ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica dal secolo della Scienza a quello dei Lumi 16-17-18 ottobre 2019
PRENDIAMO IL PASSO AFFRONTANDO IL TEMA DELL’AMBIGUA SINTONIA
CHE PASCAL [SCRITTORE DEI PENSIERI]
COLTIVA NEI CONFRONTI DI MONTAIGNE [AUTORE DEI SAGGI] ...
Otto giorni fa abbiamo dato inizio a questo Percorso di studio con la celebrazione del tradizionale e ripetitivo “rituale della partenza” perché questa esperienza didattica ha assunto, in termini allegorici, le caratteristiche di un viaggio, e non c’è viaggio che non inizi con la partenza. Poi si è anche consolidata la tradizione [e le tradizioni hanno il loro valore se servono per dare maggiore qualità al pensiero], la tradizione di domandare a voi se, durante la vacanza, avete fatto uno o più viaggi con la relativa “doppia partenza”: quella dell’andata e quella del ritorno, quindi, anche quest’anno, il 36° di questa esperienza didattica, pensiamo sia di buon auspicio riflettere in proposito.
Questo Percorso di studio ha, in chiave allegorica, le caratteristiche di un viaggio e, come molte e molti di voi sanno, vale sempre la pena ripetere che, dal punto di vista filologico, la lingua greca [che mira ad essere significativa, espressiva, indicativa, efficace, eloquente] puntualizza e distingue tra il viaggio di andata [poreìa] e quello di ritorno [nostos], utilizzando due termini diversi perché “l’andare”, poreìa, come il virgiliano viaggio di Enea, e “il ritornare”, nostos, come l’omerico viaggio di Ulisse, rappresentano due situazioni differenti: una cosa è partire per andare [poreìa] e altra cosa è partire per tornare [nostos].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Avete fatto un viaggio [o più di uno] nel corso di questa vacanza: verso dove ?... Con quale motivazione avete viaggiato?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Il Percorso di studio [il viaggio virtuale] che ci accingiamo a compiere è suddiviso in itinerari settimanali, da ottobre fino alla fine di maggio faremo ventuno tappe: possedete tutte e tutti il calendario? Prendetelo.
Ogni itinerario [ogni Lezione] procede sotto forma di “un ragionamento progressivo”: che cosa significa? Significa che ogni Lezione si configura come un itinerario didattico che ricalca l’attività del nostro intelletto perché l’intelletto è lo strumento mediante il quale si sviluppa il processo dell’apprendimento, un procedimento che [come ben sapete, lo abbiamo già detto la scorsa settimana celebrando il tradizionale rituale della partenza] si concretizza facendo entrare in attività le sei principali azioni cognitive attraverso le quali s’impara: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare. Durante ogni itinerario, che di settimana in settimana percorreremo, faremo in modo di attivare la dinamica delle azioni cognitive attraverso le quali si sviluppa l’apprendimento, cercando di governare la loro potenzialità tenendo conto che la scansione delle azioni dell’apprendimento non ha un andamento regolare - non è che prima si conosce poi si capisce poi ci si applica poi si analizza poi si sintetizza e infine si valuta - ma le sei principali azioni cognitive, accompagnate da altre quaranta azioni di supporto, interagiscono simultaneamente nella nostra mente. Noi dobbiamo essere il più possibile consapevoli del funzionamento di questo meccanismo straordinario che è “l’imparare”, e l’obiettivo fondamentale per cui è utile frequentare la Scuola [per tutto l’arco della vita, come afferma l’Articolo 34 della Costituzione] è quello di “imparare ad imparare”, è quello di saper amministrare la nostra capacità cognitiva [la Scuola più che ad imparare cose serve a imparare come s’imparano le cose]: la Scuola opera per far acquisire alla persona la competenza necessaria a investire in intelligenza, e l’investimento in intelligenza corrisponde all’attività con la quale s’impara ad apprender. Ciò che sto dicendo viene ripetuto da trentasei anni, ma è bene ripeterlo perché (repetita iuvant) il ripetere le cose nell’ambito dell’investimento in intelligenza giova all’apprendimento, e il virtuoso esercizio dell’apprendimento deve distinguersi dalle pratiche di addestramento e di ammaestramento che spesso subiamo senza neppure accorgercene.
Il tradizionale “rituale della partenza” si configura come un rito liturgico [e il termine “leitòurgos”, in greco, significa “opera di pubblica utilità”] e, come sapete, le liturgie sono cerimoniali ripetitivi anche perché “le opere di pubblica utilità” [le liturgie] hanno bisogno di una manutenzione continua, e il nostro intelletto [l’intelletto di ogni cittadina e di ogni cittadino] ha bisogno di una manutenzione continua [persistente, ricorrente, assidua] perché è l’intelletto di ogni persona il bene culturale più prezioso da salvaguardare. La liturgia ha sempre un assetto cerimoniale, e non c’è cerimonia senza la rievocazione di un racconto.
Come abbiamo già detto la scorsa settimana, ma la liturgia della partenza c’impone una ripetizione, nel corso di ogni tappa di questo viaggio ci eserciteremo a “conoscere” le parole-chiave più rappresentative [una o due] della Storia del Pensiero Umano.
Ci eserciteremo a “capire” le idee più significative elaborate nel corso della Storia dell’Umanità.
