ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica del ‘600: il secolo della scienza 15-16-17 maggio 2019
SUL TERRITORIO DEL SECOLO DELLA SCIENZA
NASCE, SULLA SCIA DELLA SCOLASTICA CARTESIANA,
LA CORRENTE DELL’OCCASIONALISMO ...
Siamo giunte e siamo giunti al ventesimo itinerario di questo Percorso di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica del ‘600, il secolo della scienza” [o, forse, si dovrebbe dire “il secolo della grande mescolanza di idee”?] ed è la penultima tappa di un lungo e impegnativo viaggio che è durato più di sette mesi, e il prossimo tragitto [il ventunesimo e ultimo] sarà caratterizzato da una Lezione più breve compresa come da tradizione nel contesto di un sobrio incontro conviviale.
L’affermazione “sobrio incontro conviviale” [che ci fa sorridere] è sicuramente gradita a quelle persone che sono state nostre compagne di viaggio in questi mesi sulla via della Storia del Pensiero Umano, e che, con le loro Opere, hanno saputo creare alla metà del XVII secolo una straordinaria mescolanza di idee [la sobrietà rifiuta gli eccessi ma non esclude l’esercizio qualitativo degli assaggi. Pierre Gassendi scrive: «Epicuro visse una vita frugale in modo da provare sempre la gioia di avere qualcosa in più»]. Difatti, come abbiamo detto al termine dell’itinerario della scorsa settimana, alla metà del Seicento - mentre dall’eterogeneo apparato ideologico della cristianità scaturisce persino “il movimento del libértinage” - si verifica una straordinaria “mescolanza di idee” dovuta alla diffusione per opera di Marie de Gournay dei Saggi di Montaigne, della Nuova Atlantide di Francis Bacon, del Manifesto esegetico di padre Mersenne e del Discorso sul metodo di Cartesio, e poi, come abbiamo studiato otto giorni fa, al rinnovato interesse per “il pensiero epicureo” [per cui dalla sobrietà scaturisce la rettitudine] introdotto da Pierre Gassendi e al nuovo interesse per “il pensiero confuciano” [per cui dalla rettitudine scaturisce la sobrietà] importato dalla Cina mediante l’opera del gesuita Matteo Ricci. Ebbene, qual è il risultato di questa straordinaria mescolanza di idee che noi possiamo osservare anche quando entriamo in contatto con l’arte barocca? Questa straordinaria mescolanza di idee contribuisce a far crescere il ruolo della ragione umana, chiamata a gestire, con sempre maggior consapevolezza, le azioni [conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare] con cui la persona apprende, e, da qui, inizia un lungo percorso verso la cosiddetta età dei Lumi, ed è in direzione di questa destinazione [dal secolo della Scienza a quello dei Lumi] che, in autunno, ripartiremo, ma questo viaggio non è ancora terminato e, intanto sul territorio che stiamo attraversando, si sta formando un movimento che prende il nome di “occasionalismo”.
Ma prima di trattare questo tema è necessario [anche per poter prendere il passo nella giusta direzione] riflettere ancora sul fatto che il pensiero derivante dalle Opere di Cartesio modifica in chiave moderna la grande tradizione intellettuale della Scolastica [so che è un tema ostico da trattare e anche noioso, ma perché noi che siamo - e vogliamo stare - alla base della piramide intellettuale non ce ne dovremmo occupare?].
Cartesio viene considerato un rivoluzionario perché è un vero conservatore nel senso che, pur criticando duramente gli accademici aristotelici in quanto reazionari, utilizza i concetti dell’apparato platonico e del sistema aristotelico per avviare il processo di fondazione del moderno pensiero matematico: come procede? Cartesio [che non vuole dare definizioni definitive sui temi in discussione] procede senza preoccuparsi delle contraddizioni [dei “dualismi” che derivano dalle sue affermazioni], e questo modo di agire, questo “metodo” che trova nel dubbio il suo fondamento, apre la via a molte stimolanti riflessioni, e il sentiero si fa impervio e faticosissimo, ma bisogna percorrerlo: va accettata la fatica che l’esercizio della comprensione comporta, e la comprensione si raggiunge solo con lo studio cercando di andare in profondità.
Il pensiero derivante dalle Opere di Cartesio [che, nei suoi concetti fondamentali, abbiamo studiato in queste ultime settimane] modifica in chiave moderna [e lo abbiamo già capito strada facendo] la grande tradizione intellettuale della Scolastica.
Abbiamo compiuto [a suo tempo, dal 2013 al 2016 ... e molte e molti di voi c’eravate] tre viaggi sul territorio della Scolastica, e sappiamo che questa grande tradizione è il frutto del pensiero filosofico cristiano elaborato dalle molte Scuole, gestite soprattutto dagli ordini monastici, che hanno operato dall’anno 782 fino alla fine del XV secolo [il movimento della Scolastica ha un respiro di circa 700 anni che va dall’Età carolingia al Rinascimento].
Che tipo di operazione culturale [con l’apporto di una lunga lista di pensatori che hanno operato durante i secoli del Medioevo e dell’Umanesimo] ha messo in atto la tradizione della Scolastica? La Scolastica, in particolare nei secoli del Medioevo, ha saputo compiere una complessa e straordinaria impresa intellettuale: prima ha utilizzato il pensiero di Platone per dare una solida intelaiatura [all’insegnamento] alla catechesi cristiana, e poi ha trasformato il pensiero di Aristotele in un efficace strumento di interpretazione [di spiegazione del Mondo creato], di espressione [di comunicazione del Messaggio evangelico] e di difesa [di salvaguardia dell’ortodossia], quindi, attraverso l’attività di pensiero del complesso movimento della Scolastica ha preso forma, sulle basi della Filosofia neoplatonica e aristotelica, il potente impianto della dottrina cristiana.
