ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica dal secolo della Scienza a quello dei Lumi 13-14-15 novembre 2019
SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI
CI SI DOMANDA QUALE SIA, IN CHIAVE ESISTENZIALE,
“LA NATURA DEL MODELLO DEI MODELLI” ...
Stiamo viaggiando - questo è il quinto itinerario - sulla via che porta dal secolo della Scienza [il ‘600] a quello dei Lumi [il ‘700] e, come sapete, siamo in compagna di Blaise Pascal il quale, come abbiamo studiato la scorsa settimana, a un certo punto della sua vita, a ventotto anni d’età, comincia a riflettere sulle conseguenze dello straordinario successo che, fin da bambino, ha ottenuto come matematico e come ricercatore; è orgoglioso di essere considerato a livello internazionale un grande scienziato ed è fiero delle sue competenze intellettuali, tanto fiero da diventare arrogante tanto da sentirsi, lì per lì, appagato, ma comincia a constatare che l’arroganza non è un sedativo nei confronti della grande inquietudine esistenziale che lo attanaglia perché, essendo intelligente, capisce che la matematica, se ci permette di conoscere la realtà esteriore [e quindi è bene studiarla], tuttavia non riesce a soddisfare il bisogno che la persona ha di trovare la pace interiore: su questo piano Pascal pensa che abbia ragione Montaigne quando invita ogni persona a guardarsi dentro per capire meglio “come vivere”, possibilmente in concordia con se stessa e con gli altri.
Una svolta nella vita e nel modo di pensare di Blaise Pascal avviene quando nell’inverno del 1646 suo padre Étienne [che la scorsa settimana abbiamo visto all’opera come matematico e ricercatore oltre che come magistrato], scivolando sul ghiaccio, si rompe una gamba, e per sua fortuna viene curato da due medici esperti, i fratelli Adrien e Jean Deschampes, due persone impegnate in campo filantropico perché curano gratuitamente chi non ha i mezzi. Essi fanno parte di un gruppo di intellettuali laici guidato dall’abate Jean de Saint-Cyran, che è l’animatore spirituale dell’abbazia di Port-Royal [faremo sosta a Port-Royal prossimamente], sostenitore delle idee di un vescovo e teologo olandese, Cornelis Jansen, che conosciamo col nome di Giansenio [morto da poco, nel 1638, del quale, strada facendo, conosceremo il pensiero].
La famiglia Pascal al completo [il padre Étienne, le sorelle Gilberte e Jacqueline, e Blaise], tramite le coinvolgenti conversazioni con i fratelli Deschampes, che frequentano per tre mesi casa Pascal, prende contatto con l’esperienza di Port-Royal [e, a suo tempo, ci documenteremo in proposito su questa esperienza di carattere mistico e solidale, dobbiamo procedere con ordine perché i paesaggi intellettuali che incontriamo sulla strada che stiamo percorrendo sono molti e tutti interessanti], e in Blaise nasce un nuovo interesse intellettuale per la filosofia, per l’esegesi, per la morale.
Nel 1651 Jacqueline, la più giovane della famiglia Pascal, dopo la morte del padre Étienne, decide di entrare nel convento benedettino delle suore di Port-Royal, e Blaise, da subito, disapprova la scelta della sorella e, anche per contrastare le varie malattie da cui è affetto [vivrà, da questo momento, sempre in precarie condizioni di salute], si dà alla vita mondana frequentando gli ambienti del divertimento, le feste a corte; ma questa esperienza [frivola, superficiale, assurda] lascia nel suo animo un senso di grande disgusto e fa crescere in lui l’inquietudine e l’ansia: si sente meglio solo quando, una volta al mese, va a far visita alla sorella Jacqueline nell’abbazia di Port-Royal situata nel periferico faubourg de Saint-Jacques e, siccome la vede felice, comincia a pensare che lei abbia fatto la scelta giusta. Jacqueline consiglia all’inquieto fratello, in preda a “l’ansia di senso”, di leggere l’Epistolario di Paolo di Tarso, e un giorno a Blaise [siamo nel 1652] capita tra le mani, quasi per caso, una copia dell’Epistolario di Paolo di Tarso che, a suo tempo [come sapete], gli aveva regalato padre Mersenne, ma lui non l’aveva neppure aperto questo volume, preso com’era dai suoi impegni in campo matematico.
Quando Blaise Pascal comincia a leggere i testi delle Lettere di Paolo di Tarso commentati da padre Mersenne, come sapete rimane colpito da “la potenza eversiva” [così la definisce] di questa Letteratura proto-evangelica che noi abbiamo studiato in questi anni in diversi contesti perché si tratta di un repertorio fondamentale della Storia del Pensiero Umano. La lettura dell’Epistolario di Paolo di Tarso, commentato da padre Mersenne - il quale nell’incipit del suo Commento scrive che «la ragione ha suggerito a Paolo di ascoltare con il cuore la sua ansia di senso» - apre a Pascal un mondo nuovo, e gli suggerisce un modo nuovo di concepire la realtà, e capisce che la sua “arroganza di sapiente” [il bisogno di soddisfare la propria arroganza] è la principale causa della sua insoddisfazione esistenziale.
