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IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA Si CELEBRA NELLA ZONA GRIGIA DEL TERRITORIO SECENTESCO, A TEATRO ...

Lezione N.: 
1

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi  

La sapienza poetica e filosofica dal secolo della Scienza a quello dei Lumi  II    12 - 19 ottobre 2020

IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA Si CELEBRA

NELLA ZONA GRIGIA DEL TERRITORIO SECENTESCO, A TEATRO ...

     Ben tornate e ben tornati a Scuola!

     Prima di poter prendere il passo da Parigi alla metà del Seicento da una metaforica zona grigia, Anche l’inconsueto Percorso di studio di quest’anno ha inizio con la celebrazione del tradizionale e ripetitivo “rituale della partenza” perché questa esperienza didattica ha assunto, in termini allegorici, le caratteristiche di un viaggio, e non c’è viaggio che non inizi con la partenza.

     Poi si è anche consolidata la tradizione [e le tradizioni hanno il loro valore se servono per dare maggiore qualità al pensiero] di domandare a voi se, durante la vacanza [e quest’anno la vacanza è stata lunga, è durata più di sette mesi], avete fatto uno o più viaggi [lo so che quest’anno era difficile viaggiare e, quindi, perfino più desiderabile, ed è possibile che abbiate fatto viaggi brevissimi, o magari con la fantasia] con la relativa “doppia partenza”: quella dell’andata e quella del ritorno, quindi, anche quest’anno, il 37° di questa esperienza didattica, pensiamo sia di buon auspicio [e di buoni auspici ne abbiamo bisogno] riflettere in proposito. E, in proposito, potete mette gli occhi sul punto 1. …del REPERTORIO …

     Questo Percorso di studio ha, come abbiamo detto, in chiave allegorica, le caratteristiche di un viaggio e, come molte e molti di voi sanno, vale sempre la pena ripetere che, dal punto di vista filologico, la lingua greca [come può essere definita “morta” una lingua che mira ad essere significativa, espressiva, indicativa, efficace, eloquente?] puntualizza e distingue tra il viaggio di andata [poreìa] e quello di ritorno [nostos], utilizzando due termini diversi perché “l’andare” [poreìa, come il virgiliano viaggio di Enea] e “il ritornare” [nostos, come l’omerico viaggio di Ulisse] rappresentano due situazioni differenti: una cosa è partire per andare [poreìa] e altra cosa è partire per tornare  [nostos].

     Di queste due situazioni ne avete certamente fatto esperienza, ebbene, portatele sul terreno della Filologia, una disciplina che ci accompagna nella comprensione del mondo a detta di un certo Lorenzo Valla)]. E la nostra partenza: è quella di un viaggio di andata o di un viaggio di ritorno [è di carattere virgiliano o omerico]?

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Avete fatto un viaggio [o più di uno] nel corso di questa particolare vacanza: verso dove?...

Con quale motivazione avete viaggiato?… 

Scrivete quattro righe in proposito…

     Anche se il nostro viaggio quest’anno segue un andamento particolare [di resistenza], tuttavia, mantiene la sua natura e gli obiettivi che gli sono propri e, quindi, ogni itinerario, ogni Lezione, che faremo continua a procedere sotto forma di “un ragionamento progressivo”: che cosa significa? Significa che ogni Lezione si configura come un itinerario didattico che ricalca l’attività del nostro intelletto perché l’intelletto è lo strumento mediante il quale si sviluppa il processo dell’Apprendimento, un procedimento che, come ben sapete perché lo abbiamo sempre ripetuto in tutti questi anni, si concretizza facendo entrare in attività le sei principali azioni [le azioni cognitive] attraverso le quali s’impara, e la persona impara attraverso sei azioni principali: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare. Durante ogni itinerario, che di mese in mese percorreremo, faremo in modo di attivare la dinamica delle azioni cognitive attraverso le quali si sviluppa l’Apprendimento, cercando di governare la loro potenzialità tenendo conto che la scansione delle azioni dell’Apprendimento non ha un andamento regolare - non è che prima si conosce poi si capisce poi ci si applica poi si analizza poi si sintetizza e infine si valuta - ma le sei principali azioni cognitive, accompagnate da altre quaranta azioni di supporto, interagiscono simultaneamente nella nostra mente e noi dobbiamo essere il più possibile consapevoli del funzionamento di questo meccanismo straordinario che è “l’imparare”. L’obiettivo fondamentale per cui è utile frequentare la Scuola [per tutto l’arco della vita, come afferma l’Articolo 34 della Costituzione] è quello di “imparare a imparare”, è quello di saper amministrare la nostra capacità cognitiva [la Scuola - sede dell’apprendistato cognitivo - più che ad imparare cose serve a imparare come s’imparano le cose], la Scuola opera per far acquisire alla persona la competenza necessaria a investire in intelligenza, e l’investimento in intelligenza corrisponde all’attività con la quale s’impara ad apprendere. Il tradizionale “rituale della partenza” che stiamo celebrando si configura come un rito liturgico [e quando sentiamo la parola “liturgia” pensiamo subito a qualcosa di religioso ma il termine “lei tòur gos”, in greco, è prettamente laico e significa “opera di pubblica utilità”]: come sapete le liturgie sono cerimoniali ripetitivi anche e proprio perché “le opere di pubblica utilità” [le liturgie] hanno bisogno di una manutenzione continua, e il nostro intelletto [l’intelletto di ogni cittadina e di ogni cittadino] ha bisogno di una manutenzione continua [persistente, ricorrente, assidua] perché è l’intelletto di ogni persona il bene culturale più prezioso da salvaguardare.

     E allora: in che modo procede, sul piano didattico, il nostro cammino?

