ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica dal secolo della Scienza a quello dei Lumi 20-21-22 maggio 2020
SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI
RIFLETTIAMO - SENZA CONVIVIALITÀ - SULL’EREDITÀ DEL SEICENTO ...
Un cordiale saluto a tutte e a tutti voi, alle quali e ai quali, seppur virtualmente, dico: Ben venute e benvenuti a Scuola!
Il ventunesimo itinerario di questo viaggio sulla via che porta dal secolo della Scienza [il ‘600] a quello dei Lumi [il ‘700] corrisponde all’ultima tappa di questo anomalo e singolare Percorso didattico promosso con la fattiva partecipazione di tutte e di tutti voi che mi state ascoltando e che animate, in modo non formale ma creativo, l’attività della Scuola pubblica degli Adulti per contribuire a gettare le basi per la costruzione [e siamo ancora ben lontane e lontani da questo] di “un sistema di Alfabetizzazione funzionale e culturale” che possa favorire, sostenere e dare impulso a “un diffuso apprendistato cognitivo”, cioè a quel continuo tirocinio attraverso il quale “s’impara a imparare”, una competenza [la capacità di Apprendimento] che, sebbene si faccia ancora fatica a capacitarsene, corrisponde a un diritto e a un dovere [un diritto e un dovere delle cittadine e dei cittadini adulti che viene considerato irresponsabilmente, nei fatti e da sempre, come se si trattasse di un privilegio per pochi e non di una necessità per tutti]: sto parlando del diritto-dovere all’Apprendimento permanente [e non soffia certo un vento a favore in proposito, per cui, può sembrare anacronistico proporre questo tema e persino parlarne], un diritto, in Italia sancito nella sostanza dall’Articolo 34 della Costituzione, non garantito attraverso un sistema stabile, generalizzato, ben strutturato e funzionale alla popolazione adulta di tutto il villaggio globale [perché questo è un tema sensibile che riguarda il mondo globalizzato in cui viviamo].
Ammetto, mentre la sto scrivendo, di non sapere esattamente che forma dare a quest’ultima Lezione perché troppi pensieri - a cominciare da quelli generati dalla preoccupazione di come programmare il futuro per questa nostra, non convenzionale, esperienza didattica - si accavallano, e l’analisi rischia di travolgere la capacità di sintesi, e c’è il rischio di perdersi per strada.
Dalla cordiale Lettere aperta e dai molti Messaggi affettuosi che ho ricevuto - nei quali chi scrive dichiara di sentire la mancanza de “la Scuola in presa diretta” e la nostalgia per “il viaggio di studio condotto a viso aperto” - si percepisce l’emergere di una sensazione, una sensazione che anch’io provo in questo momento: come se questo Percorso, fermo dalla prima settimana di marzo e diventato virtuale “non fosse terminato, come se fosse rimasto pietrificato a causa di un incantesimo”. E in modo virtuale, questo Percorso si è potuto concludere con il fondamentale supporto tecnologico di (rigorosamente in ordine alfabetico) Antonella, Franco, Giancarlo e Luigi, che generano la luce necessaria per poter vedere e per poter seguire la strada sonora, e che ringrazio a nome di tutto il popolo della Scuola, senza dimenticare l’incoraggiamento che ci viene dato dallo spirito di Valdemaro, presidente onorario dell’Associazione Articolo 34.
Ma come nelle Fiabe del Cunto de li Cunti di Gianbattista Basile a cui la metafora, come ben avete capito, fa riferimento, l’incantesimo va sciolto, il sortilegio va rotto, e allora prendiamo il passo con la consapevolezza che potremmo rischiare di perderci per strada.
Mi auguro che alla fine di questo viaggio, durato più di otto mesi, abbiate potuto mettere da parte “qualcosa di utile”, e questo significa che confido sia aumentato in voi “il gusto”: il gusto di conoscere il significato di un catalogo di parole-chiave, il gusto di capire il senso di determinate idee-cardine, il gusto di applicarvi nella lettura e nella scrittura con i giusti ritmi, il gusto di fare l’analisi e di catalogare i vostri pensieri ricorrenti, il gusto di produrre delle sintesi in funzione programmatica progettuale pianificatoria organizzativa, e il gusto di fornire a voi stesse e a voi stessi una valutazione dei vostri desiderati progressi intellettuali. Questi [perché li avete riconosciuti e li sapete a memoria, e questo è un bene!] sono gli obiettivi cognitivi di un Percorso didattico di Alfabetizzazione funzionale e culturale che si manifesta [mediante la prassi dell’Alfabetofania] in un Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura.
In questo viaggio di studio attraverso il territorio del Seicento [del XVII secolo] siamo venute e venuti a contatto con significative parole-chiave, con interessanti idee-cardine, con il pensiero di tanti personaggi, con molti suggestivi luoghi geografici, con fatti relativi a tanti avvenimenti storici: ebbene, ci domandiamo se, in tutto questo complesso di cose, ci sia un elemento caratteristico del ‘600 che possa unificare i nostri saperi.
Quando abbiamo attraversato il territorio del Cinquecento, alcuni anni fa, abbiamo potuto constatare, alla fine del Percorso, che ci veniva suggerito un elemento riassuntivo espresso dalla parola-chiave “autonomia” [l’autonomia della politica, dell’individuo, della coscienza, dei popoli, della cultura], e “il concetto di autonomia” caratterizza l’inizio dell’Età moderna.
Quando lo scorso anno abbiamo attraversato il territorio della prima metà del Seicento l’elemento riepilogativo, alla fine del viaggio, lo abbiamo rinvenuto [come ricorderete] nella parola-chiave “scienza”.
E nel viaggio di quest’anno sul territorio della seconda metà del Seicento qual è l’elemento di ricapitolazione? L’elemento con cui si può riassumere - soprattutto per merito delle opere [i Saggi e i Pensieri] di Montaigne e di Pascal - la dottrina filosofica del Seicento corrisponde all’espressione: “condizione umana”. La Storia del Pensiero Umano del Seicento è caratterizzata dalla riflessione sul tema della “condizione umana”, e nelle Opere, di vario genere [scritte, dipinte, scolpite], composte e prodotte nel Seicento emerge l’idea che: la persona - qualunque sia la sua posizione nella società - è chiamata a interrogarsi e a riflettere sulla sua “condizione materiale, intellettuale ed esistenziale”.