Ci “applicheremo” nell’esercizio del leggere e dello scrivere e[a questo proposito avete in mano e sotto gli occhi un fascicolo che s’intitola REPERTORIO E TRAMA ..., lo strumento che ci consente [e, in questo momento, state facendo questo esercizio] di orientarci meglio sul nostro cammino per favorire l’azione del conoscere e del capire, e inoltre ci propone un compito, per favorire l’azione dell’applicarci nell’uso dell’analisi, della sintesi e della valutazione.
Ci eserciteremo ad “analizzare”, e “analizzare” significa riflettere per mettere in ordine i pensieri che a flusso continuo affiorano nella nostra mente attraverso la TRAMA proposta dal REPERTORIO ...
Ci eserciteremo a “sintetizzare”, e “fare la sintesi” significa “mettere per iscritto” un nostro pensiero perché scrivere quattro righe al giorno [per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare] serve a fluidificare l’attività dell’apprendimento.
Infine dobbiamo esercitarci a “valutare”, ad “auto-valutare” l’andamento del nostro cammino intellettuale, e il dispositivo dell’auto-valutazione è legato allo svolgimento del “compito” che - sebbene facoltativo - la Scuola propone di eseguire invitando ciascuna e ciascuno di noi a utilizzare il fascicolo del REPERTORIO E TRAMA ... in un tempo che va dai dieci minuti alle due ore al giorno, nel corso della settimana, nell’intervallo tra un itinerario e l’altro [vorrei ringraziare tutte le persone che nel corso del viaggio dell’anno scorso hanno scritto arricchendo con i loro testi la Biblioteca itinerante].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il materiale riguardante tutta l’attività didattica messa in atto in questo Percorso lo si trova contenuto su due siti: www.inantibagno.it e www.scuolantibagno.net... Sui siti trovate il testo integrale della Lezione e potete ascoltare la registrazione della Lezione stessa; c’è inoltre una pagina facebook intitolata “a scuola con Giuseppe”...
Questi strumenti sono utili per favorire l’attività di studio, utilizzateli...
Il tradizionale [e ripetitivo per cui mi piacerebbe poterne fare a meno] rituale della partenza che sta per concludersi è una procedura necessaria per iniziare il viaggio che stiamo per intraprendere, e questa liturgia ci propone sempre, come sempre ci ha proposto in questi anni, una riflessione su come si possa favorire l’attività dello studio [l’impegno per promuovere l’operatività delle azioni dell’Apprendimento]. Sappiamo purtroppo che, sebbene “lo studio” sia sinonimo di “cura” [e ogni essere umano aspira a prendersi cura di sé], è un’attività disattesa dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana, europea e mondiale, un’attività che andrebbe promossa a livello planetario con l’attuazione di incisive politiche educative soprattutto a vantaggio dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale.
A questo proposito, la scorsa settimana per trattare questo tema [emergente nella Storia del Pensiero Umano dagli albori dell’Età moderna: se ne parla da circa cinquecento anni di questo fenomeno che abbiamo denominato “Alfabetofanìa”], ci siamo avvalse e avvalsi ancora della collaborazione di Michel de Montaigne, l’autore dei Saggi, una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano, un argomento a noi noto che abbiamo riassunto attraverso la presentazione dei risultati del consueto Questionario di fine anno. Montaigne ci ha aiutate e aiutati a capire quanto sia importante il concetto di “dotta ignoranza”, dell’ignoranza “consapevole” [umile, responsabile, diligente e coscienziosa] che si presenta come un’opportunità attraverso la quale la persona che sa di non sapere si predispone all’apprendimento “per imparare a imparare”. Dello stesso parere di Montaigne è un personaggio che si chiama Blaise Pascal, insieme al quale, come sapete, stiamo per iniziare questo viaggio dal secolo della Scienza [il ‘600] a quello dei Lumi [il ‘700].
Tanto per Montaigne quanto per Pascal l’obiettivo principale dell’apprendimento cognitivo non è quello di immagazzinare nozioni [le nozioni sono importanti e dobbiamo ritenerne un certo numero], ma l’obiettivo dell’apprendimento consiste nell’esercitare la mente all’ascolto, alla selezione, alla catalogazione e alla penetrazione in profondità perché «il compito della Scuola consiste nel favorire la formazione di una testa ben fatta piuttosto che di una testa ben piena» e questa affermazione che conosciamo a memoria la si trova nei Saggi di Montaigne e, strada facendo, vedremo come anche Pascal esprime questo concetto. Poi Montaigne e Pascal ritengono entrambi che “non c’è niente di peggio al mondo di coloro che credono di sapere tutto”.
A questo punto, come abbiamo anticipato alla fine dell’itinerario della scorsa settimana, si potrebbe pensare che questi due personaggi siano “in sintonia” tra loro, ma la situazione è assai più complessa [i due hanno caratteri diversi] e, di conseguenza, [per conoscere, per capire e per applicarci] è necessario riflettere procedendo con ordine sapendo che, all’inizio di un viaggio come questo che stiamo per intraprendere[dal secolo della Scienza a quello dei Lumi, non si può non affrontare questo argomento: la questione dell’ambiguo, e tuttavia fecondo, rapporto intellettuale [l’unico possibile] tra Montaigne, scrittore dei Saggi, e Pascal, lettore e commentatore dei Saggi.
