ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica del ‘600: il secolo della scienza 23-24 maggio 2019
LA QUESTIONE DEL PARADOSSO LESSICALE CHE RIGUARDA LA PAROLA “SCIENZA”
IN RELAZIONE ALLA DICITURA: IL SECOLO DELLA SCIENZA ...
Durante il viaggio di quest’anno [il 35° anno di attività di questa esperienza didattica] abbiamo attraversato “il territorio della sapienza poetica e filosofica del ‘600, il secolo della scienza”, e ci siamo mosse e mossi virtualmente su questo vastissimo spazio didascalico seguendo una delle tante strade possibili e osservando ciò che questo percorso [questo lungo tragitto] ci ha offerto. Naturalmente sono molte le vie che attraversano il territorio seicentesco lambendo un numero enorme di variegati paesaggi intellettuali, di carattere storico, economico, politico, scientifico, artistico, letterario, antropologico: se dovessimo enumerare i paesaggi intellettuali che caratterizzano questa vastissima area culturale ci vorrebbe un anno intero e, quindi, chissà quante parole [nomi comuni o nomi propri o aggettivi di qualità o brevi definizioni] - alla luce della vostra esperienza personale - vi vengono in mente quando pensate al Seicento! Il Seicento non è solo “scienza” e su questa affermazione dobbiamo e vogliamo riflettere a costo, anche questa sera, di trovarci di fronte a un paradosso di carattere lessicale, ma, intanto possiamo domandarci: che cos’è per noi, in una parola, il Seicento?
Secondo lo stile di un Percorso di alfabetizzazione funzionale e culturale come il nostro non possiamo terminare questo viaggio senza fare un inventario lessicale, e questa sera qualunque tipo di rilevazione si faccia coincide inevitabilmente con la dicitura “compiti per le vacanze”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
C’è una parola significativa [un nome comune o un nome proprio o un aggettivo di qualità o una breve definizione] che vi viene in mente pensando al Milleseicento?...
Scrivetela con la consapevolezza che i compiti delle vacanze sono un impegno da assolvere proprio perché contribuiscano a dare leggerezza a questo periodo di sospensione, di aspettativa, di tregua che sta per iniziare: un periodo che deve mettere in incubazione il desiderio di ripartire…
Il termine più significativo, strettamente legato al Milleseicento, è, come ben sapete, la parola-chiave “scienza”, una delle parole più usate, e spesso anche a sproposito, del lessico contemporaneo, e di conseguenza è doveroso che sull’itinerario di questa sera [la tappa d’arrivo che prevede si metta in incubazione, con il ritorno di oggi, la partenza di domani] si prenda il passo sulla scia di questa parola che, in chiave filologica, risulta emblematica fin dalle sue origini e quindi dobbiamo riflettere in questa prospettiva.
Perché la filologia [le studiose e gli studiosi di questa disciplina] considera la parola “scienza” un termine emblematico alla stessa stregua di ciò che accade per la parola “cultura”? Perché, per tutto il ‘600, questa parola non è sufficientemente rappresentativa di un concetto ma risulta essere a supporto del concetto che dovrebbe rappresentare. Che significato ha questa affermazione? Avete capito che anche questa sera, anche in dirittura d’arrivo, vogliamo complicarci la vita: ma sul piano filologico, per quanto riguarda la disciplina che si occupa del significato e dell’uso delle parole, è un buon esercizio quello di cavalcare la complessità e, quindi, adesso, giunte e giunti alla fine di questo viaggio, dobbiamo fare ordine in campo filologico perché, contrariamente, non staremmo portando a termine un Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura [e, più passano gli anni, più questo titolo composito assume un carattere di urgenza]. Procediamo, quindi, con ordine, memori del fatto che prima Montaigne e poi Cartesio ci hanno insegnato a dubitare.