Come molte e molti di voi sanno, dal 2013 al 2016 la nostra Scuola ha percorso questo lungo itinerario intellettuale viaggiando anche sulla superficie [osservandola accuratamente] della più importante e famosa icona che sintetizza questa impresa: l’affresco conservato nei Palazzi vaticani e intitolato La Scuola di Atene, commissionato da papa Giulio II ed eseguito dal 1508 al 1511 da Raffaello con la consulenza del papa stesso, del bibliotecario vaticano Fedra Inghirami e dell’architetto pontificio Donato Bramante. Cartesio, come sappiamo, ritiene che gli accademici conformisti [ed è un argomento che conosciamo] abbiano fatto inaridire il pensiero aristotelico dogmatizzandolo inutilmente tanto da averne annientato l’ideale spinta propulsiva [lo spirito teoretico]. Cartesio pensa che il rinnovamento della Scolastica [che corrisponde anche al rinnovamento della dottrina cristiana] vada intrapreso facendo ancora e sempre tesoro del patrimonio platonico e aristotelico, perché è perfettamente consapevole del fatto che per modernizzare la Scolastica [e rinnovare il pensiero della cristianità] non è possibile accantonare i concetti fondamentali contenuti nei Dialoghi di Platone [non si può prescindere dalla riflessione platonica sulla natura delle Idee] e, soprattutto, non è possibile accantonare la Logica, la Fisica e la Metafisica di Aristotele, opere nelle quali il grande filosofo “riflette su come si ragiona”, facendo una distinzione [che a Cartesio interessa molto] tra il dedurre [trarre, ricavare, desumere] e l’intuire [afferrare, captare, percepire]. Cartesio non è un conformista, e dimostra di essere un rivoluzionario perché è un vero conservatore che utilizza i concetti dell’apparato platonico e del sistema aristotelico [concetti sempre di grande efficacia sul piano teoretico a tutt’oggi] per avviare il processo di fondazione di una nuova e moderna Scolastica. Il variegato movimento della Scolastica tradizionale, afferma Cartesio, nei secoli del Medioevo e dell’Umanesimo ha costruito l’impianto della metafisica cristiana [ha descritto la forma di Dio Uno e Trino, ha enunciato la natura delle Tre Persone divine che formano la Santissima Trinità, ha disegnato la struttura del Regno dei Cieli …] e lo ha fatto dopo l’XI secolo seguendo il ragionamento logico sviluppato da Aristotele nella Metafisica. Quindi, gli Scolastici hanno pensato di poter provare l’esistenza di Dio utilizzando il concetto aristotelico del bisogno di conoscenza di cui la persona, per sua natura, sente la necessità [come scrive Aristotele nell’incipit della Metafisica], per cui la persona - utilizzando il ragionamento deduttivo - tende a sviluppare logicamente la propria conoscenza fino a farla approdare alla sintesi suprema, a Dio [un Essere di cui non si può pensare nulla di maggiore, e la persona lo pensa e, se lo pensa, esiste]. Anche Cartesio, dapprima come sappiamo, imposta la sua metafisica dimostrando l’esistenza di Dio attraverso un ragionamento deduttivo [con la prova ontologica di Anselmo d’Aosta: la persona deduce l’esistenza di Dio dal concetto di Dio stesso perché non si può negare l’esistenza di qualcosa di cui si possiede il concetto in mente], ma poi Cartesio, pensando alla debolezza della prova ontologica, afferma anche che l’idea di Dio si coglie mediante un’intuizione, con un tipo di ragionamento che prende possesso immediato e diretto di una verità: infatti, quando la persone dice “cogito ergo sum” [penso dunque sono] non deduce [non argomenta] ma, afferma Cartesio, intuisce di essere esistente, in quanto avverte di essere pensante. I filosofi della Scolastica tradizionale, seguendo la Filosofia di Platone e di Aristotele, hanno ritenuto, afferma Cartesio, di poter concepire l’idea di Dio ragionando in modo deduttivo [ne hanno fatto una questione di logica], Cartesio usa lui pure la deduzione [dall’universale al particolare e scrive: «Dio è un essere verace e non mi può ingannare sulla sua esistenza»] ma preferisce affermare che la persona approda all’idea di Dio con un’intuizione perché Cartesio tende a farne una questione matematica: Dio è un postulato, è il primo postulato, è la Verità in Sé. Cartesio utilizza contemporaneamente entrambi i tipi di ragionamento, la deduzione e l’intuizione, e questo fatto è contraddittorio [perché è come sommare due oggetti di natura diversa] ma Cartesio è così abile a esporre in teoria i termini di questo dualismo che il suo operato ha fatto nascere, come lui vuole, un interrogativo sul quale riflettere e sperimentare: potrebbero agire nella mente umana in sinergia - e non in momenti distinti - la deduzione e l’intuizione, la diade cartesiana?
E intorno a questo interrogativo si è sviluppato sul territorio del secolo della scienza un serrato dibattito: il moderno dibattito, che dura tuttora, su come funziona l’attività di pensiero. I filosofi della Scolastica tradizionale hanno messo al centro “la ragione”, e anche Cartesio inizia il suo itinerario filosofico facendo questa affermazione: la persona deduce con la ragione che sta pensando di essere [penso dunque sono], poi Cartesio - dichiarandosi precursore di una nuova Scolastica - mette al centro “l’Io” [Io penso di essere il mio stesso pensiero], affermando che la persona intuisce con “l’Io [”col pensiero] che sta ragionando.
E da questo discorso che sembra un gioco di parole vengono fuori, come già sappiamo, domande significative: prima c’è la ragione che rivela alla persona che sta pensando oppure prima c’è l’Io [il pensiero] che conferma alla persona che sta ragionando? I “dualismi cartesiani”, ostici e di non facile superamento, diventano celebri e stimolano la riflessione e la ricerca [è Dio che crea l’Io o è l’Io che concepisce Dio? È l’anima immortale che dà voce alla coscienza o è la coscienza che si fa anima immortale?]: un personaggio che incontreremo a suo tempo, Denis Diderot, a proposito, scrive nel 1769: «Cartesio mi ricorda che devo esigere da me che io cerchi la verità, non già che la trovi». Secondo la Scolastica tradizionale, con la dimostrazione dell’esistenza di Dio, la Verità è stata trovata e la ricerca consiste nello specificare i termini più adatti alla sua formulazione; la moderna Scolastica cartesiana ritiene che la Verità, garantita dall’esistenza dell’idea di Dio, sta nel metodo sperimentale della ricerca della Verità stessa.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Andate ancora una volta a osservare – non è difficile trovare questa immagine - l’affresco intitolato La Scuola di Atene commissionato da papa Giulio II ed eseguito dal 1508 al 1511 da Raffaello con la consulenza del papa stesso, del bibliotecario vaticano Fedra Inghirami e dell’architetto pontificio Donato Bramante… Osservate le due figure centrali che rappresentano Aristotele e Platone: sembra che la mano protesa in avanti di Aristotele possa raffigurare il dedurre [trarre, ricavare, desumere] e il dito puntato verso l’alto di Platone possa raffigurare l’intuire [afferrare, captare, percepire]... Quale di questi verbi - trarre, ricavare, desumere, afferrare, captare, percepire - preferite scrivere per primo?...
