ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica dal secolo della Scienza a quello dei Lumi 5-6-7 febbraio 2020
SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI
C’È LA PROSA MODERNA DELLE “PROVINCIALI”
E LA SCRITTURA IN FRANTUMI DEI “PENSIERI” ...
Questo è l’undicesimo itinerario del nostro viaggio sulla via che porta dal secolo della Scienza [il ‘600] a quello dei Lumi [il ‘700].
Come ormai ben sapete, stiamo viaggiando dal mese di ottobre in compagnia di Blaise Pascal il quale, come abbiamo studiato, a un certo punto della sua esistenza [a trent’anni, quando viene considerato il più esperto matematico europeo] decide di entrare a far parte del gruppo dei “solitari di Port-Royal”. Pascal matura questa decisione dopo aver acquisito un bagaglio intellettuale che in questi mesi di viaggio abbiamo messo in luce e, quindi, sappiamo che Pascal assume gradualmente un nuovo stile di vita dopo la lettura e lo studio dell’Epistolario di Paolo di Tarso, dell’Augustinus di Giansenio, delle Opere dei Padri Apologisti e dopo essersi appassionato, come abbiamo studiato quindici giorni fa, al fenomeno dei Padri del deserto: il movimento dei “solitari” nasce soprattutto sul scia del pensiero dei Padri del deserto che è stato trasmesso dal 1635 a Port-Royal, con una memorabile serie di Lezioni, dall’abate di Saint-Cyran.
Come lui stesso racconta, l’ultimo atto della decisione di Pascal di andare a vivere nell’abbazia di Port-Royal consiste nell’essere stato protagonista di un’esperienza appassionante, quella che lui chiama “la notte di fuoco” [il 23 novembre 1654], un’esperienza che racconta con queste parole [che abbiamo più volte dovuto ripetere per tessere la nostra trama, e delle quali, finalmente, quindici giorni fa abbiano rintracciato la fonte]: «Non so se ho sognato, ma non credo di aver sognato: ho vissuto in modo drammatico un incontro fiammeggiante col Dio di Gesù Cristo, non il dio dei saccenti e dei potenti ma il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che mi diceva di seguire le indicazioni dei Vangeli».
Nell’ultimo itinerario abbiamo rintracciato la fonte di queste parole che corrispondono a una celebre affermazione di Epifanio, metropolita di Cipro e vescovo di Salamina [315 circa-403] che, con la sua predicazione, porta nel deserto - ai tempi della grande polemica sulle caratteristiche da dare alla fisionomia del Dio cristiano, una controversia che causa un diffuso disorientamento, oltre che sanguinosi conflitti tra fazioni avverse - tutta una generazione di monaci alla ricerca del “Dio-biblico”; Epifanio si è isolato ed è andato a vivere in esilio nel deserto affermando che: «È meglio perdersi nel deserto, perché qui, in questa solitudine apparentemente paradossale, Dio, se vuole, ci farà ritrovare la bussola » [perché Dio non può essere succube dei voleri dell’imperatore Costantino, e la sua Essenza non può essere racchiusa in una formula conciliare].
Pascal, quindi, trae spunto dall’affermazione di Epifanio per descrivere la sua “notte di fuoco”, un’esperienza che lo porta alla decisione di stabilirsi definitivamente a Port-Royal dove gli appartenenti al gruppo dei “solitari” vivono, lavorano, studiano e meditano, come se si trovassero nel deserto. Pascal entra nel gruppo dei “solitari” e inizia a difendere [investendo in intelligenza] il pensiero e l’attività di Port-Royal: che cosa produce? Abbiamo detto che inizia scrivendo delle Lettere: a chi scrive, in che forma e che cosa scrive? Compone un’opera che ha uno straordinario successo [e lui stesso si meraviglia] e allora riannodiamo i fili e procediamo con ordine.
Blaise Pascal [che mal digerisce la condanna del giansenismo avvenuta con la bolla Cum occasione firmata da papa Innocenzo X nel 1653] entra a far parte in modo organico del gruppo dei “solitari di Port-Royal” e, dal dicembre del 1654, inizia a frequentare i corsi tenuti all’abbazia di Port-Royal de Paris da vari esperti. Pascal s’impegna con grande interesse nello studio della Letteratura Patristica e dei Detti dei Padri del deserto e, dopo essere diventato un esperto esegeta [soprattutto sui testi delle Opere dei Padri Apologisti], si mette al lavoro con spirito apologetico.
La parola greca “apologia” significa “difesa” e Pascal decide di operare, investendo in intelligenza, per difendere il pensiero giansenista [un pensiero - di carattere agostiniano - che predicava la via per risalire al Vangelo senza fare compromessi] e per tutelare l’attività intellettuale, spirituale, materiale e politica di Port-Royal dall’attacco dei Gesuiti [i Gesuiti - in questo momento della loro storia, come abbiamo ripetuto più volte, tranne una minoranza critica formata dai membri della brigata che opera nel Nuovo Mondo - guardano soprattutto “ai primi”, mentre i solitari di Port-Royal vogliono stare dalla parte degli “ultimi”, secondo l’affermazione evangelica per cui «gli ultimi saranno i primi»].
Pascal matura una competenza da apologeta perché si dedica con impegno per due anni allo studio di argomenti che non conosceva, in particolare la Patristica, e vuole che la sua mente si uniformi allo spirito dei “solitari di Port-Royal” ma pensa anche che il genere apologetico debba dotarsi di un linguaggio nuovo.