Da non molto tempo, da circa centocinquant’anni è stato attribuito al ‘600 l’appellativo di “secolo della scienza” e, come sappiamo, la parola “scienza”, che noi, dall’inizio della primavera, abbiamo utilizzato costantemente, corrisponde al termine latino “scientia” che deriva dal verbo “scire” che significa “sapere” e, a questo proposito, nella cultura latina, come abbiamo già ricordato in un altro contesto, è tipica l’espressione di Cicerone: «cognitionis et scientiae cupiditas » “il desiderio di apprendere e di sapere” [è questa - ci si domanda - la definizione più calzante del termine “scienza” nel suo significato più ampio: scienza come sinonimo di conoscenza?] ed è da questa affermazione che, di conseguenza, nel corso dei sette secoli della Scolastica medioevale [la grande stagione che dura dell’VIII al XIV secolo durante la quale si parla in latino] la parola “scienza” è sinonimo di “conoscenza, cognizione, dottrina, sapienza, perizia, scibile, competenza” e questa concomitanza di significati continua [e continuerà] ad essere presente nel bagaglio lessicale che accompagna questo termine. Tuttavia, come sappiamo, all’inizio dell’Età moderna [nel ‘500 e per tutto il ‘600] la parola “scienza” vive all’ombra del termine “filosofia” e [come sappiamo dal viaggio dello scorso anno], a questo proposito, risulta significativo il fatto che Galileo, che viene considerato il promotore del metodo sperimentale moderno [del metodo scientifico], nelle sue Opere utilizza il termine “filosofia” per dire “scienza”: anche Isaac Newton, che incontreremo nel corso del viaggio del prossimo anno scolastico, piuttosto che usare il termine “scienza” utilizza, come vedremo, la dicitura “filosofia naturale” e nel 1687 intitola la sua opera Philosophiae naturalis principia mathematica (Principi matematici della filosofia naturale). E, quindi, è più che mai opportuno, per prima cosa, riflettere diligentemente sul valore lessicale che ha, nel corso della sua storia, l’emblematica parola “scienza”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di questi termini - conoscenza, cognizione, dottrina, sapienza, perizia, scibile, competenza - mettereste per primo accanto alla parola “scienza”?...
Scrivetelo: «Le vacanze bisogna affrontarle con spirito scientifico [di conoscenza] perché vanno prese con filosofia»...
Quindi, stiamo per concludere un viaggio sul territorio del ‘600 che viene denominato “il secolo della scienza” [e questo secolo per noi non è terminato e prossimamente viaggeremo ancora nel corso di quest’epoca]. A questo punto per correttezza, dobbiamo fare ordine in campo filologico perché la parola “scienza” noi, strada facendo, l’abbiamo abbondantemente utilizzata [e, per motivi didattici, in modo da favorire la comprensione dei temi trattati, non abbiamo fatto preamboli di natura filologica in proposito per non creare ostacoli sulla via dell’apprendimento] e l’abbiamo sempre citata, questa parola, come se avesse il senso compiuto che ha oggi [dalla metà del 1800], mentre, per tutto il ‘600, questo termine, che abbiamo definito “emblematico”, si presenta ancora privo di una propria autentica identità, e questa affermazione rimanda ad un interrogativo che fa emergere un significativo paradosso che si può comprendere solo con una riflessione di carattere filologico che dobbiamo compiere, altrimenti verremmo rimproverate e rimproverati da tutti i personaggi che abbiamo incontrato in questi ultimi anni. Continuiamo, quindi, a procedere con ordine.
Per tutto il ‘600 la parola “scienza” appare ancora priva di una propria identità e, di conseguenza, ci si deve domandare: attraverso quali percorsi della Storia del Pensiero Umano [spesso accidentati] la parola “scienza”, da sinonimo di “conoscenza”, diventa il termine che designa gradualmente una disciplina logicamente ben strutturata? Nel rispondere a grandi linee a questo interrogativo ci troviamo di fronte a un paradosso: per secoli e, in particolare, per tutto il ‘600, il termine “scienza” - sebbene il ‘600 venga denominato per comprensibili ragioni didattiche “il secolo della scienza” - non è un vocabolo sufficientemente esaustivo da rappresentare il definitivo concetto moderno di “scienza” [tanto che i maggiori scienziati dell’epoca nicchiano di fronte a questo termine, vedi Galileo e Newton che continuano a utilizzare la parola “filosofia” piuttosto che “scienza”]. Nel corso dei viaggi di questi ultimi anni [come molte e molti di voi sanno] abbiamo seguito la lenta e complessa formazione di un concetto che si identifica con la parola-chiave “scienza” e questo è avvenuto esclusivamente per motivi didattici [il linguaggio di tutti i manuali ha seguito questo criterio] anche se questo vocabolo, “la scienza”, nella realtà ha avuto un ruolo marginale. E come si giustifica questa affermazione?
