ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»
PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica dalla seconda metà del ‘600 al secolo dei Lumi
Messaggio di Natale dicembre 2020
IL NATALE SI SALVA DA SÈ ...
Care compagne e cari compagni di Scuola, un cordiale saluto a tutte e a tutti voi.
Devo dirvi che, in quanto manovale dell’apprendistato cognitivo, quando sento dire che: “bisogna salvare il natale” provo un moto di contrarietà! Capisco che questa affermazione nasce dal ruolo paradossale che è stato imposto alla festività del Natale dalla società dei consumi, soprattutto con l’emergere de “l’idiozia consumistica” come l’ha definita Herbert Marcuse nella seconda metà del ‘900, ma anche dall’aver inserito spudoratamente questa festività nel “sistema di distrazione di massa” come ha denunciato, già dalla metà del ‘600, il nostro recente compagno di viaggio Blaise Pascal.
Dal dicembre del 1984 [l’anno del primo Natale dei Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura] non mi era mai capitato di non poter “celebrare il Natale” in presenza del popolo della Scuola. In questi anni [ed è ampiamente documentato] ho sempre messo in evidenza con fermezza la necessità di far prevalere “la sobrietà” nel festeggiare questa ricorrenza in quanto “la sobrietà” è consustanziale al Natale perché: che cosa c’è di più “sobrio” del fatto che «il Re del Cielo [come ha scritto in parole e musica Alfonso Maria de’ Liguori] scende dalle stelle per nascere in una grotta al freddo e al gelo»?
E se il Natale è annuncio di salvezza
e se la sobrietà è profondamente legata al Natale
significa che non la fastosità, l’abbondanza e lo spreco
bensì la sobrietà ha un ruolo salvifico nella Storia dell’Umanità.
E, di conseguenza, questa idea [e non c’è coltura di idee senza alfabetizzazione] deve essere coltivata nell’ambito di un Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura che, nella mente di tutte le persone di buona volontà, deve stimolare - utilizzando il patrimonio letterario che abbiamo ereditato - una riflessione sul piano intellettuale per puntualizzare che il Natale è un evento che si salva da sé, e, quindi, è doveroso - prima di augurare “un buon Natale di studio!” al popolo della Scuola - imbastire un ragionamento in funzione della didattica della lettura e della scrittura.
Gli autori della Letteratura dei Vangeli hanno trattato per ultimo l’argomento della nascita e dell’infanzia di Gesù di Nazareth, e questo fatto è facilmente comprensibile perché è il modo nel quale abitualmente ci interessiamo dei primi anni della vita di una persona che da adulta si è rivelata importante. Non è facile cogliere con certezza se una bambina o un bambino diventerà «una grande persona» e, difatti, solo quando una persona diventa celebre si è soliti ricercarne le origini, e si desidera conoscerne i genitori, l’infanzia, gli studi, e si cerca di ricostruirne la vita sin dall’inizio alla luce di ciò che questa persona è diventata in seguito: così, in questa ricerca, si dà importanza quasi esclusiva agli episodi che hanno un valore indicativo, che lasciano trasparire segni premonitori di una vocazione, e si scelgono i dati in base al significato globale dell’esistenza della persona in questione, e si trascurano gli episodi che non servono a chiarirne il destino o la missione.
Anche i primi propagatori che, sul territorio dell’Ellenismo, hanno divulgato “la buona notizia [il Vangelo] della risurrezione” hanno nutrito lo stesso desiderio nei confronti di Gesù di Nazareth e - non sapendo quasi nulla della sua vita prima della fase finale - hanno cercato di ripercorrere il cammino della sua esistenza terrena. In particolare Paolo di Tarso [che abbiamo accompagnato per alcuni anni nei suoi viaggi sul territorio dell’Ellenismo] si è impegnato a compiere ricerche [è andato a Gerusalemme, come racconta nelle sue Lettere] per raccogliere notizie sulla vita di Gesù ma, suo malgrado, la sua ricerca ha avuto scarso successo e, umanamente, si è dovuto accontentare di parlare di Lui [nel suo Epistolario] definendolo semplicemente “quel” Gesù [«nato dalla stirpe di Davide, secondo la carne», e sulla nascita di Gesù Paolo si limita a questa formula].