Su quali basi si fonda l’ambiguo, e tuttavia assai fertile, rapporto intellettuale tra Michel de Montaigne, in quanto scrittore dei Saggi, e Blaise Pascal, in quanto lettore e commentatore dei Saggi? Per prima cosa dobbiamo essere consapevoli del fatto che, sebbene nei testi dei manuali di filosofia questi due personaggi vengano correttamente collocati a ridosso l’uno dell’altro, tuttavia bisogna considerare che Montaigne e Pascal non sono propriamente contemporanei, entrambi figli del loro tempo ma appartenenti a due generazioni diverse, e anche se avessero voluto, non hanno avuto la possibilità di incontrarsi: Montaigne muore nel 1592 e Pascal nasce nel 1623, di conseguenza, tra la morte dell’uno e la nascita dell’altro passano trentun anni. Questa circostanza fa sì che solo Pascal abbia conosciuto Montaigne - o meglio, abbia conosciuto la sua opera - e difatti è stato uno tra i più attenti lettori dei Saggi; poi sappiamo anche che Pascal è l’autore [involontario, e a suo tempo capiremo perché] di un’altra di quelle opere che hanno lasciato il segno nella Storia del Pensiero Umano e che s’intitola semplicemente Pensieri: della forma e dei contenuti di quest’opera ce ne occuperemo strada facendo, anche se, in occasione del rituale della partenza, abbiamo già preso in considerazione quattro Pensieri di Pascal [il 63 il 64 il 65 e il 66] dei quali, come ricorderete, la scorsa settimana abbiamo letto i testi perché in essi, come sapete, Pascal fa riferimento ai Saggi di Montaigne [ed qui che sta il punto di contatto tra i due personaggi].
Pascal, nel testo di questi quattro Pensieri che noi dobbiamo commentare, critica Montaigne con una certa aspra ironia, ma contemporaneamente mette anche in evidenza la positività di determinate affermazioni di Montaigne che lui condivide e con le quali è in sintonia, e poi, in una riga - quella che contiene il testo del Pensiero 64 - sotto forma di confessione, Pascal emette il giudizio più lusinghiero che di Montaigne si possa dare, scrive Pascal: «Non in Montaigne, ma in me stesso, trovo tutto quello che vedo in lui.». Questa affermazione [dove la correlazione si coniuga con il disappunto e la ripulsa con l’attrattiva] fa dire alle studiose e agli studiosi che tra Montaigne, in quanto scrittore dei Saggi, e Pascal, in quanto lettore e commentatore dei Saggi, esiste “una ambigua sintonia”; con questa asserzione prendiamo il passo come se camminassimo su un filo [come se fossimo funambole e funamboli], e questa deve essere la sensazione che Pascal prova nel leggere i Saggi di Montaigne: Pascal ha, a volte, l’impressione di essere sul punto di cadere ma poi ritrova subito l’equilibrio perché il filo teso sul precipizio è un supporto congeniale a entrambi per procedere investendo in intelligenza.
Pascal legge i Saggi di Montaigne nell’edizione postuma del 1595 curata da quella geniale ragazza che si chiama Marie de Gournay, che Montaigne ha lasciato erede della sua biblioteca, e a M.lle de Gournay, che abbiamo incontrato durante il viaggio dello scorso anno, della quale abbiamo studiato la biografia e le opere sul tema dell’emancipazione femminil, si deve la divulgazione in Europa dei Saggi di Montaigne. Blaise Pascal, nel testo assai critico del Pensiero 63, scrive: «I difetti di Montaigne sono grandi. Parole lascive, roba che vale poco, nonostante M.lle de Gournay». Pascal a un giudizio sprezzante sull’opera di Montaigne fa seguire, anche con una certa ironia, un apprezzamento nei confronti del lavoro editoriale svolto, con passione, da Marie de Gournay e, forse, Pascal avrebbe voluto incontrare la curatrice del testo dell’edizione postuma dei Saggi per porle, si presume, molte domande: un incontro sarebbe stato possibile perché Marie de Gournay è morta ottantenne nel 1645 quando Pascal aveva ventidue anni, e sarebbe stato un bell’incontro quello tra un ragazzo che era già nel pieno della sua maturità intellettuale [Pascal è stato - come vedremo a suo tempo - un bambino prodigio] e una delle signore più colte del primo secolo dell’epoca moderna, ma purtroppo questo incontro è entrato nel catalogo degli “eventi mancati” [anche a noi sarà successo di aver perso l’occasione di porre domande a persone che non abbiamo potuto incontrare].
Poi Pascal, sempre nel testo del Pensiero 63, scrive: «Montaigne ispira noncuranza per la propria salvezza, senza timore e senza pentimento. Poiché il suo Libro non era stato scritto per condurre a un sentimento religioso, non era obbligato a farlo; ma si è sempre obbligati a riflettervi sopra.». Montaigne non può controbatteredirettamente alle affermazioni di Pascal che riguardano un argomento che a Pascal sta particolarmente a cuore: il tema del “sentimento religioso” che si accompagna al tema del rapporto tra la fede e la religione e tra la fede e la ragione, ma come fa Pascal a dire che Montaigne non riflette su questo tema quando sa che ci ragiona sopra fin troppo? Pascal, probabilmente, avrebbe voluto che Montaigne ragionasse meno e prendesse delle decisioni ferme e precise in materia di religione perché questo sarebbe stato rassicurante nei confronti delle scelte categoriche che lui ha fatto in proposito, come vedremo a suo tempo.