Subito dopo l’anno Mille, con le Scuole della prima Scolastica, è nato un grande interesse per la Natura, e questa attrattiva per l’osservazione e lo studio della Natura è cresciuta nel Trecento e nel Quattrocento con l’Umanesimo. Con il Rinascimento poi, nel Cinquecento, tutti gli studi fatti nei secoli precedenti vengono usati non solo per continuare a osservare la Natura ma anche per cercare di riprodurne il funzionamento, però, in proposito, per definire queste indagini gli umanisti e gli accademici rinascimentali non usano la parola “scienza” ma utilizzano la dicitura “studi naturalistici”. La Natura è una forza, è un insieme di forze, ed è un organismo potente e fertile, e chi si dedica agli studi naturalistici si domanda se sia possibile riprodurre in laboratorio le forze della Natura [i fenomeni, e in greco “phainòmenon” significa “ciò che si manifesta”] in modo che ci si possa appropriare della potenza e della fecondità della Natura ma, in proposito, gli studiosi non usano la parola “scienza” ma utilizzano la dicitura “fenomenologia”. Il Naturalismo è un movimento che vuole mettere la persona nella condizione di osservare e di descrivere la Natura, ma il termine “scienza” compare sporadicamente e risulta avere un ruolo ancillare, e quando viene usato, nel testo di un’opera che tratta di studi naturalistici, lo si utilizza genericamente come sinonimo di “attività conoscitiva” [è sinonimo di “conoscenza”]. Sappiamo anche che gli studiosi della corrente del Naturalismo [e i più importanti li abbiamo incontrati tutti strada facendo in questi ultimi anni] per descrivere la Natura si servono della Teologia: «Se la Natura è “a immagine di Dio” [affermano] cerchiamo di definire Dio e, di conseguenza, conosceremo la Natura» [e l’Idea di Dio come “garante della verità” l’abbiamo vista ultimamente utilizzare anche in modo piuttosto spregiudicato]. Sappiamo, inoltre, che l’accostamento della Teologia allo studio della Natura aveva portato anche a creare un metodo di indagine che è fiorito nell’ambito di una disciplina, i cui caratteri abbiamo studiato a suo tempo, che ha avuto uno straordinario successo nel corso del Rinascimento: la Magia e, in quest’ambito, il termine “scienza” - quando occasionalmente viene utilizzato come sinonimo di “attività conoscitiva” - risulta avere un ruolo enigmatico perché si parla paradossalmente di “scienza magica” e l’espressione “scienza magica”, se il termine “scienza” non fosse semplicemente sinonimo di “conoscenza”, sarebbe un ossimoro, una figura retorica che mette insieme due parole che esprimono concetti opposti.
Questa sera, quindi, prima di concludere questo viaggio nel “secolo della scienza”, per fare chiarezza nella nostra mente dobbiamo precisare che per motivi didattici noi abbiamo costantemente citato [e continueremo a farlo] la parola “scienza” come se avesse il senso compiuto che ha oggi, e lo abbiamo fatto soprattutto quando abbiamo incontrato Francis Bacon e Renato Cartesio, ma dobbiamo capire che anche questi due “scienziati” quando hanno usato questo termine lo hanno fatto rimarcando la sua subalternità perché per Bacon la voce “scienza” è [come ricorderete] sinonimo di “conoscenza” rispetto alla parola-chiave “tecnologia” [che è centrale nel suo sistema], e per Cartesio la voce “scienza” è sinonimo di “conoscenza” rispetto alla parola-chiave “matematica” [che è dominante nel suo sistema]. E allora, a questo punto, dopo aver chiarito l’aspetto filologico della questione, la nostra riflessione non può che rimanere in sospeso e legata a due domande: quando, finalmente, la parola “scienza” acquisterà la propria autonomia, e quando il termine “scienza” non servirà più solo per denominare genericamente un’attività conoscitiva [come sinonimo di conoscenza] ma esprimerà una disciplina ben strutturata logicamente e sistematicamente? Prima che la parola “scienza” possa definire un concetto dai contorni precisi e rigorosi dovranno passare ancora circa due secoli, ma siccome il tempo è dalla nostra, perché lo studio, come sapete, è anche un’applicazione volta ad allargare la vita delle persone, non ci vorrà molto a raggiungere i paesaggi intellettuali che, gradualmente, fanno chiarezza in proposito [basta, dopo la necessaria vacanza estiva, aver voglia di ripartire in autunno].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La parola “scienza [come sinonimo di conoscenza]”, nel corso del “secolo della scienza”, ha fatto da supporto a determinati termini e a certe significative espressioni come: filosofia naturale, studi naturalistici, fenomenologia, tecnologia, matematica...
Quale di queste definizioni scrivereste per prima accanto alla parola “scienza”?...
Per Francis Bacon la voce “scienza” è [abbiamo detto] sinonimo di “conoscenza” rispetto alla parola-chiave “tecnologia” [che è centrale nel suo sistema], e per Renato Cartesio la voce “scienza” è sinonimo di “conoscenza” rispetto alla parola-chiave “matematica [”che è dominante nel suo sistema]. Ebbene, sulla sia di questa affermazione - contenente le parole-chiave “tecnologia e matematica” - proseguiamo rimanendo sul tema che stiamo trattando [la questione del paradosso lessicale che riguarda la parola “scienza” in relazione alla dicitura: “il secolo della scienza”] dicendo che sarebbe stato doveroso entrare, come abbiamo fatto all’inizio della primavera [sette itinerari fa], nel territorio del ‘600 utilizzando come guida un personaggio che, invece, incontriamo adesso, e c’è una ragione nell’aver ritardato l’incontro: questa persona si chiama Leonardo da Vinci [1452-1519] del quale, in occasione del 500° anniversario della morte [il 2 maggio 1519] è stato detto di tutto e di più, e abbiamo atteso due mesi e mezzo, in primo luogo per partecipare a questa celebrazione e, in secondo luogo, soprattutto per mettere Leonardo nella condizione di collaborare alla riflessione che abbiamo imbastito questa sera [e non c’è imbastitore più competente di Leonardo, anche perché certe cose è solito lasciarle appena imbastite per andare ad imbastirne altre].