Il primo testo dell’Epistolario di Paolo di Tarso commentato da padre Mersenne su cui si ferma l’attenzione di Blaise [e la lettura di questo testo dà subito un senso alla sua inquietudine] è quello della Prima Lettera ai Corinti [e mi auguro che lo abbiate letto questo testo: siete ancora in tempo]: sei versetti del capitolo 3 di questo scritto, come abbiamo potuto constatare alla fine dell’itinerario scorso, costituiscono il primo frammento su cui Pascal si sente chiamato a riflettere, e quando legge questa frase: «Se qualcuno pensa di essere sapiente in questo mondo, diventi pazzo, e allora sarà sapiente davvero»¸ questa frase lo affascina, si sente chiamato in causa, e decide di accettare la sfida, e sa che per raggiungere questo obiettivo [prendere atto che nei paradossi c’è la sapienza] deve studiare nuovi argomenti ai quali non ha ancora dedicato attenzione.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Si consiglia ancora una volta – visto che in ogni casa c’è un volume della Bibbia - di leggere [e di rileggere] il testo della Prima Lettera ai Corinti perché ciò che scopre Pascal in quest’opera lo mette nella condizione di formulare un proprio pensiero che si frantumerà in una lunga serie di pensieri… Non si può leggere l’opera di Blaise Pascal intitolata Pensieri - una delle opere più importanti della Storia del Pensiero Umano – senza sapere quali sono le parole-chiave e le idee-cardine che ne costituiscono le radici: se non si va alle radici quest’opera risulta di difficile lettura e di difficilissima comprensione …
Dopo questo primo approccio, che butta all’aria le sue convinzioni precedenti, Pascal inizia a leggere e a studiare con impegno [investendo in intelligenza] il testo della Prima Lettera ai Corinti e con il prezioso Commento di padre Mersenne scopre nuovi orizzonti che non immaginava esistessero: l’Epistolario di San Paolo lo sentiva leggere in latino a brevi spezzoni durante la Messa [secondo l’ordinamento liturgico stabilito dal concilio di Trento tutto orientato contro “gli infedeli” a cominciare dai protestanti], utilizzato in modo da poter predicare che a causare ogni male nel mondo erano “gli eretici” che andavano severamente e ferocemente osteggiati. Blaise, seguendo invece il prezioso Commento di padre Mersenne, fondatore del movimento esegetico moderno che mette in primo piano la filologia e non l’ideologia tridentina, inizia a studiare con profitto il testo della Prima Lettera ai Corinti, ed è nostro dovere, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, seguirlo su questa strada e, di conseguenza, prendiamo il passo sull’itinerario impegnativo di questa sera.
Baise Pascal leggendo e studiando il testo della Prima Lettera ai Corinti fa delle scoperte che riguardano le origini cristiane, di un passato che ha una ricaduta sul presente dove l’evangelizzazione è molto in ritardo rispetto al fatto che il cristianesimo, da secoli, si è imposto nel mondo: la cristianità è al potere [da più di mille anni, pensa Pascal] ma la Lezione del Vangelo risulta pressoché inascoltata [e su questo paradosso nessuno riflette, pensa Pascal]. Baise Pascal viene a sapere seguendo il Commento di padre Mersenne che già dal I secolo, al tempo di Paolo di Tarso, è in corso un’animata competizione tra i membri delle varie componenti [delle varie anime] che si dedicano, ciascuna con le proprie caratteristiche, alla predicazione della “buona notizia” [del Vangelo]. A Corinto c’è stata un’evoluzione ideologica che ha trasformato la comunità in una sorta di associazione che si è frantumata in tante correnti in lizza tra loro, e ciascuno dei vari gruppi si è chiuso nella difesa del proprio modo di vedere le cose. Pascal comprende che l’Epistolario di Paolo di Tarso è l’opera che documenta meglio questa situazione e ne rimane colpito, e capisce che la Cristianità non ha ancora realizzato quasi nulla di ciò che il Vangelo ha proclamato per secoli. Pascal leggendo e studiando il testo della Prima Lettera ai Corinti [e si pente di non essersi dedicato prima a questo studio] si rende conto che in quest’opera ci sono alcuni brani composti da Paolo con grande maestria, nello spirito della “sapienza poetica ellenistica”, che dal punto di vista del contenuto valgono una dottrina intera. A che cosa serve, si domanda sorpreso Pascal che non si era mai posto il problema, l’enorme mole documentaria prodotta dal concilio di Trento [che si era concluso nel 1564] se non a fiaccare lo slancio propulsivo delle parole-chiave del messaggio evangelico? Blaise leggendo e studiando la Prima Lettera ai Corinti scopre un brano che lo sconvolge nel suo intimo: il testo del capitolo 13 quello che, comunemente [e tutte e tutti noi lo conosciamo], viene chiamato “Inno all’amore”.“L’inno all’amore”, spiega padre Mersenne nel suo Commento, è un testo poetico molto ispirato di carattere elegiaco [Paolo conosce lo stile di Callimaco di Cirene e di Apollonio Rodio e lo utilizza] ma questo celebre testo paolino ha anche, e soprattutto, un grande valore filosofico e dottrinale, e va letto e interpretato nel contesto in cui è scritto.