Che cosa sta succedendo? Sta succedendo che alla Sorbona [l’Università parigina] per tutto il 1655 divampa il conflitto teologico tra i Gesuiti e i Giansenisti, e i Gesuiti, che hanno la maggioranza nel Consiglio della facoltà teologica della Sorbona, accusano il professor Antoine Arnauld, coordinatore del gruppo dei “solitari di Port-Royal” che insegna Teologia alla Sorbona, di aver difeso e giustificato, nel corso delle sue Lezioni, le affermazioni contenute nell’Augustinus di Giansenio condannate come eretiche da papa Innocenzo X nel 1653. Antoine Arnauld viene “censurato” dal rettorato dell’Università e viene espulso dalla facoltà teologica della Sorbona.
Pascal pensa di dover agire a difesa di Arnauld ma - prima di intervenire nella polemica contro i Gesuiti i quali, attaccando Arnauld, vogliono soprattutto colpire Port-Royal - si morde più volte la lingua [sa che i Gesuiti sono potenti e non ci si può lasciar prendere dall’impazienza né dalla rabbia, ma - per ascoltare in modo corretto la voce del cuore - bisogna usare l’intelligenza] e, quindi, dopo essersi rimorso [senza provare alcun rimorso] la lingua, sceglie il metodo più opportuno e decide di intervenir tacendo: usando la scrittura [declinandola in senso satirico] che permette di parlare restando in silenzio. Per il Bollettino di Port-Royal, sul numero in uscita il 23 gennaio 1656, Pascal scrive una Lettera, indirizzata a una persona che vive in provincia, che ottiene un successo imprevisto presso l’opinione pubblica parigina [e questo numero del Bollettino di Port-Royal deve essere ristampato per ben due volte nel giro di una settimana]. Dal numero successivo, tra il gennaio del 1656 e il marzo del 1657, compaiono diciotto Lettere che, nel maggio del 1657, vengono raccolte in volume dal titolo Provinciali, pubblicato contemporaneamente a Colonia e ad Amsterdam. L’epistolario di Blaise Pascal intitolato Provinciali [Lettere indirizzate a un provinciale] è un’opera singolare perché scritta con uno stile apologetico nuovo, moderno: Pascal indirizza le sue Lettere a una persona ipotetica, una figura inesistente ma del tutto realistica, che vive in provincia [di qui il titolo di Provinciali] e che, di conseguenza, viene a trovarsi ai margini della vita culturale che si sviluppa nelle grandi città, quindi, una persona completamente disinformata nei confronti dei complessi e cavillosi argomenti teologici che vengono dibattuti nelle Università cittadine.
Il termine “provinciale”, già dagli albori dell’Età moderna, definisce una sorta di periferia culturale rispetto all’ambiente privilegiato delle città dove si concentra maggiormente il potere accademico, ma Pascal utilizza questo termine in senso polemico alludendo al fatto che uno sprovveduto provinciale, a digiuno per quanto riguarda le contorte e pretestuose diatribe accademiche, è però perfettamente in grado di comprendere “la semplicità” [l’essenzialità della sostanza] dei principi evangelici.
Pascal non firma queste missive con il proprio nome ma con uno pseudonimo: Louis de Montalte, che si presenta come un gentiluomo [un brav’uomo, un uomo onesto] che non sa nulla di teologia [neppure lui] e, di fronte alle dispute in corso alla Sorbona, cerca di istruirsi presso i Domenicani, i Gesuiti e i Giansenisti e poi, usando il suo buon senso con il quale sgretola i pretestuosi cavilli dei teologi, e servendosi della conoscenza che ha della Letteratura dei Vangeli [che prescrive regole molto comprensibili], informa per Lettera il suo ingenuo, e ancor più inesperto di lui, corrispondente che vive in provincia. Pascal non si nasconde dietro ad uno pseudonimo perché, già dopo la pubblicazione della prima Lettera provinciale, tutte e tutti coloro che appartengono a quella che possiamo definire “l’opinione pubblica parigina dell’epoca” sanno chi è il vero redattore.
Pascal utilizza il metodo tradizionale della “finzione letteraria” [molte e molti di voi, per esempio, ricorderanno la storia della composizione del Dionigi Areopagita da parte del filosofo neoplatonico Proclo di Costantinopoli], metodo della finzione letteraria che permette di sostenere delle tesi in modo ancor più realistico [comprensibili a tutti] e, con questo sistema Pascal tende e riesce a rendere più credibili le argomentazioni che sostiene contro i Gesuiti in difesa di Arnauld e di Port-Royal.
Quello che viene chiamato “l’epistolario apologetico” di Pascal è considerato uno dei testi esemplari della Letteratura francese per il linguaggio “moderno” - diretto, chiaro, esplicito, franco, spontaneo, senza mezzi termini - con cui è composta quest’opera e si capisce che Pascal ha recepito la Lezione di Montaigne per quanto riguarda l’uso della Lingua [e Montaigne si vanta di essere “un provinciale”].
A mano a mano che le Lettere Provinciali escono sul Bollettino di Port-Royal il successo di questa iniziativa - intellettuale, apologetica e politica - va crescendo tanto che Pascal deve e vuole interrompere la stesura dei suoi scritti per non mettere a repentaglio non solo la sua incolumità ma, soprattutto, l’incolumità delle monache benedettine [la direttrice responsabile del Bollettino di Port-Royal è Mère Angélique] e quella dei suoi compagni “solitari” a cominciare da Antoine Arnauld e da Pierre Nicole che, intanto, in quanto esperto latinista, traduce in latino le Provinciali perché abbiano la più ampia diffusione possibile anche fuori dalla Francia [il latino continua a essere la lingua internazionale del mondo della cultura e per gli intellettuali è più facile tradurre un testo dal latino nelle loro lingue nazionali per cui cominciano a circolare numerose versioni di quest’opera in italiano, spagnolo, tedesco, inglese, olandese].