Le annotazioni di Pascal hanno tutte un carattere interlocutorio e per lui che ha letto attentamente il testo dei Saggi il modo in cui Montaigne si rapporta con la religione è destabilizzante: si domanda [come ci domandiamo anche noi] in che cosa creda davvero Montaigne e se sia un buon cattolico oppure un ateo mascherato. Pascal sa che Montaigne muore cristianamente in seno al cattolicesimo, e sa che non si possono non prendere per buoni i suoi “atti di fede”, compreso il pellegrinaggio a Roma, durante il suo viaggio in Italia, dove nel 1580 rende omaggio al papa Gregorio XIII con tanto di bacio del piede [molte e molti di voi ricorderanno di che cosa stiamo parlando]. Pascal, però, ravvisa [e lo ravvisano anche tutte le lettrici e i lettori dei Saggi] che quando Montaigne commenta i suoi “atti di fede”, compreso il bacio del piede papale, lo fa con uno spirito che si potrebbe definire “libertino” e, come sappiamo, Montaigne [anche se lui lo smentirebbe] viene considerato un precursore di questo movimento che apre la strada all’Età dei Lumi: il tema del libertinaggio lo abbiamo studiato nel corso del viaggio precedente e lo riprenderemo a suo tempo.
Nel Libro II dei Saggi c’è un capitolo, il XII, che s’intitola Apologia di Raymond Sebond, sul quale ci siamo soffermate e soffermati a lungo durante il viaggio scorso, come molte e molti di voi ricorderanno: si tratta, in realtà, di un monumentale e complesso trattato teologico [lungo più di 250 pagine, un vero e proprio libro nel libro che Pascal ha letto con grande interesse] nel quale Montaigne separa nettamente la fede dalla ragione, e scrive: «Soltanto la fede abbraccia in modo saldo e sicuro i profondi misteri della nostra Religione» perché, asserisce Montaigne, la ragione umana non è di per sé in grado di provare né l’esistenza di Dio né la verità della religione. In relazione a queste affermazioni, a Montaigne viene attribuito un atteggiamento che prende il nome di “fideismo”, una dottrina che concepisce la fede come una grazia, come un dono gratuito di Dio, privo di qualsivoglia rapporto con la ragione. Pascal non è però d’accordo con chi affibbia a Montaigne l’etichetta del “fideista” [e Montaigne gliene sarebbe grato] perché capisce [e fa capire anche a noi] quale sia l’obiettivo di Montaigne nel fare questa riflessione: se solo la fede è in grado di abbracciare i misteri ultraterreni significa che la ragione è autorizzata a indagare liberamente con grande autonomia su tutto il resto, cosa che Montaigne fa di continuo; difatti, con grande risolutezza Montaigne vuole utilizzare la ragione per indagare “la religione stessa” [il carattere del fenomeno religioso che è prettamente terreno] e si pone una domanda[che fa riflettere Pascal, il quale esercita la critica per capire [anche lui pensa che la fede e la religione non siano la stessa cosa]: in definitiva, si domanda Montaigne anticipando l’Età dei Lumi, qual è il valore oggettivo della fede se ogni confessione religiosa proclama proprie verità che derivano da una particolare tradizione? Noi, afferma Montaigne, adottiamo la religione del nostro paese così come ne adottiamo i costumi e le Leggi, e ciò significa che la religione non ha maggior fondamento di quanto ne abbiano i costumi e le Leggi; scrive Montaigne sempre nel capitolo XII del Libro II dei Saggi: «In tutto ciò vediamo un chiarissimo segno del fatto che noi riceviamo la nostra religione solo alla nostra maniera e con i mezzi di cui disponiamo, in modo non diverso da come gli altri ricevono la loro. Ci siamo ritrovati a nascere in un paese dov’era in uso, e così rispettiamo la sua antichità, o l’autorità delle persone che l’hanno tenuta in vita, oppure siamo intimoriti dalle minacce che essa brandisce contro i miscredenti, oppure ci affidiamo alle sue promesse. Tali considerazioni devono suffragare il credo, ma soltanto come argomenti accessori. Sono vincoli umani. Un’altra regione, altre testimonianze, altre promesse e minacce analoghe potrebbero, allo stesso modo, instillare in noi un credo contrario. Si è cristiani come si è perigordini o francesi o tedeschi». Per Pascal queste affermazioni - il fatto che le religioni si trasmettono attraverso l’autorità della tradizione, e attraverso le superstizioni legate a ciò che promettono o minacciano - sono condivisibili, ciò che lo sconcerta è che, subito dopo, Montaigne, dopo aver affermato che le religioni hanno anche dei fondamenti meno terreni e più trascendenti dichiarando di aver fede nella trascendenza, trae una conclusione che risulta eversiva: se si è cristiani come si è francesi o tedeschi, che ne è della verità e dell’universalità della Chiesa cattolica? Montaigne sempre nel capitolo XII del Libro II dei Saggi scrive: «Che verità è mai quella che non va oltre queste montagne ed è menzogna per quelli che vivono dall’altra parte? E a che cosa si riduce la distinzione fra cattolici e protestanti?». Montaigne, però, dichiara sempre fermamente di essere “un cattolico uomo di fede” ma tuttavia non si arrischia mai a dire quel che pensa veramente sui temi della dottrina: per esempio sul dogma della transustanziazione, ovvero della presenza del corpo di Cristo nel pane e nel vino, così come su molte altre delicate questioni dottrinarie Montaigne sospende il giudizio. Tutte le volte che Montaigne affronta il tema religioso lo fa con grande cautela [«Io comunque ho fede» dice Montaigne], ma anche con spirito di contraddizione [«Tuttavia io dubito di avere fede» annuisce Montaigne]: Pascal ritiene insopportabile questo atteggiamento che definirebbe “ondivago”, con un aggettivo che lui come vedremo utilizza per definire la condizione umana; quindi, da una parte Pascal deplora il comportamento di Montaigne mentre dall’altra lo giustifica [e risulta evidente che l’ambigua sintonia che Pascal coltiva nei confronti di Montaigne è una faccenda piuttosto complicata].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il giovane Blaise Pascal avrebbe voluto incontrare l’ottuagenaria Marie de Gournay per porle molte domande [inerenti probabilmente il pensiero di Montaigne dal quale è attratto mentre se ne vorrebbe anche distanziare] ...