La parola che nel capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinti viene tradotta con il termine “amore” è la parola greca “charitas” che, spiega padre Mersenne nel suo Commento, col tempo [e anche per noi oggi] suona in modo riduttivo perché la parola “carità” si è logorata: ed è per questo che si preferisce, e suona senz’altro meglio, tradurre con il temine “amore”. Anche per Pascal prima che ci riflettesse sopra, la parola “carità” evoca [e anche oggi], per la maggior parte delle persone, qualcosa di riduttivo, di negativo, anche di equivoco. Padre Mersenne nel suo Commento spiega [e Blaise lo impara] che è necessario ragionare sul valore filologico delle parole al di là dei luoghi comuni: il concetto contenuto nella parola “charitas” dipende dal termine “charis” che significa “dono” e, per la precisione, “dono gratuito, non interessato” e significa anche “ringraziamento” nel senso di “sapersi ringraziare con sincerità”, nel “rendere grazie” [in greco “eucharistia”] non in modo formale ma sostanziale. Il concetto contenuto nella parola “carità”, spiega padre Mersenne nel suo Commento filologico] si distingue da quello contenuto nella parola “amore” perché il concetto espresso dalla parola “amore” [“eros” in greco, “amor” in latino] rimanda alla cultura elegiaca [in lingua greca] di stampo ellenistico alessandrino e alla cultura elegiaca [in lingua latina] della Roma imperiale: in queste culture, spiega padre Mersenne nel suo Commento, tipiche della “sapienza poetica ellenistica”, il concetto dell’amore [de “l’eros greco” e de “l’amor latino”] contiene l’idea di “dare per avere” e lo spiega bene Ovidio nel suo poema erotico intitolato Arte di amare. Mentre, spiega padre Mersenne, le parole “charis, charitas, eucharistia” - parole che dovrebbero essere fondamentali nella nostra cultura - sono l’espressione di un altro tipo di idea: l’idea dell’amore solidale, della solidarietà, della gratuità. Blaise Pascal impara dal Commento di padre Mersenne che il capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinti è importante perché è un manifesto filosofico che laicizza [svincola] l’amore, lo deritualizza e lo libera da tutti gli istinti di possesso: Pascal, di conseguenza, comincia a comprendere la sostanza dello “spirito caritatevole” che anima l’operato dei fratelli Deschampes, che curano gratuitamente i poveri, e che anima la vocazione di sua sorella Jacqueline. A Port-Royal [si domanda Blaise] si coltiva la speranza che ci possa essere un mondo migliore, fondato sulle virtù evangeliche?
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quali di queste virtù – bontà, umanità, fratellanza, altruismo, misericordia, generosità – usereste per prima per definire una persona “caritatevole”?…
Avete conosciuto nel corso della vostra vita una persona considerata “caritatevole”?…
Scrivete quattro righe in proposito…
E adesso leggiamo il testo del celebre capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinti.
LEGERE MULTUM….
Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinti 13
Ora vi insegno qual è la via migliore: se parlo le lingue degli uomini e anche quelle degli angeli, ma non ho amore [charitas, la capacità di donare gratuitamente] sono un metallo che rimbomba, uno strumento che suona a vuoto. Se ho il dono d’essere profeta e di conoscere tutti i misteri, se possiedo tutta la scienza e anche una fede da smuovere i monti, ma non ho amore, io sono niente. Se do ai poveri tutti i miei averi, se offro il mio corpo alle fiamme, ma non ho amore, non mi serve a nulla. Chi ama [chi è capace di donare gratuitamente] è paziente e generoso. Chi ama non è invidioso non si vanta non si gonfia di orgoglio. Chi ama è rispettoso non cerca il proprio interesse non cede alla collera dimentica i torti. Chi ama non gode dell’ingiustizia, la verità è la sua gioia. Chi ama, tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, mai perde la speranza. L’amore non tramonta mai: cesserà il dono delle lingue, la profezia passerà, finirà il dono della scienza. La scienza è imperfetta, la profezia è limitata, ma verrà ciò che è perfetto ed esse svaniranno. Quando ero bambino parlavo da bambino, come un bambino pensavo e ragionavo. Da quando sono una persona matura ho smesso di agire così. Ora la nostra visione è confusa, come in un antico specchio; ma un giorno saremo a faccia a faccia dinanzi a Dio. Ora lo conosco solo in parte, ma un giorno lo conoscerò come lui mi conosce. Ecco dunque le tre cose che contano: fede, speranza, amore. Ma più grande di tutte è l’amore. …
Non ci vuole molto a capire che - di fronte a questo testo che rappresenta il manifesto filosofico che esalta “l’amore solidale disinteressato, gratuito” - il pensiero di Blaise Pascal scopre nuovi orizzonti che lui ha intenzione di esplorare. A questo punto, ritorna sul primo capitolo della Prima Lettera ai Corinti dove ha letto un brano che gli era sembrato sconvolgente ma che, ora, riesce a comprendere nel suo “significato eversivo” lui che, da matematico sapiente, seguiva una regola precisa secondo la quale doveva costruire nella sua mente un modello, il più perfetto, il più logico, il più geometrico possibile e non si era mai domandato quale potesse essere, in chiave esistenziale, “la natura del modello dei modelli”.
Ma prima di leggere il brano in questione tratto dal capitolo primo della Prima Lettera ai Corinti dobbiamo seguire, insieme a Blaise, la riflessione esegetica che padre Mersenne, attraverso il suo Commento, ci propone per conoscere, per capire e per applicarci.
Blaise Pascal, attraverso il Commento di padre Mersenne all’Epistolario di Paolo di Tarso, impara che, durante il periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento, nel corso del XIV del XV e del XVI secolo, si è manifesto da parte degli umanisti un grande interesse per lo studio dei testi delle Lettere di San Paolo: in proposito, gli studiosi dell’epoca hanno utilizzato il metodo filologico dello studioso di Filologia per eccellenza [colui che tratta la Filologia come una Filosofia], Lorenzo Valla [1407-1457], del quale padre Mersenne si sente discepolo, perché, dal punto di vista filologico per la accurata formazione che Lorenzo Valla possiede, in nessun altro umanista come lui è stata così lucida la consapevolezza degli effetti di liberazione che produce il recupero della parola nella sua autenticità contestuale, di “una parola” [come quella della Sacra Scrittura] che, spesso, nei secoli, è stata manomessa dalla Tradizione e dalle traduzioni [e noi conosciamo questo tema che abbiamo studiato più volte negli anni].