     Nel corso di ogni tappa di questo viaggio [come abbiamo già detto molte volte, ma la liturgia della partenza impone una ripetizione e la ripetizione è parte integrante dell’attività di studio] ci eserciteremo a “conoscere” [prima azione cognitiva propedeutica dell’Apprendimento] le parole-chiave più rappresentative [una o due] della Storia del Pensiero Umano. Ci eserciteremo a “capire” [seconda azione cognitiva propedeutica dell’Apprendimento] le idee più significative elaborate nel corso della Storia dell’Umanità. Ci “applicheremo” [terza azione cognitiva propedeutica dell’Apprendimento] nell’esercizio del leggere e dello scrivere (a questo proposito avete in mano e sotto gli occhi il fascicolo del REPERTORIO E TRAMA ...  che è lo strumento che ci consente - e, in questo momento, state facendo questo esercizio - di orientarci meglio sul nostro cammino per favorire l’azione del conoscere e del capire, e, inoltre, ci propone un compito, per favorire l’azione dell’applicarci nell’uso dell’analisi, della sintesi e della valutazione). Ci eserciteremo ad “analizzare” [quarta azione cognitiva propedeutica dell’Apprendimento], e “analizzare” significa riflettere per mettere in ordine i pensieri che a flusso continuo affiorano nella nostra mente attraverso la TRAMA proposta dal REPERTORIO ...  [il nostro cervello produce pensieri in continuazione se non impariamo ad ordinarli la nostra diventa una testa ben piena, con una mente intasata]. Ci eserciteremo a “sintetizzare” [quinta azione cognitiva propedeutica dell’Apprendimento], e “fare la sintesi” significa “mettere per iscritto” un nostro pensiero perché scrivere quattro righe al giorno [per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare] serve a fluidificare l’attività dell’apprendimento. Infine dobbiamo esercitarci a “valutare” [sesta azione cognitiva propedeutica dell’Apprendimento], ad “auto-valutare” l’andamento del nostro cammino intellettuale, e il dispositivo dell’auto-valutazione è legato allo svolgimento del “compito” che - sebbene facoltativo - la Scuola propone di eseguire invitando ciascuna e ciascuno di noi a utilizzare il fascicolo del repertorio E TRAMA ... in un tempo che va dai dieci minuti alle due ore al giorno nell’intervallo tra un itinerario e l’altro.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il materiale riguardante tutta l’attività didattica messa in atto in questo Percorso lo si trova contenuto su due siti: www.inantibagno.it e www.scuolantibagno.net

Sui siti trovate il testo integrale della Lezione e potete ascoltare la registrazione della Lezione stessa; c’è inoltre una pagina facebook intitolata “a scuola con Giuseppe”... 

Questi strumenti sono utili per favorire l’attività di studio, utilizzateli...

     Il tradizionale e ripetitivo, ma inevitabile rituale della partenza è una procedura che ci propone [e sempre ci ha proposto in questi anni] una riflessione su come si possa favorire l’attività dello studio e sappiamo purtroppo che, sebbene “lo studio” sia sinonimo di “cura” [e questa parola di questi tempi è all’ordine del giorno e ogni essere umano aspira - o dovrebbe aspirare - a prendersi cura di sé], lo studio è un’attività disattesa dalla stragrande maggioranza della popolazione adulta [in Italia il disagio cognitivo è all’81%, in Europea al 76% e nel Mondo all’85%]. Durante il viaggio scorso, prima che s’interrompesse, abbiamo viaggiato come ricorderete in compagnia di Blaise Pascal: per Pascal [così come per Montaigne, in compagnia del quale abbiamo viaggiato due anni fa] l’obiettivo dell’Apprendimento non è quello di immagazzinare nozioni [le nozioni sono importanti e dobbiamo ritenerne un certo numero] ma l’obiettivo dell’Apprendimento consiste nell’esercitare la mente all’ascolto, alla selezione, alla catalogazione e alla penetrazione in profondità [utilizzando, scrive Pascal, “lo spirito di finezza”, come abbiamo studiato l’inverno scorso] perché «il compito della Scuola consiste nel favorire la formazione di teste ben fatte piuttosto che di teste ben piene» [e questa affermazione, che conosciamo a memoria e che continua ad essere di grande attualità, la si trova - come sapete - tanto nei Saggi di Montaigne (1580) quanto nei Pensieri di Pascal (1669)].

     Fa parte del tradizionale rituale della partenza [che stiamo celebrando] anche la conoscenza dei risultati del tradizionale Questionario di fine anno. Il Questionario [come ricorderete, compilato per posta elettronica] conteneva dieci proposizioni tratte proprio dai Pensieri di Pascal relative alla questione fondamentale di stringente attualità che fa da filo conduttore della sua opera: Pascal afferma che, di fronte ai temi esistenziali, la persona non deve essere indifferente [l’indifferenza è per Pascal uno dei peccati più gravi] ma è bene che la persona agisca, giudichi, sappia distinguere, maturi una convinzione, capisca, pensi, trovi, si domandi, sia consapevole, aspiri, coltivi [e non si lasci condizionare dal sistema di distrazione di massa che costringe la persona a non pensare].

     Il Questionario di fine Percorso dell’anno scolastico 2019-2020, al quale hanno risposto per via telematica 102 persone, riportava un riquadro contenente un catalogo formato da dieci proposizioni tratte dai Pensieri di Pascal relative al tema della riflessione sulla condizione umana: infatti la Storia del Pensiero Umano del Seicento è caratterizzata come sapete dalla riflessione sul tema della “condizione umana” [«Come deve vivere la persona perché possa aspirare a trovarsi in pace con l’Universo e con se stessa?» si domandano tanto Montaigne quanto Pascal].

     I risultati del Questionario di fine Percorso come potete vedere sono stati disposti su un riquadro che riporta - secondo la grandezza dei caratteri - la quantità di consensi che hanno avuto le dieci proposizioni …

Le parole gentili non costano nulla,tuttavia ottengono molto.

Le persone non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza,

hanno deciso di non pensarci per rendersi felici, garantendosi l’infelicità perpetua.

La moltitudine che non si riduce all’unità è confusione, l’unità

 che non dipende dalla moltitudine è tirannia.

L’essere umano è un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla,

ed è ugualmente incapace di vedere il nulla da cui è stato tratto

e l’infinito dal quale è inghiottito.