Nelle Provinciali Pascal dimostra puntigliosamente, con un taglio provocatorio e sarcastico, sostenuto da una grande competenza esegetica, come “la morale del compromesso” usata dai Gesuiti, non abbia nulla a che fare con la Letteratura dei Vangeli ma si identifichi piuttosto «con una sorta di paganesimo [scrive Pascal] frivolo e superficiale, utile a mantenere in piedi la grande macchina della distrazione di massa», una sorta di paganesimo «che fa da contorno al regime assoluto della Corte, che è corrotto, immorale e ingiusto».
Uno dei punti salienti delle Provinciali consiste nella polemica che Pascal apre nei confronti del tema della “casistica”. Il sistema della “casistica” è un metodo ideato e utilizzato dai Gesuiti per classificare e valutare i peccati: se un peccato aveva un’ampia diffusione bisognava [sostenevano i Gesuiti] adottare un atteggiamento di maggior comprensione e, quindi, essere accomodanti verso certe debolezze umane e, di conseguenza, era lecito, secondo l’etica gesuitica, ricondurre tutta una serie di atti [di peccati] ad una casistica che li valutava in modo tale da ridurre la colpa, e la penitenza, del peccatore. Pascal ha buon gioco a denunciare “la casistica” come un’aberrazione utile solo a giustificare il diffuso lassismo morale che porta inevitabilmente a ridurre la responsabilità etica della persona di fronte a se stessa oltre che di fronte a Dio.
Pascal non parla, non rilascia dichiarazioni, rimane in silenzio ma con la scrittura [e non fa mistero che lo pseudonimo di Louis de Montalte costituisce solo un elemento dello stile letterario che sta usando] non esita a entrare con durezza nel merito delle polemiche senza timori, e nell’ultima delle Provinciali scrive [fa dire a Louis de Montalte]: «Ho capito che [i Gesuiti] sono tolleranti e benevoli con i potenti della Terra, che considerano poveri peccatori da perdonare, spaurite pecorelle che temono di perdere. Ma in cambio di un loro atteggiamento assolutorio pretendono che essi firmino i loro Decreti di condanna contro i lupi cattivi, i lupi feroci come Galileo Galilei. Mi domando che senso possa avere ottenere contro Galileo un decreto di Roma che condanna la sua opinione relativa al movimento della Terra: sarà forse un Decreto del papa a provare che la Terra sta ferma?».
Il 16 ottobre 1657 papa Alessandro VII [Fabio Chigi] ribadisce la condanna contro le tesi di Giansenio, e anche le Lettere Provinciali vengono inserite nell’elenco dei Libri proibiti anche se il papa medesimo e molti ecclesiastici sono costretti ad ammettere che l’autore di quest’opera denuncia situazioni intollerabili a cominciare dal “metodo della casistica” per cui Alessandro VII è costretto a richiamare formalmente i Gesuiti e li invita a rivedere le loro tesi eccessivamente lassiste in campo morale.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In biblioteca potete richiedere il volume delle Provinciali di Blaise Pascal, e potete sfogliarlo e leggerne qualche pagina [e su quest’opera torneremo la prossima settimana]...
Abbiamo detto che Pascal, prima di intervenire nella disputa contro i Gesuiti, si morde più volte la lingua e poi, dopo essersela rimorsa, decide di intervenire tacendo e, nell’incipit della prima Lettera provinciale, Pascal fa un’allusione proprio in relazione a questo metaforico paradosso [Pascal è pur sempre un matematico e i paradossi fanno parte del suo bagaglio culturale]: «Prima di parlare [scrive Pascal sotto lo pseudonimo di Louis de Montalte] bisogna mordersi più volte la lingua ed è per questo che ho deciso di usare la scrittura che mi permette di parlar tacendo e di esprimere il mio pensiero rimanendo in silenzio » [secondo lo stile dei “solitari di Port-Royal”.
Figuratevi se anche il protagonista del Libro di Italo Calvino del 1983 che stiamo leggendo intitolato Palomar non punta forse involontariamente la sua meticolosa attenzione anche sul metaforico paradosso a cui allude Pascal nell’incipit delle Provinciali! Sappiamo che l’attenzione del signor Palomar [un nome simbolico che richiama un potente telescopio] si orienta nella direzione dei molti fenomeni che gli capitano sotto gli occhi perché, come Montaigne, decide di osservare “le cose della vita” scrutandole nei minimi particolari per cercare di interpretarle nel tentativo, come pretende di fare Pascal, di entrare in rapporto con l’universo, e questo tentativo presenta molte difficoltà e lascia sempre il signor Palomar nel dubbio, ma il dubbio stimola [deve stimolare] la riflessione e la volontà di imparare.
Lo scrittore invoglia il suo personaggio nel quale s’identifica a riflettere sulle molte considerazioni che affiorano nella sua mente in relazione al fatto che “bisogna sempre mordersi la lingua prima di parlare”. Il signor Palomar - per volere del suo autore, che è esperto a parafrasare i Classici - ha allegoricamente un piede nei Saggi di Montaigne [nel particolare] e l’altro piede nei Pensieri di Pascal [nell’universale]. E adesso leggiamo.