Lorenzo Valla [del quale padre Mersenne si sente discepolo e che Pascal conosceva solo di nome come colui che ha dimostrato la falsità del Documento in cui Costantino avrebbe concesso il potere sulla città di Roma al papa, “la falsa donazione di Costantino”], nella sua opera intitolata Disputazioni dialettiche, propone un metodo per “ristabilire il nesso tra la parola e la cosa” e stabilisce un criterio logico che consiste «nella dilucidazione [nella spiegazione e nella precisazione] storica e razionale del linguaggio » [che significato aveva un termine in una determinata epoca, e quale evoluzione ha avuto il suo significato, e a quali condizionamenti è stato sottoposto il significato di una determinata parola?], perché la Tradizione con tutte le sue dispute teologiche, afferma Lorenzo Valla, ha complicato il procedimento logico e ha ridotto, e non allargato, la possibilità di comprensione dei testi. Scrive Lorenzo Valla che è stato accusato di laicismo dall’Inquisizione: «È soprattutto la Fede a trarre vantaggio dal recupero delle parole autentiche, e mettere la Parola sacra al posto che le è dovuto è compito morale del filologo, immorale sarebbe la copertura di manomissioni [e si riferisce soprattutto alle interpolazioni nei testi della Letteratura dei Vangeli] operate a fini di potere contro lo spirito dell’evangelo». Quindi, gli umanisti [impara Pascal dal Commento di padre Mersenne] si dedicano con passione allo studio, in chiave filologica, dei testi dell’Epistolario di Paolo di Tarso per risalire al suo significato più autentico. Marsilio Ficino [è un nome a noi noto, lo abbiamo conosciuto frequentando l’Accademia platonica fiorentina], quando muore nel 1499 [spiega padre Mersenne nel suo Commento, e Pascal impara] lascia, appena iniziata, una traduzione con commento delle Lettere di Paolo di Tarso, e poi [spiega padre Mersenne nel suo Commento] nell’opera intitolata Elogio della pazzia [1515] di Erasmo da Rotterdam e nelle Opere di Bernardino Telesio, di Giordano Bruno e ne La città del sole [1602] di Tommaso Campanella viene sviluppato un concetto di Dio molto significativo fondato su tre parole-chiave: Potenza, Sapienza e Amore. Questo concetto [spiega padre Mersenne nel suo Commento] lo si trova nella Prima Lettera ai Corinti e chissà perché [scrive padre Mersenne nel suo Commento] tutti questi personaggi [che abbiamo incontrato a suo tempo] sono stati condannati come eretici e le loro Opere sono state messe all’Indice e, di conseguenza, come non pensare che, se non fosse stato rivalutato da papa Giulio II, attraverso le allegorie dipinte [dal 1508 al 1510, come abbiamo studiato a suo tempo] da Michelangelo sul soffitto della Cappella Sistina, il messaggio evangelico contenuto nei testi delle Lettere di San Paolo, avrebbe continuato a rimanere sotto traccia. Forse, qualche ligio inquisitore [allude padre Mersenne ironicamente nel suo Commento], avrebbe messo all’Indice anche l’opera dell’Apostolo delle genti, perché il modello che emerge, in particolare nel testo della Prima Lettera ai Corinti, non è certo rassicurante per chi vuole mantenere il potere: infatti Paolo scrive: «Dio ha scelto coloro che vengono considerati insignificanti, per coprire di vergogna i saccenti [e Pascal si sente chiamato in causa, ed è un richiamo che lo seduce]; ha scelto quelli considerati deboli, per distruggere quelli che si credono forti. Dio ha scelto quelli che nel mondo non hanno importanza o sono disprezzati o considerati come se non esistessero, per distruggere quelli che pensano di valere qualcosa. Così, nessuno potrà vantarsi davanti a Dio.», e Pascal si accorge che non si era mai premurato di domandarsi quale potesse essere “la natura del modello dei modelli”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Avete mai avuto, o avete tutt’oggi, un modello comportamentale a cui riferivi?…
Scrivete quattro righe in proposito…
E ora, dopo aver seguito, insieme a Blaise, la riflessione esegetica condotta da padre Mersenne nel suo Commento, leggiamo per intero il brano in questione tratto dal capitolo primo della Prima Lettera ai Corinti.
LEGERE MULTUM….
Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinti 1, 17-31.
Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare la salvezza. E questo io faccio senza parole sapienti, per non rendere inutile la morte di Cristo in croce. Predicare la morte di Cristo in croce sembra una pazzia a quelli che vanno verso la perdizione; ma per noi, che Dio salva, è la potenza di Dio. Isaia dice infatti: “Distruggerò la sapienza dei saccenti e squalificherò l’intelligenza degli intelligenti”.