La narrazione sulla nascita e sull’infanzia di Gesù di Nazareth dove la troviamo? La troviamo nei primi due capitoli del Vangelo secondo Matteo e nei primi due capitoli del Vangelo secondo Luca. Utilizzando il volume della Bibbia che abbiamo nella nostra biblioteca domestica, e tutte e tutti noi ne possediamo uno come dicono le statistiche, se - in prima istanza - concentriamo la nostra attenzione sull’incipit del Vangelo secondo Luca ci rendiamo conto che il racconto ha inizio con l’esplicita indicazione di questa ricerca. Si legge nei primi tre versetti del capitolo primo di Luca: «Poiché molti si sono accinti a comporre una narrazione degli avvenimenti compiutisi in mezzo a noi, è parso bene anche a me, dopo aver fatto diligenti ricerche su tutte queste cose, narrarle per iscritto e con ordine». E sembra, da questo incipit, che i redattori del testo siano a conoscenza di molti dati. Ma se proseguiamo nella lettura dei testi dei primi due capitoli del Libro di Luca e del Libro di Matteo ci rendiamo conto che il loro contenuto non ha un carattere storico ma è di natura didascalica [cioè mira a impartire un insegnamento più che a dare delle informazioni] perché gli autori intendono utilizzare il racconto in modo allegorico per presentare delle vere e proprie introduzioni ai Vangeli in modo che la lettrice e il lettore possano, da subito, puntare la loro attenzione sui valori - l’uguaglianza, la pace, la giustizia, la solidarietà e la misericordia - che questa Letteratura [che contiene la “buona notizia della risurrezione della carne”] va proponendo, trasfigurando nel presente il passato per guardare al futuro. In particolare i primi due capitoli del Vangelo secondo Luca [come abbiamo studiato più volte in questi anni in diversi contesti] formano il cosiddetto “testo proto-lucano” che viene chiamato anche il “Vangelo della mitica infanzia di Gesù”: si tratta di una breve opera autonoma, di un piccolo capolavoro letterario che è stato aggiunto al testo di un libro già preesistente e, difatti, all’inizio del capitolo terzo del Vangelo secondo Luca c’è un altro incipit: andate a verificare questa significativa dinamica letteraria.
Il testo proto-lucano - insieme al testo degli Atti degli Apostoli che è stato tante volte oggetto di studio da parte della nostra Scuola - costituisce il primo Catechismo della Chiesa romana, e questo “originario Catechismo” è stato composto per volere del primo papa storico della Chiesa di Roma, Clemente Romano [pontefice dal 92 al 101, secondo Eusebio di Cesarea], che ha fondato la cosiddetta “Scuola di scrittura ellenistico-clementina” i cui membri, sotto la guida di papa Clemente, hanno operato con grande perizia intellettuale per mettere in ordine il primo canone della Letteratura del Cristianesimo: i primi due capitoli del Vangelo secondo Luca [il testo “proto-lucano”] - che raccontano, in parallelo, la nascita di Giovanni il Battezzatore [che ha fama di profeta precursore] e di Gesù [che è la sintesi di tutti i profeti] - fungono da introduzione del primo apparato letterario cristiano, scritto in greco e formato dai testi dei quattro Vangeli canonici, dagli Atti degli Apostoli e dalle Lettere di Paolo.
Il testo dei primi due capitoli del Vangelo secondo Luca [del testo “proto-lucano”] anticipa i vari temi che la Letteratura dei Vangeli vuole sviluppare, esprimendo così, fin dall’inizio, quella scoperta di fede che gli apostoli avevano fatto progressivamente durante la vita pubblica di Gesù.
Ovviamente tutti gli anonimi scrittori che hanno partecipato al complesso lavoro di redazione della Letteratura dei Vangeli hanno seguito la cultura ebraico-ellenistica del loro tempo e si sono adeguati alla sensibilità dei loro ascoltatori: a questi autori [come abbiamo detto] non interessa compilare una precisa biografia di Gesù ma piuttosto vogliono comunicare che la lunga attesa dell’annuncio della salvezza si è compiuta con la resurrezione, in seguito alla passione, alla morte, alla predicazione e alla nascita del Salvatore e che, di conseguenza, è necessario convenirsi [cambiare stile di vita] per dare un senso a questo annuncio e alla propria esistenza.
Per gli scrittori della Letteratura dei Vangeli - data la mancanza di notizie - non è stata un’impresa facile quella di narrare la nascita e l’infanzia di Gesù e, in proposito, è stata una scelta opportuna da parte degli autori quella di utilizzare, sul piano letterario, la figura di Maria di Nazareth presentandola come “naturale” [in quanto madre] depositaria di ricordi, come indica il testo “proto-lucano” riferendo significativamente, nel capitolo secondo di Lc. ai versetti 19 e 51, che: «Maria, sua madre, custodiva tutte queste cose e vi rifletteva in cuor suo». Mentre nei primi due capitoli del Vangelo secondo Matteo gli autori hanno privilegiato la figura di Giuseppe per saldare strettamente la loro narrazione con la Letteratura dell’Antico Testamento: infatti i due racconti della nascita e dell’infanzia di Gesù - quello secondo Luca e quello secondo Matteo - si presentano intessuti di citazioni tratte dall’Antico Testamento [dalla Letteratura beritica] tanto da sembrare quasi un’antologia biblica piuttosto che una narrazione di fatti. Ma, nell’ottica della Letteratura dei Vangeli, il riferimento all’Antico [o Primo] Testamento è necessario per svelare il significato dell’avvenimento narrato: infatti, il citare una formula biblica o il riferirsi a un episodio tratto dal contesto biblico è il modo per richiamare una dottrina, per indicare il senso di un’esperienza attuale [e lo stesso papa Clemente Romano - come scrive Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica - è un membro della Sinagoga di Roma che fin da giovane ha aderito al cristianesimo imbevuto di cultura ebraica e di Letteratura biblica].