La continua riflessione che Cartesio produce, e le contraddizioni [le aporie, i dualismi] che emergono nel suo pensiero sono salutari perché, come scrivono Kant ed Hegel, hanno il merito di aver posto le basi del ragionamento moderno. E Cartesio s’impegna a dare all’istruzione una direzione che vada verso la creazione dell’abitudine alla riflessione e alla ricerca.
Cartesio insegna che il pensiero [l’intelligenza] deve diventare il garante dell’Essere, cioè della realtà nel suo insieme. Cartesio dice: «Penso dunque sono», e bisogna fare attenzione al fatto che non dice: «Ragiono dunque sono». Cartesio desidera che la persona sappia cogliere il rapporto ambiguo esistente tra il pensiero [l’attività più alta della mente, di natura spirituale] e la ragione [la facoltà di giudicare].
Perché Cartesio dice “Io penso” e non dice “Io ragiono”? Perché la ragione [secondo Cartesio, e questo concetto lo abbiamo già ribadito più volte] non garantisce [bluffa] la conoscenza della realtà, la ragione, afferma Cartesio, interpreta la realtà attraverso se stessa: è come se, afferma Cartesio, la ragione volesse svincolarsi dall’obbligo che il pensiero [la sostanza pensante di natura spirituale] le impone di scegliere sempre “ciò che è bene” prima di ciò che è conveniente [prima c’è l’umanesimo poi c’è l’egoismo]; di conseguenza, la ragione tende ad auto-giustificarsi nei confronti del pensiero e a far prevalere, afferma Cartesio, l’immagine che essa stessa si dà della realtà e, quindi, non coglie [non vuole cogliere] la realtà in sé ma si fissa su ciò che di vantaggioso emerge dalla realtà. La ragione, afferma Cartesio, non conosce “la realtà verace” [nella sua vera essenza], non coglie “l’Essere”, ma percepisce una rappresentazione della realtà e, di conseguenza, scorge solo una sembianza dell’Essere. La persona, se diventa consapevole di questo fatto, capisce che non può affidarsi esclusivamente alla ragione ma deve riconoscere che nella sua mente il primato spetta al pensiero [“Io sono perché penso non perché ragiono”]. Il pensiero, afferma Cartesio, deve mettere in guardia la persona sul fatto che la ragione è sempre in grado, con la sua scaltrezza, di far apparire come logico e conseguente anche ciò che, in realtà, è da considerarsi irrazionale, e peggio ancora, afferma Cartesio, la ragione è anche abile con la sua astuzia a giustificare la presunta utilità di un comportamento disumano.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In quale situazione, considerata utile, ravvisate aspetti di disumanità?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Sul tema della sostanza costitutiva dell’essere umano: Cartesio afferma che “la persona è pura attività pensante” [res cogitans, sostanza pensante] però, contemporaneamente, considera efficaci anche le definizioni che su questo argomento vengono date dalla tradizione antica [per cui la sostanza della persona è data dall’unione di materia e di forma] e da quella scolastica [per cui la sostanza della persona è data dall’unità di corpo e di anima].
Cartesio apprezza il fatto che, in età antica, Platone e Aristotele, attraverso un ragionamento logico, hanno affermato che la sostanza dell’essere umano è data dall’unione di materia e di forma, mentre nell’epoca della Scolastica tradizionale la sostanza della persona è data dall’unità di corpo e di anima e Cartesio fa propria questa seconda affermazione pur sapendo di contraddirsi: infatti, per Cartesio, come abbiamo studiato, la sostanza della persona è [res cogitans] attività pensante, e questa affermazione produce un’ulteriore contraddizione [un ulteriore dualismo di cui Cartesio è consapevole] perché se la persona è pura sostanza pensante [res cogitans] come si può considerarla contemporaneamente composta di anima e di corpo, di intelletto [di Idee] e di sensibilità [di sensazioni]? Se la sostanza della persona è pura attività pensante, allora la persona sarebbe composta solo di anima e di intelletto e si identificherebbe con un “Io spirituale incorporeo”. E il corpo, la sensibilità, le sensazioni dove sono e che cosa sono? Cartesio, più di un mese fa, con la sua abilità dialettica, ci ha fatto credere che la persona è pura attività pensante [forse ci piace pure questa definizione dotata di leggerezza perché la materia ha sempre un certo peso di cui a volte ci vorremmo liberare] e, contemporaneamente, contraddicendosi, ma senza farsene accorgere, ci ha fatto sapere che la persona è formata di anima e di corpo [e per noi, che abbiamo tutte e tutti frequentato il Catechismo, la definizione non ha fatto una piega], ma come fanno a stare assieme, a essere unite, queste due realtà, come fanno a stare insieme la sostanza pensante [il pensiero] e la sostanza estesa [la materia]? Come possono incontrarsi l’anima e il corpo, lo spirito e la materia, l’intelletto e le sensazioni, se sono di sostanze diverse?
Noi sappiamo che Cartesio supera ma non risolve questa ennesima provocatoria aporia [questa contraddizione] con un escamotage, scrivendo nel Trattato sulle passioni che “le due sostanze s’incontrano e si mescolano nella ghiandola pineale”. Per Cartesio [ricordate che cosa abbiamo detto più di un mese fa?] nella Natura non ci sono forze occulte, segreti, meccanismi divini perché ormai “l’epoca della tecnologia” è cominciata e Cartesio vuole ipotizzare che nella persona ci possa essere un punto d’incontro tra l’anima e il corpo, tra la materia e lo spirito, mediante una situazione di “carattere fisiologico”: «L’anima, afferma Cartesio, si trova in una ghiandola piccolissima del cervello, la ghiandola pineale [l’epifisi]», e prosegue affermando che “Dio [la sua speciale Carta di credito] ha voluto così”, e sappiamo che con questa affermazione perentoria non intende dire che “Dio ha concepito le ghiandole come deposito dell’anima o dello spirito” [questa è un’affermazione puramente ipotetica] ma intende affermare che «proprio in questo momento storico Dio, per il Bene dell’Umanità, vuole che abbia inizio l’epoca della fisiologia, della tecnologia e della scienza». Per fare un’affermazione di questo genere che ha un carattere profetico, vale la pena, pensa Cartesio, contraddirsi e, difatti, queste contraddizioni [i celebri dualismi cartesiani] fanno riflettere i più attenti intellettuali dell’epoca, e il pensiero di Cartesio, con la sua metodologia della riflessione continua, diventa lo strumento di una nuova Scolastica che, in un primo momento, si sviluppa sulla scia della tradizione agostiniana.