LEGERE MULTUM….
Italo Calvino,
Palomar
Del mordersi la lingua.
In un’epoca e in un paese in cui tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni o giudizi, il signor Palomar ha preso l’abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione. Se al terzo morso di lingua è ancora convinto della cosa che stava per dire, la dice; se no sta zitto. Di fatto, passa settimane e mesi interi in silenzio. Buone occasioni per tacere non mancano mai, ma si dà pure il raro caso che il signor Palomar rimpianga di non aver detto qualcosa che avrebbe potuto dire al momento opportuno. S’accorge che i fatti hanno confermato quel che lui pensava, e che se allora avesse espresso il suo pensiero forse avrebbe avuto una qualche influenza positiva, sia pur minima, su quel che è avvenuto. In questi casi il suo animo è diviso tra il compiacimento d’aver pensato giusto e un senso di colpa per la sua eccessiva riservatezza. Sentimenti entrambi così forti, che egli è tentato d’esprimerli a parole; ma dopo essersi morsicato la lingua tre volte, anzi sei, si convince che non ha nessun motivo né d’orgoglio né di rimorso.
... continua la lettura ...
E ora sarebbe giunto il momento di occuparci dell’opera più importante di Pascal intitolata come sapete Pensieri. Il fatto è che Pensieri di Pascal è un’opera postuma: comparsa dopo la sua morte [e, quindi, un evento editoriale sconosciuto a Pascal stesso] e, quindi, non ci resta che seguire l’ordine naturale delle cose.
Dal dicembre del 1654 Blaise Pascal si trasferisce nella zona cosiddetta “non claustrale” [in quella claustrale vivono le monache] dell’abbazia di Port-Royal de Paris dove alloggiano, ciascuno nella propria cella, “i solitari laici di Port-Royal” che, pur non essendo monaci [non hanno preso i voti], vivono secondo il progetto politico che s’ispira alla regola benedettina. Con gli altri “solitari”, Blaise Pascal si dedica, in assoluta povertà, al lavoro con spirito di solidarietà, allo studio con la massima perspicacia, alla meditazione con gran disposizione d’animo e, inoltre, con serenità e con ironia, affronta la sofferenza che gli procurano le sue numerose e gravi malattie a cominciare dalla tubercolosi: queste malattie lo portano alla morte, avvenuta il 19 agosto 1662 all’età di trentanove anni, ma con dieci anni di ritardo rispetto alla previsione che nel 1651 avevano fatto i medici dandogli un anno di vita: Pascal, da quando si è stabilito a Port-Royal, ha sempre gioiosamente ironizzato su questo fatto affermando, all’ora del tramonto di ogni giorno, in modo interlocutorio: «Come mai anche oggi non sono morto? Se la morte fosse un teorema forse sarei riuscito a spiegarlo, ma la morte è un mistero indissolubilmente legato al mistero della vita». Pascal viene sepolto nella chiesa della sua parrocchia, nel quartiere latino, la chiesa di St-Étienne-du-Mont [Santo Stefano del Monte]: un edificio monumentale veramente singolare tanto per la sua architettura quanto perché contiene l’urna di Sainte-Geneviève [Santa Genoveffa, considerata la santa patrona di Parigi]. La costruzione della chiesa di St-Étienne-du-Mont ha avuto inizio nel 1492 in forme tardo-gotiche, poi, alla metà del ‘500, sulle forme tardo-gotiche vengono sovrapposte strutture rinascimentali e, infine, l’edificio viene terminato nel 1622 con abbondanti aggiunte di elementi secenteschi e, quindi, oggi, la facciata di questa costruzione contiene e conserva questo misto di gotico, rinascimentale e secentesco e appare con tre frontoni sovrapposti in modo bizzarro ma, tuttavia, lineare.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con una guida di Parigi e navigando in rete andate a far visita alla chiesa di St-Étienne-du-Mont sapendo che lì aleggia lo spirito di Blaise Pascal…
Un anno esatto prima di Blaise, era morta, nel convento di Port-Royal de Paris, sua sorella Jacqueline [poetessa stimata, e soprannominata la “Galileo di Port-Royal”], e l’unica superstite della famiglia Pascal rimane la primogenita, Gilberte, che ha sposato il magistrato Florin Périer e ha due figli.
Anche Gilberte Pascal è una persona colta; da ragazza, come abbiamo già detto a suo tempo, ha frequentato, con il padre, con Jacqueline e con Blaise, il Circolo Mersenne e, alcuni mesi dopo la morte del fratello, decide di scrivere, firmandosi Madame Périer, una biografia che viene pubblicata nel 1670 con il titolo di Vita di Pascal scritta dalla sorella; poi, avendo ricevuto in eredità migliaia di fogli contenenti gli appunti di Blaise, insieme al marito e ai figli, s’impegna a mettere in ordine questo prezioso materiale in un volume di quattordici capitoli che viene pubblicato nel 1669 con il titolo di Pensieri di Pascal.