Permettetemi un richiamo che riguarda la mia biografia di manovale dell’apprendistato cognitivo perché è in questa occasione che ho deciso quale lavoro avrei fatto nella vita, un richiamo a proposito della parola-chiave “condizione” perché s’intitolava Sulla condizione operaia il seminario che, mentre studiavo all’Università, ho frequentato dentro la fabbrica della Fiat al Lingotto di Torino dove lavoravano alla fine degli anni ‘60 migliaia di operaie e operai: oggi la fabbrica si è estinta e il Lingotto è diventato un vasto Spazio per la cultura, e ci si tiene anche il Salone del Libro di Torino dove si parla di tutto meno che di Alfabetizzazione, e mi domando perché non se ne parli visto che il numero delle lettrici e dei lettori diminuisce progressivamente perché la maggior parte delle persone non sa leggere e il numero di chi legge non aumenta con la pubblicazione e la vendita di più Libri! Ebbene, tra i vari temi che nel corso di quel seminario Sulla condizione operaia sono emersi attraverso una proficua attività di ricerca che ha portato alla raccolta di molti dati, è risultato che il maggior rimpianto che quelle lavoratrici e quei lavoratori avevano era di “non aver potuto o voluto studiare” [avevano quasi tutti la licenza elementare], e avevano preso atto che “il non aver frequentato la Scuola” influiva sulla loro condizione[materiale, intellettuale, esistenziale. Questa constatazione ha portato [attraverso il materiale di ricerca prodotto in quel seminario] le Organizzazioni sindacali [al massimo grado della loro unità in quel tempo] a inserire, in occasione del rinnovo del Contratto di lavoro dei Metalmeccanici, la richiesta, per “il diritto allo studio”, di 150 ore pagate dall’Azienda in modo che, in accordo con il Ministero della Pubblica Istruzione, le lavoratrici e i lavoratori potessero frequentare la Scuola da Adulti: l’accordo - dopo una lunga trattativa durata tre anni - è stato raggiunto per la prima volta con il rinnovo del contratto dei Lavoratori metalmeccanici nel 1973. È stata una grande conquista civile, ed è stato compiuto un primo importante passo che ha permesso a molte migliaia di persone adulte [lavoratrici e lavoratori di molte categorie] di recuperare il titolo di studio di base [la licenza media e, per una minoranza, il diploma di Scuola superiore]. Purtroppo però, il cammino di questo movimento [dal quale è nata nella Scuola pubblica l’esperienza che stiamo facendo], dopo il primo importante passo, è stato da subito ostacolato [e uso, ancora una volta, la metafora letteraria che ho già utilizzato] ed è stato bloccato con un incantesimo - uno dei tanti malefici incantesimi con cui il sistema di distrazione di massa [come ci ha insegnato Pascal] ha affatturato, stregato, manipolato la mente delle persone. Di conseguenza, l’idea che “imparare ad apprendere” debba essere un diritto costituzionale da rivendicare è rimasta pietrificata [sugli incantesimi mi astengo dal fare un elenco di esempi per non perdere tempo ma non posso non citare - in quanto coinvolto personalmente come membro della Consulta nazionale sull’Educazione degli Adulti - la tragedia che in Italia ha comportato l’imposizione per decreto, a furor di popolo affatturato, della televisione commerciale a scapito di una nuova normativa per il diritto allo studio degli Adulti].
Il primo passo compiuto con il seminario Sulla condizione operaia [correva l’anno 1969] avrebbe dovuto portare gradualmente [ed è bene che si sappia, che si conosca questo brandello di Storia] alla creazione di un sistema organico di Educazione degli Adulti per garantire a tutte le cittadine e i cittadini il diritto-dovere all’Apprendimento permanente e io, nonostante il vento abbia sempre soffiato contro, ho usato il potere [quando l’ho avuto con i titoli - le lauree, l’abilitazione - che ho acquisito, ma sto ironizzando e un po’ mi scappa da ridere a pensarmi “uomo di potere”!], cioè [volevo dire] mi sono avvalso, più che di un improbabile potere, della facoltà che mi ha dato l’essere titolare di una Cattedra di Scienze Umane nell’Educazione degli Adulti in seno alla Scuola pubblica nel territorio del Chianti Fiorentino. Ebbene, in questo contesto, all’inizio degli anni ’80, ho deciso [rompendo l’incantesimo che affatturava e che continua ad affatturare l’Educazione degli Adulti] di fare autonomamente un secondo passo promuovendo [dilatando un po’ il mio orario di lavoro, superando notevoli difficoltà burocratiche e con l’aiuto determinante del popolo della Scuola che via via è andato crescendo], promuovendo dal 1° ottobre 1984 ciò che mancava e che tuttora manca: una Campagna permanente di Alfabetizzazione funzionale e culturale condotta mediante Percorsi di studio: continui, graduali e gratuiti ai quali voi tutte e voi tutti state fornendo l’Anima intellettuale di cui necessitano …e, per ora, solo una pandemia è riuscita a fermare - speriamo temporaneamente - il cammino di questa esperienza.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Al tema della Storia dell’Educazione degli Adulti fa riferimento anche il film I compagni diretto da Mario Monicelli che, per una mattina, è stato ospite al seminario Sulla condizione operaia... In proposito Andrea Mancaniello ha scritto un articolo e, se lo volete leggere, lo trovate a questo indirizzo: www.artearti.net/magazine/articolo/i-compagni/ …
Guardatevi o riguardatevi questo film istruttivo, drammatico e divertente insieme...
Sul tema del diritto-dovere all’Apprendimento permanente il vento ha sempre soffiato contro, e figuratevi oggi in questo momento di crisi, tuttavia, se volessimo procurarci una, pur sconfortante, consolazione, dobbiamo dire che, storicamente, il vento non ha mai soffiato a favore dell’acquisizione del fondamentale diritto di cui stiamo parlando e siamo al corrente [attraverso il viaggio di quest’anno] che uno degli aspetti fondamentali - presente in tutte le Opere della Storia del Pensiero Umano del Seicento [della modernità] - riguarda il fatto che “la condizione umana” è fortemente influenzata, vincolata, subordinata al mancato riconoscimento del diritto-dovere delle persone all’Apprendimento: l’aspirazione del 1969 a modificare in modo virtuoso la propria “condizione intellettuale” da parte delle operaie e degli operai di fabbrica esisteva già tra le persone più responsabili nel 1669, ma il vento ha sempre soffiato contro e questa è rimasta un’aspirazione di poche persone.
A questo proposito, a sostegno di questa causa, c’è un documento significativo e fondamentale, il Manifesto delle Piccole Scuole di Port-Royal redatto dai professori Antoine Arnauld e Pierre Nicole [che, come ricorderete, abbiamo frequentato quest’anno e, a conclusione di questo viaggio, non possiamo non tornare a Port-Royal visto che questo importante luogo - che corrisponde anche ad una significativa metafora - abbiamo imparato a conoscerlo], nel quale si legge: «Bisogna operare in campo didattico in modo che ogni persona possa dotarsi di una testa ben fatta al posto di una testa ben piena, così che questa stessa persona possa interrogarsi e possa riflettere sulla sua capacità “di imparare a imparare”, di modo che possa conoscere e capire fino a che punto la sua condizione possa definirsi “umana”».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Secondo voi che cosa necessita ad una persona perché la sua condizione possa essere definita “umana”?... Quali di queste parole – decoro, distinzione, rispetto, considerazione, stima, onore o quale altra - mettereste per prima accanto al termine “condizione umana”?...
Scrivete quattro righe in proposito nella tradizionale ottica dei “compiti per le vacanze”...
Di fronte ad un’affermazione di tale valenza sul piano educativo proveniente da Port-Royal [sebbene se ne sottovaluti vergognosamente l’importanza] adesso, prima di tornare a Port-Royal - per riflettere sul dovere che abbiamo di imparare ad imparare - sono destinato ancora a perdermi: ma non è forse vero che bisogna perdersi per ritrovarsi [come scrive Dante nell’incipit della Divina commedia]? Quindi v’invito, con pazienza, a seguirmi lo stesso perché se è evidente che il diritto-dovere all’Apprendimento permanente non è ancora garantito attraverso un sistema stabile, generalizzato, ben strutturato e funzionale alla popolazione adulta di tutto il villaggio globale, ciò significa che la stragrande maggioranza delle teste degli umani continuano ad essere teste ben piene [e purtroppo, oggi, ben piene di molte notizie false!] piuttosto che essere teste ben fatte [e, forse, ben piene, lo sono molto di più oggi di quanto lo fossero 400 anni fa a causa dell’elemento diabolico insito in quell’utile strumento che è la tecnologia per merito della quale ora vi arriva la mia voce]. Eppure, se puntiamo l’attenzione su alcuni paradossi sui quali sono costretto a perdermi, oggi il tema del diritto-dovere all’Apprendimento permanente dovrebbe saltare agli occhi.