C’è quindi la convinzione che la Bibbia narri eventi operati da Dio per la salvezza degli esseri umani e che le sue parole non si riferiscano solo ad un mondo passato ma siano una luce per leggere il presente e indichino anche la via del futuro [la figura del Salvatore ha senso perché è quella di “un rabbi ebraico”], ed è per questo che gli autori della Letteratura dei Vangeli preferiscono “parlare attraverso le formule bibliche” non tanto per narrare ciò che è accaduto a Gesù, a Maria e a Giuseppe ma soprattutto per mettere in luce il significato della loro esistenza e la continuità dell’azione di Dio.
Con tale procedimento, quindi, gli autori delle narrazioni della nascita e dell’infanzia di Gesù non intendono raccontare ciò che è realmente accaduto [perché non sono in grado di farlo] ma vogliono, piuttosto, dare un insegnamento [pur sapendo che il genere umano è refrattario verso gli insegnamenti, preferisce fermarsi alle belle narrazioni], e vogliono dare un insegnamento che sia garantito dall’autorevolezza “teologica” della Letteratura dell’Antico Testamento. Da ciò deriva il fatto che lo stile di questi racconti non ha un carattere storico ma possiede una significativa valenza didascalica [di insegnamento] caratterizzata da una profonda impronta artistica, e un pittore o un poeta, anche quando si ispirano ad episodi storici, ce li mostrano secondo le caratteristiche proprie della loro arte: nessuno si aspetta che un pittore descriva una battaglia secondo i dati esatti della storia, né che un poeta faccia parlare un personaggio storico come esattamente ha parlato, perché ciò che si chiede all’artista è che, attraverso le sue capacità, ci restituisca il significato profondo e l’emozione di un fatto, rendendolo, con la sua arte, anche «più vero» della cronaca, ed è così che si sono comportati gli autori che hanno narrato la nascita e l’infanzia di Gesù.
In queste narrazioni [nei primi due capitoli del Vangelo secondo Luca e del Vangelo secondo Matteo] si nota una contrapposizione di quadri [c’è l’annunciazione a Maria e c’è quella a Zaccaria, c’è la nascita di Giovanni il Battezzatore e c’è quella di Gesù], e si notano schemi uguali che si ripetono nelle diverse circostanze [nelle annunciazioni, nelle genealogie, nelle nascite, nelle visite], e si notano scenografie appena tratteggiate ma tali da indicare la portata di alcuni episodi [come il pellegrinaggio dei Magi al seguito della stella, la collera di Erode, l’uccisione degli innocenti] che, sebbene siano episodi mai avvenuti, sono tuttavia narrati in brani così densi di significato da rendere veramente alternativa la nascita di Colui che è destinato ad annunciare un gioioso messaggio di salvezza.
Questi accorgimenti letterari servono a fondere in unità artistica una serie di elementi molto disparati, a volte neppure molto significativi se presi uno per uno, ma eloquenti nel loro insieme: se si dimentica questa «chiave di lettura» si corre il rischio di avvicinarsi ai primi due capitoli del Vangelo secondo Luca e del Vangelo secondo Matteo senza comprendere gli insegnamenti fondamentali in essi contenuti, e validi più che mai anche per oggi. Innanzitutto la nascita di Gesù e i suoi primi anni di vita sono presentati dagli autori sotto il segno di alcune realtà proprie del tempo della salvezza: la pace, la gioia, la liberazione dal male, l’universalità dell’amore solidale [realtà di cui continuiamo ad auspicare la realizzazione].