Sappiamo [lo abbiamo già detto a suo tempo] che Cartesio studia la filosofia di Sant’Agostino sotto la guida dell’abate Pierre Berulle, il fondatore nel 1611 della congregazione degli Oratoriani e, in questo momento [ed è bene saperlo], nasce anche un vivace confronto tra gli Oratoriani e i Gesuiti sugli obiettivi dell’educazione: i Gesuiti intendono curare lo sviluppo della capacità manageriale della persona che deve essere soprattutto esperta di eloquenza, di politica, di economia, aperta all’impegno sociale, mentre gli Oratoriani - rilanciando la filosofia di Sant’Agostino - mirano di più a preparare l’interiorità della persona per affinare la sua capacità di giudizio e, dopo il 1650, utilizzano il pensiero di Cartesio per costruire una nuova metafisica prodigandosi per superare la contraddizione cartesiana tra le due sostanze - la pensante [res cogitans] e la materiale [res extensa] - in modo da poter garantire la loro unione sostanziale.
Gli scolastici cartesiani [gli intellettuali oratoriani] si domandano come possa fare la sostanza pensante [res cogitans] a causare effetti fisici e conseguenze di tipo materiale, e si domandano se l’atto di volontà [la volizione] che la persona fa quando mette in movimento il proprio corpo dipenda dal pensiero che ordina alle gambe di camminare, alle braccia di allungarsi, alle mani di prendere [e così via]. Si domandano se la causa del movimento sia sempre un atto di volontà perché per esempio può succedere che la persona appoggi inavvertitamente la mano sul tavolo e si buchi con uno spillo fuori dalla sua volontà e, di conseguenza, in questo caso: dove sta la causa del movimento? Da questa situazione scaturisce una domanda: qual è l’occasione che in questo caso produce il movimento fisico? È evidente che se la sostanza pensante e la sostanza materiale sono diverse, sono divise, sono separate, non è possibile che tra loro ci sia un nesso di causa-effetto, e nel Trattato sulle passioni Cartesio fa solo un’allusione in proposito e scrive: «Dove a una volizione [ad un atto di volontà] segua il movimento del corpo, ebbene, il corpo è mosso nell’occasione di tale azione», e per gli scolastici cartesiani la parola “occasione” diventa il presupposto sul quale riflettere.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La parola “occasione “ rimanda a termini come “opportunità, possibilità, causa, motivo, scusa pretesto”, ma anche a termini come “buon affare” e “offerta speciale”...
Avete concluso ultimamente un buon affare, e avete usufruito di un’offerta speciale?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Risulta evidente, sostengono gli scolastici cartesiani, che l’atto di volontà non può essere sempre una causa efficiente, e questa constatazione che cosa determina?
Nel pensiero di Cartesio la sostanza pensante [res cogitans] e la sostanza materiale [res extensa] sono diverse, sono divise, sono separate e, di conseguenza, non è possibile che tra loro ci sia un nesso di causa-effetto [come fa il pensiero a passare informazioni alla materia?]. Tra due sostanze - la pensante e la materiale - così diverse tra loro, la causa [sostengono gli scolastici cartesiani che vogliono comunque risolvere il problema dell’incomunicabilità tra l’anima e il corpo] non potrà essere efficiente ma potrà solo essere occasionale e, quindi, sarà gestita non da un’azione volontaria prettamente umana di natura empirica, ma da un atto spirituale di carattere metafisico di natura trascendente. Perché la persona cammina, si domandano gli scolastici cartesiani? La persona cammina in occasione del fatto che un suo atto spirituale, che parte dall’anima, ha creato l’effetto fisico, che si ripercuote sul corpo. Perché, si domandano gli scolastici cartesiani, la persona è saltata su quando si è punta inavvertitamente? È saltata su in occasione del fatto che un atto materiale [fisico e ricettivo] ha creato un effetto spirituale [metafisico e propulsivo]. La causa tra la sostanza pensante [l’anima] e la sostanza materiale [il corpo] è occasionale: in occasione dell’atto spirituale [il monito dell’anima] avviene l’effetto fisico [la risposta del corpo], e in occasione dell’atto fisico avviene l’effetto spirituale. Non ci vuole molto a capire che questa riflessione difetta di un dato fondamentale e, difatti, viene spontaneo domandarsi: ma dove sta allora la causa efficiente? Chi o che cosa mette in moto il corpo in occasione dell’atto spirituale, e chi o che cosa mette in moto lo spirito in occasione dell’atto fisico?
Le riflessioni degli scolastici cartesiani portano alla nascita di una corrente di pensiero che prende il nome di “occasionalismo” e il primo significativo rappresentante di questa corrente si chiama Arnold Geulincx. Geulincx è nato ad Anversa il 31 gennaio 1624 e compie i suoi studi alla facoltà delle Arti dell’Università di Lovanio diventando un rinomato insegnate di questo prestigioso ateneo finché, nel 1658, viene rimosso perché entra in urto con gli ambienti cattolici tradizionalisti. Nell’ultimo periodo della sua vita, perseguito dall’Inquisizione, fugge dal Belgio e si trasferisce a Leida, in Olanda, dove aderisce al calvinismo, e dove muore in assoluta povertà nel novembre del 1669.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con una guida del Belgio e navigando in rete andate a visitare la città di Anversa, il capoluogo delle Fiandre che dal Medioevo all’inizio dell’età moderna ha avuto uno straordinario sviluppo economico poi, sempre con una guida del Belgio e navigando in rete, andate a visitare la città universitaria di Lovanio, il capoluogo del Brabante fiammingo, buon viaggio...
Arnold Geulincx ha scritto quattro opere importanti: Logica, Ethica, Metaphisica e Physica che sono il frutto delle Lezioni che ha tenuto a Lovanio sulla Filosofia di Cartesio [le sue Lezioni sono il primo commento organico del pensiero cartesiano].