Infatti, che cosa hanno da dire ora i sapienti, gli studiosi, gli esperti in dibattiti culturali? Dio ha ridotto a pazzia la sapienza di questo mondo. Gli uomini, con tutto il loro sapere, non sono stati capaci di conoscere Dio e la sua sapienza. Perciò Dio ha deciso di salvare quelli che credono, mediante questo annuncio di salvezza che sembra una pazzia. Gli Ebrei infatti vorrebbero miracoli, e i non Ebrei si fidano solo della ragione. Noi invece annunziamo Cristo crocifisso, e per gli Ebrei questo messaggio è offensivo, mentre per gli altri è assurdo. Ma per quelli che Dio ha chiamati, siano essi Ebrei o no, Cristo è potenza e sapienza di Dio. Perché la pazzia di Dio è più sapiente della sapienza degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte della forza degli uomini. Guardate tra voi, fratelli e sorelle. Chi sono quelli che Dio ha chiamati? Vi sono forse tra voi, dal punto di vista umano, molti sapienti o molti potenti o molti personaggi importanti? No! Dio ha scelto coloro che vengono considerati insignificanti, per coprire di vergogna i saccenti; ha scelto quelli considerati deboli, per distruggere quelli che si credono forti. Dio ha scelto quelli che nel mondo non hanno importanza o sono disprezzati o considerati come se non esistessero, per distruggere quelli che pensano di valere qualcosa. Così, nessuno potrà vantarsi davanti a Dio. Dio però ha unito voi a Gesù Cristo: egli è per noi la sapienza che viene da Dio. Gesù Cristo ci rende graditi a Dio, ci dà la possibilità di vivere per lui e ci libera dal peccato. Si compie così quel che dice Geremia: “Chi vuol vantarsi si vanti per quel che ha fatto il Signore”. …
Il testo di questo brano, molto interessante ma piuttosto complesso, ci basta già per comprendere meglio ciò che vogliamo e dobbiamo capire perché, di solito, scorrendo le biografie di Blaise Pascal, si legge che, dopo essere venuto a contatto con l’esperienza di Port-Royal lui “si converte”, ma questa affermazione [il categorico “si converte”] risulta essere piuttosto superficiale se non si approfondisce come stiamo cercando di fare qual è “la motivazione di carattere intellettuale” che induce Pascal [che non fa un passo senza investire in intelligenza] a cambiare stile di vita.
E allora, anche se può sembrare tedioso, è di fondamentale importanza esplorare il percorso culturale [colturale] che lo porta a maturare un proprio pensiero che si frantumerà in una lunga serie di pensieri che, per essere meglio compresi, è necessario si sappia da quale fonte hanno attinto [la lettura dei Pensieri di Pascal diventa ardua senza conoscere “la fonte paolina” che per la sua intelligenza risulta essere seducente].
Pascal, attraverso il Commento di padre Mersenne, scopre già nel testo della Prima Lettera ai Corinti molti elementi, molte parole-chiave fondamentali per la Storia del Pensiero che [pensa Pascal] avrebbero dovuto già da tempo condizionare e orientare positivamente la nostra cultura [la cultura Occidentale] alla quale è stata affibbiata troppo superficialmente “un’identità cristiana”.
Abbiamo detto che Pascal, da matematico sapiente, seguiva una regola precisa secondo la quale doveva costruire nella sua mente un modello, il più perfetto, il più logico, il più razionale, il più geometrico possibile, e non si era mai domandato quale potesse essere, in chiave esistenziale, “la natura del modello dei modelli”, vale a dire, un modello - o meglio un non-modello - che possa buttare all’aria tutti quelli convenzionali perché la ragione ha dei limiti e l’individuo è soggetto alle trame dell’astuzia della ragione che contrastano quasi sempre con la semplicità, la linearità e la schiettezza del cuore.
Ora, prima di riflettere su quali conseguenze produce in Pascal l’impatto con la Letteratura paolina [già dalla Prima Lettera ai Corinti e poi con la Seconda Lettera ai Corinti], dobbiamo tenere in considerazione il fatto che stiamo leggendo il libro di Italo Calvino intitolato Palomar, pubblicato nel 1983, ritenuto magistrale ma non facile da leggere. Sappiamo che questo titolo corrisponde al nome del protagonista, il signor Palomar [un nome simbolico che richiama un potente telescopio], e sappiamo anche che l’attenzione del signor Palomar si orienta nella direzione dei molti fenomeni che gli capitano sotto gli occhi perché, come Montaigne, decide di osservare “le cose della vita” scrutandole nei minimi particolari per cercare di interpretarle nel tentativo, come pretende di fare Pascal, di mettersi in equilibrio con l’Universo, e questo tentativo presenta non poche difficoltà: figuratevi se Italo Calvino non pretende di far riflettere il signor Palomar anche sul tema de “il modello dei modelli”, il signor Palomar ha un piede nei Saggi di Montaigne e l’altro piede nei Pensieri di Pascal, e allora leggiamo.
LEGERE MULTUM….
Italo Calvino, Palomar
Il modello dei modelli
Nella vita del signor Palomar c’è stata un’epoca in cui la sua regola era questa: primo, costruire nella sua mente un modello, il più perfetto, logico, geometrico possibile; secondo, verificare se il modello s’adatta ai casi pratici osservabili nell’esperienza; terzo, apportare le correzioni necessarie perché modello e realtà coincidano. Questo procedimento, elaborato dai matematici, dai fisici e dagli astronomi che indagano sulla struttura della materia e dell’universo, pareva a Palomar il solo che gli permettesse d’affrontare i più aggrovigliati problemi umani, e in primo luogo quelli della società e del miglior modo di governare. Bisognava riuscire a tener presenti da una parte la realtà informe e dissennata della convivenza umana, che non fa che generare mostruosità e disastri, e dall’altra un modello d’organismo sociale perfetto, disegnato con linee nettamente tracciate, rette e circoli ed ellissi, parallelogrammi di forme, diagrammi con ascisse e ordinate.
continua a leggere ...
Si consiglia sempre di rileggere con la dovuta attenzione i pensieri del signor Palomar ma, in questo caso, sembra proprio che Italo Calvino questa pagina l’abbia scritta per l’itinerario di questa sera.
E ora riflettiamo su quali conseguenze produce nella mente di Pascal l’impatto con la Letteratura paolina, un impatto dovuto inizialmente al contatto con il testo della Prima Lettera ai Corinti e poi, come vedremo tra poco, con il testo della Seconda Lettera ai Corinti.