Oggi più che mai, in tempo di pandemia, ci si dovrebbe accorgere [ed è paradossale che questo non avvenga] di quanto sia necessario essere persone non solo addestrate [«“Credere, obbedire, comprare” è ciò che il mercato richiede e così ci addestrano», diceva l’Abbé Pierre qualche anno fa], ma si dovrebbe prendere coscienza di quanto sia necessario essere persone in grado di imparare ad imparare [essere individui addestrati non significa essere persone che hanno imparato come s’impara] per poter, a sua volta, essere in grado di affrontare e di gestire, con disciplina e con competenza, le difficoltà. Difficoltà causate in questo momento storico, per esempio, da un morbo che si previene, si combatte e si sconfigge [e lo si sente ripetere spesso, a cominciare dalla più alta carica dello Stato] non solo con i Decreti emanati dai governi ma, soprattutto, nella misura in cui le singole persone sanno “investire in intelligenza”, una competenza complessa [in in in] che non si acquisisce semplicemente con “l’improvvisazione data dall’esperienza di vita”: investire in intelligenza s’impara mediante un apprendistato cognitivo [con un continuo tirocinio attraverso il quale s’impara ad imparare con gradualità, con ordine, con l’acquisizione delle competenze utili alla gestione metodica delle azioni dell’Apprendimento] perché, nonostante «l’essere umano aspiri per natura alla conoscenza» [come recita l’incipit della Metafisica di Aristotele] tuttavia, secondo l’universale detto popolare citato spesso [oltre che nelle stesse Opere di Aristotele] anche nei generi letterari della Commedia [vedi Molière], della Favola [vedi La Fontaine], della Fiaba [vedi Basile] e [vedi Racine] del Dramma in versi [quattro generi letterari sui quali abbiamo avuto modo di esercitarci ultimamente], tuttavia dobbiamo constatare che: “nessuna persona nasce imparata!”. Ed è, di conseguenza, necessario - da parte di chi opera nel campo della didattica - fare chiarezza sulla differenza esistente tra “l’addestramento” [che va per la maggiore] e “l’apprendimento” [facoltà poco curata], due attività contigue ma di carattere diverso: “l’addestramento” è una funzione [fin troppo invadente sul piano dell’istruzione] che prevede un adattamento obbligato atto a fornire all’individuo requisiti secondo una norma di praticità o di convenienza [mettiti la mascherina, indossa i guanti, tieni la giusta distanza, lavati le mani].
L’addestramento impone che si rispettino utili norme di praticità alle quali dobbiamo ubbidire per opportunità, per convenienza, e che, nel caso citato, deve produrre una necessaria ricaduta positiva sul singolo e sulla comunità, e il mezzo televisivo è idoneo a gestire questo tipo di funzione, ad addestrare la gente, anche se il risultato è quello di produrre teste eccessivamente piene di informazioni per cui spesso diventa poi difficile, se non impossibile, saper discernere con perspicacia].
L’apprendimento è un processo che, attraverso un lavoro attivo della mente che prevede un ricorrente tirocinio cognitivo, che si realizza all’interno di un’officina di Apprendimento permanente, e il cui l’obiettivo è quello di predisporre - seguendo un repertorio corredato da una trama funzionale - strumenti adatti a favorire l’origine di teste ben fatte; l’apprendimento è un processo che deve portare, gradualmente, la persona a prender possesso di un ventaglio di parole-chiave e di idee-cardine, in modo che il significato di ciascuna di queste parole e la valenza di ciascuna di queste idee - mutuate dalla Storia del Pensiero Umano - possano diventare sempre più chiare e distinte dando l’avvio ad un procedimento [guidato sul piano conoscitivo, comprensivo, applicativo, analitico, sintetico e valutativo] per cui, di fronte a una nuova esperienza, le vecchie forme di pensiero, legate alle esperienze precedenti, possano trasformarsi in nuove forme di pensiero. Visto che [come sentiamo ripetere in continuazione in questi giorni] “tutto non sarà più come prima” è lecito domandarsi: le cittadine e i cittadini [italiani, europei, del villaggio globale] che, secondo i dati sconfortanti che possediamo [e che nessuno mai cita], non sono in grado di compiere “un investimento in intelligenza”, e non sono preparate e preparati “a imparare ad imparare” [perché non sanno neppure che esistono le Azioni dell’Apprendimento se qualcuno non glielo dice e non gl’insegna a utilizzarle!], come potranno essere all’altezza di gestire la transizione da pensieri che, fino a ieri, erano considerati “normali” ma che oggi sono ritenuti vecchi e anche dannosi, in pensieri nuovi che possano garantire una migliore qualità della vita rispetto a quella di prima?
Esiste la possibilità di porre e di dare una risposta a questa domanda? La risposta rimane sospesa per il semplice motivo che la novità - a causa della carenza di competenze sul piano dell’Apprendimento che riguarda un altissimo numero di persone - l’unica novità possibile è quella di tornare al tempo “normale” [dal pensiero corto e a bassa intensità intellettuale]di prima.
Le nostre tre Officine dell’Apprendimento permanente sono chiuse da quasi tre mesi e sento, in questo momento, una voce assordante: la voce del silenzio [come scrive Pascal] che è calato sugli spazi dove, con la vostra presenza fisica, la Scuola, da anni, prende corpo. Mi domando: “chissà quando e come e dove” [a ottobre, a gennaio, negli stessi spazi di prima] potremo tornare a riunirci per celebrare il rito della didattica a viso aperto? E voi, adesso, potreste dirmi [un po’ ironicamente, così come mi suggerisce anche la mia ragione]: «Vedi che anche tu aspiri a tornare al tempo “normale” di prima!». Vorrei certamente tornare a poter imbastire delle relazioni senza dover seguire le giuste e necessarie regole di distanziamento sociale ma, per quanto riguarda il concetto di normalità devo dire che un Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura non è mai [già dal titolo] rientrato, e non rientra, nella “normalità”, perché [come ho raccontato prima] si presenta, fin dalle origini, come la manifestazione di un movimento anomalo rispetto al normale andamento delle cose all’interno del sistema di distrazione di massa. Questo perché - nonostante i molti, e anche sinceri, riconoscimenti da parte delle Istituzioni - questa “offerta didattica” [graduale, continua e gratuita], che si configura come [così si dice da 36 anni] un efficace strumento di promozione nell’ambito di una necessaria Campagna di Alfabetizzazione funzionale e culturale, non è mai andata a regime [se non per pochi anni e in modo precario in virtù dell’Ordinanza ministeriale n.455, prima che fosse abolita da una vergognosa controriforma scolastica, un’Ordinanza della quale, in quanto membro della Consulta nazionale sull’Educazione degli Adulti, ho partecipato alla scrittura]: questa “esperienza scolastica” è sempre stata collocata ai margini della normalità, perché la normalità [nonostante l’articolo 34 della Costituzione] prevede che la Scuola [e la prassi dell’apprendistato cognitivo] sia preclusa alle cittadine e ai cittadini adulti. E voi, mie care e miei cari compagni di viaggio - che animate da quasi quattro decenni, di generazione in generazione, questa esperienza didattica - non siete cittadine e cittadini “normali” perché [e non me ne vogliate perché è un complimento affettuoso che vi faccio!] costituite un’avanguardia di persone che hanno capito davvero che “ lo studio è cura” in una società dove lo status di normalità è quello di lasciar correre indisturbato il virus dell’ignoranza [e diamoli i numeri dell’Unesco: in Italia il virus colpisce l’81% della popolazione adulta, in Europa il 76% e nel Mondo intero l’85%] per cui “la normalità di prima”, per quanto riguarda l’Educazione degli Adulti, corrisponde a una situazione in cui domina “la dittatura dell’ignoranza” e in cui prevale quel malcostume che prende il nome di “ignorantocrazia”. Noi, che amiamo i paradossi [confortate e confortati da Molière, La Fontaine, Basile, Racine, e Montaigne e Pascal], non possiamo far altro che auspicare di poter tornare alla nostra “anormalità di prima”!