È assai più bello sapere un po’ di tutto che saper tutto di una cosa.

Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati del passato e dell’avvenire,

così, non viviamo mai, ma speriamo di vivere.

Tutta l’infelicità delle persone deriva da una sola causa, dal non sapere starsene

in pace, in silenzio, a riflettere sulla condizione umana.

Ci può essere qualcosa di più stupido del fatto che un uomo abbia il diritto

di uccidermi perché il suo sovrano ha avuto una lite con il mio,

anche se io non ho litigato con lui?

Non è certo che tutto sia incerto.

Negare bene, credere bene, dubitare bene sono per l’essere umano quel che è il correre per il cavallo

     «Le parole gentili non costano nulla, tuttavia ottengono molto.», questa è la proposizione che ha avuto il maggior numero di consensi, e bisogna domandarsi [non con spirito critico ma con gratitudine per la riflessione che innesca questo risultato] se chi ha fatto questa scelta era consapevole della valenza filologica emergente da questa attestazione perché non si tratta di una garbata affermazione di carattere cortese: Pascal si esprime sempre, oltre che con un preciso intento esegetico, con un tono ironico e, spesso, con scelte lessicali sotto forma di metafora di carattere sarcastico, e la sua scrittura in frantumi è sempre tagliente. L’espressione “le parole gentili” traduce, come è spiegato in nota sul volume dei Pensieri, i termini “les paroles polis”. Pascal - facendo da scienziato una considerazione di carattere tecnologico che gli permette di esprimersi da filosofo - sceglie di affiancare al termine “le parole” il participio passato del verbo “polir” che significa “lucidare, levigare, limare”, ma in senso allegorico - secondo l’uso che Pascal ne vuole fare - significa anche “delucidare, chiarire, spiegare, educare, umanizzare”: di conseguenza, l’espressione “le parole gentili” rimanda a “le parole ben interpretate, ben chiarite, ben spiegate, parole che, attraverso un’adeguata [e illuminante] educazione, possano descrivere bene la condizione umana”. Il fatto che il termine “polis” venga tradotto in italiano con l’aggettivo “gentili” risulterebbe gradito a Pascal perché, da bravo filologo che conosce il lessico [e la rotunditas] di Cicerone, sa che, in latino [la lingua di riferimento delle intellettuali e degli intellettuali del ‘600] la parola “gentilezza” si traduce con il termine “humanitas” che rimanda al termine “educazione” che, a sua volta, rende evidenti i termini “insegnamento, formazione, istruzione, preparazione, coltura, scuola”. Quindi, per tirare le fila, questo ragionamento di carattere etimologico sviluppatosi in ragione delle vostre scelte richiama, secondo lo spirito pascaliano, i programmi delle Piccole Scuole di Port-Royal nei quali [come abbiamo studiato nel Percorso precedente], con un continuo tirocinio riguardante la didattica della lettura e della scrittura, si persegue l’obiettivo di arricchire il repertorio lessicale, grammaticale e sintattico della persona in modo che il suo linguaggio risulti “chiaro, levigato [poli] e, di conseguenza, ben appreso”. E il messaggio essenziale contenuto in questo Pensiero di Pascal [ciò che lui vuol affermare e che ha avuto il maggior numero di consensi] è il seguente: «Le parole che vengono insegnate per ben descrivere in modo chiaro la condizione umana [le parole gentili] sono talmente preziose [non hanno prezzo] perché la parola crea [le parole ottengono molto]». È attraverso la parola che si sviluppa il pensiero, ed è il linguaggio che rende fecondo ogni investimento in intelligenza: il tema della condivisione della parola dovrebbe essere all’ordine del giorno nel momento in cui il linguaggio [sempre più impoverito], a causa di un distorto utilizzo della tecnologia, è diventato un’arma per colpire più che uno strumento per intrecciare relazioni. Questa affermazione pascaliana [scelta a maggioranza] è perfettamente in linea con La Logica di Port-Royal ed è come se facesse da commento a tutti gli altri nove pensieri - disposti nella tabella secondo l’ordine dato dalle preferenze che hanno ricevuto - che contengono tutti la sintetica descrizione di un aspetto particolare della “condizione umana” ed è per questo motivo che sono stati inseriti nel Questionario.

     Poi la proposizione «Le persone non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici, garantendosi l’infelicità perpetua.»: questa proposizione ha raccolto molti consensi perché questo è un tema di grande attualità.

     Poi hanno raccolto un buon numero di preferenze due proposizioni [che si collocano - con brevissimo scarto di consensi - al terzo e al quarto posto] di carattere spiccatamente filosofico e politico ed espresse secondo lo stile tagliente di Pascal [che vuole indurre alla riflessione sulle potenzialità e sui limiti della condizione umana] sotto forma di paradosso e la prima proposizione riguarda il perenne dibattito sul rapporto tra l’Uno e il Molteplice, tra la sintesi e l’analisi: «La moltitudine che non si riduce all’unità è confusione, l’unità che non dipende dalla moltitudine è tirannia.». La seconda proposizione riguarda il continuo dibattito sul rapporto tra il Nulla e il Tutto, tra il vuoto e l’illimitato: «L’essere umano è un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, ed è ugualmente incapace di vedere il nulla da cui è stato tratto e l’infinito dal quale è inghiottito.».

     Poi, sebbene con un minore impatto, hanno raccolto un discreto numero di preferenze con un minimo scarto tra loro quattro proposizioni che invitano a riflettere sulla condizione umana sotto il profilo didattico e della logica [aleggia in esse l’idea che lo studio è cura]: «È assai più bello [afferma Pascal] sapere un po’ di tutto che saper tutto di una cosa.», «Ciascuno [afferma Pascal] esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati del passato e dell’avvenire, così, non viviamo mai, ma speriamo di vivere.», «Tutta l’infelicità delle persone [afferma Pascal] deriva da una sola causa, dal non sapere starsene in pace, in silenzio, a riflettere sulla condizione umana.», «Ci può essere [afferma Pascal] qualcosa di più stupido del fatto che un uomo abbia il diritto di uccidermi perché il suo sovrano ha avuto una lite con il mio, anche se io non ho litigato con lui?».

