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SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI SI FA TAPPA NELLA MEMORIA MEDIOEVALE DI PORT-ROYAL DES CHAMPS ...

Lezione N.: 
6

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi  

La sapienza poetica e filosofica dal secolo della Scienza a quello dei Lumi 

20-21-22  novembre  2019

 SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI

SI FA TAPPA NELLA MEMORIA MEDIOEVALE DI PORT-ROYAL DES CHAMPS ...

     Stiamo viaggiando - questo è il sesto itinerario - sulla via che porta dal secolo della Scienza [il ‘600] a quello dei Lumi [il ‘700] e come ben sapete siamo in compagna di Blaise Pascal.

     Al termine dell’itinerario della scorsa settimana - durante il quale abbiamo studiato come i testi dell’Epistolario di Paolo di Tarso, commentati da padre Mersenne, in particolare le due Lettere ai Corinti, abbiano influito sulla formazione del pensiero di Pascal - abbiamo pensato che il nostro incontro particolarmente ricco con lui stesse per terminare, e invece siamo appena all’inizio del nostro incontro con Pascal perché, a un certo punto, è come se la sua vita fosse ricominciata da capo [forse sarà successo anche a noi di fare questa esperienza, quella di trovarci nella condizione di dover, di poter e di voler ricominciare da capo, probabilmente non seguendo una motivazione simile a quella di Pascal], e in questo Pascal segue un precedente: l’esperienza di Paolo di Tarso. Ma stiamo ai fatti, e prendiamo il passo cercando di procedere con ordine.

     Blaise Pascal, dopo la lettura e lo studio dell’Epistolario di Paolo di Tarso commentato da padre Mersenne, ritiene di essere rinato a nuova vita pensando all’affermazione che fa spesso Paolo nelle sue Lettere quando scrive: «Sono risorto con Cristo» volendo affermare che per lui era iniziata una nuova vita più difficoltosa materialmente ma qualitativamente più ricca: ricca di grazia [in greco “charis” che significa “dono gratuito”, non condizionato da “un dare per avere” ma dalla sensazione di vivere “in stato di grazia”]. Anche Pascal, da un certo momento, pensa di essere rinato a nuova vita, di essere “in stato di grazia”. In realtà la vita materiale sta fuggendo da lui perché è affetto da molte malattie gravi ma l’idea di aver ricevuto “la grazia” lo aiuta a vivere un po’ più a lungo, una decina di anni in più di quello che i medici, quando aveva 29 anni, avevano pronosticato, e riesce ad arrivare fino a 39 anni.  Scrive Pascal: «L’essere umano ha perso la “grazia di Dio”, e se vuole che la sua vita abbia un senso deve riconquistare “lo stato di grazia” »[e, umanamente parlando, quando una persona dice di “trovarsi in stato di grazia”, ammette di essere felice]. Con questa affermazione comincia una puntigliosa riflessione che Pascal conduce da matematico, da scienziato che vuole ragionare in modo alternativo, fuori dai modelli convenzionali del ragionamento deduttivo, seguendo una nuova ottica che risulti provocatoria rispetto a quelle che lui chiama “le coscienze addormentate, alienate dal sistema di distrazione di massa”; per questo motivo utilizza [vuole utilizzare] la ragione a servizio del cuore, evitando la caduta nel sentimentalismo e, quindi, affrontando il tema con filosofia: come si articola la sua riflessione?

     Pascal ritiene che i filosofi [tanto quelli della Scolastica medioevale quanto quelli moderni come Cartesio] abbiano voluto dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio, attraverso i loro ragionamenti deduttivi, senza rendersi conto che agivano esclusivamente per soddisfare il loro “spirito di geometria”, quasi come se volessero esaltare la potenza della ragione, come se [afferma Pascal] il prestigio della ragione e la gloria di Dio si potessero mettere sullo stesso piano. Ma questi filosofi, afferma Pascal, non hanno trovato Dio perché a Dio ci si avvicina con “lo spirito di finezza”: Dio lo si può “sentire” solo con il cuore, perché la sostanza di Dio è data dall’amore, dalla misericordia e dalla concordia. «Dio è bontà e misericordia» si legge  nel testo [di letteratura clementina, il cosiddetto Vangelo deutero-lucano] del primo capitolo del Vangelo secondo Luca, e questi due attributi, afferma Pascal, partono dal cuore prima di investire la ragione. Dio, afferma Pascal, non può essere freddamente “dimostrato”: Dio lo si coglie nel momento in cui ci fa sentire la sua bontà e la sua misericordia nella debolezza. Dio lo si coglie, afferma Pascal, con la “finezza del cuore” e, in questo quadro, c’è posto anche per la ragione: “lo spirito di geometria” si deve mettere a servizio de “lo spirito di finezza” e, se così avviene la ragione comprende che occorre avere fede e la fede è un rischio, e la ragione capisce che occorre rischiare. E chi ha fede nella “presenza” di Dio, del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe - un Dio, afferma Pascal, che si è fatto “sentire dal cuore dell’essere umano” e solo dopo ha parlato alla sua ragione - fa come una scommessa in cui se vince, vince tutto, e se perde, non perde nulla, ed è per questo, afferma Pascal da matematico, che vale la pena scommettere su Dio. Anche a una persona incapace di credere, afferma Pascal, la ragione suggerisce che, per sollevarsi dalla sua miseria e dalla sua fragilità, è bene che agisca come se Dio ci fosse, pur continuando anche, afferma Pascal da scienziato, a vivere nel suo dubbio.