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
C’è una parola-chiave, un’idea significativa, un personaggio, un luogo geografico, un’opera letteraria o artistica che abbiamo incontrato nel corso di questo viaggio che volete citare perché ha mosso il vostro interesse e stimolato particolarmente la vostra curiosità?...
Scrivete quattro righe in proposito nella tradizionale ottica dei “compiti per le vacanze”...
Di conseguenza [siccome è necessario perdersi per ritrovarsi!] è più che mai doveroso continuare la riflessione sul tema del diritto-dovere delle cittadine e dei cittadini adulti all’Apprendimento permanente perché è un tema scomodo, che è sempre stato rimosso dai gestori dei centri di potere, e questo [come abbiamo detto] è avvenuto anche sul territorio del Seicento che abbiamo attraversato quest’anno e, non a caso, questo tema è stato messo in scena da Molière in molte delle sue satiriche Commedie, non a caso è stato illustrato da La Fontaine nella quasi totalità delle sue significative Favole, non a caso è stato presentato da Gianbattista Basile in quasi tutte le sue Fiabe e, non a caso, è stato rappresentato da Racine nei suoi moderni Drammi in versi.
E bisogna, quindi [con la consapevolezza che è necessario perdersi per ritrovarsi!], continuare, con ostinazione, a parlare di questo tema sul quale non c’è udienza proprio perché, paradossalmente, risulta essere “normale” il fatto che “l’imparare ad apprendere” non sia un diritto da rivendicare e un dovere da assolvere e, allora, non si può tacere perché, in questo caso, non c’è cosa peggiore [tradendo la Costituzione] che considerare normale un’anomalia!
Sapete, per esperienza, che si trovano sempre degli ostacoli insormontabili quando ci si impegna [e voi lo fate] a cercare di richiamare l’attenzione sul tema del diritto-dovere all’Apprendimento permanente, considerato - dall’informazione, dalla politica, dalla cultura in generale - di scarsa rilevanza, soggetto da sempre a un perpetuo processo di rimozione. Questa constatazione, sotto forma di denuncia - oltre che nelle Opere degli autori che abbiamo citato poco fa [Molière, La Fontaine, Basile, Racine] - l’abbiamo trovata [quattro secoli fa] tanto nei Saggi di Montaigne quanto nei Pensieri di Pascal: due opere delle quali [nel corso dei nostri due ultimi viaggi] abbiamo cominciato a conoscere le principali parole-chiave e a capire le basilari idee-cardine in esse contenute [avete risposto al Questionario di fine anno sulle dieci affermazioni tratte dai Pensieri di Pascal? Fatelo, se non lo avete ancora fatto!].
Oggi, poi, la disattenzione per questo tema è comprensibile perché di fronte alla grave situazione che stiamo vivendo, per cui, molte persone si trovano a dover elaborare il lutto, a dover assecondare con fatica l’attuazione dei piani sanitari, a dover far fronte alla grave crisi economica, a seguire disciplinatamente ferree regole di comportamento, a far conciliare la necessaria limitazione delle libertà individuali con il principio della salute pubblica, ebbene, di fronte a queste necessità a chi può interessare il tema del diritto-dovere all’Apprendimento permanente? Ma di fronte a questo interrogativo i nostri due compagni di viaggio, Montaigne e Pascal, insorgono e c’invitano a essere delle attente osservatrici e degli attenti osservatori della realtà, perché la realtà contiene sempre degli aspetti interlocutori [pone degli interrogativi calzanti] e fa emergere degli aspetti paradossali e, come sappiamo, i paradossi sono ragionamenti che contengono elementi di contraddizione utili a far risaltare la verità, e non dovrebbe essere la verità a illuminare la realtà [ci ricordano Montaigne e Pascal, entrambi in cammino - insieme a noi - sulla via che conduce dal secolo della Scienza a quello dei Lumi]?
Facciamo alcune riflessioni per capire come il tema del disatteso, trascurato, dimenticato, eluso diritto-dovere all’Apprendimento permanente delle cittadine e dei cittadini adulti emerga sotto traccia senza mai trovare uno sbocco alla luce del Sole.
La prima riflessione riguarda i discorsi - e mi riferisco a quelli costruttivi - che vengono pronunciati soprattutto da quelle persone che, da tre mesi, stanno attivamente, e anche eroicamente, operando a diversi livelli per fronteggiare la pandemia in corso: tutti questi discorsi contengono un significativo ammonimento che possiamo tradurre con una frase esemplare: «E poi tutte noi e tutti noi, per sconfiggere l’epidemia, dobbiamo imparare a …». E, allora, se ogni persona deve «imparare a …», e lo deve saper fare sempre, anche in situazioni di non emergenza, non possiamo non domandarci: esiste un sistema [come quello sanitario] che opera - come pre-vede l’articolo 34 della Costituzione - per gestire diffusamente, e per dare attuazione a protocolli, che favoriscano l’acquisizione di quella fondamentale e naturale competenza umana che è l’arte dell’imparare?
È “normale” che non esista il sistema dell’apprendistato cognitivo, mi domando? Se una cittadina o un cittadino adulto - conscio delle proprie lacune funzionali [nel leggere, nello scrivere, nel far di conto, in Italia sono 8 su 10 nella fascia attiva della popolazione le persone in questa condizione] - se una cittadina o un cittadino adulto volesse imparare ad imparare: a chi si rivolge? Non sarebbe opportuno che in ogni quartiere di città e in ogni frazione di borgo ci fosse almeno una Officina dell’Apprendimento permanente con uno o più Percorsi di Alfabetizzazione funzionale e culturale sempre in movimento [esagero nel dire che ciò sarebbe normale]?
E poi una riflessione sulla temporanea forzata chiusura di tutti i musei, i teatri, i luoghi d’arte in generale e le biblioteche ci porta a considerare quale danno - oltre a quello a livello economico per chi lavora in questi settori - procuri “la mancata acquisizione della bellezza da parte del pubblico, perché la bellezza salva il mondo” [e chi non condivide questa bella frase che tutte e tutti gli addetti ai lavori ricordano in questo tempo?]. Tuttavia è doveroso ricordare - formulando l’auspicio che le biblioteche, i musei, i teatri e i vari luoghi deputati all’arte e alla cultura possano riaprire completamente le loro porte al più presto [perché questo riguarda anche noi] - è doveroso ricordare che “la persona coglie il senso della bellezza [come si legge nelle Enneadi di Plotino] nel momento in cui impara” [«Nell’atto dell’imparare si coglie la bellezza», questo va scritto sulle porte dei luoghi dove si fa “coltura”]. Di conseguenza, la bellezza [anche perché non diventi uno strumento di alienazione] ci salva solo in concomitanza con “il fenomeno dell’imparare”, quindi, solamente nel caso in cui il concetto di bellezza viene messo in relazione con “il diritto-dovere delle genti all’Apprendimento permanente” [come è scritto nel Manifesto delle Piccole Scuole di Port-Royal che abbiamo frequentato quest’anno, e fra poco ci torneremo, quando comincerà la Lezione]. Non sarebbe opportuno che in ogni biblioteca, in ogni museo, in ogni teatro e in ogni luogo deputato alla cultura [alla coltura] ci fosse anche una Officina dell’Apprendimento permanente con uno o più Percorsi di Alfabetizzazione funzionale e culturale sempre in movimento [esagero nel dire che sarebbe normale e potrebbe favorire l’accesso alle biblioteche, ai musei, e la partecipazione a spettacoli teatrali e manifestazioni culturali ad un pubblico molto più numeroso di quello attuale visto che i consumi culturali sono molto bassi se guardiamo i numeri reali e non quelli gonfiati dall’enfasi, e inoltre si potrebbe, da subito, dare un lavoro a circa diecimila giovani laureate e laureati come manovali dell’apprendistato cognitivo!]?