Dopo tutte le iniziative che sono state prese: noi [dalla periferia dell’impero, con voce flebile] che cosa possiamo dire ancora su Leonardo? Possiamo, in proposito, dire una parola, possiamo affermare che Leonardo, in linea con la riflessione filologica che abbiamo fatto questa sera, preferisce usare la parola “esperienza” piuttosto che il termine “scienza”. Ora, Cartesio [come è suo solito, e sostenuto anche da Montaigne in questo caso] non può fare a meno di farci venire un dubbio [forse malizioso, ma realistico]: non sarà che quando si mettono in atto così tante - e anche pregevoli - iniziative si finisce per generare nel pubblico la sindrome delle teste ben piene piuttosto che creare il fenomeno delle teste ben fatte? Ci sono personaggi, come Leonardo, che anticipano i tempi [teniamo comunque conto del fatto che Leonardo è morto appena 14 anni prima della nascita di Montaigne] e Leonardo è “un artista tecnico e matematico” [come lui ama definirsi] il quale, studiando la Natura e i suoi fenomeni, anticipa il metodo così detto “positivo e reale” [e queste parole non possono che soddisfare Francis Bacon e Renato Cartesio]: un metodo che, come sapete, apre la via a grandi scoperte, a utili invenzioni e a significativi investimenti in intelligenza.
Leonardo da Vinci [1452-1519] - man mano che a partire dal 1881 è stata decifrata l’immensa mole dei suoi appunti, circa settemila fogli! - si è rivelato un pensatore che cerca di utilizzare le Leggi della Natura per superare i limiti che l’essere umano ha per natura. La formazione di Leonardo non avviene solo sui Libri ma anche, come sapete, mediante il tirocinio nella bottega fiorentina del Verrocchio [Andrea di Cione, 1435-1488], dove si apprende un nuovo sapere tecnico centrato sull’importanza del calcolo matematico. Nella bottega del Verrocchio si diventa pittori seguendo il piano di studi di Leon Battista Alberti [1404-1472], per cui, per fare il pittore è necessario, non tanto imitare il maestro, ma imparare a leggere, a scrivere, a prendere appunti, ma soprattutto imparare la tecnica attraverso il sapere matematico e l’arte della geometria [bisogna curare la propria esperienza formativa].
Per dipingere la Natura bisogna conoscerla, ma la Natura non si conosce se non mediante la matematica e la geometria, ed è questo piano di studi che porta Leonardo a essere pittore, ma soprattutto [mettendo insieme greco e latino] a essere un “homo tecnologicus” [artifex]. Leonardo si schiera contro quello che lui chiama l’errore di far derivare i moti e le Leggi della Natura da forze soprannaturali, spirituali o peggio magiche, mitiche, sacrali. Le Leggi della Natura le conosciamo attraverso “le matematiche dimostrazioni”: «Nissuna umana investigatione [scrive Leonardo] si può dimandare vera scientia, s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni». Anche Leonardo usa il termine “scienza” come sinonimo di “attività conoscitiva” rispetto alle seconde due parole-chiave fondamentali del suo pensiero: tecnologia e matematica.
Il termine fondamentale del pensiero di Leonardo è la parola “esperienza”. Per Leonardo le vie dell’investigazione e della ricerca passano attraverso quella che lui chiama “la nota sperientia” [l’esperienza], fatta di calcoli aritmetici e di teoremi geometrici. Leonardo parla di “misure matematiche”, non di sperimentalismo fine a se stesso: l’esperienza fine a se stessa è condannata a ripetersi in modo sterile, quindi, l’esperienza, perché lasci il segno, va tradotta con la ragione in misure matematiche: «Nessuno effetto [scrive Leonardo] è in natura senza ragione: se intendi ragione mieti sperientia». Sono le misure matematiche che fanno “intendere ragione” [e Cartesio avrebbe fatto sua questa affermazione] ma neppure l’intendere ragione, afferma Leonardo, deve essere fine a se stesso, perché non basta intendere il concetto: lo scopo dell’intendere è “l’invenzione dell’oggetto”, e per Leonardo l’oggetto è lo strumento meccanico [e Francis Bacon avrebbe fatto sua questa affermazione]. E la conoscenza sboccia per necessità nella tecnica, e l’esperienza più la matematica produce la meccanica.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Qual’è lo strumento meccanico che vi piace utilizzare di più?...