     Pascal, leggendo l’Epistolario di Paolo di Tarso, si convince che la fede è essenziale, ed è una prerogativa necessaria alla natura umana, e pensa che, attraverso la fede, la persona possa soddisfare le sue esigenze più profonde, trovare “lo stato di grazia”. Pascal ritiene, quindi, di dover prendere atto che la ragione, pur essendo un valido strumento dotato di una vasta gamma di linguaggi, non è più l’unica guida: dobbiamo educare soprattutto il cuore e, per udire il linguaggio del cuore, dobbiamo imparare ad ascoltare “la voce del silenzio” [e questo ossimoro pascaliano entra in filosofia] in modo da attuare, mediante “lo spirito di finezza”, una ricerca assidua del senso profondo delle cose.

     Il linguaggio del cuore, così come l’autentico modo di esprimersi di Dio, afferma Pascal, si esplicita nel silenzio perché è attraverso il silenzio che Dio parla al cuore della persona e, di conseguenza, la persona deve pensare che il silenzio [la voce del silenzio] contenga sempre qualcosa di più, di qualitativamente superiore di quello che il linguaggio può dire. La ragione, il cuore, i sentimenti, il silenzio, afferma Pascal, non sono in antitesi tra loro: “lo spirito di geometria e lo spirito di finezza sono complementari”, e scrive: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce ma non dobbiamo neppure lasciarci andare troppo superficialmente dove ci porta il cuore: gli irrazionalismi sono molto pericolosi. Geometria e finezza sono complementari, e la filosofia ha l’obbligo salutare di sospettare sempre di se stessa e la scienza ha l’obbligo morale di interrogarsi se le sue conquiste siano veramente adatte alla speranza che l’Umanità ha di entrare in stato di grazia.».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In quale occasione, ascoltando anche la ragione, avete deciso di andare dove vi portava il cuore?… 

Scrivete quattro righe in proposito…   

     Le riflessioni di Pascal, di cui abbiamo seguito lo sviluppo, come abbiamo già ricordato una settimana fa al termine dell’itinerario scorso sono anche il frutto della forte emozione provocata da un fatto [un evento diventato famoso] che lui ritiene fondamentale nel cambiamento del suo stile di vita: un episodio avvenuto la notte del 23 novembre 1654. Ma prima di occuparci di questo avvenimento noi dobbiamo cogliere uno spunto che mette in relazione la riflessione maturata da Pascal sul concetto del “silenzio” [de “la voce del silenzio”] e le minuziose osservazioni del protagonista del libro di Italo Calvino pubblicato nel 1983 che stiamo leggendo intitolato Palomar.

     Sappiamo che l’attenzione del signor Palomar [un nome simbolico che richiama un potente telescopio] si orienta nella direzione dei molti fenomeni che gli capitano sotto gli occhi perché, come Montaigne, decide di osservare “le cose della vita” scrutandole nei minimi particolari per cercare di interpretarle nel tentativo, come pretende di fare Pascal, di comprendere il senso profondo delle cose, e questo tentativo presenta non poche difficoltà lasciando sempre il signor Palomar nel dubbio.

     Lo scrittore, che s’immedesima nel protagonista, ci propone adesso il suo personaggio mentre riflette su Il fischio del merlo [tutte e tutti noi lo abbiamo nelle orecchie questo caratteristico fischio] e, quasi alla fine di un’ardita indagine sul valore e sui limiti del linguaggio ci fa sapere che: «Il signor Palomar spera sempre che il silenzio contenga qualcosa di più di quello che il linguaggio può dire.». Il signor Palomar - per volere dell’autore, che è esperto a parafrasare i Classici - ha allegoricamente un piede nei Saggi di Montaigne e l’altro nei Pensieri di Pascal, e adesso leggiamo questo testo che si consiglia di rileggere perché la scrittura di Calvino sulle prime non è facile da interpretare.

LEGERE MULTUM….

Italo Calvino, Palomar

Il fischio del merlo.