     Infine, con poche preferenze, troviamo due proposizioni: «Non è certo che tutto sia incerto.» e «Negare bene, credere bene, dubitare bene sono per l’essere umano quel che è il correre per il cavallo.».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Pascal – proprio per le poche preferenze ricevute – ci inviterebbe a riflettere sui temi della “certezza” e della “incertezza”... Oggi quale termine mettereste accanto alla parola “certezza”, e quale termine mettereste accanto alla parola “incertezza”?...  Le persone come Pascal che coltivano “la Logica di Port-Royal” ci incoraggiano a dare visibilità alle parole con la scrittura soprattutto se le parole da scrivere non sono che due!

     Il tema de “la condizione umana” è presente in tutte le Opere filosofiche del Seicento della modernità e nella maggior parte delle opere contemporanee e ora, in proposito, concludiamo la celebrazione [quest’anno molto più breve del solito!] del tradizionale rituale della partenza entrando in relazione con una figura particolare e piuttosto scomoda della quale quest’anno, il 18 novembre, ricorre il decennale della morte: Adriana Zarri [1919-2010], un’autrice che per comporre usa una forma di scrittura elegante e leggera ma anche alquanto tagliente, simile, per certi aspetti, alla scrittura in frantumi di Pascal. Adriana Zarri è stata una teologa [una delle due donne che ha potuto, in veste di teologa, partecipare ai lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II], una polemista che ha condotto tante battaglie molto spesso in contrasto con le posizioni ufficiali della chiesa cattolica, tenendo una posizione molto critica soprattutto nei confronti del clericalismo [e oggi il clericalismo lo denuncia anche il pontefice attuale].

     Adriana Zarri tendeva in modo puntiglioso a mettere in guardia le persone che dissentivano, nei confronti delle Istituzioni ufficiali tanto religiose quanto laiche, a non cadere nel “clericalismo dell’anticlericalismo” e, indubbiamente, era ed è utile riflettere su questa questione. Ma soprattutto Adriana Zarri - ed è in questa veste che noi la incrociamo - è stata dal 1975 un’eremita laica, “una solitaria” che ha vissuto in campagna, spesso in condizioni estreme, allevando animali, curando fiori, lavorando la terra, pregando, contemplando, cantando, leggendo in chiave esegetica e scrivendo: e noi avremo modo di ascoltare la voce di questa “solitaria contemporanea delle colline intorno ad Ivrea” che ha anche incarnato lo spirito di Port-Royal, e Pascal l’avrebbe ascoltata senz’altro con piacere. Il Libro di Adriana Zarri intitolato Un eremo non è un guscio di lumaca raccoglie una lunga serie di brani [noi ne leggeremo solo un certo numero per mancanza di tempo e di spazio] che raccontano, in chiave esegetica [o, se vogliamo, “prendendo la vita con Filosofia attraverso un linguaggio poetico”] la sua esperienza di eremita. Se volete saperne di più di Adriana Zarri potete utilizzare la rete dove trovate molti siti che parlano di lei, delle sue attività e delle sue molte opere, io preferisco, per non perdermi nell’aneddotica, dire le cose essenziali di questo scomodo ma straordinario personaggio che vale la pena conoscere perché c’invita a riflettere su due parole-chiave oggi, in tempo di pandemia, di stringente attualità: solitudine e silenzio.

LEGERE MULTUM….

Adriana Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca

Qualcuno dice che mi sono «ritirata» in un eremo; e io puntualmente reagisco. Un eremo non è un guscio di lumaca, e io non mi ci sono rinchiusa; ho solo scelto di vivere la fraternità in solitudine. E lo preciso puntigliosamente per rispondere all’obiezione che concepisce questa solitudine come un tagliarsi fuori dal contesto comunitario e che - come confonde la comunione con la comunità - confonde anche la solitudine con l’isolamento, la misantropia, la chiusura egocentrica. E invece no. L’isolamento è un tagliarsi fuori ma la solitudine è un vivere dentro. L’isolamento è una solitudine vuota. La mia situazione, invece, è una solitudine piena, cordiale, calda, percorsa da voci e animata di presenze. La solitudine non è una fuga: è un incontro, così come il silenzio è un continuo, ininterrotto dialogo. Non si sceglie la solitudine per la solitudine ma per la comunione, non per stare soli ma per incontrarsi, in un modo diverso.  

continua la lettura ...

     Questa Lettera [di cui ci occuperemo brevemente la prossima volta] - eravamo nel 1975 - non è passata inosservata e ha sollecitato un interessante e serrato dibattito su che senso potesse avere [e ci chiediamo che senso possa avere oggi] una condizione esistenziale fondata sulla solitudine e sul silenzio. Adriana Zarri può essere considerata erede del Pensiero di Port-Royal e il Pensiero di Port-Royal è alternativo nei confronti dell’assolutismo regio, e nel viaggio dello scorso anno abbiamo studiato la storia delle due abbazie, quella medioevale e quella moderna, di Port-Royal [chi vuole sul sito www.scuolantibagno.net può ascoltare la registrazione delle dodici Lezioni del Percorso precedente prima che s’interrompesse].

     Adesso - per poter prendere il passo da Parigi alla metà del Seicento da una metaforica zona grigia - possiamo ricordare che il monastero femminile benedettino di Port-Royal de Paris è stato aperto nel 1625 dalla badessa Mère Angélique [che ha rilanciato lo spirito benedettino secondo il pensiero di Ildegarda di Bingen]: si trovava come ricorderete nel faubourg Saint-Jacques che, sebbene fosse alla periferia di Parigi, era comunque in aperta campagna; le attività principali dell’abbazia [l’allevamento delle pecore e delle oche] servivano per il suo sostentamento e per il sostegno agli indigenti [alle molte persone che non avevano protezione sociale mentre il Re-Sole, in quegli anni, faceva costruire la Reggia di Versailles perché Parigi gli stava stretta]. Quotidianamente c’era una lunga fila di persone all’ingresso del monastero di Port-Royal de Paris dove venivano distribuiti: il latte, la lana, i formaggi e il grasso e le piume d’oca, e ciò infastidiva l’assolutismo regio che spesso mandava le guardie a disperdere gli assembramenti dei questuanti.