Inoltre ho riflettuto con commozione [e lo avrete fatto anche voi, immagino] quando ho ascoltato i reiterati consigli dati alla popolazione [quando era tenuta a rispettare scrupolosamente l’isolamento per ridurre il contagio, ma ora gradualmente tutto torna alla normalità], consigli dati da molti [uomini e donne] appartenenti al mondo della cultura [umanistica e scientifica], dello spettacolo e dell’informazione i quali, attraverso il megafono mediatico di cui dispongono.
(Scusate, ma a proposito di “megafono mediatico” devo aprire una parentesi sul fatto che, a causa o in virtù dell’isolamento, l’ascolto televisivo è aumentato in modo esponenziale, l’offerta così detta culturale si è centuplicata, la televisione è diventata un surrogato della scuola con la nefasta conseguenza di fornire l’illusione che con questo mezzo si possa gestire “il processo dell’Apprendimento” mentre il mezzo televisivo è programmato per creare emozioni con gli spettacoli di intrattenimento [e anche l’informazione è entrata in questo campo], la televisione è programmata per addestrare in particolare all’acquisto di prodotti, e per dare, oggi come oggi, una valanga di informazioni [e le valanghe travolgono, e anche le Lezioni per il pubblico adulto - una caterva di interventi scollegati tra loro - tenute da illustri intellettuali, non sono altro che “sermoni informativi”, didascalici e ben confezionati stile festival e stile salone ma privi di efficaci prerogative di carattere didattico]. La televisione può essere utile solo come strumento di supporto ad un Percorso di Alfabetizzazione funzionale e culturale che promuove la Scuola [A “Non è mai troppo tardi” il maestro Manzi stava in televisione a dare voce al megafono ma sul territorio c’erano centinaia di Corsi di Alfabetizzazione con le maestrine e i maestrini a insegnare a leggere e a scrivere alle persone. Perché non si dice la verità che il maestro Manzi avrebbe voluto dire ma gli è stato impedito? Me lo ha detto a Modena nel corso di un Convegno sull’Educazione degli Adulti, ed era disgustato] perché, di per sé, “la cultura in televisione” serve solo a creare teste ben piene e non certo teste ben fatte, la televisione non contribuisce a eliminare il virus dell’analfabetismo ma ne favorisce solo l’evoluzione rendendolo più pericoloso.)
Ebbene, stavo dicendo che, è proprio attraverso il mezzo televisivo, che molti uomini e donne intellettuali appartenenti al mondo della cultura [umanistica e scientifica], dello spettacolo e dell’informazione si sono sentite e sentiti in dovere di incoraggiare le persone [chiamate a rimanere in casa] ad utilizzare “il tempo, sospeso e dilatato, della cura” per dedicarsi ad attività intellettuali: alla lettura, alla scrittura, all’ascolto di musica, allo studio. Ho ascoltato “con commozione” [ho detto] ma, quasi immediatamente, la mia commozione si è trasformata in ira [“menis”, in greco, l’ira di Achille, la prima parola dell’Iliade, la prima parola della Letteratura Occidentale, e pensare che il personaggio di Achille non mi è molto simpatico, anche se è una vittima!]: perché la mia commozione si è trasformata in ira [perché ho subito l’assalto delle Erinni, le divinità della collera, così ben descritte da Esiodo]? La mia commozione si è trasformata in ira proprio perché questi lodevoli appelli “al prendersi cura” - contenenti ricchi elenchi di proposte per leggere, per scrivere, per ascoltare, per studiare - sono giusti, sono ammirevoli, sono esemplari, sono sinceri [ho sentito le voci e visto i volti sinceramente impegnati di vecchi e giovani registi e registe, di attori e attrici, di cantanti, di scrittori e di scrittrici, di giornaliste e di giornalisti, di conduttrici e di conduttori e via dicendo fino ai politici e alle insegnanti e agli insegnanti di ogni ordine e grado] e, forse [senza voler essere malizioso, ma conosco i risultati delle ricerche e il fenomeno della “ignorantocrazia”], la proponente e il proponente stava [nel proprio intimo, giustamente] anche facendo a se stessa e a se stesso la medesima proposta seducente nei confronti di attività spesso disattese da chi lavora nel mondo della cultura, dello spettacolo, dell’informazione, della politica, della scuola. Ho sentito raccomandare con enfasi: «Cittadine, cittadini, approfittate del tempo sospeso e dilatato della quarantena e leggetevi i Classici [magari, aggiungo io, in lingua originale: in greco, in latino, in ebraico, in arabo, chi non conosce queste lingue!], suvvia cittadine e cittadini, in questo, che è il tempo della cura, non fatevi prendere né dalla pigrizia né dalla disperazione ma leggetevi Lucrezio [che di virus se ne intende] e leggetevi Seneca [esperto in discipline stoiche], e gustatevi i grandi romanzi dell’’800 [io non ne cito alcuno per non far torto a nessuno] e, contemporaneamente, ascoltate le Opere musicali dei grandi autori, e rileggetevi [anche se lo avrete già fatto molte volte!] “le grandi cattedrali letterarie” del secolo breve: l’Ulisse di Joyce, L’uomo senza qualità di Musil, Alla ricerca del tempo perduto di Proust, e poi, finalmente, ora, avete anche il tempo necessario per cominciare a scrivere le vostre memorie …».