Il signor Palomar ha questa fortuna: passa l’estate in un posto dove cantano molti uccelli. Mentre siede su una sdraio e «lavora» (infatti ha anche un’altra fortuna: di poter dire che lavora in luoghi e atteggiamenti che si direbbero del più assoluto riposo; o per meglio dire, ha questa condanna, che si sente obbligato a non smettere mai di lavorare, anche sdraiato sotto gli alberi in un mattino d’agosto), gli uccelli invisibili tra i rami dispiegano attorno a lui un repertorio di manifestazioni sonore le più svariate, lo avvolgono in uno spazio acustico irregolare e discontinuo e spigoloso, ma in cui un equilibrio si stabilisce tra i vari suoni, nessuno dei quali s’eleva sugli altri per intensità o frequenza, e tutti s’intessono in un ordito omogeneo, tenuto insieme non dall’armonia ma dalla leggerezza e trasparenza. Finché nell’ora più calda la feroce moltitudine degli insetti non impone il suo dominio assoluto sulle vibrazioni dell’aria, occupando sistematicamente le dimensioni del tempo e dello spazio col martellare assordante e senza pause delle cicale.   

... continua la lettura ...

     Pascal descrive in un Memoriale un’esperienza molto emozionante [un evento diventato famoso] che lui ritiene fondamentale nel cambiamento del suo stile di vita: un episodio avvenuto la notte del 23 novembre 1654.

     Come abbiamo già ricordato una settimana fa al termine dell’itinerario scorso, la notte del 23 novembre 1654 avviene un fatto che Pascal registra come “la notte di fuoco” e, in proposito, scrive: «Non so se ho sognato, ma non credo di aver sognato: ho vissuto in modo drammatico un incontro fiammeggiante col Dio di Gesù Cristo, che mi diceva di seguire le indicazioni dei Vangeli». E questa dichiarazione ricorda i racconti che si trovano nel testo del primo catechismo della Chiesa di Roma, gli Atti degli Apostoli, opera della Scuola ellenistico-clementina, dove in ben tre capitoli [che potete leggere: al capitolo 9 1-19, al capitolo 22 4-21, al capitolo 26 9-18], si narra, in tre modi diversi, anche se il senso apologetico dell’episodio famosissimo non cambia, la caduta da cavallo sulla via di Damasco di Paolo di Tarso.

 


REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A questo proposito non è difficile rintracciare [su un catalogo e in rete] una raffigurazione del celebre e provocatorio dipinto realizzato nel 1601 e conservato nella Basilica di Santa Maria del Popolo a Roma, intitolato La conversione di San Paolo di Michelangelo Merisi da Caravaggio… Nell’osservarlo potete sicuramente trovare qualcosa che di quest’opera vi colpisce in modo particolare…  

Basta una frase per dirlo: scrivetela …

     Pascal scrive un Memoriale in relazione alla sua esperienza [alla notte di fuoco] che inizia con queste parole: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non il dio dei filosofi e dei sapienti [affermazione polemica nei confronti di Cartesio e dei cartesiani] mi ha chiamato a un nuovo programma di vita e di pensiero »[questo incipit lo scrive su un foglio di carta e se lo cuce nella fodera della giacca, e per risalire alla fonte di queste parole dobbiamo percorrere ancora quattro itinerari!]. Poi alcuni giorni dopo esce anche indenne da un gravissimo incidente dal quale si salva miracolosamente quando la carrozza su cui sta viaggiando si ribalta sul ponte di Neuilly rimanendo in bilico mentre i cavalli finiscono oltre il parapetto, quindi, anche in ragione di questi episodi, ritenuti da Pascal un segno non casuale, Blaise decide di frequentare regolarmente l’abbazia di Port-Royal per studiare, per meditare e per attuare programmi di solidarietà verso il prossimo e, quindi, come abbiamo più volte anticipato,, adesso dobbiamo far visita a Port-Royal [La Storia di Port-Royal - che seduce Pascal quando ne viene a conoscenza - parte da lontano ed è suddivisa in vari segmenti, e questa sera ci occupiamo del primo].

     Port-Royal è un luogo [corrispondente a due siti diversi], è un’abbazia [corrispondente a due diversi edifici], ma Port-Royal corrisponde anche a una significativa metafora: è un richiamo a impegnarsi per realizzare una riforma della Chiesa e della cristianità in senso evangelico.

     La prima cosa da dire e da sapere è, quindi, che ci sono due Port-Royal perché esistono nella Storia di Port-Royal due abbazie: una risalente al Medioevo, la più antica, situata in campagna a una certa distanza da Parigi detta “Port-Royal des Champs”, e una moderna collocata nella periferia parigina, nel quartiere di Saint Jacques, detta “Port-Royal de Paris”, ma procediamo con ordine, e procedere con ordine significa arretrare all’Età medioevale [dobbiamo fare tappa nella memoria di Port-Royal des Champs].