Perché Blaise Pascal, dal 1656, comincia a prendere appunti e continua a farlo regolarmente fino alla morte? Pascal prende appunti in quanto si propone, molto probabilmente [perché con certezza non lo sappiamo, di scrivere una Apologia del Cristianesimo, un’opera, in forma di trattato filosofico, che esalti l’elemento “evangelico” [il nocciolo autentico, il kerigma] del Cristianesimo [Pascal pensa che l’essenza del messaggio cristiano sia stata sepolta dal troppo legalismo dottrinario, dall’eccessiva decretazione clericale]; egli è convinto che qualunque persona, venendo a conoscenza della “Buona Novella incarnatasi in Gesù Cristo”, secondo la predicazione epistolare di Paolo di Tarso, dovrebbe scoprire in se stessa la fede e dovrebbe rendersi conto che il vivere nell’indifferenza, schiava dei poteri mondani, è un’autentica follia perché il Dio di Gesù Cristo garantisce a ogni persona di buona volontà la sua Grazia, e vivere “in stato di Grazia”, a stretto contatto con la qualità della vita, come una persona già risorta, significa dare pieno valore alla propria esistenza. Quindi afferma ironico Pascal: «La ragione mi suggerisce che sul Dio di Gesù - che è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe - è vantaggioso scommettere perché la sua presenza garantisce la sicura vincita della scommessa mentre, in caso di una sua eventuale assenza [potrebbe anche non esserci], la persona perde [comunque] nulla». Ma leggiamo un Pensiero in cui Pascal descrive il “Dio” del quale vuole proclamare la presenza [sul quale decide di scommettere]: «Quando una persona fosse convinta che le proporzioni dei numeri sono verità eterne, immateriali e dipendenti da una verità-prima in cui sussistono, e che si chiama Dio, non mi parrebbe per questo molto progredita nel cammino della propria salute. Il Dio di Gesù Cristo non è semplicemente un Dio autore delle verità matematiche e dell’ordine cosmico: come quello dei filosofi e dei saccenti. Né è solamente un Dio il quale eserciti la sua provvidenza sulla vita e i beni degli individui, per largire ai suoi fedeli una felice serie d’anni: secondo la concezione degli ecclesiastici. Il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio di Gesù, è un Dio di amore e di consolazione: un Dio che riempie l’anima e il cuore delle persone che possiede; un Dio che fa loro sentire interiormente la loro misericordia e la sua misericordia infinita; che si unisce al più profondo della loro anima; che la colma di umiltà, di gioia, di fiducia, di tenerezza, e che rende le persone capaci di un fine che trascende loro stesse. Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce. Il cuore, e non la ragione, sente Dio. Ecco che cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, per poter essere, poi, anche sensibile alla ragione.».
Questo Pensiero è uno delle centinaia di frammenti che Pascal ha lasciato dopo la sua morte [il 19 agosto 1662] e che sono stati ereditati da sua sorella maggiore Gilberte, da suo marito, il magistrato Florin Périer e dai loro figli. Queste persone si sono impegnate a mettere in ordine questo prezioso materiale [sono stati scelti 924 frammenti e collocati, divisi per argomenti, in quattordici capitoli] e ha preso forma un volume che è stato intitolato Pensieri, pubblicato nel 1669. Quest’opera ha avuto subito un grande successo e, in ragione di ciò [ed ecco il primo paradosso riguardante i Pensieri di Pascal] ci si domanda se ci si debba rammaricare del fatto che Pascal non sia riuscito a comporre [se questa era la sua intenzione] l’Apologia del Cristianesimo che aveva in mente di scrivere. Non sappiamo come sarebbe stata questa Apologia, né si è mai riusciti a determinare con sicurezza, dalle poche tracce e indicazioni lasciate da Pascal, quale sarebbe stato l’ordine della sua trattazione.
Si può ipotizzare che la sua mente, abituata a ragionare secondo “l’esprit géometrique” [da matematico e da fisico di prestigio] avrebbe certamente ordinato i suoi appunti in una costruzione di potente architettura [ne sarebbe, forse, venuta fuori “una monumentale cattedrale letteraria”], però, sicuramente, per raggiungere questo obiettivo, Pascal avrebbe dovuto diciamo così “ripulire” la massa dei suoi pensieri da ciò che sarebbe potuto risultare inutile in un grande trattato filosofico; di conseguenza, avrebbe tolto dalla sua Apologia molti di quei significativi “guizzi di pensiero e di sentimento” che fanno dei suoi sparsi “appunti frammentari”, così come sono stati pubblicati nel 1669, un mare inesauribile di profonde meditazioni e di lucide intuizioni, un mare nel quale la lettrice e il lettore trova lo specchio delle proprie inquietudini esistenziali [chi sono io, da dove vengo, dove sto andando?], un mare nel quale la lettrice e il lettore trova la lista dei propri dubbi [che ci faccio qui, e perché dubito su tutto ciò che è terreno, persino sulla mia reale esistenza?], un mare nel quale la lettrice e il lettore trova la voragine del proprio tormento interiore [perché siamo al mondo, siamo al mondo per soffrire?].
I Pensieri di Pascal sono uno straordinario, e involontario, diario interiore: il diario interiore di una persona tormentata dalla coscienza dei propri limiti [«Tutte le persone sono tormentate dalla coscienza dei propri limiti e s’impegnano per non pensarci, e il sistema - scrive Pascal - dà loro una mano fornendo strumenti di alienazione»].