Blaise Pascal è un grande indagatore della “ragione” [e finora lo abbiamo visto padroneggiare il fenomeno razionale in modo geniale] e nella ragione [nelle qualità della ragione illuminata dall’intelletto] hanno molta fiducia gli intellettuali di questo periodo storico, il ‘600 [il secolo della Scienza], a cominciare da Cartesio, del quale abbiamo studiato la vita e le opere nella primavera scorsa. Pascal, che considera il pensiero di Cartesio troppo meccanico, a cominciare dall’idea dell’esistenza di Dio a garanzia della validità della Matematica [nel Pensiero 77 Pascal scrive: «Non posso perdonarla a Cartesio, il quale in tutta la sua filosofia avrebbe voluto poter fare a meno di Dio, ma non ha potuto evitare di fargli dare un colpetto al mondo per metterlo in moto; dopodiché non sa più che farne di Dio.»], proprio perché è un profondo conoscitore dei meccanismi della ragione, quando viene a contatto con la Letteratura paolina che propone “un modello alternativo ai modelli convenzionali” [un “modello dei modelli” che si presenta in modo a-razionale, a-logico, a-scientifico], comincia seriamente a dubitare che la conoscenza umana si basi esclusivamente sulla ragione. Pascal nomina la “ragione” con l’espressione “esprit géométrique”, “spirito di geometria”, perché la ragione è capace di fare, come si fa in geometria, dei ragionamenti deduttivi, ma il ragionare in modo deduttivo [per sillogismi, afferma Pascal] non ha un valore assoluto e, quindi, la ragione non riesce a dimostrare tutto: Pascal scrive: «Come dire che l’ultimo passo della ragione è di riconoscere che c’è un’infinità di cose che l’oltrepassano. Lo spazio, il movimento, il tempo, il numero sono principi da cui parte la ragione geometrica e non sono dimostrabili, li accettiamo in virtù della loro evidenza, ma l’evidenza ci rimanda più al cuore che alla ragione: i principi prima di tutto si sentono». Questa affermazione incide profondamente nel dibattito in corso su quelli che sono i pregi e i limiti della ragione, e Pascal scrive ancora: «Le deduzioni geometriche sono valide, ma partono da deduzioni non dedotte. La ragione è sempre preceduta dall’esperienza che è la fonte e la guida della conoscenza, l’esperienza che, secondo l’insegnamento di Galileo, deve partire dai dati di fatto per risalire ai principi e non viceversa. E, quindi la persona non può essere compresa che in piccola parte dalla ragione, perché l’essere umano è “un oggetto” molto complicato, intessuto di istinti e di sentimenti che, nella loro complessità, sfuggono nel modo più assoluto allo “spirito di geometria”. La persona non è un teorema, e non può essere costretta a prendere la forma di un qualsivoglia modello».
Quest’ultima affermazione mette in evidenza il limite vero della ragione ma, di conseguenza, afferma Pascal,, sollecita anche a dare valore alle effettive possibilità della ragione che, se fossero illimitate, non sarebbe possibile poterle valutare e ciò andrebbe a scapito dell’attività razionale stessa. E qual è, secondo Pascal, il vero limite della ragione? Pascal afferma che la ragione è capace di dedurre e di intuire ma non è in grado di “sentire”, non possiede la facoltà di cogliere il senso profondo delle cose, non ha l’attitudine per poter afferrare l’intima dimensione della realtà. La ragione, afferma Pascal, non riesce a cogliere in profondità né la realtà naturale né quella umana. Scrive Pascal: «Ma la ragione è comunque un grande strumento perché è capace di essere consapevole dei suoi limiti. La ragione, come possiamo leggere nel testo della Seconda Lettera di San Paolo ai Corinti, “è forte perché è debole”; la ragione, come si legge nel capitolo undicesimo di questa epistola, “è valida quando è consapevole di essere insufficiente”.». Pascal. dopo il testo della Prima Lettera ai Corinti cita anche il testo della Seconda Lettera ai Corinti per supportare il suo pensiero “sulla debolezza e sulla insufficienza della ragione” e, quindi, se vogliamo studiare l’opera di Pascal dobbiamo leggere anche questo testo per capire che cosa apprende dal contenuto, commentato da padre Mersenne, della Seconda Lettera ai Corinti che costituisce per lui un motivo di riflessione sul tema della condizione umana vincolata al fatto che la ragione non può [afferma Pascal] sentire ciò che sente il cuore.
Dal prezioso Commento di padre Mersenne che utilizza gli strumenti filologici predisposti da Lorenzo Valla, Pascal apprende [e si accultura sul piano esegetico] che nel testo della Seconda Lettera ai Corinti sono contenuti “brani” [scritti tra il 55 e il 56] di almeno quattro diverse Lettere, che sono stati poi ricuciti insieme in questo testo unico, e il rapsodo [il sarto] è certamente papa Clemente Romano [il primo papa documentato, tra l’anno 95 e il 100, della Storia della Chiesa di Roma, il primo dei Padri Apostolici, insieme a Ignazio di Antiochia e a Policarpo di Smirne]; questo personaggio, che dirige il lavoro della cosiddetta “Scuola di scrittura Ellenistico-clementina”, ha operato per la messa in ordine di tutto quel materiale [scritto in greco che, raccolto a Roma, deve anche essere tradotto in latino]: la cosiddetta Letteratura Clementina [in particolare gli Atti degli Apostoli, i Primi due capitoli del Vangelo di Luca e l’Epistolario di Paolo di Tarso] che va a costituire il primo nucleo della dottrina del Cristianesimo.