     La comunità religiosa di “Port-Royal des Champs” nasce su iniziativa dei frati dell’abbazia cistercense situata tra due colline coperte di boschi nella paludosa e insalubre valle della Chevreuse a sud di Versailles [l’ordine cistercense ha avuto origine dall’abbazia di Cîteaux (in latino Cistercium) in Borgogna, fondata da Roberto di Malesme nel 1098 per tornare a rispettare integralmente la regola benedettina “ora, labora et cura” [prega, lavora e studia]. Questi frati cistercensi della valle della Chevreuse pensano di erigere un convento per le loro monache alle quali affidare l’effettuazione di molti servizi di cui hanno bisogno e, a questo scopo, nel 1204 l’abate accoglie la proposta e le risorse di una signora che si chiama Matilde di Garlanda, la quale, dopo la morte del marito Matteo I di Marly, si fa monaca e si dichiara disponibile a organizzare la comunità religiosa femminile cistercense della valle della Chevreuse. Per realizzare questo progetto [a cui dà il nome di Port-Royal, il porto dove può attraccare la navicella - la Chiesa nel mare in tempesta - di Cristo Re], si rivolge alla badessa di un monastero tedesco, che aveva visitato a suo tempo e del quale apprezzava lo stile, perché invii in terra di Francia alcune monache per costituire un nucleo di partenza. I frati dell’abbazia della valle della Chevreuse accettano ben volentieri questa offerta [perché il posto non è certo invitante] e immaginano che questo gruppetto di consorelle, invitate e guidate da Matilde di Garlanda, sia composto da persone pie, da donne disciplinate in quanto tedesche e ubbidienti: non hanno ben capito che cosa significhi il fatto che queste monache, di cui Matilde di Garlanda condivide pienamente il pensiero, arrivino da Bingen, da uno dei monasteri fondati circa mezzo secolo prima da Ildegarda di Bingen [1098-1179] e, quindi, queste monache hanno un carattere e un atteggiamento in linea con lo stile dei monasteri fondati da Ildegarda [una figura, sulla via della beatificazione, che Matilde di Garlanda ammira e prende a modello]. Molti e molte di voi conoscono bene la vita, le opere e il pensiero di questo straordinario personaggio [che abbiamo incontrato a suo tempo], ma per capire le radici di Port-Royal è necessario, in proposito, fare un ripasso, anche perché sono passati già alcuni anni (anno 2014 – 2015) da quando abbiamo attraversato i territori del medioevo passando anche dalle parti di Bingen e dintorni.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida della Germania e navigando in rete fate un’escursione nella Valle del Reno, in particolare nel tratto che va da Magonza [Mainz] a Coblenza [Koblenz] passando per Bingen e queste tre città le potete visitare…

Il paesaggio renano è talmente fitto di motivi d’interesse che è bene percorrerlo cominciando dalla carta geografica lasciandosi guidare dalla propria curiosità, buon viaggio...

     Immagino che molte e molti di voi ricordino tante notizie della biografia e tanti dati sulle opere e sul pensiero di Ildegarda di Bingen: noi questa sera prendiamo in considerazione alcuni elementi che servono per capire come lo stile di questo personaggio, di questa donna saggia e intraprendente, abbia influenzato lo spirito di Port-Royal, un’istituzione che nasce e rinasce sotto l’egida del pensiero femminile.

     La figura di Ildegarda viene presentata in modo riduttivo come una specie di “fenomeno” mentre nell’ottica della Storia del Pensiero Umano questa donna che sa investire in intelligenza ha un posto nel territorio della “Filosofia scolastica” [della “Filosofia cristiano-latina”] dove spiccano molti pensatori soprannominati “minotauri accovacciati nei loro labirinti”, che sono tutti maschi:  sembra che le donne, nell’ambito dell’elaborazione del pensiero, non esistano, ma non è così [ci sono anche le “Arianne”, o meglio, c’è quella che si chiama “la consorteria delle badesse”] anche se, in linea di massima, le donne non sono visibili a causa della loro condizione di subalternità, però, tutte quelle che possono [e abbiamo appena incontrato Matilde di Garlanda] agiscono, pensano, studiano sotto traccia e, difatti, non sono poche le figure femminili che emergono sulla scena della Storia del Pensiero Umano e che riescono a illuminare di un intenso e duraturo chiarore il paesaggio intellettuale in cui operano.

     «Una spada di luce [di sole] mi attraversa l’anima e la illumina, e vedo chiaramente la via» scrive Ildegarda che, con questa affermazione visionaria, mette in mano alle donne “una spada di luce” [una spada di sole] da utilizzare non per ferire i corpi ma per fare chiarezza, per guarire lo spirito.

     Che cosa dobbiamo mettere in evidenza della vita, dell’opera e del pensiero di Ildegarda per capire come abbia influenzato lo spirito e la prassi di Port-Royal?