La formazione intellettuale di Geulincx avviene, quindi, sulla scia della nuova scolastica cartesiana e la sua riflessione si basa su un postulato [applica il concetto de “la garanzia verace” di Cartesio]: chi è, si domanda retoricamente Geulincx, la causa efficiente se non Dio [dato che Cartesio ha dimostrato razionalmente l’esistenza dell’idea di Dio]? E Geulincx, in proposito, scrive una proposizione che diventa il manifesto della corrente dell’occasionalismo: «Dio è l’autore sia dell’ordine spirituale che di quello fisico, e tra le due sostanze, la spirituale e la materiale, non c’è alcun rapporto, allo stesso modo come non c’è rapporto tra due orologi che suonano la stessa ora, ma la sincronia dei due orologi esiste per merito della bravura dell’orologiaio, ed è la stessa sintonia esistente tra l’anima e il corpo dovuta alla volontà del Creatore». L’orologio è una straordinaria invenzione che, nel corso del ‘600, viene sempre più perfezionata, e Geulincx ne approfitta per costruire un esempio metafisico molto significativo per affermare che la corrispondenza tra l’atto dello spirito e il movimento del corpo, e tra il movimento del corpo e l’atto dello spirito, è dovuta a quello straordinario artefice-orologiaio che è Dio. Questa riflessione, in puro stile metafisico, costituisce quello che si chiama “il postulato [la piattaforma filosofica, il manifesto] dell’occasionalismo”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Arnold Geulincx, per spiegare che Dio è causa di tutte le azioni umane, usa il paragone dei due orologi che suonano in sincronia la stessa ora per merito della bravura dell’orologiaio...
Questo esempio nasce dal fatto che, nel corso del Seicento, la straordinaria invenzione dell’orologio viene perfezionata e questo oggetto comincia ad avere un’ampia diffusione...
Quando avete posseduto per la prima volta un orologio, e per quale occasione particolare vi è stato regalato o avete acquistato un orologio?... Bastano dieci minuti d’orologio per scrivere quattro righe in proposito: chi ha tempo non aspetti tempo...
Sulla piattaforma ideologica di Arnold Geulincx si sviluppa il pensiero del personaggio che viene considerato il più importante filosofo , teologo ed esegeta, della corrente “occasionalista” Nicolas Malebranche, [che tende a unire scienza e misticismo.
Nicolas Malebranche è nato a Parigi il 5 o 6 agosto 1638 in una famiglia aristocratica: suo padre Nicolas è stato consigliere del re Luigi XIII fino a quando il monarca decide di abolire il Consiglio, e sua madre, Catherine de Lauzon, è la sorella di uno dei viceré francesi in Canada. Nicolas, ultimo di dieci figli, è nato con una malformazione alla spina dorsale e porta la gobba [una gobba non particolarmente prominente] ed è cagionevole di salute mentre la sua mente è salda e, fin da bambino, mostra grandi doti intellettuali per cui, appena adolescente, dopo aver ricevuto una robusta istruzione elementare in casa con precettori domestici, inizia gli studi di Filosofia nel collegio di La Marche e poi nel 1656 s’iscrive alla facoltà di Filosofia della Sorbona dove si specializza in Teologia [studia soprattutto la Teologia della Scolastica medioevale ma al momento senza troppo entusiasmo]. Nel 1660 dopo la morte dei genitori, Malebranche, dopo aver rinunciato a un redditizio canonicato a Notre-Dame spettante ai parenti della madre, ai Lauzon, entra nella congregazione dell’Oratorio [che, negli anni, è andata sempre più ispirandosi all’omonimo modello romano fondato nel 1575 da Filippo Neri, da poco beatificato] e nel 1664 viene ordinato sacerdote. Inizialmente Malebranche, oltre che all’attività pastorale, si dedica allo studio delle Opere di Sant’Agostino ma poi è attratto dalla filosofia cartesiana e dal pensiero occasionalista di Arnold Geulincx. Malebranche, dopo aver svolto un’intensa attività intellettuale e anche pastorale a favore dei più poveri, muore a Parigi il 13 ottobre 1715.
Quali sono i punti salienti del suo pensiero? La vocazione filosofica di Nicolas Malebranche, come lui stesso racconta, inizia nel momento in cui riceve una sorta di illuminazione, non come quella avuta [scrive ironicamente Malebranche] da Paolo di Tarso sulla via di Damasco ma molto più semplicemente in rue Saint-Jacques [la via di San Giacomo], una delle strade parigine più ricche di Storia [anche perché è la via che conduce verso il Cammino di Santiago di Compostela]. In rue Saint-Jacques c’è una zona occupata da molte bancarelle che vendono Libri, e un libraio, con il quale Malebranche è in confidenza [e si ferma spesso a chiacchierare con lui], un giorno gli presenta un’opera appena uscita postuma di Cartesio [Cartesio è morto nel 1650] che s’intitola Trattato dell’Uomo. Malebranche comincia a leggerlo e rimane colpito da questo testo “che restituisce lo spirito allo spirito” [e il libraio glielo conserva finché lui riesce ad acquistarlo]. Malebranche conosce poco il pensiero cartesiano, ne ha sentito molto parlare negli ambienti degli Oratoriani e, dopo aver letto il Trattato dell’Uomo, ha un’intuizione che lo induce a studiare sistematicamente le Opere di Cartesio e ad approfondire diligentemente lo studio della Matematica e della Fisica. Che cosa ha intuito Malebranche, e che cosa pensa di poter realizzare?