Voi quale domanda, o quali domande, avreste voluto porre a una persona, importante per voi, che non avete potuto incontrare ...
Scrivete quattro righe in proposito...
Montaigne affronta il tema religioso con grande cautela e con spirito di contraddizione, e questo atteggiamento “ondivago” infastidisce Pascal ma, contemporaneamente, così come attrae e infastidisce il moto ondoso del mare, lo costringe a riflettere proprio perché i ragionamenti di Montaigne lo obbligano a misurarsi con il dubbio, e non c’è fede senza il dubbio. Pascal è critico con Montaigne ma trae linfa dai Saggi per imbastire la sua riflessione visto che anche Pascal, esattamente come Montaigne, si domanda quali caratteristiche abbia la condizione umana: è ondivaga [metaforicamente in balia delle onde, si domanda Pascal] la condizione umana?
Prima di utilizzare “la metafora dell’onda marina” in funzione della didattica della lettura e della scrittura aggiungiamo un altro tassello - sempre in materia di religione - alla riflessione che stiamo facendo sul tema dell’ambigua sintonia che Pascal coltiva nei confronti di Montaigne prendendo spunto dal capitolo LVI del Libro I dei Saggi intitolato Delle preghiere.
Montaigne, nel capitolo LVI del Libro I dei Saggi intitolato Delle preghiere, analizza puntigliosamente, con ricchezza di citazioni classiche, questa pratica rituale della vita cristiana, la preghiera, affermando di dedicarsi quotidianamente a ore prestabilite a questa attività convinto che abbia un valore, ma dichiara anche di dubitare spesso dell’efficacia delle sue orazioni visto che il più delle volte si distrae. Ma la cosa più interessante è che all’inizio di questo capitolo Montaigne, sotto forma di introduzione [di prologo, di preambolo], scrive: «Propongo qui delle idee informi e incerte, come fanno coloro che presentano questioni dubbie, da discutersi nelle scuole, non per stabilire la verità, ma per cercarla. E queste idee le sottopongo al vaglio di coloro che sono chiamati a disciplinare non soltanto le mie azioni e i miei scritti, ma anche i miei pensieri. Troverò ugualmente accettabili e utili sia la condanna sia l’approvazione, considerando assurda ed empia qualsiasi cosa che, per mia ignoranza, in quest’opera rapsodica [frammentaria, spezzettata, disorganica], risulti contraria alle sante proposizioni e ai santi precetti della Chiesa Cattolica Apostolica e Romana, nel grembo della quale muoio e sono nato». Quindi Montaigne apre il capitolo, ancora una volta, facendo professione di umiltà: affermando che le sue sono solo libere considerazioni da cui non intende in alcun modo trarre conclusioni definitive. Pascal, dopo aver letto attentamente questo capitolo, non ritiene umili le dichiarazioni di Montaigne ma giudica “vanitose” [presuntuose, impertinenti] le sue parole, ed è infastidito dal fatto che - sul tema della preghiera - Montaigne voglia discutere solo per il piacere di discutere, come si fa nelle aule universitarie, quando si sostengono i pro e i contro di una tesi [il sic et non], tanto per fare un’esercitazione e non per sostenere una teoria. Ma, d’altra parte, Montaigne dichiara di voler scrivere dei Saggi, cioè degli esercizi di pensiero, producendo delle libere concatenazioni di idee, senza voler difendere le sue affermazioni ma dicendosi pronto, qualora dovessero essere giudicate erronee, a disconoscerle e a sottomettersi senza riserve all’autorità della Chiesa [probabilmente questo atto che lui considera “di piaggeria” non piace a Pascal].
Molte e molti di voi sanno che uno dei motivi per cui Montaigne si reca in viaggio a Roma, nel 1580, è, oltre che di rendere omaggio al papa, quello di sottoporre il primo e il secondo Libro dei Saggi alla censura pontificia: come sapete, gli inquisitori, dopo una puntigliosa lettura dei testi che dura tre mesi, emettono un verdetto e gli contestano solamente per ora [perché poi, 96 anni dopo, nel 1676, i Saggi vengono messi all’Indice] l’uso del termine “Fortuna” considerato pagano da sostituire con il termine “provvidenza”, e gli ordinano di correggere il testo; ma Montaigne, dopo aver accolto, con gratitudine, l’ingiunzione, non farà mai questa sostituzione, anzi, nell’edizione del 1588 aggiunge molte note nelle quali dichiara la sua diffidenza nei confronti dei miracoli meno quelli narrati dai Vangeli, delle superstizioni e della caccia alle streghe aperta in tutta Europa. Ma non sono queste le affermazioni che Pascal disapprova perché anche lui le condivide, mentre giudica superficiale il fatto che Montaigne, nel capitolo XII del Libro II dei Saggi intitolato Apologia di Raymond Sebond, scriva: «Ciò che penso e credo oggi lo penso e lo credo con piena convinzione; tutte le mie facoltà e tutte le mie energie fanno propria questa opinione e garantiscono per essa meglio che possono, a tal punto che non potrei mai abbracciare nessun’altra verità né serbarla con maggior fermezza di quella con cui abbraccio e serbo questa. Le appartengo interamente, sinceramente. Eppure non mi è forse capitato, e non una sola volta, ma cento, mille, e tutti i giorni, di abbracciare qualche altra cosa con quegli stessi strumenti, con quello stesso stato d’animo, e di giudicarla poi falsa?». Montaigne afferma di credere oggi in una verità con tutto se stesso, con una sincerità e una sicurezza assolute, pur sapendo che gli è accaduto spesso di cambiare idea.