     Ildegarda di Bingen è nata nel 1098 in una località del Palatinato, in Germania, ed è una bambina fragilissima, quasi data per morta alla nascita, che tuttavia sopravvive, cresce, raggiunge la maturità e vive a lungo per 82 anni, fino al 1179. Fin dall’età di cinque anni [come lei scrive] Ildegarda viene colta da “visioni” e sappiamo che - per la salute precaria e per la sua stranezza - all’età di otto anni, il 1° novembre 1106, viene mandata dai suoi nobili genitori, Ildeberto e Matilda di Vendersheim, nel monastero benedettino di Disibodenberg, sulle rive del Reno [come abbiamo detto il paesaggio renano è ricco di motivi d’interesse: occupatevene], sotto la tutela della ventiduenne Giuditta [Jutta] di Sponheim. Ildegarda cresce accanto a Giuditta di Sponheim la quale, dopo due anni, viene nominata badessa [è giovanissima, ha solo 24 anni ma è molto preparata e assai intraprendente] e, difatti, promuove subito la “riforma scolastica” [istituisce la Scuola per le monache, sostiene che le monache hanno il diritto e il dovere di studiare secondo la regola benedettina]: “la riforma di Jutta”, da Disibodenberg, si diffonde anche se con la dovuta circospezione in molti monasteri benedettini femminili, poi  Giuditta di Sponheim fonda e coordina la rete della “consorteria delle badesse”: per quale motivo - afferma Jutta - le badesse devono essere soggette all’abate del monastero più prossimo al loro? E siccome le donne - sottolinea Jutta -sono state le prime testimoni della risurrezione di Gesù dovrebbero essere gli abati a sottostare alla badessa più prossima al loro convento: Jutta ha studiato il latino e i testi della Vulgata di Gerolamo se li legge per conto proprio comprendendone tutti i significati.

     Ildegarda cresce in questo clima di “innovazione” [che lascia un’impronta indelebile nella sua mente e nel suo animo] e studia con impegno nella Scuola del monastero di Disibodenberg diretta da Giuditta di Sponheim dove, in programma, ci sono i testi delle Sacre Scritture, i testi Classici, le opere di Sant’Agostino e di Anselmo d’Aosta. Ildegarda continua ad essere soggetta al fenomeno delle visioni ma questa sua “attitudine” rimane un segreto chiuso dentro le mura del monastero: Giuditta di Sponheim la sprona a scrivere il contenuto delle sue visioni sebbene, per il momento, questa attività debba rimanere celata perché alle monache è vietato scrivere [una volta all’anno possono scrivere una Lettera alla famiglia ma è un monaco, il loro confessore, che, con il beneplacito dell’abate, scrive per loro e questo risulta non un servizio ma una forma di censura]. Ildegarda tiene nascosta la sua “attitudine visionaria” fino al 1136, quando, alla morte di Giuditta di Sponheim, all’età di trentotto anni, viene eletta badessa del convento di Disibodenberg e allora, anche sull’onda di una serie di eventi “miracolosi” che accompagnano la morte di Jutta, decide di uscire gradualmente allo scoperto scegliendo con assennatezza i suoi interlocutori e stando sempre molto attenta a che il contenuto delle sue “visioni” [del suo pensiero filosofico] non esca dal perimetro dell’ortodossia. Ildegarda, muovendosi con grande saggezza e con la capacità che ha di fingersi modesta più di quanto sia, decide di offrirsi allo sguardo dei suoi contemporanei comportandosi come se fosse “una profetessa in contatto con l’aldilà celeste” e si presenta come “una figura mistica” convinta che la Fede sovrasti la Ragione, e dichiara di voler scrivere il contenuto delle sue “visioni” [ma, in realtà, come sappiamo, questo esercizio lo sta già facendo da anni, in segreto]: vuole scrivere [e l’esercizio di mettere per iscritto i propri pensieri diventa uno stile di vita, e vi ricordo che stiamo incontrando Blaise Pascal nel momento in cui, 450 anni dopo, inizia la sua frequentazione assidua di Port-Royal] per dare una forma intellettuale ben precisa al fenomeno visionario che la riguarda [verba volant, scripta manent] in modo che l’evento mistico del quale è protagonista possa essere valutato in chiave dialettica [filosofica] perché, se la Fede, secondo la tradizione della Filosofia scolastica, è superiore alla Ragione tuttavia Ildegarda pensa che la Ragione debba accompagnare la Fede [così come, per Pascal, lo spirito di geometria è complementare allo spirito di finezza].

     Per quasi un decennio ldegarda attende con pazienza il momento giusto per sottoporre la propria opera scritta al giudizio del papa [mira in alto], e l’occasione si presenta con Eugenio III, perché? Perché, nel frattempo, Ildegarda, anche se non condivide il suo eccessivo integralismo, è entrata in contatto con il personaggio più importante della corrente mistica, Bernardo di Chiaravalle [che abbiamo incontrato più volte tanto sul terreno della Scolastica quanto nel Paradiso di Dante], il quale è rimasto affascinato dalla saggezza e dalle “attitudini visionarie” di Ildegarda e, quindi, facendosi forte della stima che lui ha per lei, Ildegarda si rivolge a papa Eugenio III perché si tratta di Pier Bernardo da Pisa, ex canonico che si è fatto monaco cistercense seguendo Bernardo di Chiaravalle , e come suo discepolo prediletto ha aggiunto anche il nome di Bernardo al suo.