I Pensieri di Pascal sono il diario interiore di una persona che anela a trovare una fede [un ideale in cui valga la pena credere] che possa dare la certezza [da matematico Pascal vuole risultati precisi] della beatitudine eterna [Pascal è un genio e punta in alto], altrimenti quale sarebbe il senso della vita umana: «Che significato avrebbe [si domanda Pascal] essere persone dotate di intelligenza, e a che cosa servirebbe possedere una ragione che ci fa dubitare su tutto ciò che è terreno? Se la ragione mette la persona in condizione di dubitare di tutto ciò che è terreno questo significa che l’intelligenza aspira ad andare oltre ciò che è terreno, ed è il cuore che suggerisce alla persona questa riflessione, perché le cose più importanti della vita, a cominciare dall’amore [tanto quello umano quanto quello divino], la persona le sente e le conosce con il cuore». Quando Pascal nomina “il cuore” non si riferisce al muscolo cardiaco ma intende aprire un ventaglio di parole - sentimento, bontà, sensibilità, umanità, compassione, pietà, generosità, coscienza, ardimento, affetto - che costituiscono, già di per sé, l’impalcatura di un’apologia del Cristianesimo in senso evangelico, e “queste parole-chiave [afferma Pascal] non sono ancora diventate l’ago di una bussola che indica la direzione della via che dovrebbe seguire la società cristiana in particolare e la società umana in generale [«Siamo bestie in via di lentissima umanizzazione», scrive Pascal]”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quando Pascal evoca “il cuore” intende richiamare l’attenzione della lettrice e del lettore sui termini: sentimento, bontà, sensibilità, umanità, compassione, pietà, generosità, coscienza, ardimento, affetto... Quali sono le due parole che mettereste per prime accanto al termine “cuore”?...
Scrivetele...
Pensieri di Pascal è un’opera complessa, e il testo di quest’opera è stato studiato, e continua ad essere esplorato, con spirito esegetico e cavilloso, da parte di studiose e di studiosi di molte discipline. Noi in questo nostro viaggio cerchiamo di cogliere gli aspetti essenziali di quest’opera per non rischiare di perdere di vista quegli elementi basilari che possono facilitarne la lettura almeno di qualche brano [e questo, come sapete, è l’obiettivo che si pone un Percorso di Alfabetizzazione funzionale e culturale]. In primo luogo, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, bisogna sapere che Pensieri è l’opera di un autore in cui un’ardente spirito mistico [il cuore] convive con la fervida mente [con la ragione] di un polemista: Pascal è un autore che intendeva, probabilmente, comporre un’Apologia del Cristianesimo in senso evangelico per esaltare l’aspetto spirituale e mistico di questo fenomeno ma è anche un intellettuale che partecipa polemicamente al dibattito culturale del suo tempo.
Nei Pensieri di Pascal s’incontra una persona che, alternativamente, gioisce perché pensa di aver acquisito definitivamente la certezza della fede [ascoltando il suo cuore] ma, poco dopo, troviamo questa stessa persona in uno stato di angoscia perché la certezza della fede [pungolata dall’astuzia della ragione] sembra sfuggirle, e questo perché Pascal è sì “uno spirito mistico” ma è anche, e soprattutto [come abbiamo detto], un intellettuale del Seicento, una persona che ha letto e ha riflettuto sui testi dei Saggi di Montaigne, una persona che ha perseguito studi scientifici con la stessa [se non maggiore] chiarezza di pensiero di Cartesio, una persona che ha condiviso una serie di idee del movimento libertino e che, pur standone in disparte, ha conosciuto il raffinato e insulso [come lui lo giudica] mondo della cosiddetta “buona società” dell’epoca [la frivola società della corte e dei salotti]: quindi, nella scrittura di Pascal non manca l’arguzia, la fine ironia, la profondità e, talvolta, la pungente capacità di osservazione che fanno dell’autore dei Pensieri, soprattutto, un acuto polemista.
Se si sfoglia il volume [ed è un esercizio che tutte e tutti voi potete fare], per prima cosa, si nota che molti Pensieri sono formati da frammenti che contengono delle brevissime note che erano destinate, presumibilmente, ad essere riprese e ampliate [sono i Pensieri che attirano subito l’attenzione e che si leggono per primi, anche se sono quelli di più difficile comprensione] e questi frammenti minimi nella loro pungente immediatezza [quella di Pascal è stata definita “una scrittura in frantumi”, e i frantumi sono taglienti] colpiscono comunque più di altri che sono stati maggiormente sviluppati, con calore e con passione, fino a diventare delle complete dissertazioni. Per esempio [e di esempi ne potremmo fare molti], un famoso e stringatissimo Pensiero - uno dei tanti Pensieri sui limiti della condizione umana [uno degli argomenti dominanti dell’opera] che hanno fatto considerare Pascal uno dei padri dell’esistenzialismo filosofico - dice: «Condizione dell’essere umano: incostanza, noia, inquietudine.». Ebbene, questa affermazione condiziona e anticipa per esempio le considerazioni filosofiche di Giacomo Leopardi che riporta spesso questo Pensiero in margine ai suoi appunti, e una volta lo scrive su un foglio che lascia in bella vista [nella biblioteca del palazzo dove vive e studia a Recanati] perché suo padre - che contestava le idee del suo precoce figliolo e ammirava Pascal - lo potesse leggere con accanto una chiosa di due righe di commento scritte da Giacomo: «Se anche [scrive Giacomo Leopardi, confortato] un acuto esegeta come Pascal la pensa così, perché così non dovrei pensare anch’io?». Monaldo Leopardi, colto in contropiede, ha dovuto soprassedere.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Di fronte a quale comportamento in particolare vi disturba l’incoerenza, che cosa vi annoia di più e che cosa v’inquieta maggiormente?...
A imitazione di Blaise Pascal e di Giacomo Leopardi scrivete tre righe in proposito...