     Pascal frequenta regolarmente l’abbazia di Port-Royal [anche per far visita alla sorella che è monaca lì], ma frequentare Port-Royal significa: studiare, meditare e lavorare per attuare programmi di solidarietà verso il prossimo, e questo è il programma dei cosiddetti “solitari di Port-Royal”, un nutrito gruppo di intellettuali [di scienziati cartesiani - avversari dell’assolutismo regio e disgustati dal sistema di distrazione di massa - alla ricerca di spiritualità e di impegno evangelico] che si riunisce intorno all’abate di Saint-Cyran [l’animatore spirituale di Port-Royal]. Il gruppo dei “solitari di Port-Royal” è coordinato da due intellettuali molto attivi nella promozione di iniziative di carattere educativo, Antoine Arnauld e Pierre Nicole, che nel 1645, promuovono come sapete il programma delle “Petites Ecoles” [le Piccole Scuole di Port-Royal, aperte a tutti].

     Il programma delle “Piccole Scuole di Port-Royal” - che nascono con l’obiettivo di insegnare a ciascuna persona a coltivare la propria spiritualità - ha decisamente una base “razionalista” [siamo sulla via che conduce verso l’età dei Lumi]: la bontà, la pietà, la misericordia, l’amore di Dio va perseguito insegnando alla persona a “essere ragionevole”. Solo mediante “la ragionevolezza” [imparando a investire in intelligenza usando in modo opportuno le azioni dell’Apprendimento] la persona può elevare il proprio pensiero, può tonificare il proprio carattere, può sollevarsi dalla miseria e dalla fragilità spirituale. Le “Piccole Scuole di Port-Royal” costituiscono una spina nel fianco del potere assolutistico e, difatti, il Re-Sole [Luigi XIV] prima ne ordina la chiusura, poi perseguita e disperde i solitari e [come sapete] infine, nel 1710, ordina la distruzione delle due abbazie, la medioevale di Port-Royal des Champs e la moderna di Port-Royal de Paris.

      E allora [dopo questa corposa introduzione] prendiamo il passo sulla via che dalla metà del ‘600 porta verso il secolo dei Lumi.

     Dopo quello che abbiamo detto, il pensiero di Port-Royal potrebbe essere allegoricamente dipinto con il colore bianco della purezza evangelica e con quello rosso dello Spirito Santo, invece le classi dominanti europee [francesi in particolare, la nobiltà e l’alta borghesia, siamo a Parigi] preferiscono che sia il colore nero coronato d’oro a rappresentare risolutamente la loro ideologia dispotica. Tra queste due realtà [il pensiero divergente di Port-Royal e l’ideologia dispotica delle classi dominanti] esiste una zona grigia nella quale [come già sapete dal viaggio dello scorso anno, prima che ci dovessimo fermare] si muovono dei personaggi che, pur vivendo nell’ambito della corte e dei salotti dell’aristocrazia, non sono né nobili né alto-borghesi ma appartengono all’area intellettuale [in quanto dediti alla letteratura, al teatro, alla musica e all’arte in generale], i quali captano l’eco proveniente da Port-Royal e, in particolare, sono sensibili alla riflessione sul tema del divertimento utilizzato dai regimi autoritari come strumento di distrazione di massa, secondo il pensiero di Pascal che abbiamo studiato lo scorso anno: costoro prendono coscienza [soprattutto attraverso la risonanza che hanno i testi de Le provinciali di Pascal] di essere coinvolti direttamente nella questione, in quanto, gli uomini di potere [il re, i funzionari di Stato, i membri della nobiltà feudale] pretendono che gli appartenenti all’area intellettuale siano funzionali al sistema di distrazione di massa [producendo opere che divertano e che distraggano sia le classi superiori che quelle inferiori]. Questi intellettuali secenteschi, dediti alla letteratura, al teatro, alla musica e all’arte in generale, nella maggior parte dei casi [sia per non avere grane ma, principalmente, per avere dei vantaggi] si prestano a fornire la loro competenza ma, tuttavia, con le loro opere, cercano [contando sulla loro abilità artistica] tanto di garantire il piacere del divertimento [che dovrebbe distrarre] quanto di non rendere il divertimento solo funzionale all’apparato che tende ad alienare le masse, ma vogliono utilizzare lo strumento del divertimento anche come mezzo per suscitare una riflessione. Per questo motivo, per questa loro ambigua posizione tipica del movimento libertino al quale fanno riferimento, questi personaggi sono stati definiti “enigmatici [nei confronti di Port-Royal] e dissimulatori [in rapporto agli apparati di potere]” perché, pur subendo il richiamo del pensiero di Port-Royal [e dei Pensieri di Pascal], non scelgono di aggregarsi al gruppo dei “solitari” [che conducono, in aperta opposizione con i poteri forti, una vita secondo la regola benedettina]: cercano di inserirsi e di vivere nell’ambito della corte e dei salotti dell’aristocrazia con l’intento, in primo luogo, di trovare una collocazione [facendosi mantenere] all’interno di un ambiente privilegiato in cambio della produzione di opere letterarie [di vario genere: dal teatro alla favola al melodramma] dedicate ai loro protettori, ai quali si rivolgono con spirito di adulazione, però, senza condividerne propriamente la mentalità, sebbene, a parole, facciano finta di approvarla [ed ecco da dove deriva la qualifica di “dissimulatori”], mentre per iscritto [attraverso varie forme di scrittura] trovano, con abilità, il modo per dissimulare, e per colpire, mediante la dinamica della comicità - funzionale al divertimento ma anche finalizzata a far riflettere - tutta una serie di comportamenti spesso grotteschi, tipici dei maggiorenti, che vengono camuffati [e da borghesucci che - sul palcoscenico del teatro - vorrebbero comportarsi come i nobili, e anche, come vedremo, travestiti da animali] in modo che non sembrino propriamente degli uomini di potere ma delle innocue caricature [si coltiva, in chiave moderna, l’arte antica della finzione letteraria].