Malebranche, influenzato dal pensiero di Cartesio, inizia la sua riflessione partendo dal presupposto agostiniano per eccellenza mutuato dal pensiero platonico: Sant’Agostino [e dovremmo ricordarcene] sostiene che l’anima di ogni persona, creata da Dio, ha in sé delle verità, cioè dei principi evidenti e universali [logici, metafisici, morali] che sono “veri” perché riflettono le Idee divine cioè la Verità in sé. La persona [sostiene Sant’Agostino parafrasato da Cartesio] non crea la Verità ma la scopre semplicemente perché la porta in sé [secondo la definizione agostiniana che tutti conosciamo: «In interiore homine abitat veritas »(la verità abita nell’interiorità della persona)], però, naturalmente, non tutte le verità che hanno sede nel pensiero della persona [come riflesso della Verità in sé] possono essere conosciute nell’immediato: molte di esse, sostiene Sant’Agostino, rimangono allo stato latente, in condizione virtuale, e perché vengano conosciute [messe in atto, pensate] occorre che Dio agisca sull’anima della persona con l’illuminazione fornendole la chiave di lettura adatta [e l’illuminazione, così come la grazia di Dio - afferma Sant’Agostino - bisogna guadagnarsela]. Malebranche, quindi, partendo da questo presupposto agostiniano, comincia a elaborare un progetto ambizioso: quello di fondare una Metafisica e una Teologia facendo conciliare il pensiero metafisico di Sant’Agostino con il pensiero fisico e scientifico di Cartesio e, a questo proposito, nel 1674 fa pubblicare la prima parte della sua opera più significativa intitolata La ricerca della verità [De la recherche de la vérité] e Malebranche la scrive direttamente in francese. Cartesio ha composto le sue Opere in Latino ma dalla seconda metà del ‘600 qualcosa sta cambiando sullo scenario europeo: la cultura moderna tende a nazionalizzarsi. Quest’opera - il cui titolo completo è La ricerca della verità, in cui si tratta della natura dello spirito umano e dell’uso che bisogna farne per evitare l’errore nelle scienze - via via si arricchisce di capitoli, e viene terminata da Malebranche nel 1712, e in essa si manifesta lo spirito meditativo, ascetico, orientato alla metafisica di Malebranche, ma vi si trova, anche e soprattutto, una grande e serena fiducia nella ragione umana. Anche Cartesio, come sappiamo, ha fiducia nella ragione, ma solo se illuminata dall’intelletto, mentre Malebranche ha una fiducia ancora più ferma, più radicata nella ragione illuminata dall’intelletto perché crede che la luce dell’intelletto provenga dall’anima della persona creata da Dio, e scrive: «La ragione, illuminata dalla luce dell’anima che si riverbera sull’intelletto della persona, è infallibile, immutabile, incorruttibile; essa deve essere sempre la padrona; Dio stesso la segue». Nel pensiero di Malebranche è esplicito il fatto che si manifesti “il primato della Fede”, ed è inequivocabile la sua grande fiducia in Dio rispetto a Cartesio. Come ricordate, Cartesio più che in Dio ha fiducia nel concetto di Dio perché per lui rappresenta “l’idea garante” [il supremo postulato] che sostiene a priori il suo sistema: il concetto di Dio, afferma Cartesio, non può non contenere l’idea della Verità, quindi, se c’è Dio, c’è anche la Verità e, di conseguenza, ci sono anche le idee veraci [le Idee innate della Matematica]. Per Malebranche ogni moto della ragione è governato da Dio, e non dal concetto di Dio, ma da “la Persona divina del Creatore” e, per lui, come per Tommaso d’Aquino [e Malebranche - come ricorderete - ha ben studiato la Scolastica medioevale] tra la fede e la ragione non c’è contrasto: la ragione, afferma Malebranche,, illuminata dalla luce dell’anima che si riverbera sull’intelletto della persona, non può che condurre verso la Fede. Però “la ragione” di cui parla Malebranche non è come per Tommaso d’Aquino quella descritta nella Logica di Aristotele [quella delle categorie], ma Malebranche si riferisce al moderno concetto di ragione come lo ha elaborato Cartesio, cioè “lo strumento gestore della disciplina matematica” che, come abbiamo studiato, agisce mediante il ragionamento intuitivo e deduttivo. Scrive Malebranche: «L’evidenza, così come l’intelligenza, è preferibile alla fede, giacché la fede passerà [la fede si può perdere], ma l’intelligenza sussisterà eternamente». Questa affermazione [come molte altre di Malebranche] impressiona molto gli intellettuali del secolo che verrà [il ‘700, il secolo dei Lumi, verso il quale ci stiamo dirigendo], e noi, ora, non possiamo non domandarci: perché Malebranche - che è una persona così religiosa e così mistica - dà tutto questo valore alla ragione illuminata dall’intelletto, perché dà alla ragione un’importanza superiore a quella della Fede? Malebranche, che diventa studioso della disciplina matematica [seguendo le direttive di Cartesio], considera “l’intelligenza di natura matematica e geometrica di stampo cartesiano” [lo strumento a diretto contatto con Dio] come l’elemento propulsore della moderna metafisica cristiana: la via attraverso la quale la persona può avvicinarsi alla salvezza eterna e, in proposito, Malebranche, sul piano esegetico, studia e analizza tutto il lavoro, cominciato nel 1500, in età rinascimentale, di traduzione e di commento della Letteratura patristica per dimostrare che “l’intelligenza matematico-geometrica” esaltata da Cartesio, creata e donata da Dio alla persona come strumento di conoscenza, opera a stretto contatto [in collaborazione] con il Logos. Che significato ha questa affermazione? [prima di rispondere non dobbiamo trascurare le bancarelle dei Libri e le vie dove si trovano].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Sappiamo che la vocazione filosofica di Nicolas Malebranche inizia [come lui scrive ironicamente] nel momento in cui riceve una sorta di illuminazione in rue Saint-Jacques [la via di San Giacomo], ebbene, con una mappa di Parigi - che trovate su una guida della città e navigando in rete - percorrete rue Saint-Jacques perché è una delle strade parigine più ricche di Storia… In rue Saint-Jacques, nella zona delle bancarelle dei Libri, Malebranche scopre [per merito di un libraio con il quale è in confidenza] un’opera appena uscita postuma di Cartesio [Trattato dell’Uomo] che lo induce a riflettere… Voi avete trovato su una bancarella un Libro che v’interessava particolarmente?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Che cosa significa, come scrive Malebranche, che: «L’intelligenza matematico-geometrica esaltata da Cartesio, creata e donata da Dio alla persona come strumento di conoscenza, opera a stretto contatto [in collaborazione, quasi identificandosi] con il Logos»? Ebbene, il termine greco “Logos” ci ha accompagnate e accompagnati in questi tre decenni nel corso di molti viaggi.