Ravvisate un senso ironico nella mia voce? Che cosa c’è di male nel fare queste raccomandazioni? Non c’è niente di male, anzi, c’è del buono, del bello, del giusto: tre valori che qualificano la qualità delle buone intenzioni delle “persone di cultura”. Se non fosse che ci troviamo di fronte a un paradosso [come voi ben capite] che si manifesta palesemente nel fatto che queste ricche, lodevoli e sincere proposte sono destinate a essere utili solo per confermare i fenomeni della “dittatura dell’ignoranza” [quando la maggioranza delle persone vive una vita a bassa intensità intellettuale, passata per ore davanti al televisore] e della “ignorantocrazia” [quando chi ricopre posti di responsabilità è in preda all’ignoranza, all’imbecillità, alla stupidità]. E poi un ulteriore paradosso si manifesta quando queste stesse e questi stessi intellettuali, fornitori di questi confortanti e significativi consigli, sono le stesse persone che si scagliano spesso e volentieri, lodevolmente ma senza una reale cognizione di causa, contro la cosiddetta “dittatura dell’ignoranza” e contro il vilipeso sistema della cosiddetta “ignorantocrazia”: come la mettiamo, come si può trovare un equilibrio all’interno della normalità di un regime tutto squilibrato? Per trovare un equilibrio - sulla scorta dei paradossi che fanno da supporto alla nostra riflessione - bisognerebbe porsi la domanda fondamentale: come è possibile pensare che un popolo [quello italiano, quello europeo, quello di tutto il villaggio globale] che si trova ad avere la maggioranza della popolazione adulta [e i numeri li abbiamo già dati] in condizioni di analfabetismo, possa, come per miracolo, “darsi alla cultura” senza che le persone abbiano acquisito i necessari strumenti per poterlo fare, e che solo la Scuola - quando s’impegna a diventare il luogo dell’apprendistato cognitivo - può dare? “La gente di cultura” [e utilizzo genericamente e con affetto questa dicitura impropria sapendo che sarebbe necessario fare delle precisazioni] ha una visione enfatica della realtà [così come ce la presenta la televisione], e non conosce per insipienza, o fa finta di non conoscere per convenienza, la verità delle cose per quanto riguarda il livello, da tempo decrescente, delle cosiddette “competenze di cittadinanza” del popolo italiano, europeo e di tutto il villaggio globale [gli ultimi dati che abbiamo dato sono del dicembre dell’anno scorso]. Questo atteggiamento favorisce il manifestarsi di quel fenomeno [che abbiamo già evocato e che evocheremo ancora e che viene sempre citato sottovoce, per ora] che si chiama “dittatura mondiale dell’ignoranza”, un fenomeno deleterio che consolida le basi di uno stato di fatto, ancora poco conosciuto [sebbene descritto, in questi ultimi cinquant’anni, in molti Saggi e Trattati].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Voi come vi siete organizzate e organizzati per scandire il tempo, sospeso e dilatato, della quarantena?...
Scrivete quattro righe in proposito, ormai si tratta di compiti per le vacanze...
I paradossi - utili per mettere a fuoco il tema della mancata acquisizione del diritto all’Apprendimento permanente delle cittadine e dei cittadini adulti del villaggio globale - rimandano, nella sostanza, alla riflessione su “il problematico tema della verità” che troviamo già ben esplicitato nei Saggi di Montaigne e nei Pensieri di Pascal, due opere che ci hanno accompagnato in questo viaggio anomalo e che continuano ad accompagnarci. Proviamo - come ci ha insegnato anche il signor Palomar - a mettere un piede nei Saggi di Montaigne e l’altro piede nei Pensieri di Pascal ragionando su una verità non dichiarata e sempre omessa.
Montaigne e Pascal, nelle loro Opere, ci fanno riflettere sul fatto che esiste il tema del “problema della verità”, e perché parlano di “problema” e non semplicemente di “verità”? Perché, per prima cosa, bisogna sapere che cos’è la verità, e bisogna arrivare di volta in volta a conoscerla evitando errori di fatto, errori di logica, rimozioni e illusioni emotive. Veniamo al dunque: quando si annunciano i dati preoccupanti sull’analfabetismo in Italia, in Europa e nel Mondo la reazione di chiunque ascolti viene espressa con l’affermazione: «Ma non è possibile che questa sia la situazione!»? E questo succede anche per paradosso quando la persona che sta facendo questa affermazione sa di trovarsi in grande difficoltà ad ascoltare, a capire, a leggere, a scrivere e a far di conto. Ma è vero! È un dato di fatto inequivocabile che nel villaggio globale 85 persone adulte su 100 [in Italia 81, in Europa 76] sono prive delle cosiddette “competenze di cittadinanza” necessarie per stare nella società in cui queste persone vivono perché sono incapaci di ascoltare, di capire, di leggere, di scrivere, di far di conto e questa situazione pone la singola persona nell’impossibilità di informarsi correttamente e di decidere [è preda di qualunque sirena imbonitrice].
Su questa verità i mezzi d’informazione - per loro stessa natura - latitano ed espongono un quadro menzognero: in televisione, e nella società in generale [diceva Ennio Flaiano cinquant’anni fa: «Come sarà l’Italia fra cinquant’anni non lo deciderà nessun governo, lo deciderà la televisione», e purtroppo Flaiano ignorava che, per un lungo periodo, il governo e la televisione sono stati persino la stessa cosa!], ebbene, in televisione, e nella società in generale, si parla di Libri come se tutti leggessero [in Italia legge il 13% della popolazione adulta, nel Mondo una persona adulta su sei è totalmente analfabeta], i social presentano la scrittura come se la minoranza schizofrenica, che spedisce messaggi di poche parole in continuazione sulla rete, fosse la totalità scrivente del genere umano [in Italia fa uso abituale della scrittura l’11% della popolazione adulta, nel Mondo il 7%]. Questa situazione è causata, e a sua volta causa, la generale iper-semplificazione del linguaggio [una vera e propria pandemia disastrosa della quale tutte e tutti gli esperti denunciano la gravità perché lo sviluppo del linguaggio è direttamente collegato allo sviluppo del pensiero], la povertà di linguaggio è un fenomeno in crescita che provoca la costante diminuzione della capacità di conoscenza, di comprensione, di applicazione, di analisi, di sintesi e di valutazione con la relativa inibizione delle attitudini necessarie all’Apprendimento delle cittadine e dei cittadini del pianeta. Quindi, nonostante le molte e frequenti e ben documentate indagini, si continua a ignorare [ignoranza per ignoranza] che esistono in Italia, in Europa e nel Mondo [a livello di pandemia] enormi aree caratterizzate dall’analfabetismo, preoccupanti scenari nei quali il fenomeno dell’ignoranza [della ridotta capacità di apprendimento] riguarda anche chi possiede un titolo di studio medio-superiore o una laurea [uno su cinque nel Mondo]: questa situazione produce un fenomeno che prende il nome di “vita a bassa tensione intellettuale”, una vita in cui la possibilità di percezione e di comprensione della realtà in tutti i suoi aspetti, spesso complessi, risulta inibita, vietata, impedita, frenata. Un diritto - quello all’Apprendimento permanente - che, se viene disatteso, come sta succedendo in tutto il Mondo, procura [e sia ben chiaro che voglio fare questo ragionamento senza sottovalutare i danni della pandemia che stiamo vivendo, non vorrei si pensasse che sto divagando e che non sono più in grado di trovare la via maestra del nostro Percorso di studio] se questo diritto - il diritto all’Apprendimento permanente - viene disatteso, procura la diffusione del virus che fa più vittime sulla faccia della Terra [e parliamo di un fenomeno ampiamente documentato in particolare dall’Unesco], una diffusione che non si è mai fermata perché non è mai stata adeguatamente contrastata: la diffusione del virus dell’ignoranza [e la ridotta capacità di apprendimento ha una ricaduta negativa sull’Umanità che fa scandalo!], un virus che costringe la persona a subire pesanti danni e gravi perdite materiali, morali e spirituali! Un virus, quello dell’ignoranza, che - come ci ricordano Montaigne e Pascal nelle loro Opere - produce un morbo pernicioso perché, prima di tutto, ostacola la diffusione e la libera circolazione dei valori dell’Umanesimo: l’uguaglianza, la pace, la giustizia, la solidarietà, la misericordia. E, quindi, non possiamo oggi non domandarci se sia possibile tollerare che la libera circolazione e l’ampia diffusione di questo virus possa avvenire in un tempo che siamo solite e soliti definire “normale” e che è condizionato dai due fenomeni [che ho già citato e che voglio citare ancora perché si fa finta che non esistano]: “la dittatura dell’ignoranza” e “l’ignorantocrazia”. Su questi due fenomeni, che descrivono due aspetti della stessa realtà, esiste [come abbiamo già detto, ma lo ripeto] un lungo elenco di indagini, condotte a livello internazionale in questi ultimi cinquant’anni, contenute in Saggi e Trattati sistematicamente ignorati, senza dimenticare le numerose Opere letterarie, in specie romanzi, che, da mezzo millennio, trattano il tema della diffusione del virus dell’ignoranza coniugato con quello dell’imbecillità. Non possiamo non domandarci [come si domandano molte persone in questi giorni]: è questo “il tempo normale” a cui vogliamo tornare - il tempo della “dittatura dell’ignoranza” e della “ignorantocrazia” - sapendo anche che un vaccino per combattere il virus dell’ignoranza esiste già: lo studio, perché lo studio è cura?