     Ildegarda coglie l’occasione per inviare a Eugenio III il testo delle sue “visioni” e il papa si entusiasma alla lettura di quest’opera e la presenta al sinodo di Trèviri e, quindi, Ildegarda può mettere in circolazione la sua opera intitolata Scivias [Conosci le vie] che si diffonde in tutto il mondo cristiano. Nell’incipit di quest’opera Ildegarda scrive: «La scrittura è come un sentiero percorribile al limite boschivo, una via stretta ma capace di mettere in relazione il bagliore della Ragione con il mistero della Fede, e l’anima è chiamata a percorrere questo sentiero». Ildegarda afferma che al limite del bosco, da una parte c’è una radura illuminata dal sole [il territorio della Ragione], e dall’altra c’è la foresta ombrosa e difficilmente penetrabile [il mistero della Fede] e l’esercizio della scrittura, una competenza che tutte le persone devono possedere, afferma Ildegarda, è il tramite, scrive Ildegarda, per mettere in relazione “il bagliore della Ragione con il mistero della Fede”. Sono molti i temi filosofici che Ildegarda mette in evidenza nella sua opera, ma ce n’è uno [considerato il manifesto rappresentativo dell’azione politica de “la consorteria delle badesse”] che diventa emblematico nel momento in cui Matilde di Garlanda, nel 1204, fonda il monastero di Port-Royal des Champs con l’aiuto fondamentale di un nucleo di quattro monache provenienti da Bingen: questo tema corrisponde alla parola-chiave “viridità” [in latino “viriditas” rimanda ai termini “disponibilità, salute, rigoglio” e contrasta con la parola “virilità” che si rifà a qualcosa di aggressivo].

     Il brano dallo Scivias che stiamo per leggere è utile tanto per conoscere lo stile visionario di Ildegarda quanto per capire come il contenuto “filosofico” di questo testo sia ricco di temi a cominciare da quello della sua “fragilità” [che Ildegarda presenta come un dono di Dio, ed è, quindi, una presunta fragilità perché, in chiave paolina, la debolezza è forza] in contrasto con la forza virile di chi si vuole imporre facendo sfoggio della propria prepotenza. Ildegarda senza alcun timore attacca “i dottori” [gli ecclesiastici] e “i superiori” [i feudatari] che non conoscono la giustizia ma praticano solo la repressione, e non sanno che la libertà nasce dalle regole perché se non c’è un limite alla libertà il mondo creato diventa una cloaca e una prigione, e la virilità [il maschilismo] va sostituita, sostiene Ildegarda, con la viridità [uno stato di grazia che contiene la disponibilità, la salute, il rigoglio], che riassume “gli attributi femminili” che devono diventare le prerogative di tutte le persone indipendentemente dal genere di appartenenza. Matilde di Garlanda in una postilla pone a fondamento della Regola benedettina del monastero di Port-Royal il concetto di “viridità”: in termini ambientali e materiali [bisogna dare rigoglio alla valle della Chevreuse], in termini spirituali [bisogna procurare la salute alle anime] e in termini politici [la parola “viriditas” diventa l’emblema che Matilde di Garlanda utilizza quando a breve si scontrerà con i vescovi e gli abati di Francia nei confronti dei quali rivendica la parità in quanto “sorella e figlia di Ildegarda”].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A che cosa vi fanno pensare tre termini come: “la disponibilità, la salute, il rigoglio” che danno significato al concetto di “viridità [secondo il glossario filosofico di Ildegarda di Bingen]”?…  

Scrivete quattro righe in proposito…

     E ora leggiamo il brano dallo Scivias di Ildegarda che abbiamo preannunciato. Quando Ildegarda usa il termine “Oriente” si riferisce a “la Luce di Cristo” e a tutta una serie di termini [la spada di luce, la spada di sole] che devono illuminare le coscienze orientandole verso una riforma della società [cioè il superamento del feudalesimo, della servitù della gleba e della sudditanza femminile] e verso una riforma della Chiesa che va attuata risalendo al Vangelo. E ora leggiamo questo testo “in stile visionario”.

LEGERE MULTUM….