Scrivete quattro righe in proposito…
I ragionamenti di Leonardo [impressi sui fogli dei suoi meravigliosi “codici”] restano a livello embrionale, e la sua formidabile capacità inventiva risulta essere, per l’epoca, una straordinaria forma di artigianato geniale che avrà in futuro, quando si potrà parlare di “scienza” in senso pieno, ricadute virtuose sul piano dell’utilità comune.
L’orizzonte immediato di Leonardo è senza dubbio quello della pittura [un’arte sulla quale Leonardo scrive un trattato], e noi sappiamo che per la sua attività di pittore egli prepara i suoi quadri con ricerche d’ogni genere, che vanno dall’anatomia alla geometria: come pittore si dimostra un grande ricercatore tecnologico e matematico [oggi possiamo dire “scientifico”]. Per Leonardo la pittura è un procedimento conoscitivo che deve ripercorrere le ragioni che stanno nascoste nella Natura e, anche se la pittura ci dà la superficie delle cose, deve quasi lasciar intravedere quello che vibra sotto la superficie. La superficie è solo un velo che nasconde un infinito groviglio di processi naturali, e la magia dei quadri di Leonardo, il mistero, sta proprio nella capacità di fermare sulla tela non solo la superficie di un volto, di un corpo, di un paesaggio ma anche tutti i fremiti naturali, le ragioni naturali che hanno dato vita e senso a quel frammento di Natura. Anche i suoi famosi chiaroscuri [passati poi a Raffaello] riflettono questa filosofia: l’oggetto non è solo da guardare ma da cogliere con tutti i sensi, e in tutti i sensi, ecco perché, scrive Leonardo «chi sprezza la pittura non ama né la Filosofia né la Natura» ed è un esercizio utile per la mente della persona quello di tornare, ogni tanto [senza aspettare 500 anni], a osservare le opere di Leonardo da Vinci.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Potete cercare in biblioteca i fascicoli, e sulla rete i siti, contenenti le Opere di Leonardo in modo da osservarle... Osservando le composizioni leonardesche non si può non far crescere in noi l’amore per la Filosofia e la per Natura…
Tutti i personaggi che abbiamo incontrato nel corso del nostro viaggio [in particolare Francis Bacon, Renato Cartesio e Michel de Montaigne] sono certamente pronti a sottoscrivere l’affermazione di Leonardo: «Chi sprezza la pittura non ama né la Filosofia né la Natura», sta di fatto che, probabilmente, nessuno di questi personaggi ha mai saputo dell’esistenza di Leonardo e delle sue Opere: e, difatti, ci chiediamo che cosa avrebbe scritto Montaigne a proposito del “non comune genio leonardesco” [forse si sarebbe espresso così lui che è attratto dalle cose fuori dal comune] e, sebbene non ci sia la possibilità di fare delle ipotesi in proposito, sta di fatto che, però, nel momento in cui riteniamo opportuno sia logico concludere il nostro viaggio insieme a Montaigne che ci ha accompagnate e accompagnati [nella stagione autunnale e per tutta la stagione invernale] assiduamente per tre quarti del nostro cammino, ebbene, non possiamo non constatare con meraviglia che l’ultimo capitolo dei Saggi di Montaigne [il capitolo XIII del Libro III] s’intitola Dell’esperienza che, come abbiamo visto poco fa, è la parola-chiave del pensiero scientifico-conoscitivo di Leonardo da Vinci. Se leggiamo l’incipit del capitolo XIII del Libro III, l’ultimo dei Saggi di Montaigne, troviamo tra le prime righe del testo [come Montaigne è solito fare] una citazione latina che Leonardo avrebbe sottoscritto, e ci viene il dubbio [tiriamo in ballo anche Cartesio se no se la prende a male] che proprio nella bottega del Verrocchio Leonardo l’abbia sentita questa citazione. E sta di fatto che il pensiero di Michel de Montaigne - contenuto nel testo dell’incipit del capitolo XIII del Libro III, l’ultimo dei Saggi, intitolato Dell’esperienza - collima con il pensiero di Leonardo da Vinci [possibile che nessun autorevole commentatore se ne sia ancora accorto? Gettiamo il sasso nello stagno!].
E ora leggiamo l’incipit dell’ultimo capitolo dei Saggi intitolato Dell’esperienza.
LEGERE MULTUM….