     E allora diamo inizio al nostro viaggio riprendendo il filo del discorso da dove si è interrotto alla fine dell’inverno scorso [per noi a fine febbraio] a causa del doveroso blocco delle attività e, di conseguenza [per rammendare bene la falla], noi riprendiamo il cammino rispettando il carattere filo-logico [come ci suggeriscono da Port-Royal] che l’attività didattica deve avere.

     Per questo motivo, cominciamo la nostra escursione nella zona grigia del territorio secentesco ripartendo dal colorato mondo del teatro [in modo che la zona grigia si possa vivacizzare] e, a questo proposito, dobbiamo prendere atto [e lo abbiamo già fatto a suo tempo, nel corso degli ultimi viaggi] del fatto che il Seicento è anche il secolo del Teatro, non solo della Scienza, ed è per questo motivo che nei viaggi degli anni scorsi abbiamo avuto a che fare spesso con questo genere letterario.

     Sappiamo che per i fruitori altolocati [come i monarchi, i nobili, gli ecclesiastici] il teatro è sinonimo di “divertimento” mentre per chi il teatro lo fa [lo scrive e lo recita] il divertimento non è il fine del teatro ma è il mezzo per stimolare la riflessione sulla condizione umana che diventa [perché lo è dalle origini] il vero motivo che giustifica l’esistenza del teatro, anche di quello che potrebbe sembrare più becero e più sguaiato come l’antico genere priapeo.

     Il personaggio universalmente conosciuto, almeno di nome, legato alla storia del teatro che stiamo per rincontrare e dal quale prendiamo il passo si chiama Jean-Baptiste Poquelin, detto Molière,

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è una rappresentazione teatrale alla quale avete partecipato in passato e che desiderereste rivedere perché vi ha particolarmente coinvolto, emozionato, divertito?...   

Scrivete quattro righe in proposito...

     Con Molière la nostra attenzione si sposta momentaneamente da Port-Royal al Palais Royal, e che cosa significa trasferire l’attenzione al Palais Royal? [Molte e molti di voi dovreste ricordarlo!]. Ma chi è Jean-Baptiste Poquelin detto Molière?

     Jean-Baptiste Poquelin detto Molière è nato a Parigi il 15 gennaio 1622 [l’anno precedente alla nascita di Pascal] ed è il figlio di un mercante di stoffe che si arricchisce quando, per la sua competenza, viene assunto a corte come “tappezziere” vincendo un appalto di lusso: quindi, il signor Jean Poquelin [nominato cameriere del re] diventa un borghese benestante che avrebbe voluto il figlio al lavoro al suo fianco, ma Jean-Baptiste non intende svolgere l’attività del padre [stare a corte da servitore].

     A dieci anni Jean-Baptiste perde la madre, Marie Cressé, e questo fatto ha lasciato un fondo di tristezza nel suo carattere. Suo nonno materno, Louis Cressé, lo fa appassionare fin da bambino al teatro perché lo porta spesso all’Hotel de Bourgogne [presso il Pont Neuf] dove recitano le compagnie italiane della Commedia dell’Arte, ed è il nonno a spiegargli che il genere del teatro si sarebbe dovuto rinnovare. Jean-Baptiste, che desidera approdare all’esperienza teatrale ma in possesso di una buona preparazione umanistica, è contento quando suo padre [che invece pensa di distrarlo dalla passione teatrale] lo iscrive nel 1635 nel prestigioso Collegio di Clermont [gestito dai gesuiti]; poi Jean-Baptiste frequenta la facoltà di diritto nella rinomata Università di Orleans, ma, quando nel 1641 dopo essersi laureato torna a Parigi, entra in contatto con la compagnia del capocomico napoletano Tiberio Fiorilli detto Scaramuccia [l’inventore del personaggio di Scaramouche] che, con sua moglie, l’attrice palermitana Elisabetta Del Campo [detta Marinetta] sta portando delle innovazioni in teatro e, quindi, la vocazione teatrale di Jean-Baptiste non viene meno [come avrebbe voluto suo padre] ma aumenta e, di conseguenza, dopo aver rinunciato alla carica di tappezziere reale, insieme alla famiglia Béjart [Joseph, Geneviève e Madeleine], nel 1643, fonda la compagnia dell’Illustre-Théâtre che, dopo due anni di attività, fallisce.

     Jean-Baptiste [al quale il padre ha tagliato i viveri] si è molto indebitato nel corso di questa impresa e i creditori lo denunciano per insolvenza e viene condannato a sei mesi di galera, ma dopo tre mesi, Madeleine Béjart, con la quale Jean-Baptiste intesse una relazione, raccoglie il denaro per saldare i debiti e lui ottiene la scarcerazione.

     L’attrice Madeleine Béjart [1618-1672, detta “La rossa” per il colore dei suoi capelli] ha quattro anni più di Jean-Baptiste ed è una persona colta [sa suonare diversi strumenti oltre ad essere una brava ballerina] e sa ben gestire l’attività teatrale: sa interpretare vari personaggi, sa affidare le parti, sa organizzare le prove, sa giudicare la validità dei testi da recitare. Madeleine ha avuto una relazione con Esprit de Raymond de Mormoiron barone di Modène [una sorta di cavaliere di ventura amante delle Lettere e della poesia] dalla quale è nato un bambino [Gaston de Raymond de Modène, futuro barone di Gourdan] e, poco prima di costituire la compagnia de dell’Illustre-Théâtre, Madeleine, molto probabilmente ha partorito una bambina: Armande Béjart. Come sarebbe a dire “molto probabilmente”? Sarebbe a dire che sulla nascita e sulla paternità di questa bambina [si pensa sempre al barone di Modène] non si sa nulla di preciso, e Madeleine ha sempre dichiarato che Armande è sua sorella [e sui documenti c’è scritto che è figlia di Joseph Béjart e di Marie Hervé: il padre e la madre di Madeleine] ma tra Madeleine e Armand ci sono ben ventiquattro anni di differenza, un po’ troppi! Ma di Armande Béjart sentiremo ancora parlare, fra poco, strada facendo.