Poi Blaise, dal prezioso Commento di padre Mersenne, impara anche che il testo della Seconda Lettera ai Corinti è stato “purgato” [censurato] da espressioni poco “garbate”, che contrastavano con lo spirito di fratellanza predicato nelle comunità, ma Paolo era fortemente contrariato per le accuse che riceveva: lo si accusava di essere un millantatore, e lui è chiamato a difendersi per dimostrare la sua buona fede di “apostolo” [di inviato speciale]. Attraverso il prezioso Commento di padre Mersenne, Pascal scopre che nel testo della Seconda Lettera ai Corinti si combinano insieme una serie di situazioni contraddittorie, tipiche della condizione umana, e Paolo vive e descrive queste contraddizioni [che anche Blaise riconosce come proprie]: la persona, scrive Paolo, dovrebbe aver capito [sentito con il cuore] di essere in continua lotta con il proprio orgoglio perché sa che l’umiltà è preferibile; la persona, scrive Paolo, dovrebbe aver capito [sentito con il cuore] che la vera forza sta nella debolezza; la persona, scrive Paolo, dovrebbe aver capito [sentito con il cuore] che l’ironia è un antidoto contro l’angoscia; la persona, scrive Paolo, dovrebbe aver capito [sentito con il cuore] che c’è un momento per la gioia e un momento per la nostalgia e che la nostalgia dipende sempre dalla gioia precedentemente provata; la persona, scrive Paolo, dovrebbe aver capito [sentito con il cuore] che oltre alla delusione per le molte sconfitte che la vita riserva bisogna anche saper cogliere il buon gusto consolatorio di cui sono ricche tante delle cose create. Paolo nel testo della Seconda Lettera ai Corinti si presenta [e per Pascal, che non ne aveva sentore, è qualcosa di inaspettato] come uno scrivano in possesso di una grande agilità mentale, che presenta come pregi, come virtù alternative, degli atteggiamenti [l’umiltà, la debolezza, l’angoscia, la nostalgia, la delusione] che vengono normalmente considerati dei difetti, e Pascal, che era da tempo in lotta con questi sentimenti, individua ora una strada da percorrere per riflettere sul tema della condizione umana.
Il testo della Seconda Lettera ai Corinti vale la pena di essere letto soprattutto perché è ricco di brani che costituiscono un significativo “diario intimo” che potrebbe intitolarsi “confessioni” [e il fatto che il pensiero richiami la figura di Sant’Agostino non è casuale, come vedremo quando andremo con Pascal a Port-Royal]; difatti, in questo scritto compare nella maniera più scoperta la personalità di Paolo che si trova a dover scegliere quotidianamente tra la forza e la debolezza, tra l’audacia e il riserbo, tra l’impeto e la tenerezza, ed emerge dal testo un vero “personaggio da romanzo” che orienta le sue scelte [non convenzionali, alternative, impopolari] perché si possa concretizzare la solidarietà, la fratellanza, l’uguaglianza e la giustizia sociale, e Blaise Pascal, indirizzato dal prezioso Commento di padre Mersenne, ne rimane affascinato.
Le parole “orgoglio, umiltà, forza, debolezza, ironia, angoscia, gioia, nostalgia, delusione, gusto”, sono termini-chiave nel genere letterario del romanzo e una decina di anni fa, quando abbiamo studiato l’Epistolario di Paolo di Tarso nei particolari, abbiamo avuto l’occasione di fare una serie di esempi significativi e anche imprevedibili su come il testo della Seconda Lettera ai Corinti abbia influenzato la Storia della Letteratura dell’800 e del ‘900.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Visto che in ogni casa c’è un volume della Bibbia si consiglia di leggere [e di rileggere] il testo della Seconda Lettera ai Corinti perché ciò che scopre Pascal anche in quest’opera lo mette nella condizione di consolidare un proprio pensiero che si frantumerà in una lunga serie di pensieri… Non si può leggere l’opera di Pascal intitolata Pensieri senza andare alle fonti da cui l’autore ha attinto…
Quale di queste parole - orgoglio, umiltà, forza, debolezza, ironia, angoscia, gioia, nostalgia, delusione, gusto - oggi scegliereste per prima ?…
E, con quattro righe scritte, potete pure motivare la vostra scelta, ricordando che, dove a spiegare non arriva la ragione [afferma Pascal], ci arriva il cuore…
Pascal condivide l’idea, contenuta nel testo della Seconda Lettera ai Corinti, che «la ragione è forte perché è debole ed è valida quando è consapevole di essere insufficiente» e allora Pascal si domanda come sia possibile [se è possibile] far fruttare questa “debolezza” e questa “insufficienza” in rapporto al tema che considera ormai il più importante su cui riflettere: quello della “condizione umana”.
Blaise Pascal, dalla lettura dei Saggi di Montaigne e dei testi dell’Epistolario di Paolo di Tarso, diventa sempre più consapevole del fatto che il tema più importante da studiare e su cui riflettere è quello della “condizione umana” e la prima considerazione che Pascal fa sulla condizione umana - facendo fruttare “la debolezza” e “l’insufficienza” della ragione - si basa su un’aporia, su una contraddizione che non è per niente rassicurante: l’essere umano è [e si considera] superiore, pensa Pascal, in un universo che però è tanto più forte di lui. Pascal, nel Pensiero 72, scrive: «La persona che è consapevole dei suoi limiti è anche consapevole di essere superiore all’universo perché l’universo è privo di pensiero. Ma l’essere umano è consapevole che, anche se privo di pensiero, l’universo è tanto più forte di noi. Il silenzio eterno di questi spazi infiniti ci atterrisce. Smarriti in questo remoto angolo della natura. Che cosa sono gli esseri umani?».