Michel de Montaigne, Saggi LIBRO III CAPITOLO XIII
Dell’esperienza
Non c’è desiderio più naturale del desiderio di conoscenza. Noi saggiamo tutte le strade che possono condurci ad essa. Quando la ragione ci fa difetto, ci serviamo dell’esperienza, Per varios usus artem experientia fecit: Exemplo monstrante viam [«Attraverso varie prove dall’esperienza nacque l’arte, l’esempio mostrandoci la via». Manilio, Astronomica], che è un mezzo più debole e meno nobile; ma la verità è una cosa tanto grande che non dobbiamo disdegnare alcun aiuto che ad essa ci conduca. La ragione ha tante forme che non sappiamo a quale appigliarci; l’esperienza non ne ha meno. …
E allora, sulla scia dell’esperienza guidata dalla ragione, a sua volta illuminata dall’intelletto, avviamoci verso il punto di arrivo di questo viaggio: un punto di arrivo che assomiglia già a un punto di partenza.
Il pensiero di Leonardo da Vinci e quello di Michel de Montaigne [tenendo conto del fatto che Leonardo è morto appena 14 anni prima della nascita di Montaigne] trovano un punto d’incontro nel testo dell’incipit del capitolo XIII del Libro III, l’ultimo capitolo dei Saggi, intitolato Dell’esperienza, e tra le prime righe di questo testo [come Montaigne è solito fare, e come abbiamo letto] c’è una citazione latina che Leonardo avrebbe sottoscritto perché anche lui sostiene [e Montaigne sarebbe stato d’accordo con lui] che «la conoscenza sboccia per necessità nella tecnica, e l’esperienza produce l’arte». Come abbiamo letto poc’anzi, Montaigne cita un autore latino che si chiama Marco [o Manlio] Manilio il quale, in un’opera intitolata Astronomica, scrive: «Attraverso varie prove dall’esperienza nacque l’arte.». Leonardo avrebbe potuto conoscere questa citazione perché l’opera di Manilio è stata curata e a suo tempo introdotta nell’ambiente fiorentino da Leon Battista Alberti, e, come abbiamo già detto, nella bottega del Verrocchio si segue il piano di studi di Leon Battista Alberti.
Della vita di Marco [o Manlio] Manilio non si sa nulla se non che è vissuto a Roma nel I secolo, al tempo di Augusto e di Tiberio. Sappiamo invece con certezza [secondo l’attendibile testimonianza di Lucano e Giovenale che vi hanno attinto] che Manilio è l’autore di un poema didascalico [istruttivo, divulgativo, scritto in esametri in cinque Libri] intitolato Astronomica [Gli astronomici] (nel senso dei concetti riguardanti l’astronomia) che ci è giunto completo ed è un’opera che tratta, oltre che di astronomia, anche di credenze astrologiche, dei caratteri e delle proprietà dei corpi celesti, dei modi per compilare gli oroscopi, degli influssi delle costellazioni sulla Natura e sul destino delle persone, ed è un poema che si richiama al De rerum natura di Lucrezio, ma segue la dottrina stoica della provvidenza secondo cui l’Universo è governato da un Logos, da un Pensiero provvidente, invece della concezione epicurea di un Universo governato dal caso.
Più che di poesia, visto i difficili argomenti di cui tratta, è un’opera di erudizione, scritta in tono spesso solenne, con periodi ampi e con una lingua zeppa di arcaismi che l’umanista Leon Battista Alberti si diverte a tradurre perché il testo di questo poema è ricco di sagge considerazioni educative, e Montaigne, che lo ha letto probabilmente per lo stesso motivo, nei Saggi cita questo poema ben undici volte, così come, probabilmente, lo cita il Verrocchio mentre Leonardo fa “esperienza” nella sua bottega.