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Ogni tanto è necessario rileggere Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana, anche perché questo Scritto – in linea con i ragionamenti che stiamo facendo - è stato più denigrato che accolto con il dovuto interesse...
Sto divagando, mi sto ripetendo? Mi sarò pur perso ma non mi sono discostato dalla via che porta dal secolo della Scienza [il ‘600] a quello dei Lumi [il ‘700] perché, come voi sapete, tutti i personaggi che abbiamo incontrato hanno denunciato con le loro Opere, ciascuno con il proprio stile, i danni provocati, nella società in cui hanno vissuto, dal virus dell’ignoranza che intacca prima di tutto il concetto de “la dotta ignoranza” [la consapevolezza di sapere di non sapere] e, dopo mezzo millennio circa, siamo ancora qui a domandarci quanto questa situazione incida negativamente su “la condizione umana”.
E, forse, ora, state dicendo: «Ma che razza di Lezione è questa, e quando inizia l’itinerario vero e proprio? Sono già passate due ore!», ebbene, quante ore sono passate [o quanti secoli] da quando stavo dicendo che l’elemento con cui si può sintetizzare il pensiero del Seicento - soprattutto per merito delle Opere di Montaigne e di Pascal - corrisponde all’espressione: “condizione umana”? Nella Storia del Pensiero Umano del Seicento le pensatrici e i pensatori dichiarano che la persona - qualunque sia la sua posizione nella società - dovrebbe essere in grado di interrogarsi e di riflettere sulla sua “condizione”, e uno degli aspetti fondamentali - presente in tutte le Opere della Storia del Pensiero Umano del Seicento [della modernità] - riguarda il fatto che “la condizione umana” [e oggi è ancora esattamente così] è fortemente influenzata, vincolata e subordinata al mancato riconoscimento del diritto-dovere delle persone all’Apprendimento, e allora, in proposito, torniamo a Port-Royal [bisogna perdersi per ritrovarsi?] e diamo inizio alla Lezione.
Le riflessioni che seguono - sulla via di quest’ultimo itinerario del nostro viaggio - si rifanno all’opera di Antoine Arnauld e Pierre Nicole [pubblicata nel 1662] che raccoglie i programmi delle Piccole Scuole di Port-Royal e che s’intitola Arte di pensare o Logica di Port-Royal, e Port-Royal è come ben sapete uno dei Laboratori intellettuali di eccellenza della Storia del Pensiero Umano del Seicento [e di ogni epoca]. La Logica di Port-Royal c’insegna e ci fa riflettere su una serie di principi generali [di stringente attualità] riguardanti il tema de “la condizione umana” a cominciare dal fatto che la persona porta all’interno di se stessa il mondo fisico, il mondo chimico, il mondo vivente e, nello stesso tempo, però, la persona, è separata da questo mondo [fisico-chimico-vivente] e ciò che separa la persona dal mondo naturale [come insegnano anche Montaigne e Pascal] è il suo pensiero, è la sua coscienza, è la sua intelligenza. La Logica di Port-Royal c’insegna e ci fa riflettere sul fatto che la persona è depositaria di una doppia condizione: naturale e meta-naturale.
Pascal, allievo di Port-Royal, nei suoi Pensieri scrive che: «Per conoscere l’umano non bisogna separarlo dall’Universo, ma situarvelo» e, quindi, quando la persona si domanda “chi sono io?” non può non domandarsi, di conseguenza, “dove sono, da dove vengo, e dove vado?”. Pascal risponde che «noi ci troviamo tra due infiniti, tra l’Essere e il Nulla» ma, da scienziato, Pascal pensa anche che l’essere umano si trova collocato tra la microfisica [l’infinitamente piccolo, come il virus regale che ci tiene in scacco] e l’astrofisica [l’infinitamente grande]. Scrive Pascal, allievo di Port-Royal: «Noi viventi, noi umani siamo figli delle acque, della Terra, del Sole, siamo un bruscolo della dispersione, una goccia della diaspora cosmica, siamo qualche briciola dell’esistenza solare. Un piccolo germoglio del germogliare dell’esistenza terrena. Come possiamo credere di essere diventati padroni dell’Universo senza capire che questa credenza ci rende schiavi di noi stessi? » [Ce ne siamo accorte e accorti nel corso di questi ultimi tre mesi?]. La Logica di Port-Royal c’insegna e ci fa riflettere sul fatto che gli esseri umani sono contemporaneamente dentro e fuori la Natura per cui sono allo stesso tempo cosmici, fisici, biologici, culturali, cerebrali, spirituali ed è paradossale il fatto, si legge nella Logica di Port-Royal, che: «sebbene gli esseri umani siano figli del cosmo, a causa della loro stessa umanità, della loro ragione, della loro mente, della loro coscienza, sono diventati stranieri rispetto al cosmo dal quale sono nati, e mentre il pensiero gli fa conoscere questo mondo fisico, contemporaneamente, li fa allontanare da esso, e il fatto stesso di considerare razionalmente e scientificamente l’Universo li allontana e li separa da lui».
La Logica di Port-Royal c’insegna e ci fa riflettere sul fatto che l’essere umano è diventato consapevole di aver asservito la Natura animale e vegetale, e ha pensato di essere diventato il padrone e il possessore dei beni della Terra e del Cielo, senza rendersi conto - nell’euforia causata dal possesso - che la qualità della vita dipende fondamentalmente dalla biosfera terrestre e, quindi, dobbiamo riconoscere la nostra identità terrena, un’identità molto fisica e molto biologica perché questa è la vera identità di ogni persona. I programmi delle Piccole Scuole di Port-Royal prevedono che la persona debba imparare a investire in intelligenza per apprendere che “la Terra è la patria degli esseri umani”, per apprendere che la Terra non è la somma di “un pianeta fisico più una biosfera più l’umanità” ma che la Terra è una totalità complessa: fisica, biologica e antropologica. A Port-Royal si studia per apprendere che la vita è un’emergenza della storia della vita terrestre e, quindi, è necessario che la persona apprenda che la sua relazione con la Natura non può essere concepita in maniera disgiunta perché l’Umanità è un’entità planetaria e biosferica. La didattica delle Piccole Scuole di Port-Royal - basandosi su questi principi generali [e vi invito a rileggere il punto 5 del REPERTORIO per capire come i governanti dei grandi paesi del Mondo agiscano come membri dell’ignorantocrazia, con una mentalità predatoria] - la didattica delle Piccole Scuole di Port-Royal [e devo forse farvi notare quanto è lungimirante questo pensiero?] opera con l’obiettivo di realizzare il pieno impiego dell’intelligenza di ogni persona stimolando la facoltà più viva della mente umana: la curiosità, per cui la prassi dell’insegnamento si propone di attivare l’attività cognitiva della persona proponendo di costruire “una trama personalizzata” rispetto ai “repertori proposti” in modo da far scaturire una gamma di risoluzioni più ampia possibile riguardo ai temi fondamentali della condizione umana. Per favorire lo sviluppo dell’intelligenza la didattica delle Piccole Scuole di Port-Royal prevede sempre di legare il suo esercizio al dubbio, che è il lievito di ogni attività critica e permette di “ripensare il pensato” e di dubitare del dubbio stesso. Inoltre lo sviluppo dell’intelligenza deve far appello al buon uso della logica [la Logica di Port-Royal] che si coltiva, soprattutto, attraverso “la scrittura”, l’attività che permette l’arte dell’argomentazione e della discussione e che comporta un particolare tipo di intelligenza che i Greci chiamavano “métis” e che mette insieme una serie di fruttuose attitudini mentali: l’intuizione, la previsione, l’elasticità, l’attenzione, il senso dell’opportunità, e quella che viene chiamata “serendipità” cioè “l’arte di trasformare un dettaglio apparentemente insignificante in un oggetto completo e compiuto” [téleios, in greco], tenendo conto che “ogni frammento di conoscenza” [ogni dettaglio] chiama in causa sempre contemporaneamente molte discipline: la matematica, la scienza, la geografia, la storia, la letteratura, la poesia, l’antropologia culturale, e via dicendo. Ciò significa che “una testa ben fatta” è una testa adatta a organizzare e a trasformare repertori di conoscenze in nuove trame, in modo da evitare la loro sterile accumulazione perché “ogni conoscenza è una traduzione”, è “una nuova ricostruzione” che produce nel pensiero nuove rappresentazioni, nuovi discorsi, nuove teorie, nuove idee, nuove parole-chiave, nuovi modi per organizzare le conoscenze stesse.