Montaigne, nel testo dei Saggi, vuole mettere in evidenza che “l’incertezza del giudizio” e “l’incostanza delle azioni” sono all’ordine del giorno nella vita delle persone [pensate a quanto oggi sono volatili le opinioni delle persone, e a quanto il tema dell’incostanza sia di attualità]. Pascal capisce che, sebbene qui Montaigne non faccia alcun riferimento alla sua fede cristiana, tuttavia per lui risulta evidente che neanche la fede può sfuggire all’incostanza e Pascal non vuole aderire a questo ragionamento di Montaigne [e come Pascal tratta il tema della fede lo vedremo a suo tempo quando studieremo il suo pensiero] anche se, pure lui, è più che mai sensibile al tema dell’incostanza, e inoltre, proprio perché il tema dell’incostanza lo riguarda nell’intimo, si pente di aver giudicato Montaigne un superbo e un vanitoso: «non giudicate» dice la Letteratura dei Vangeli e Pascal, come vedremo, sente con forza il richiamo di questa Letteratura che pretende la coerenza [«…il vostro dire sia “sì si, no no”»]. Montaigne fa confondere le idee a Pascal ma lui sa che è dal Kaos [dalla mescolanza di idee] che deriva il Cosmos [l’ordine concettuale] e nel celebre testo del Pensiero 72 si legge: «Questa è la nostra vera condizione: ondivaga. Essa ci impedisce di sapere con certezza e di ignorare in modo assoluto. Noi navighiamo in un vasto mare, sempre incerti e instabili, sballottati da un capo all’altro. Qualunque scoglio, a cui pensiamo di attaccarci e restar saldi, vien meno e ci abbandona e, se l’inseguiamo, sguscia alla nostra presa, ci scivola di mano e fugge in una fuga eterna. Per noi nulla si ferma». Se diciamo a Pascal che questo brano lo avrebbe potuto scrivere Montaigne lui risponde con il Pensiero 64: «Non in Montaigne, ma in me stesso, trovo tutto quello che vedo in lui», e poi aggiungerebbe [con ironia, per non dargliela comunque vinta] il Pensiero 65: «Quello che in Montaigne c’è di buono non può essere acquisito che con difficoltà. Quel che vi è di cattivo (non parlo dei costumi) poteva essere corretto in un momento, solo che lo si fosse avvertito che faceva troppe storie e che parlava troppo di sé.».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di questi termini - indeciso, insicuro, incerto, dubbioso, esitante, perplesso, titubante - mettereste per primo accanto all’aggettivo “ondivago”?...
Scrivetelo...
Pascal è critico con Montaigne ma trae linfa dai Saggi per imbastire la sua riflessione visto che anche Pascal, esattamente come Montaigne, si domanda quali caratteristiche abbia la condizione umana, e risponde, nel celebre testo del Pensiero 72, che la condizione umana è “ondivaga”.
E il metaforico aggettivo “ondivago”, dopo essere stato declinato da Pascal in termini filosofici, ci porta nell’ambito della didattica della lettura e della scrittura, non solo perché nel brano che stiamo per leggere compare “la lettura di un’onda” ma anche perché questo brano appartiene a un’opera della quale leggeremo molte pagine che, per la sua forma e per il suo contenuto, è in sintonia tanto con i Saggi di Montaigne quanto con i Pensieri di Pascal perché il protagonista di quest’opera [il cui nome corrisponde al titolo] si domanda: “come vivere, e quali caratteristiche ha la condizione umana, e può la persona aspirare a trovarsi in pace con l’Universo e con se stessa?”.
Quest’opera è stata composta da un autore che tutte e tutti voi conoscete, e quando il nome di questo autore viene citato, di solito, si assiste a una reazione di ammirazione da parte del pubblico [di quella parte di pubblico, molto eterogenea, alla quale diamo complessivamente il nome di “ceto riflessivo” ma poi se consultiamo i dati provenienti dagli “Osservatori sulla lettura e la scrittura” ci accorgiamo che questo autore viene letto soprattutto dalla fascia di lettrici e di lettori compresi tra i 13 e i 18 anni - una fascia che annovera un 49% di lettrici e di lettori - cioè quelli condizionati dalla Scuola che mette spesso questo autore in programma, mentre la fascia delle lettrici e dei lettori adulti, che si attesta sul 13%, ammira molto questo autore per sentito dire ma lo legge poco]: per contro, Italo Calvino, nato nel 1923 e morto nel 1985, che era una persona assai schiva, ha sempre sdegnato l’esposizione pubblica [affermava di trovarsi in grande difficoltà a parlare di fronte a una platea e, difatti, le sue apparizioni pubbliche sono rare].