A Leonardo sarebbe piaciuto il testo dell’ultimo capitolo dei Saggi in cui Montaigne, con la solita leggerezza che contraddistingue il suo stile, riflette sul tema dell’esperienza: dell’esperienza umana della quale fare tesoro per capire “come vivere nel modo più dignitoso possibile”. Montaigne, nel capitolo che chiude i Saggi, riflette facendo riferimento a una citazione, di cui non cita la fonte, piuttosto irriverente, e scrive: «Una volta quel grand’uomo di Esopo vide il suo maestro che orinava camminando. “Insomma!” disse. “Dovremo allora defecare correndo?”. Cerchiamo di amministrare bene il nostro tempo, ce ne resta ancora molto di ozioso e male impiegato». Con queste poche parole assai incisive Montaigne riesce a descrivere uno stile di vita secondo il quale bisogna prendersi il tempo necessario per vivere, per seguire la natura, per godere del momento presente, in modo da non affrettarsi se non c’è un reale motivo per farlo. Montaigne sta pensando al motto ellenistico [un’affermazione paradossale, apprezzata da Erasmo da Rotterdam nei suoi Adagia] che dice: «Festina lente» [affrettati lentamente], e Montaigne, al termine dei Saggi, esprime questo concetto con parole sue, e scrive: «Io ho un glossario tutto mio: passo il tempo quando è cattivo e uggioso; quando è bello, non lo voglio passare, lo assaporo, mi ci crògiolo. Dobbiamo sorvolare su quello cattivo e soffermarci su quello buono». Montaigne pensa a Orazio e lo cita scrivendo: «Affrettiamo il passo quando siamo tristi, ma assaporiamo tranquillamente i piaceri che la vita ci offre. Carpe diem, diceva Orazio. Cogli l’attimo, confidando il meno possibile nel domani. Godi del presente nella sua pienezza senza pensare alla morte». Ebbene, nelle ultime pagine dei Saggi, Montaigne, come fa all’inizio dell’opera, esorta le sue lettrici e i suoi lettori a cercare di essere sempre presenti a se stesse e a se stessi, e scrive: «Quando danzo, danzo, quando dormo, dormo, e anche quando passeggio da solo in un bel giardino, se i miei pensieri si sono soffermati per un po’ su circostanze esterne, per un altro po’ li riporto alla passeggiata, al giardino, alla dolcezza di quella solitudine, e a me stesso».
Quando Montaigne si domanda “come vivere?” pensa lo si possa fare prefiggendosi di stare al mondo «in modo modesto, naturale, semplicemente e pienamente umano» e le ultime parole dei Saggi sono sorprendenti perché invitano ad accettare la vita così come ci è stata data e la sorte che essa ci riserva perché, per quanto cattiva possa essere stata, dalla vita c’è sempre qualcosa di buono che abbiamo ricevuto, ed è questo “qualcosa” che dobbiamo intercettare e coltivare.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
A che cosa corrisponde “il qualcosa di buono” che dalla vita avete ricevuto?...
Scrivete quattro righe in proposito...
E ora leggiamo le ultime parole dei Saggi di Montaigne, e non per dirgli addio perché continuerà [seppur larvatamente] ad accompagnarci.
LEGERE MULTUM….
Michel de Montaigne, Saggi LIBRO III CAPITOLO XIII
Dell’esperienza
Quando noi cerchiamo altre condizioni è perché non siamo capaci di fare buon uso della nostra, e usciamo fuori di noi perché non sappiamo vedere quel che c’è dentro. Se pure saliamo sui trampoli, dovremo comunque camminare con le nostre gambe. E anche sul più alto trono del mondo saremo sempre seduti sul nostro culo. A mio giudizio le vite più belle sono quelle che si conformano al modello comune e umano compostamente, senza eccezionalità e senza stravaganze. Ora la vecchiezza ha certamente bisogno di essere trattata con più delicatezza. Raccomandiamola a quel dio [Apollo], protettore della salute e della saggezza gaia e socievole come scrive Orazio nelle Odi: «Ch’io possa godere dei beni che ho / in buona salute e sano di mente, / ecco ciò che ti chiedo di accordarmi, o figlio di Latona, / e che la mia vecchiezza sia onorata e ch’io possa ancora toccare la lira» …
Tra i lettori più attenti dei Saggi di Montaigne c’è anche un personaggio che incontreremo in autunno, dopo la vacanza: si chiama Blaise Pascal ed è, come sapete, l’autore di un’altra di quelle opere che hanno lasciato il segno nella Storia del Pensiero Umano e che s’intitola semplicemente Pensieri. Montaigne, nei Pensieri, viene spesso criticato con una certa aspra ironia da Pascal che, poi, però - oltre a manifestare un apprezzamento nei confronti di Marie de Gournay - mette in evidenza gli aspetti positivi delle sue riflessioni e, in una riga, rilascia, nel Pensiero 64, sotto forma di confessione, il giudizio più lusinghiero che di Montaigne si possa dare.
E ora leggiamo l’ultimo frammento dell’ultimo LEGERE MULTUM … di questo lungo viaggio di studio, è un frammento composto dai testi di quattro Pensieri di Pascal [sappiate che i Pensieri di Pascal sono scritti sotto forma di appunti, quella dei Pensieri pascaliani - come vedremo a suo tempo - è una scrittura in frantumi che diventa uno stile].
LEGERE MULTUM….