Nicolas Malebranche ritiene che “l’intelligenza matematico-geometrica di stampo cartesiano” sia l’elemento propulsore della moderna metafisica cristiana: la via attraverso la quale la persona può avvicinarsi alla salvezza eterna. L’intelligenza, creata e donata da Dio alla persona come strumento di conoscenza, afferma Malebranche, opera a stretto contatto [in collaborazione, quasi identificandosi] con il Logos. Il Logos è il Pensiero, la Parola, il Discorso, lo strumento del Discorso, l’Intelligenza di Dio, è la Ragione divina che illumina la mente della persona perché possa contemplare le Idee. E Malebranche - nelle opere intitolate Colloqui sulla metafisica, la religione e la morte [Rotterdam 1688 - Parigi 1696] e Trattato dell’amore di Dio [Parigi 1697] - ripercorre in chiave esegetica l’itinerario che compie il concetto del Logos [dell’Intelligenza divina] nelle più importanti Opere della Letteratura patristica partendo da dove questo concetto prende forma per la prima volta in senso cristiano cioè dal testo del Vangelo secondo Giovanni [kata Ioannin]. E il celebre Prologo del Vangelo secondo Giovanni diventa [manifestando la sua potenza intellettuale anche in età moderna] il punto di riferimento teologico di questa nuova metafisica di stampo cartesiano che Malebranche elabora. Il Prologo del Vangelo secondo Giovanni [i primi 18 versetti del capitolo 1°] inizia [come probabilmente sapete a memoria] con l’affermazione «Prima di tutto [in principio] c’è il Logos [En archè èn ò Lógos]» che è la Parola, il Pensiero, l’Intelligenza, la Ragione e la Sapienza di Dio, e «il Logos si è fatto carne » in Gesù Cristo. Malebranche, in veste di esegeta e di teologo, spiega che il divino entra nella Storia come Logos [come Intelligenza] e, di conseguenza, il suo “essersi fatto carne” come se fosse una persona qualsiasi valorizza massimamente la Ragione [illuminata dall’intelletto] e l’Intelligenza umana. Malebranche, in Colloqui sulla metafisica e la religione, riprende e sviluppa “il discorso dei Padri della Chiesa” [la Letteratura patristica] partendo da Dialogo con Trifone di Giustino di Efeso redatto nel 160, tenendo anche conto che il Prologo del Vangelo secondo Giovanni è opera di Giustino di Efeso , il primo filosofo platonico che ha aderito al cristianesimo. Malebranche - per dimostrare l’idea che l’Intelligenza umana, illuminata dal Logos, è stata creata e donata da Dio alla persona come strumento di conoscenza tanto della fisica quanto della metafisica - svolge un intenso lavoro di riordinamento di tutto il materiale patristico così come è stato tradotto e commentato dai magisteri della Scolastica medioevale e poi dagli umanisti della Scolastica rinascimentale, e il frutto di tutta questa attività di studio e di ricerca, sul finire del ‘600, per merito di Malebranche è a disposizione delle studiose e degli studiosi della Scolastica moderna [o cartesiana].
Da questo momento a chi studia [ai cartesiani, ai libertini, agli occasionalisti che abbiamo incontrato, e a quelli che incontreremo strada facendo nei prossimi viaggi] appare chiaro per opera di Malebranche il percorso culturale [l’itinerario salvifico del Logos] tracciato dai Padri Apostolici [Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne] e dai Padri Apologisti [Giustino di Efeso, Tertulliano di Cartagine, Clemente Alessandrino di Atene, Origene di Alessandria] dal quale si deduce che non c’è contrasto tra la filosofia greca dei Classici e la dottrina cristiana dell’Epistolario di Paolo di Tarso. La moderna scolastica prende atto che tra la filosofia greca e la dottrina cristiana c’è un rapporto di continuità dovuto all’azione del Logos, e Malebranche scrive: «Il Logos di Socrate, di Platone, di Aristotele, di Plotino non è altro che la Parola, il Pensiero, la Ragione, l’Intelligenza, la Sapienza, il Logos del Dio Padre che si è manifestato nella Storia con il Figlio, il Logos che si fa carne, il quale è tornato all’Uno ma ci ha lasciato ancora in eredità il Logos che si manifesta nella Storia, sotto forma di Pneuma, di Spirito Paraklitos [il Consolatore]. La luce del Logos, l’Intelligenza di Dio nella Storia, illumina le menti dei Padri fino al pensiero di Sant’Agostino». La filosofia di Cartesio, afferma Malebranche, non fa che completare il pensiero di Sant’Agostino che è il frutto più maturo di tutta la Patristica e, quindi, l’Intelligenza matematico-geometrica esaltata da Cartesio si identifica con il Logos, con l’Intelletto di Dio [quando investiamo in intelligenza e operiamo matematicamente è come se utilizzassimo l’Intelletto di Dio, e matematica e mistica si fondono].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In proposito leggete, o rileggete ancora una volta, i primi 18 versetti del capitolo 1° del Vangelo secondo Giovanni tenendo conto che il termine “Logos” è stato tradotto con “Verbo” o con “Parola”... Se scrivete i versetti che contengono il termine Logos o Verbo o Parola avrete la sintesi teologica del Prologo che Malebranche utilizza per la sua riflessione...
Su questa strada Malebranche cerca di superare il dualismo cartesiano: vuole dimostrare che pensiero e materia [anima e corpo] possono comunicare.
Nicolas Malebranche [coniugando il pensiero di Platone, di Plotino, di Sant’Agostino, di Cartesio, di Geulincx] afferma che la persona è in grado di conoscere solo le Idee perché le Idee non sono causate dai corpi ma “corrispondono ai corpi”. Le Idee, afferma Malebranche, sono in Dio che essendo bontà infinita non c’inganna, e le Idee, per essere “veraci”, non possono essere prodotte dalla persona perché la persona è imperfetta ed è soggetta al dubbio. Le Idee, quindi, afferma Malebranche, “risiedono” in Dio, e la persona le vede “corrispondere” ai corpi e, di conseguenza, ogni volta che la persona riconosce un’Idea intuisce la presenza di Dio. E Malebranche a questa operazione conoscitiva dà il nome di “ontologismo”, termine che definisce “il metodo utile per riconoscere l’essenza delle Idee contenute nell’Intelletto divino”, per cui, vedendo le Idee corrispondenti, afferma Malebranche, la persona intuisce e incontra Dio stesso che è il Luogo delle Idee veraci e, quindi, il processo della conoscenza, scrive Malebranche nel Trattato dell’amore di Dio, consiste nella ricerca della veracità delle Idee che coincide con la ricerca della Verità e dell’amore di Dio. La persona, afferma Malebranche, riconosce l’altra persona perché l’Idea verace di ciascuna persona è in Dio e “l’atto di conoscenza” è un fatto straordinario perché consente alla persona di immergersi nell’Amore di Dio che la rigenera. La conoscenza “ontologistica” [come la definisce Malebranche] libera la persona dall’egoismo, dalla zavorra terrena e rinforza la sua Ragione che, illuminata sempre di più dall’Intelletto, potrà vedere con chiarezza le Idee e percepire l’Amore di Dio. A questo punto Malebranche può affermare che la divisione tra lo spirito e la materia [tra l’anima e il corpo, tra res cogitans e res extensa] è superata nell’incontro con Dio ma [siccome la persona non smette mai di dubitare] Malebranche si accorge subito dell’emergere di alcuni problemi.
Il primo problema consiste nel fatto che se Dio è la vera origine di ogni azione e di ogni conoscenza allora la persona vede pericolosamente ridotta la sua autonomia decisionale e, soprattutto, se è l’azione di Dio, che è infinitamente buono, a prevalere sull’autonomia decisionale della persona, come mai, il male continua a esserci? Se Dio è l’unica causa di ciò che accade [sia nell’ordine dello spirito che nell’ordine della materia] non diventa responsabile anche del male? Se Dio è causa di tutto, di conseguenza, è anche causa del male, e se Dio si esprime solo con le sue perfezioni, e la ragione umana le coglie, come mai, poi, alla ragione umana non fa scandalo scegliere il male? Ci sarà, forse, anche in Dio questa contraddizione [pensa Malebranche, anche se non ci vorrebbe pensare]?