Italo Calvino ha scritto anche molti testi per sottolineare il valore della lettura, in particolare della lettura dei Classici [«Un Classico è un libro che, per quanto tu lo legga, non hai mai finito di leggere», afferma Calvino parafrasando Cicerone, Erasmo da Rotterdam, Montaigne e Pascal, tanto per fare alcuni nomi a noi noti], e scrive: «La lettura dovrebbe essere [ed è sintomatico che usi il condizionale] un’attività naturale come respirare o camminare, in quanto è una chiave efficace per conoscere altri mondi, vivere altre esistenze, sentire il fiato della storia, capire il potere dell’arte, e potrei continuare a lungo con questa accattivante definizione se non dovessi dire che, però, imparare a leggere è difficile e, difatti, questa chiave è in mano di troppo poche persone»: Calvino ha scritto queste parole nel 1983 per dare una risposta indiretta a quei commentatori che sulle pagine dei quotidiani e delle riviste lamentavano lo scarso successo [nonostante il suo valore intellettuale] avuto dal libro di Calvino, edito in quell’anno, intitolato Palomar. E Palomar è appunto il titolo del libro che questa sera cominceremo a leggere [nonostante tutti i dubbi e le preoccupazioni che mi abbiano assalito nel corso della preparazione degli itinerari di questo viaggio]: la prima cosa da dire è che la lettura di questo libro, considerato dai critici di alto valore letterario, non è facile, e per favorire l’accessibilità ai testi di quest’opera ci vogliono alcune chiavi adatte che possono e devono essere forgiate in una Officina di Apprendimento Permanente [con un Percorso di Alfabetizzazione funzionale e culturale] tenendo conto del fatto che anche quest’opera di Calvino, come quasi tutte le sue opere, viene composta secondo i principi dell’Opificio di Letteratura Potenziale [Oulipo], un movimento letterario attivo a Parigi dal 1947, di cui Calvino ha fatto parte, un movimento che cura in modo particolare, prima ancora che i contenuti, la forma che il testo scritto deve assumere: la struttura del testo deve nascere in Officina in seguito al rispetto di determinate regole e tra poco vedremo quali elementi lo scrittore ha utilizzato per costruire lo stampo con cui ha dato forma ai testi scritti che compongono i brani del suo Libro.
Palomar è il titolo del Libro di Italo Calvino, pubblicato nel 1983, che stiamo per cominciare a leggere. Questo titolo corrisponde al nome del protagonista, il signor Palomar, ed è un nome simbolico che richiama un potente telescopio [fino agli anni ’80 il più potente telescopio del mondo], ma l’attenzione di questa persona si posa innanzitutto sulle cose che gli capitano sotto gli occhi nella vita quotidiana e, come Montaigne, decide di osservare “le cose della vita” scrutandole nei minimi particolari per imparare lo specifico alfabeto che possa rendere possibile la descrizione e l’interpretazione di certi fenomeni apparentemente banali ma ricchi di significati che invitano a riflettere su come ci si possa mettere in equilibrio con l’Universo [come cerca di fare Pascal].
Palomar, come vedremo, si concentra ogni volta su un fenomeno isolato [si comincia con un’onda, per esempio] come se non esistesse altra cosa al mondo, e questa mossa preliminare gli consente di esercitare gradualmente la conoscenza: questo esercizio lo coinvolge in un processo non affatto semplice perché più circoscrive il campo dell’esperienza più questo campo [come afferma spesso Pascal nei suoi Pensieri] si amplia al proprio interno aprendo “prospettive vertiginose”.
Il signor Palomar è una persona taciturna perché, probabilmente, vive in un’atmosfera inquinata dal cattivo uso della parola [come denuncia Montaigne nei suoi Saggi, tema caro a Calvino, e oggi preoccupante questione di attualità] e tenta di concepire un linguaggio [di creare un glossario] che possa esprimere dei valori etici che lo invitino a tendere l’orecchio, come pretende di fare Pascal, al silenzio degli spazi infiniti. Si domanda il signor Palomar «Potremo mai trovarci in pace con l’Universo, e in pace con noi stesse e con noi stessi?». Non è sicuro che ci si possa riuscire [pensa il signor Palomar, attraverso la penna di Italo Calvino] ma, comunque, è necessario, come ci hanno insegnato Montaigne e Pascal, continuare a cercare una strada che vada in questa direzione tenendo conto del fatto che l’obiettivo non è tanto quello di trovare la verità ma è quello di conoscere un po’ meglio se stesse e se stessi. E, a questo punto, prima di cominciare a leggere, dobbiamo puntualizzare che Pascal nel Pensiero 66 riferendosi a Montaigne scrive: «Bisogna conoscere se stessi: anche se questo non servisse a trovare la verità, almeno servirà a regolare la propria vita, e non vi è niente di più giusto.».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quali pensieri vi ha suggerito l’inarrestabile movimento delle onde mentre lo osservavate sedute e seduti in riva al mare?...
Scrivete quattro righe in proposito...
E adesso, leggendo, andiamo a far conoscenza con il signor Palomar [che, dalla riva del mare, guarda un’onda], e poi dopo aver letto - siccome “leggere” non è un’attività facile da svolgere - rifletteremo sulla struttura, piuttosto complessa, che l’autore ha voluto dare al testo scritto mediante la creazione di uno stampo [che viene utilizzato per la composizione di tutti i brani dell’opera] secondo i principi dell’Opificio di Letteratura Potenziale, che si caratterizza per essere un movimento culturale che intende favorire il potenziamento delle azioni cognitive proponendo la lettura di un testo costruito con una determinata forma [come se fosse un attrezzo su cui esercitarsi].