Ildegarda di Bingen,

Scivias [Conosci le vie]

Sono una povera, piccola forma e non ho in me né salute né forza, né coraggio né sapere ma siccome i dottori e i superiori rifiutano di suonare la tromba della giustizia, sicché l’Oriente delle buone opere che illumina il mondo intero ed è come lo specchio della luce, è spento in loro. Perché l’Oriente dovrebbe risplendere in loro insieme al sapere e dovrebbe informarne i diversi precetti, ma sanno solo reprimere credendo che il libero, con la sua forza virile, non abbia norme a cui sottostare, ma, così facendo fanno precipitare la virtù nell’abisso e fanno del mondo creato cloaca e prigione. Ma l’australe delle virtù, col suo calore, è in loro freddo al pari dell’inverno, perché non hanno in sé le buone opere ardenti del fuoco dello Spirito Santo, essendo aridi e, in loro, abbonda la virilità mentre sono privi di viridità [disponibilità, salute, rigoglio]. Anche l’Occidente della misericordia è divenuto nero del nero delle ceneri, perché non si applicano e non meditano come si deve la passione di Cristo, Lui che è disceso nella nostra umanità e vi ha confitto la sua divinità, così come accade del sole che dà la luce anche quando dietro le nubi si nasconde: la spada di sole di Cristo vince perché illumina, trionfa perché guarisce

     Ildegarda diventa la consigliera delle donne e degli uomini più potenti di questi anni [dell’imperatore Federico Barbarossa, dei papi Eugenio III e Anastasio IV, di Enrico II di Inghilterra, di Irene imperatrice di Bisanzio e di Eleonora d’Aquitania], e poi comincia a uscire periodicamente dalla clausura per andare a predicare nelle chiese e nelle cattedrali di molte città, fra cui Magonza, Colonia e Trèviri. Quindi Ildegarda ha un posto di rilievo nello scenario della Filosofia scolastica: è ridicolo che, in quanto donna e in quanto monaca, sia stata relegata nel capitoletto delle cosiddette “visionarie”, così come è ridicolo che sia stato creato un capitoletto delle “visionarie” per recintare il pensiero femminile che ha un suo carattere specifico. Ildegarda conquista per le monache il diritto di scrivere e di predicare in un momento in cui, per le donne, l’uso della scrittura e anche della parola è addirittura considerato un atto illecito, blasfemo: Ildegarda può spiegare, con la sua competenza dialettica, che il fenomeno visionario da cui è investita non è qualcosa di magico [non è una manifestazione diabolica] ma, invece la “visione” è il frutto di un’attitudine, è il prodotto di una grande capacità di attenzione che matura con lo studio, ed è un talento che tutte le donne potrebbero avere se potessero sgravarsi dalla loro subalternità.  Ildegarda predica che “il diritto allo studio” rende le persone - le donne [e le monache] in particolare - più libere [e questo, a quasi novecento anni di distanza, continua a essere un tema di grande attualità], e Ildegarda sa bene che è pericoloso per una donna [per una monaca, poi, è pericolosissimo] parlare di “diritti” e, quindi, afferma in chiave mistica che “lo scrivere è un dovere impostole da Dio al quale lei non si può sottrarre” [lo farebbe volentieri perché prova dolore quando va in estasi], e riesce a far cadere il divieto su quello che ritiene lo strumento basilare per l’emancipazione perché è con la parola scritta “che si delineano le forme delle cose”, ed è con la parola scritta “che si fissano i limiti [le regole] della libertà”.

     Ildegarda dichiara che a prendere la parola non è lei [lei è solo uno strumento] ma Qualcuno [Gesù Cristo] che attraversandole l’anima con una spada di luce la sovrasta e, contro la cui disarmante potenza, non può opporsi.

     Con Ildegarda ha inizio una tradizione: quella de “l’esperienza visionaria” che coinvolge molte donne le quali hanno lasciato un’impronta nella cultura medioevale presentandosi come semplici “recipienti dello Spirito Santo”, come  modesti “strumenti di Dio”. Come Ildegarda senza differenze rilevanti si comporteranno Matilde di Magdeburgo, Gertrude di Helfta, Angela da Foligno, Caterina da Siena, Brigitta di Svezia, Francesca Romana, Giuliana di Norwich, Teresa d’Avila, Maria Maddalena de’ Pazzi, Maria d’Agreda, solo alcuni nomi di una lunga schiera di donne che affermano di essere colte da visioni estatiche portatrici di messaggi divini. Le visioni di queste “mistiche” come quelle di Ildegarda non “rivelano” nulla di nuovo, ma da esse emerge un’esortazione comune: «Bisogna risalire al Vangelo», e non vogliono cambiare la dottrina ma vogliono incidere sul piano formale perché desiderano che venga loro riconosciuta “la libertà di scrivere il loro pensiero” perché la scrittura lascia una traccia indelebile [la scrittura è un’opportunità che la persona non può perdere]. Capiscono che “la scrittura si conserva nel tempo” [voi conoscete un “pezzo” di scrittura molto antico?], capiscono che “la scrittura si trasmette a distanza” [voi avete scritto recentemente a qualcuno?], capiscono che “la scrittura permette di stabilire i tempi di lettura e non è sfuggente come il linguaggio orale” [voi state leggendo un Libro in questi giorni?], capiscono che “la scrittura è un codice che richiede maggiore completezza rispetto all’oralità e quindi costituisce un investimento in intelligenza ad alto reddito” [scrivete un verbo che vi piace e dategli un soggetto!].