Pensieri di Pascal è uno di quei Libri che, utilizzando il francese del ‘600, viene chiamato “livre de chevet” [Libro da comodino, Libro prediletto, Libro della sera] ed è probabile che qualcuna e qualcuno di voi si ricordi che io ho più volte consigliato [forse anche con un po’ di ironia] come leggere i Pensieri di Pascal, e dicevo: «Tenete questo Libro in cucina e, mentre siete in attesa che bolla l’acqua e poi che cuocia la pasta, apritelo a caso e leggete ciò che capita sotto i vostri occhi!», e continuo a pensare che sia meglio la cucina piuttosto che la camera da letto perché ritengo sia più produttivo leggere Pascal quando si ha appetito piuttosto che quando si ha sonno: perché penso sia meglio farsi venire l’appetito piuttosto che farsi passare il sonno.
Pensieri di Pascal è uno di quei Libri [come i Saggi di Montaigne] che non si leggono mai interamente, ma che si tengono a portata di mano per sfogliarli ogni tanto sapendo di poter trovare un’idea [paradossale] su cui riflettere [Pascal si esprime per paradossi, è un matematico, e c’è un motivo di carattere esegetico]. Ma sarebbe ingiusto considerare questo Libro soltanto come una disordinata antologia di massime sparse e, talvolta, contraddittorie perché dalla lettura e dallo studio sistematico dei Pensieri emerge, in modo ben chiaro e definito, un sistema filosofico “moderno” nel senso di “audace, temerario, eccentrico”.
Pascal inizia il suo percorso filosofico partendo dalle esperienze della Scienza, è considerato, già da giovanissimo, un grande matematico e un grande scienziato ma, ad un certo punto della sua vita si rende conto che “i metodi scientifici”, utili sul piano pratico, non possono aver valore nel dare un senso all’esistenza, non aiutano a superare l’inquietudine generata dai limiti della condizione umana, ed è anche ridicolo che la persona si sforzi di dare una dimostrazione logica dell'esistenza di Dio per sentirsi sollevata perché né la Sua esistenza né la Sua inesistenza sono dimostrabili e, quindi, perché la persona deve mentire a se stessa? La persona, afferma Pascal nei Pensieri, per onestà intellettuale, deve ricercare in se stessa la coscienza di Dio o di un Valore superiore in cui credere, in cui riconoscersi: tanto nella propria grandezza quanto nella propria miseria, afferma Pascal nei Pensieri, la persona deve trovare quella che Pascal chiama “ l’intuizione suprema”, contrariamente non c’è elevazione sul piano dell’Umanità.
Ed è consequenziale il fatto che Pascal affermi che è col cuore e non con la ragione che si raggiunge la fede in Dio [Pascal predilige, come sappiamo, la scelta evangelica] o la fede in un Valore superiore in cui credere [sono molti i Pensieri in cui Pascal utilizza la dicitura “Valore superiore” con l’intenzione di rivolgersi anche ai Laici]. E quindi Pascal ritiene che la persona, per sfidare la propria impotenza, possa far fare alla propria ragione un salto nel buio e, di conseguenza, pensa che la persona debba fare con se stessa una sublime scommessa: debba puntare tutta la sua esistenza, tutto il suo modo di agire e di pensare sul presupposto che un Dio indimostrabile ma, tuttavia, innegabile come Valore assoluto, esista, perché, in questo nobile gioco d’azzardo, la persona non ha nulla da perdere.
Pascal pretende di superare, con uno slancio geniale, gli sforzi fatti dalla Scolastica medioevale per dimostrare con la ragione l’esistenza di Dio e presume si possa superare anche lo scetticismo dei pensatori moderni suoi contemporanei. Pascal porta la riflessione filosofica dal campo astratto della metafisica a quello concreto della mente e dell’animo umano, e apre la strada al pensiero dell’Illuminismo, a quello di Vico, di Kant, dell’idealismo e dell’esistenzialismo: avremo modo di parlare dei Pensieri di Pascal in molte altre occasioni.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Procuratevi un testo dei Pensieri di Pascal, apritelo a caso ogni tanto, e leggete ciò che vi capita sotto gli occhi...
Adesso anche noi apriamo il volume dei Pensieri di Pascal e leggiamo il testo di alcuni di essi per fare una breve esperienza di questa “scrittura in frantumi”.
I Pensieri sono un’opera difficile da leggere perché Pascal si esprime per paradossi, è un matematico, e c’è un motivo di carattere esegetico nel suo esprimersi in modo paradossale perché il paradosso è “un assurdo controsenso” [io invidio coloro che hanno studiato bene la Matematica perché questo concetto lo capiscono meglio]: il paradosso è “una contraddizione, un’aporia” che, però, conferma l’esistenza di una realtà. Pascal predilige i paradossi per avvalorare, per dare validità e veridicità, al paradosso dei paradossi [contenuto nel Prologo del Vangelo secondo Giovanni]: «Et Verbum caro factum est - La Parola [il Pensiero di Dio] si è fatta carne».
LEGERE MULTUM….
Blaise Pascal,
Pensieri
343. Il becco del pappagallo, che egli di continuo si pulisce, benché sia pulito.
344. Istinto e ragione, marchi di due nature.
345. La ragione ci comanda ben più imperiosamente di una madre, perché disobbedendo a questa si è infelici, disobbedendo all’altra si è sciocchi.
346. Il pensiero fa la grandezza dell’essere umano.
347. L’essere umano è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l’universo si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua bastano a ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’essere umano sarebbe sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire ed è conscio della superiorità che l’universo ha su di lui; l’universo non ne sa nulla.
Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. È in esso che dobbiamo cercare la ragione per elevarci e non nello spazio e nella durata, che non sapremmo riempire. Lavoriamo quindi a ben pensare: ecco il principio della morale.
348. Canna pensante - Non nello spazio devo cercare la mia dignità, ma nella regola del mio pensiero. Non avrei di più possedendo delle terre: per lo spazio, l’universo mi comprende e mi inghiotte come un punto; con il pensiero, io lo comprendo.
352. Ciò che può la virtù di una persona non va misurato dai suoi sforzi, ma dalla sua normalità.
358. L’essere umano non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuole fare l’angelo faccia la bestia.
359. Noi non ci sosteniamo nella virtù con la nostra forza, ma con l’equilibrio di due vizi opposti, come restiamo in piedi tra due venti contrari: togliete uno dei due vizi, precipitiamo nell’altro.
365. Pensiero - La dignità della persona consiste nel pensiero. Il pensiero è dunque una cosa ammirevole e incomparabile per sua natura. Per essere disprezzabile occorre che abbia ben strani difetti; ma esso ne ha tali che nulla è più ridicolo. Com’è grande con la sua natura! com’è meschino per i suoi difetti!
Ma cos’è questo pensiero? Com’è sciocco!
366. Lo spirito di questo [nostro] sovrano [che si crede] giudice del mondo non è così indipendente, da non esser turbato dal primo rumore che si faccia intorno a lui. Non occorre il rombo di un cannone per ostacolare i suoi pensieri: basta il cigolio d’una banderuola o di una carrucola. Non stupitevi se in questo momento non ragiona bene; una mosca gli ronza nell’orecchio; ciò è sufficiente per renderlo incapace di buon consiglio. Se volete che possa trovare la verità, cacciate quell’insetto che tiene in scacco la sua ragione e turba quella possente intelligenza che governa le città e i reami. Che dio ameno! O ridicolissimo eroe! [In italiano nel testo].
367. Potenza delle mosche: vincono battaglie, impediscono al nostro spirito di agire, mangiano il nostro corpo.
372. Scrivendo il mio pensiero, talora esso mi sfugge; ma ciò mi ricorda la mia debolezza, che dimentico sempre; il che m’istruisce quanto il pensiero dimenticato, giacché io tendo solo alla conoscenza della nullità del mio io. E quando metto di mezzo il mio io, e tutti i problemi che ho con lui, mi domando come si possano guardare le cose lasciando da parte l’io, e se penso alla nullità dell’io: guardo il mondo e vedo nulla? …
Quest’ultimo pensiero ci porta, ancora una volta, direttamente a stretto contatto con il signor Palomar [o meglio con il suo autore, attento lettore di Classici]. Leggiamo quindi questo brano senza fare alcun commento: capirete da sole e da soli, senza bisogno di spiegazioni, quanto siano invadenti anche nella Storia della Letteratura contemporanea i Pensieri di Pascal.
LEGERE MULTUM….
Italo Calvino,
Palomar
Il mondo guarda il mondo.
In seguito a una serie di disavventure intellettuali che non meritano d’essere ricordate, il signor Palomar ha deciso che la sua principale attività sarà guardare le cose dal di fuori. Un po’ miope, distratto, introverso, egli non sembra rientrare per temperamento in quel tipo umano che viene di solito definito un osservatore. Eppure gli è sempre successo che certe cose - un muro di pietre, un guscio di conchiglia, una foglia, una teiera, - gli si presentino come chiedendogli un’attenzione minuziosa e prolungata: egli si mette ad osservarle quasi senza rendersene conto e il suo sguardo comincia a percorrere tutti i dettagli, e non riesce più a staccarsene. Il signor Palomar ha deciso che d’ora in avanti raddoppierà la sua attenzione: primo, nel non lasciarsi sfuggire questi richiami che gli arrivano dalle cose; secondo, nell’attribuire all’operazione dell’osservare l’importanza che essa merita.
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Le “Piccole Scuole di Port-Royal” hanno insegnato “a guardare il mondo attraverso il mondo [«…è dalla cosa guardata che deve partire la traiettoria che la collega alla cosa che guarda»]” e sebbene le “Piccole Scuole di Port-Royal” abbiano potuto funzionare solo per poco tempo hanno tuttavia formato un buon numero di teste pensanti [ragazzi e ragazze] e, inoltre, la Lezione di Port-Royal ha influenzato gli spiriti più attenti del mondo della cultura europea e, in particolare, ne ha risentito favorevolmente il mondo letterario in tutti i suoi generi: del romanzo, della poesia tragica, della favola, del teatro. In che modo la Lezione di Port-Royal ha influenzato il mondo letterario a cominciare dal teatro?
Risponderemo a questa domanda non prima di avere fatto un’ulteriore riflessione sul testo delle Lettere Provinciali di Pascal, una riflessione che riguarda l’attualità di questo testo e, come sempre, cercheremo di procedere con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé. Pascal scrive: «Non è certo che tutto sia incerto» e, di conseguenza, siccome non è incerto il fatto che, la prossima settimana [salvo complicazioni che speriamo non ci siano], saremo qui, possiamo affermare che proprio quando ci si trova di fronte all’incertezza è più che mai necessario non perdere, ma richiamare a sé, la volontà di imparare e per dare certezza a questo richiamo: la Scuola è qui, e il viaggio continua…