Blaise Pascal, Pensieri
63. Montaigne - I difetti di Montaigne sono grandi. Parole lascive, roba che vale poco, nonostante M.lle de Gournay. Credulone: popolazione senza occhi. Ignorante: quadratura del cerchio, mondo più grande. I suoi sentimenti sull’omicidio volontario, sulla morte. Ispira noncuranza per la propria salvezza, senza timore e senza pentimento. Poiché il suo Libro non era stato scritto per condurre a un sentimento religioso, non era obbligato a farlo; ma si è sempre obbligati a riflettersi sopra. Si possono scusare i suoi sentimenti un po’ liberi e voluttuosi su qualche circostanza della vita; ma non si possono scusare i suoi sentimenti del tutto pagani sulla morte; ora, in tutto il suo Libro, egli non pensa che a morire fiaccamente.
65. Quello che in Montaigne c’è di buono non può essere acquisito che con difficoltà. Quel che vi è di cattivo (non parlo dei costumi) poteva essere corretto in un momento, solo che lo si fosse avvertito che faceva troppe storie e che parlava troppo di sé.
66. Bisogna conoscere se stessi: anche se questo non servisse a trovare la verità, almeno servirà a regolare la propria vita, e non vi è niente di più giusto.
64. Non in Montaigne, ma in me stesso, trovo tutto quello che vedo in lui.
Questo frammento è un punto di arrivo ma, contemporaneamente, è anche un punto di partenza di un prossimo Percorso. Scrive Pascal: «Non in Montaigne, ma in me stesso, trovo tutto quello che vedo in lui.». E il senso di questa enigmatica affermazione sta in una raffica di domanda: chi è Blaise Pascal, e perché ci troviamo in un luogo che si chiama Port-Royal, e perché Port-Royal non è soltanto un luogo geografico ma è soprattutto un paesaggio intellettuale che ha contribuito allo sviluppo della cultura e alla costruzione della Storia del Pensiero Umano? Per rispondere a queste domande bisogna ripartire e per questo avete ricevuto il calendario di un prossimo viaggio di studio.
Il calendario [non lo perdete, bensì studiatelo a memoria] prevede salvo imprevisti che si parta mercoledì 9 ottobre alle ore 21 alla Scuola Francesco Redi di Bagno a Ripoli, e giovedì 10 ottobre alle ore 21 alla Scuola Primo Levi di Tavarnuzze [Impruneta], e venerdì 11 ottobre alle ore 17 presso lo Spazio-Soci della Coop. di Ponte a Greve a Firenze.
Prima di concludere è doveroso fare brevemente un bilancio dall’attività dando un po’ di numeri. Sono transitate da Scuola, nei tre gruppi, 301 persone: 68 alla Scuola Redi di Bagno a Ripoli, 51 alla Levi di Tavarnuzze e 182 alla Coop. di Ponte a Greve, in più ci sono una quarantina di persone [sparse per il mondo] che, con la rete, entrano nel Percorso e, inoltre, in tutti i tre gruppi, ci sono circa una cinquanta persone che, seppur non frequentando, si tengono in contatto [anche mediante il REPERTORIO...] e rimangono in sintonia con “il popolo della Scuola” e, di conseguenza, possiamo pensare che siano circa 400 le persone che si sentono coinvolte in questa esperienza scolastica.
Per quanto riguarda il “patrimonio” accumulato con le donazioni fatte da voi: sono stati raccolti 5274 € e 43 Cent.
Abbiamo speso:
700 € per l’Assicurazione dell’Associazione Art.34
1600 € sono stati versati alla Scuola Redi per la stampa dei REPERTORI
25 € per l’acquisto di un microfono necessario per lo Spazio Soci della Coop. Di Ponte a Greve a Firenze
Abbiamo devoluto:
1000 € all’Associazione Il Cuore si scioglie
500 € all’Associazione AISLA
400 € all’Associazione delle Donne messicane dei forni
Per un totale di 4225 € per cui rimangono in cassa 1049 € e 43 Cent. che rappresentano [quello che si chiama] il patrimonio attivo dell’Associazione “Articolo 34”. Questo “patrimonio” viene accantonato perché [bisogna essere previdenti] non possiamo sapere se il prossimo anno ci sarà un numero consistente di donatrici e di donatori come quest’anno, però, sappiamo che anche il prossimo anno ci saranno spese da fare e contributi da elargire, in particolare a settembre con la stipula dell’Assicurazione, e per concordare con la Scuola Redi la produzione dei materiali occorrenti, di solito l’ultima settimana di agosto inizio a fotocopiare.
E così - dopo aver dato i numeri [da 35 anni] - anche questo viaggio si è concluso, e la doverosa pausa estiva deve servire per rafforzare e per far crescere in noi la convinzione che “non bisogna mai perdere la volontà d’imparare” e, per soddisfare questa necessità costitutiva della persona, a ottobre salvo imprevisti ripartiremo per la 36esima volta. E con questo auspicio: la Scuola è qui, i compiti delle vacanze sono stati assegnati e a me, infine, non resta che augurare a tutte e a tutti voi: una buona vacanza di studio!