a chi ascolta ...              

□ abbia presente il fatto che sono soprattutto i dettagli a fare la Storia ...

□ coltivi una sapienza pratica che si avvalga della virtù della prudenza ...

□ consideri che se l’espressione guadagna in bellezza, l’idea guadagna in profondità ...

Lezione del: 
Venerdì, Aprile 12, 2019