Voi sapete che le Piccole Scuole di Port-Royal dal 1660 sono state chiuse d’autorità, con l’uso della violenza, su ordine del monarca assoluto Luigi XIV, il Re Sole, perché chi gestisce il potere in ogni epoca non gradisce che si rifletta sul tema de “la condizione umana” [e, in proposito, funzionano benissimo i sistemi di distrazione di massa per mantenere l’ignoranza generalizzata] e, soprattutto, chi gestisce il potere non tollera che la persona possieda gli strumenti necessari per “imparare a imparare” in modo che possa compiere un’appropriata riflessione su questo tema che va necessariamente preso con Filosofia: l’esortazione a “prenderla con Filosofia” è sempre giunta puntuale alla fine delle nostre ultime Lezioni e, naturalmente, è persino superfluo chiarire che questa esortazione non va presa nel verso del luogo comune per cui “il prenderla con filosofia equivale a fregarsene, a non darsi pensiero”, ma la raccomandazione, il consiglio, l’esortazione, è orientata a utilizzare il tempo non per liberarsi dai pensieri ma “per dare spazio al pensiero”.
Questa è, senza dubbio, una buona raccomandazione che voi potete fare al vostro prossimo perché questa affermazione - “dare spazio al pensiero” - è diventata per noi un programma da seguire nel tempo, un tempo in cui abbiamo continuato a ribadire, nel corso degli anni, che “lo studio è cura” perché è lo studio a far sviluppare il pensiero umano, ed è il pensiero umano a generare la filosofia, e la filosofia [secondo una definizione corrente nei nostri programmi di viaggio] è “la vita che si prende cura di sé per far germogliare, far crescere, far fiorire e far fruttificare la saggezza”, ma la saggezza presuppone la consapevolezza che, per prendere la vita con filosofia, è necessario dedicarsi ad un permanente apprendistato cognitivo.
E, a questo proposito [per dedicarsi ad un permanente apprendistato cognitivo], quando avremo delle notizie più precise, e visto che la nostra rete tecnologica sta funzionando, prossimamente riceverete il Programma con il Calendario del prossimo viaggio che secondo la tradizione dovrebbe partire la seconda settimana di ottobre ma [come voi ben capite] il condizionale è d’obbligo.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il principale compito per le vacanze consiste nel rimanere in ascolto della voce della Scuola per ricevere notizie attraverso la posta elettronica in funzione della prossima partenza…
E, per quanto riguarda il signor Palomar [che ci ha accompagnate e accompagnati a furor di popolo in questo viaggio, e interpretate questo “furor” come meglio credete!], anche oggi, in nome della serendipità, leggiamo solo il frammento di un brano che potete leggere per intero per conto vostro. Il testo di questo frammento si commenta da sé
LEGERE MULTUM….
Italo Calvino
Palomar
L’universo come specchio
Il signor Palomar soffre molto della sua difficoltà di rapporti col prossimo. Invidia le persone che hanno il dono di trovare sempre la cosa giusta da dire, il modo giusto di rivolgersi a ciascuno; che sono a loro agio con chiunque si trovino e che mettono gli altri a loro agio; che muovendosi con leggerezza tra la gente capiscono subito quando devono difendersene e prendere le loro distanze e quando guadagnarsi la simpatia e la confidenza; che danno il meglio di sé nel rapporto con gli altri e invogliano gli altri a dare il loro meglio. «Queste doti, - pensa Palomar col rimpianto di chi ne è privo, - sono concesse a chi vive in armonia col mondo. A costoro riesce naturale stabilire un accordo non solo con le persone ma pure con le cose, con i luoghi, le situazioni, le occasioni, con lo scorrere delle costellazioni nel firmamento, con l’aggregarsi degli atomi nelle molecole. A chi è amico dell’universo, l’universo è amico. Potessi mai, - sospira Palomar, - essere anch’io cosi!». Decide di provare a imitarli. …
E il signor Palomar ci ha fatto diventare un po’ più amiche e amici dell’Universo, «Per conoscere l’umano [scrive Pascal] non bisogna separarlo dall’Universo, ma situarvelo». Per la prima volta, dopo 36 anni di attività, il nostro Percorso non termina con una Lezione inserita, secondo la tradizione, in un incontro conviviale: non termina con una festa, una manifestazione sobria ma assai gustosa, della quale immagino sentiate la mancanza, un sentimento che coincide con il disappunto per la pur necessaria e doverosa chiusura della Scuola.
E io provo più che mai disappunto nei confronti della pandemia perché mi è costata molto cara: io [come sapete] - per mantenere la lucidità necessaria per la Lezione - non ho mai mangiato e bevuto quasi nulla durante le feste di fine anno scolastico però mi sono sempre stati donati tutti gli avanzi: una ricchezza straordinaria di cibarie succulente che, con la collaborazione del mio, per quanto piccolo, congelatore, hanno fatto sì che per me la festa continuasse ancora a lungo, ben oltre la fine della Scuola fin nel cuore dell’estate!
E alla fine [ed era ora che questo itinerario arrivasse alla fine, sono i danni della pandemia] mi auguro che la pausa estiva serva per rafforzare in noi la convinzione che “non bisogna mai perdere la volontà d’imparare” e, per soddisfare questa necessità costitutiva della persona, spero che a ottobre, salvo imprevisti, si possa ripartire riprendendo il cammino [per la 37esima volta] da dove ci siamo dovute e dovuti fermare. Ed è un bene che la Scuola torni ad occupare i suoi spazi e voi, intanto, fate il compito assegnato: rimanete in ascolto della voce della Scuola per ricevere le notizie utili in funzione della prossima partenza.
E per concludere [come è tradizione] vi auguro una buona vacanza di studio perché: lo studio è cura! Un abbraccio a tutte e a tutti voi, nell’ambito di quel significativo paradosso che consiste nel mantenere le distanze restando uniti.
E, mandandovi l’istituzionale bacio accademico [che non contamina], vi dico: «A risentirci prossimamente!»…