     Intanto Madeleine e Jean-Baptiste [appena scarcerato] entrano a far parte della “compagnia di giro” del celebre comico Charles Dufresne. I membri di “una compagnia di giro” vivono su carri - e il carro dei teatranti girovaghi, in greco si chiama “scené” [da cui deriva la parola “scena”] - e questo carro funge anche da palcoscenico [secondo la tradizione del teatro greco delle origini, quella del Carro di Tespi]. Per dodici anni Jean-Baptiste viaggia per la provincia francese con questa compagnia che porta in giro i canovacci della commedia dell’Arte nelle aie dei villaggi, nei borghi e sulle piazze delle città [quelle più tolleranti con i teatranti]: Nantes, Bordeaux, Tolosa, Avignone, Lione, Grenoble e Rouen. Questo periodo [dal 1645 al 1657, sconosciuto della sua vita] è stato certamente utile per la formazione come attore e scrittore di Jean-Baptiste.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Già nel viaggio precedente, poco prima di fermarci, siete state invitate e invitati - utilizzando una carta della Francia che trovate su un Atlante geografico [sicuramente presente nella vostra biblioteca domestica] e navigando in rete - a percorrere l’itinerario “Nantes, Bordeaux, Tolosa, Avignone, Lione, Grenoble e Rouen”  sul quale [da aprile a ottobre] si muoveva la compagnia di giro di Charles Dufresne...

Avete fatto qualche esperienza di recitazione?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     La dura e rischiosa vita dei teatranti corrisponde a quello che è stato chiamato “un accattonaggio artistico”: si esibiscono per racimolare appena il necessario per mangiare. Qual è il programma di una compagnia di giro come quella del capocomico Charles Dufresne?

     Una compagnia di giro come quella di Charles Dufresne presenta un programma simile a quello del teatro primordiale [quello ellenico di 2500 anni fa] basato su un genere detto “priapèo”, buono per essere compreso a livello popolare, e basato sull’improvvisazione. Del genere priapèo restano delle citazioni [delle battute salaci] che sono entrate nelle opere degli scrittori di teatro più importanti, soprattutto nei Drammi di Euripide, nelle Commedie di Aristofane e in quelle latine di Plauto. Nel genere “priapèo” l’attore principale interpreta la figura del dio Priàpo [figlio di Dioniso e di una Naiade, cantato negli Epigrammi di Marziale, e che spesso abbiamo incontrato nei nostri viaggi], che è il protettore degli ovili, dei pollai, degli orti, e viene rappresentato [in statuette di terracotta o di legno di fico: ne restano molte in mostra in tanti musei] come un ometto molto brutto, nudo, e con un grande fallo in erezione [ed è il dio che punisce i ladri riducendoli all’impotenza e per questo le sue statuette venivano esposte negli ovili, nei pollai, negli orti: e funzionavano benissimo da antifurto]. L’attore che rappresenta Priàpo appare sulla scena con un travestimento tutto incentrato su un enorme fallo [di cartapesta: ò fascinos, in greco], e si presenta come una figura ridicola e oscena ma anche nostalgica e velata di tristezza. Questo personaggio viene ridicolizzato dal coro e rappresenta [perché, fin dalle origini, il teatro ha un fine catartico] l’individuo vittima dell’ignoranza che, per risolvere i suoi problemi, fa affidamento sulla superstizione; piuttosto che far appello al proprio cervello [al pensiero, ò logos: ragionando con la propria testa], si affaccenda intorno al proprio fallo [ò fascinos] credendolo un amuleto e, quindi, ne nasce una rappresentazione satirica, comica, ma anche velata di tristezza [satira burlesca e riflessione seriosa vanno di pari passo]. Questo tipo di rappresentazione diverte, commuove e attira il popolo, ma a Jean-Baptiste la forma dei canovacci ripetitivi sta molto stretta [pensa sia necessario andare al di là di questo schema]: lui vuole impegnarsi a scrivere delle vere commedie visto che gli strumenti non gli mancano e che, come teatrante, ha già fatto una lunga gavetta.

     Difatti nel 1655, mentre la compagnia di giro di Dufresne, della quale Jean-Baptiste ha preso le redini, sta svernando a Lione, mette in scena alcune sue partiture [Lo stordito, Il dispetto amoroso, Le ridicole] firmandosi con lo pseudonimo di Molière [dal nome, Molières, di un villaggio della Dordogna o in onore dello scrittore François de Molière]: queste rappresentazioni hanno un successo straordinario in tutte le città dove la compagnia fa tappa, e quando, nel 1658, Molière ritorna a Parigi viene invitato dal re, Luigi XIV, un re che vuole divertirsi [vuole distrarsi per rimuovere l’angoscia, dice Pascal]. Molière organizza uno spettacolo per la corte ma, con grande intelligenza, non inizia da se stesso ma la sua compagnia recita, in prima istanza, un’opera seria e impegnativa, la tragedia Nicomède scritta nel 1651 dal celebre drammaturgo Pierre Corneille e, di seguito, presenta una sua farsa, l’atto unico intitolato Il dottore innamorato [Le médicin volant]. Il re si diverte molto, e per la corte Molière diventa un divo: gli viene concesso l’uso della sala del Petit-Bourbon e, poi dall’ottobre del 1660 quella del Palais-Royal.