     Le “mistiche visionarie” sanno che la scrittura rappresenta “l’atto creativo” per eccellenza e vogliono partecipare a “dare un nome alle cose”: a nominare tutti gli oggetti in cui si manifesta il Mondo creato.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Abbiamo citato un elenco di personaggi femminili e alcune di queste figure le avete certamente sentite nominare e, volendo, potete [di una o due] approfondire la conoscenza facendo una piccola ricerca utilizzando l’enciclopedia, la rete o la biblioteca...  

Chi vuole saperne di più in proposito può usufruire del saggio scritto dalla studiosa Ida Magli [nel 1995] intitolato Storia laica delle donne religiose: lo trovate in biblioteca e potete consultarlo

     «Una spada di luce [di sole] mi attraversa l’anima e la illumina, e vedo chiaramente la via» scrive Ildegarda, mentre il signor Palomar, il quale non è latore di visioni mistiche, quando d’estate fa il bagno, in ritardo, nel momento in cui si avvicina l’ora del tramonto, si trova a nuotare dove il sole [e l’avrete visto anche voi questo fenomeno] proietta sulla superficie del mare “una spada di luce” [una striscia luminosa]: in relazione a questo fenomeno, il signor Palomar non può fare a meno di riflettere, e allora, per concludere, leggiamo le sue riflessioni in proposito e come abbiamo già detto siete invitate e invitati a rileggere con attenzione questo testo perché la scrittura di Calvino in quest’opera non è facile da intendere senza ragionarci sopra. 

LEGERE MULTUM….

Italo Calvino, Palomar

La spada del sole.

Il riflesso sul mare si forma quando il sole s’abbassa: dall’orizzonte una macchia abbagliante si spinge fino alla costa, fatta di tanti luccichii che ondeggiano; tra luccichio e luccichio, l’azzurro opaco del mare incupisce la sua rete. Le barche bianche controluce si fanno nere, perdono consistenza ed estensione, come consumate da quella picchiettatura risplendente. È l’ora in cui il signor Palomar, bagnante tardivo, fa la sua nuotata serale. Entra nell’acqua, si stacca dalla riva, e il riflesso del sole diventa una spada scintillante nell’acqua che dall’orizzonte s’allunga fino a lui. Il signor Palomar nuota nella spada o per meglio dire la spada resta sempre davanti a lui, a ogni sua bracciata si ritrae, e non si lascia mai raggiungere.

... continua la lettura ...

     Ildegarda di Bingen è la prima badessa che ottiene di non essere sottomessa ad un abate, e conquista l’autonomia gestionale per le badesse di tutti i monasteri tedeschi. Matilde di Garlanda utilizza la figura autorevole di Ildegarda per rivendicare l’autonomia del suo monastero e, dopo essersi scontrata con i vescovi e con gli abati di Francia, senza timori riverenziali e proclamandosi sorella e figlia di Ildegarda, ottiene che il monastero di Port-Royal des Champs venga elevato al rango di abbazia autonoma: istituisce prima in Francia la Scuola per le monache [che devono imparare a leggere, a scrivere e a far di conto] e governa secondo il concetto della “viridità” proclamato da Ildegarda [dare rigoglio, salute, floridezza, grazia al territorio, ai corpi e alle anime].

     Nel 1204 le monache di Port-Royal erano in 5, nel 1207 sono diventate 74 [saranno più di 150 quando Matilde muore nel 1224, lasciando la guida del monastero in buone mani]: il modello di vita monacale, come aveva dimostrato Ildegarda, diventa [e questo può sembrare paradossale, ma i paradossi sono esplicativi] uno stile di vita che, in questo momento, rende più libere le donne, e poi un numero sempre crescente di persone [il popolo minuto] si mette in marcia per recarsi a farsi “curare” nella insalubre valle della Chevreuse perché le monache di Port-Royal iniziano con la massima circospezione un’intensa e pericolosa attività di distribuzione di “farmaci” [un’Opera di misericordia corporale] e tutto ciò avviene sull’esempio di Ildegarda, che è diventata celebre soprattutto come “curatrice” e le sue opere “farmacologiche” si sono diffuse, sotto traccia, in tutti i monasteri femminili.

     Perché sono importanti le opere “farmacologiche” di Ildegarda che arricchiscono l’esperienza di Port-Royal? Non perdete la prossima Lezione perché poi, come da calendario (lo possedete tutti?), ci sarà una pausa.

     Il farmaco più efficace consiste nel non perdere mai la volontà d’imparare e, per questo, la Scuola è qui e, di conseguenza, per cura: il viaggio continua …

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 22, 2019