Il secondo problema non è da meno: se la differenza tra la sostanza pensante [res cogitans] e la materia [res extensa] non c’è più, se si annulla in Dio, allora non c’è più differenza tra lo spirituale e il materiale, tra l’anima e il corpo e, di conseguenza, anche la differenza tra Dio e il Mondo non c’è più e se così fosse, pensa Malebranche, ciò significherebbe che Dio occupa la totalità dell’Essere e che, quindi, Tutto è Dio, l’Essere è Pan-Teon [Tutto-Dio] e dunque c’è da domandarsi: l’essere umano che fine fa? Ma il Dio cristiano [afferma Malebranche che, dopo avere riflettuto, cerca una soluzione], secondo la dottrina, proprio per garantire la libertà della persona, viene dichiarato “meta-fisico”: Il Dio cristiano si rivela collocandosi al di là [trascendente] del Mondo creato, e perciò il Dio di Malebranche, garante delle Idee veraci come quello di Cartesio, assomiglia molto al Dio dei filosofi più che a quello delle Sacre Scritture. Cartesio lo ha ammesso mentre Malebranche si affida alla sua Fede nel Dio di Gesù Cristo, e non si duole né di dubitare né di non poter risolvere queste contraddizioni, ed è soddisfatto di lasciare a quelli che verranno queste “questioni aperte” su cui continuare a riflettere [e qui potremmo aprire una parentesi di natura letteraria di vastissima ampiezza].
Forse, a questo punto, nella nostra mente ha preso forma un pensiero: che senso può avere puntare l’attenzione su temi che sembra siano avulsi dalla realtà odierna? Però, come abbiamo imparato, non possiamo non dubitare nei confronti di questo pensiero [siamo sicuri che la riflessione su questi temi non sia utile nel favorire lo sviluppo della nostra limitata capacità nell’investire in intelligenza quando sappiamo quanto sia limitata questa capacità nella popolazione mondiale?]. Se i personaggi che abbiamo incontrato ultimamente [Cartesio, padre Mersenne, Gassendi, Geulincx, Malebranche, e prima ancora Michel de Montaigne] hanno riflettuto su questi temi in questo modo c’è una ragione di fondo che ha il suo peso: queste persone hanno voluto fare uno sforzo di comprensione per “dare qualità al pensiero” [facendo agire la ragione alla luce dell’intelletto] e questo esercizio ha portato indubbi vantaggi per far crescere il valore di quella facoltà che chiamiamo: “l’intelligenza generale”. Che cosa significa? Costoro hanno cominciato a pensare che l’educazione deve favorire l’attitudine generale della mente a porre e a risolvere i problemi, e hanno pensato che lo sviluppo dell’intelligenza generale richiede il libero esercizio di una importante facoltà umana: la curiosità intellettuale. Hanno pensato che l’educazione deve stimolare e risvegliare continuamente l’attitudine alla ricerca, orientata verso i temi fondamentali della condizione umana.
L’espressione “condizione umana” entra decisamente nel lessico della Storia del Pensiero Umano a cominciare dalla seconda metà del ‘600 e le autrici e gli autori che abbiamo incontrato in questo viaggio affermano che la caratteristica preminente della condizione umana è “il dubitare”. Lo sviluppo dell’intelligenza generale richiede l’esercizio del dubbio perché il dubbio è il lievito di ogni attività valutativa, interpretativa, illustrativa, esplicativa, in quanto il dubbio permette di ripensare il pensato, e consente a chi dubita di dubitare del fatto che sta dubitando.
Nel breve LEGERE MULTUM ... di questa sera, troviamo, in proposito, un frammento tratto ancora una volta dai Saggi di Montaigne che contiene una significativa citazione utilizzata per sostenere la validità del concetto del “dubbio”. Montaigne, per rafforzare la sua riflessione, cita la Divina Commedia di Dante Alighieri: il verso 93 del canto XI dell’Inferno la cui parafrasi è la seguente: «Mi è gradito il sapere [scrive Dante rivolgendosi a Virgilio], ma non meno del sapere mi è gradito il dubitare». La parola di Virgilio rischiara la mente di Dante che desidera avere dei dubbi per poter ricevere nuove spiegazioni del maestro perché l’apprendimento si realizza non con l’imposizione di una verità precostituita ma mediante l’argomentazione condotta sulla via impervia della ricerca della verità.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Tutte e tutti voi custodite il volume della Divina Commedia di Dante Alighieri nella vostra biblioteca domestica e potete leggere l’XI canto dell'Inferno nel quale il poeta mette bene in evidenza quanto sia importante l’argomentazione per favorire l’apprendimento...
E ora, per concludere, leggiamo il frammento tratto dal capitolo XXVI, intitolato Dell’educazione dei fanciulli, del Libro I dei Saggi di Montaigne.
LEGERE MULTUM….
Michel de Montaigne, Saggi
È utile che alla persona che studia si faccia passare tutto al setaccio e non gli si metta in testa nulla con la sola forza dell’autorità: i principi di Aristotele non siano a forza i suoi principi, non più di quanto lo siano quelli degli stoici e degli epicurei. Alla persona che studia è bene prospettare una varietà di giudizi, ed ella sceglierà se può, altrimenti rimarrà nel dubbio. Soltanto i poco di buono sono sicuri e decisi. E, come si legge nella Commedia di Dante Alighieri, voglio dire: «Che, non men che saper, dubbiar m’aggrada». [Imparatelo a memoria questo verso!] …
Non ci sono dubbi sul fatto che la prossima sarà l’ultima tappa di questo lungo viaggio che sta per concludersi [il 35° di questa esperienza didattica] e, quindi, non perdete l’ultimo itinerario: il prossimo giovedì 23 maggio alla Scuola “Primo Levi” di Tavarnuzze con i due gruppi uniti del Chianti [come è tradizione], e il prossimo venerdì 24 maggio con il gruppo fiorentino nello Spazio-Soci della Coop. di Ponte a Greve.
E, infine, non dobbiamo avere dubbi quando affermiamo che è bene, che è utile e che è necessario - per dare un senso alla nostra condizione umana - non perdere mai la volontà di imparare: «si parte per assaporare la voglia di tornare e si torna per coltivare ancora il desiderio di partire».
Per questo la Scuola è qui: con la porta aperta sulla strada…