La lettura e la scrittura, come sappiamo, sono prima di tutto due applicazioni che la persona deve imparare a utilizzare per poter investire in intelligenza: per questo motivo il brano che stiamo per leggere s’intitola Lettura di un’onda, un titolo che rimanda alla forma piuttosto che al contenuto.
LEGERE MULTUM….
Italo Calvino, Palomar
Lettura di un’onda.
Il mare è appena increspato e piccole onde battono sulla riva sabbiosa. Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. Non sta contemplando, perché per la contemplazione ci vuole un temperamento adatto, uno stato d’animo adatto e un concorso di circostanze esterne adatto: e per quanto il signor Palomar non abbia nulla contro la contemplazione in linea di principio, tuttavia nessuna di quelle tre condizioni si verifica per lui. Infine non sono «le onde» che lui intende guardare, ma un’onda singola e basta: volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso. Il signor Palomar vede spuntare un’onda in lontananza, crescere, avvicinarsi, cambiare di forma e di colore, avvolgersi su se stessa, rompersi, svanire, rifluire. A questo punto potrebbe convincersi d’aver portato a termine l’operazione che s’era proposto e andarsene.
... continua la lettura ...
E adesso, prima di concludere, visto che quest’opera di Italo Calvino - formata da ventisette brevi brani suddivisi per tre in nove capitoli - ci accompagnerà nel corso del nostro viaggio, riflettiamo come abbiamo detto sulla forma, piuttosto complessa, che l’autore ha voluto dare al testo scritto mediante la creazione di uno stampo [che viene utilizzato per comporre tutti i brani dell’opera] secondo i principi dell’Opificio di Letteratura Potenziale, che si caratterizza per essere un movimento culturale che intende favorire, attraverso l’esercizio della lettura, il potenziamento delle azioni cognitive affinché la persona impari a investire in intelligenza.
Il Libro di Italo Calvino intitolato Palomar è formato da ventisette brevi brani suddivisi per tre in nove capitoli, e la forma della scrittura di ogni brano è data da uno stampo caratterizzato da tre determinate aree tematiche [e avendo letto solo il primo brano capiremo meglio ciò che stiamo dicendo andando via via avanti a leggere i testi dei brani successivi].
La prima area tematica che caratterizza lo stampo letterario che dà la forma ai testi di Palomar corrisponde a un’esperienza visiva, che ha quasi sempre per oggetto le forme della natura e il testo che si forma tende a configurarsi come una descrizione minuziosa su come si comporta il fenomeno naturale.
Nella seconda area tematica dello stampo letterario che dà la forma ai testi di Palomar sono presenti elementi antropologici [come si comporta l’essere umano al cospetto dei fenomeni della natura] e varie componenti culturali per cui la scrittura si esplicita, andando oltre i dati visivi, producendo significative metafore [i fenomeni della natura generano molti simboli che vanno interpretati] e il testo tende a svilupparsi in racconto.
La terza area tematica che caratterizza lo stampo letterario che dà la forma ai testi di Palomar contiene esperienze di tipo più speculativo, riguardanti il cosmo, il tempo, l’infinito, i rapporti tra l’io e il mondo, le dimensioni della mente e, di conseguenza, dall’ambito della descrizione e del racconto si passa a quello della meditazione.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Dopo la presentazione delle tre aree tematiche che caratterizzano lo stampo letterario che dà la forma ai testi di Palomar rileggete, con attenzione, il brano intitolato “Lettura di un’onda” in modo che la sua struttura risulti evidente, diventi riconoscibile…
Per produrre che cosa avete usato qualche volta uno stampo?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Il pittore Gustave Courbet [1819-1877, caposcuola del realismo francese, del quale quest’anno si celebrano i duecento anni dalla nascita] ha scritto: «Quando sarò morto voglio che si dica di me: “L’unica cosa a cui è appartenuto è stata la libertà”, un ideale che ho cercato di rappresentare nelle onde che ho dipinto”», ebbene, con un fascicolo [che trovate in biblioteca] e navigando in rete andate a osservare “le onde” dipinte da Gustave Courbet...
Sono immagini che meritano un commento...
Pascal nel Pensiero 63 scrive di Montaigne: «Si possono scusare i suoi sentimenti un po’ liberi e voluttuosi su qualche circostanza della vita; ma non si possono scusare i suoi sentimenti del tutto pagani sulla morte; ora, in tutto il suo Libro, egli non pensa che a morire fiaccamente.». A che cosa si riferisce esattamente Pascal quando invita a scusare “i sentimenti un po’ liberi e voluttuosi di Montaigne”, al fatto che parla spesso, senza troppe inibizioni, di temi riguardanti la sessualità? E poi perché Pascal ironizza così pesantemente sul fatto che Montaigne scrive molto e in modo risoluto sul tema della morte, cosa che, per giunta, fa anche lui e con dovizia di particolari?
Per rispondere a queste domande [e a molte altre] bisogna procedere, ora che abbiamo preso il passo, con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé, consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà d’imparare anche quando, a volte, il cammino si fa faticoso e la strada è impervia, ma lo sforzo intellettuale che un Percorso di Alfabetizzazione funzionale e culturale richiede è utile per mantenere la mente elastica [agile, flessuosa, pronta].
Non perdete la prossima Lezione perché poi, come da calendario, ci sarà la pausa per onorare i Santi e ricordare i Defunti.
La Scuola è qui, il viaggio è iniziato e deve continuare…