Questa “tragica” considerazione fa ulteriormente riflettere Pascal il quale si domanda: se la ragione è insufficiente e la capacità di conoscere è davvero tanto limitata quale altra forma di conoscenza ci può essere per la persona? Pascal vuole dimostrare l’esistenza di un’altra forma di conoscenza di carattere non razionale: una forma di conoscenza che penetra nel profondo della realtà, là dove lo spirito di geometria non può arrivare, e Pascal chiama questa forma di conoscenza: “ésprit de finesse”, “spirito di finezza”, e la chiama anche - con una terminologia tipicamente paolina - “la ragione del cuore”, frutto di una intuizione immediata che sente l’intimo delle cose, che coglie le cose in profondità, nella loro totalità. Lo “spirito di finezza” non vede le cose in superficie, dall’esterno, ma, guidata da questo “principio penetrante”, la persona indaga nella propria natura, e indagando si accorge di essere “qualcosa”, di essere persino “superiore”, ma si accorge anche chiaramente di non essere tutto.
Quindi la persona, mediante lo spirito di finezza, capisce, afferma Pascal, di avere una natura situata tra l’essere e il nulla. La persona è consapevole di avere una sua dignità che si basa sul pensiero: sul pensiero, come scrive Paolo nella Seconda Lettera ai Corinti, consapevole della propria miseria e della propria insufficienza: scrive Pascal, parafrasando Paolo di Tarso nel Pensiero 72: «Paradossalmente la grandezza dell’essere umano consiste nella consapevolezza di essere in una condizione di inferiorità. Sembra che la consapevolezza dell’attuale insufficienza, presupponga che, nel passato, l’essere umano sia stato davvero signore dell’universo. Come se un peccato originale ci abbia messo in bilico tra l’essere e il nulla».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Lo “spirito di finezza” non vede le cose in superficie ma le coglie in profondità: quale di queste parole - leggerezza, eleganza, gentilezza, precisione - mettereste per prima accanto al termine “finezza”? … A quale cosa concreta corrisponde la parola che avete scelto?…
Scrivete due righe in proposito…
Le persone, invece di riflettere sulla condizione umana [afferma Pascal], in modo che si crei nella loro intimità lo spazio per il proprio “ben-essere intellettuale, spirituale e morale”, vengono orientate dal sistema stesso verso “il divertimento” con la creazione di “un apparato di distrazione di massa” in modo che la persona non pensi alla propria situazione esistenziale. Ma, anche se il volume viene alzato sempre di più a scopo alienante, nell’animo della persona [afferma Pascal] continua a riemergere puntualmente l’inquietudine che diventa incurabile. E, a questo proposito, per concludere, apriamo non a caso, il volume dei Pensieri e leggiamo.
LEGERE MULTUM….
Blaise Pascal, Pensieri
168 Gli esseri umani, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci. Nulla è così insopportabile all’essere umano come essere in pieno riposo, senza passioni, senza faccende, senza svaghi, senza occupazioni. Egli sente allora la sua nullità, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. E subito sorgeranno dal fondo della sua anima, il tedio, l’umor nero, la tristezza, il cruccio, il dispetto, la disperazione. … Le occupazioni, la carriera, il trambusto delle guerre, il gioco, la caccia, tutto serve all’essere umano per evitare di stare solo con se stesso, nella sua stanza, e scoprire faccia faccia la propria miseria. Gli esseri umani occupano il loro tempo a inseguire una palla o una lepre: è anche il piacere del re. Il quale re è circondato di persone che non pensano se non a divertire il re e a impedirgli di pensare a se stesso, perché se ci pensa, anche se è re, è infelice. È per questo che va a caccia. Non gli interessa la lepre: il re non è in grado di comprarsi una lepre? Gli interessa la caccia. Ma per la caccia ci vuole la lepre! Sotto il divertimento, insomma, non c’è la ragione, c’è la fuga dalla ragione. …
A questo punto potrebbe sembrarci concluso il nostro incontro con Blaise Pascal, e invece siamo appena all’inizio perché nella notte del 23 novembre 1654 avviene un fatto che Pascal registra come “la notte di fuoco” scrivendo: «Non so se ho sognato, ma non credo di aver sognato: ho vissuto in modo drammatico un incontro fiammeggiante col Dio di Gesù Cristo, che mi diceva di seguire le indicazioni dei Vangeli» [sembra Paolo sulla via di Damasco]. Pascal scrive un Memoriale di questo evento intimo, che inizia con queste parole: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non il dio dei filosofi e dei sapienti mi ha chiamato a un nuovo programma di vita e di pensiero» [qual è la fonte di queste parole? Ci vogliono ancora cinque itinerari per risalire alla fonte!]. Quindi, Blaise decide di frequentare regolarmente l’abbazia di Port-Royal per studiare, per meditare e per attuare programmi di solidarietà verso il prossimo e, di conseguenza, siamo appena all’inizio e, ancora una volta, ci dobbiamo domandare: ma che cos’è Port-Royal?
Port-Royal è un luogo [anzi due], è un’abbazia [anzi due, una medioevale e una moderna], ma è anche una significativa metafora: una metafora di che cosa?
Per rispondere a queste domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé [bisogna annullare la fuga dalla ragione] per essere sempre consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare: per questo la Scuola è qui, e sulla scia di quel “principio penetrante” che è “l’ésprit de finesse”, il viaggio continua…