     Il successo di Molière - in quanto direttore, attore e scrittore - è clamoroso, e lui non si risparmia, e viene sempre protetto da Luigi XIV ogni volta che viene attaccato da molti [soprattutto dai membri della nobiltà] per invidia e per ragioni ideologiche perché Molière, con grande abilità [visto che appartiene alla categoria degli “intellettuali dissimulatori” e intercetta l’eco di Port-Royal sul tema del divertimento come sistema di distrazione di massa], attacca, sebbene non sembri, le istituzioni di potere: Molière vuol far riflettere il pubblico [ci si deve divertire per pensane non per rimuovere il pensiero], e il re-Sole [che si sente dio in terra, ipocrita com’è], si diverte a proteggere Molière «per far rabbia [dice lui] a quelli a cui Molière fa rabbia».

     Molière utilizza gli schemi della commedia dell’Arte [all’italiana del Barbieri e del Secchi] per costruire un moderno teatro popolare, comprensibile a tutti, comico, scritto in prosa, piuttosto che in versi, ricco di contenuti psicologici e sociali. Molière è un acuto osservatore che mette in scena in modo incisivo la società del suo tempo dominata dall’aristocrazia e dalla borghesia, ridicolizzandone tutti i vizi, ma il suo giudizio appare [e qui rivela tutta la sua arte dissimulatoria] sempre cordiale, è come se dicesse in modo giustificatorio “buttiamola in ridere”, ma in questa risata c’è una condanna senza appello nei confronti del malcostume dei maggiorenti: dell’ipocrisia, del perbenismo interessato, del bigottismo, del tartufismo [nascono neologismi perenni] e il personaggio di Tartufo di Molière è un classico: un furfante avido, un finto devoto: questa commedia viene proibita perché gli ecclesiastici [così come i nobili e i borghesi] ci si riconoscono tutti [e non gradiscono]!

     La produzione di Molière è vasta [per le musiche si è avvalso spesso della competenza del musicista Gian Battista Lulli, del quale con l’enciclopedia e sulla rete potete far conoscenza] e i trentuno testi pervenutici delle sue opere teatrali si possono richiedere in biblioteca in modo da poterli leggere perché poi, quando capita l’occasione, si può andare [preparate e preparati] a teatro o al cinema [e anche in rete] per vederli rappresentati [un certo numero di Commedie di Molière sono diventate film].

     Le opere più rappresentate di Molière [quelle che questa sera dovrebbero essere in cartellone] nei teatri di tutto il mondo sono: Le preziose ridicole, La scuola delle mogli e La critica della scuola delle mogli, Tartufo, Don Giovanni o il convitato di pietra, Il misantropo, L’avaro, Il borghese gentiluomo, Le furberie di Scapino, Il malato immaginario.

     La sera del 17 febbraio del 1673 [347 anni fa], al teatro del Palais-Royal, mentre durante la quarta rappresentazione recitava proprio Il malato immaginario, Molière a metà del terzo atto cade in mezzo al palcoscenico e morirà alcune ore dopo [era da tempo malato di tubercolosi], e il pubblico gli tributa l’ultimo caloroso applauso senza sapere che, anche questo teatrante, fa avanzare la Storia del Pensiero Umano sulla strada che porta verso il secolo dei Lumi. Naturalmente [come si usa dire] “lo spettacolo deve continuare” e la compagnia viene diretta per un certo periodo di tempo dalla vedova di Molière: Armande Béjart. Sì perché [come sapete] nel 1662, Molière ha sposato Armande la presunta sorella di Madeleine Béjart che è certamente sua figlia. Armande Béjart nel 1689 partecipa con la sua compagnia [la Maison Molière] alla nascita della Comédie française, un’istituzione sovvenzionata dallo Stato e tuttora in attività.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La Scuola vi ripropone, utilizzando una guida di Parigi e navigando in rete, una visita al Palais-Royal fatto costruire da Richelieu nel 1639 su progetto dell’architetto Le Mercier

Il cardinale vi ha abitato fino alla morte e ha lasciato il suo Palazzo in eredità al re Luigi XIII, ed oggi il Palais-Royal, con il suo giardino, è una vera e propria oasi di pace nel centro parigino e ospita varie Istituzioni tra le quali il Ministero della Cultura...   Fate visita al Palais-Royal...

     Molière occupa “la [cosiddetta] zona grigia del territorio del Seicento” nella quale questo colore, per merito di chi la abita, risulta essere particolarmente luminoso e sulla via che porta dalla metà del ‘600 al secolo dei Lumi l’eco del pensiero di Port-Royal [che invita alla riflessione sul tema del divertimento come sistema di distrazione di massa] influenza i generi letterari a cominciare dal teatro: Molière [come abbiamo imparato questa sera] è un acuto osservatore che mette in scena, in modo incisivo, la società del suo tempo dominata dall’aristocrazia e dalla borghesia, ridicolizzandone tutti i vizi, ma anche chi scrive Tragedie in versi e chi scrive Favole vuole perseguire questo obiettivo.

     Al celebre scrittore Stendhal un giorno viene chiesto: «Chi è il più grande poeta di Francia?» e lui risponde: «Il più grande poeta di Francia è Jean de La Fontaine, l’autore delle Favole». Chi è Jean de La Fontaine [e anche lui intercetta l’eco di Port-Royal]?

     Per rispondere a queste domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare. Probabilmente ricorderete che Jean de La Fontaine, già nel viaggio dello scorso anno, per presentarsi si è sentito in dovere di suggerirci la morale [se di morale si può parlare] di una delle sue Favole che leggeremo nel prossimo itinerario:

«Il saper parlare con voce dolce e con parole belle

 consente a volte di salvar la pelle»

     E, sperando di poter udire voci dolci e di poter sentire parole belle, la Scuola è qui, e il viaggio che ci conduce dalla seconda metà del Seicento al secolo dei Lumi è iniziato e - come da Calendario - ci si rivede:

Lunedì 16 novembre a Firenze [il primo gruppo]

Mercoledì 18  novembre a Bagno a Ripoli

Giovedì 19  novembre a Tavarnuzze

Giovedì 03 dicembre a Firenze [il secondo gruppo]

     [Signori cari e Signore belle! Arrivederci.] …

 

 

 

Lezione del: 
Lunedì, Ottobre 19, 2020