Questi temi vengono sinteticamente presentati nell’inno posto sulle labbra di Zaccaria, il padre di Giovanni il Battezzatore, che è felice per la nascita di questo bambino tanto desiderato da lui e da sua moglie Elisabetta, e Zaccaria, dopo aver riacquistato la parola, proclama [Lc. 1, 68]:
«Benedetto il Signore Dio d’Israele perché ha visitato,
ha redento e ha dato gioia al suo popolo …Apparirà una luce dall’alto a illuminare
coloro che si trovano nelle tenebre e nell’ombra della morte,
e farà dirigere i nostri passi sulla via della pace»
E poi un altro insegnamento fondamentale che gli autori vogliono mettere in evidenza è che Gesù, sin dall’inizio [dal momento della nascita] si presenta come «un segno di contraddizione»: il fatto importante è che sono i deboli, gli emarginati dalla società, i pagani, i poveri a riconoscere il Salvatore e ad accoglierne l’annuncio, e già nelle pagine che ne narrano la nascita e l’infanzia viene messo in risalto ciò che dirà Gesù nel pieno della sua missione: «Io ti rendo lode, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai saccenti e ai potenti e le hai rivelate ai semplici e ai deboli!».
L’avvento del Salvatore - che si manifesta come un neonato fragile, indifeso e profugo - scardina l’assetto che gli uomini del potere hanno imposto alla società e, di conseguenza, Maria, la madre di Gesù, può cantare un inno per magnificare il Signore perché [Lc. 1, 51-53]:
«Il Signore ha dispiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi con i disegni del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai loro troni ed ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote» …
Sono proprio quelli che la società giudica improduttivi che diventano fattivi perché per loro si apre un futuro radicalmente nuovo, mentre per i potenti e per i padroni delle risorse, la nascita del Salvatore passa inosservata o appare come una minaccia [ed è il caso di Erode che rappresenta tutta la categoria degli sfruttatori].
Accettano il Salvatore solo coloro che desiderano un cambiamento totale nella propria esistenza, nel rapporto con gli altri, nell’ordine sociale e politico: i poveri che non hanno nulla da perdere, gli oppressi che anelano alla libertà, i peccatori coscienti del loro stato, mentre i satolli, e quelli che si credono «galantuomini», rimangono invece aggrappati all’ordine costituito sia politico che religioso e sono, al massimo, disposti a fare qualche concessione per garantirsi il quieto vivere.
I testi dei primi due capitoli del Vangelo secondo Matteo e dei primi due capitoli del Vangelo secondo Luca ci presentano da una parte «le persone della speranza »[la giovane Maria di Nazareth, il giusto Giuseppe, i pastori, i vecchi Simeone e Anna, i sapienti orientali] dall’altra «gli uomini del diniego » [Erode, i dottori del Tempio, gli affaristi].
Ebbene, «le persone della speranza» sono capaci di riconoscere negli eventi il senso de “la buona notizia” e rispondono generosamente, mentre «gli uomini del diniego» pretendono di piegare Dio ai loro voleri falsificandone la natura di “Padre buono e misericordioso” [come viene definito Dio nel versetto 78 del primo capitolo del Vangelo secondo Luca: «Dio è bontà e misericordia»]: costoro vogliono fare di Dio un idolo che possa giustificare il loro comportamento repressivo e discriminatorio. «Le persone della speranza» sono capaci, con le loro scelte, di introdurre nella storia la pace, la gioia e l’amore solidale mentre il comportamento de «gli uomini del diniego» provoca la morte e la sofferenza.
Ebbene, i testi dei primi due capitoli del Vangelo secondo Matteo e dei primi due capitoli del Vangelo secondo Luca contengono un ammonimento anche per noi, donne e uomini della post-modernità e, se siamo individui “pensanti” [e non importa - come diceva il cardinale Martini - se siamo credenti o non credenti perché l’importante è essere pensanti] dobbiamo schierarci e dobbiamo essere e agire come «persone della speranza».
Il pontefice contemporaneo ha affermato: «La Chiesa è segno di salvezza nel mondo soltanto quando accoglie le istanze che vengono dai poveri e dai diseredati, e quando è con loro e come loro. Quando invece si ritrova dalla parte dei potenti e degli idolatri non è più annunciatrice del Vangelo. Quando la Chiesa si chiude nella sua sicurezza clericale, ed è incurante dei messaggi che giungono dalle periferie del mondo, o è insensibile alle voci dei vecchi e degli emarginati che sembrano non aver più nulla da dire, o è insofferente alle domande dei giovani che sembrano chiedere troppo, o è negligente nell’accogliere le parole dei semplici che non conoscono le sottili dispute dei “dottori”, allora giunge il momento in cui la Chiesa - e questo vale per tutte le Istituzioni che operano per il Bene dell’Umanità - deve sentire la necessità di un serio esame di coscienza: perché non accada che, anche oggi, il Salvatore non venga riconosciuto, e gli annunci della salvezza [all’uguaglianza, alla pace, alla giustizia, alla solidarietà e alla misericordia] siano ignorati da tutti coloro che, infatuati dal potere e dalla ricchezza, sono sicuri di essere già approdati alla verità».
Noi studentesse e studenti dei Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura siamo ben consapevoli che l’obiettivo non è quello di “approdare alla verità” [infatuati dal potere e dalla ricchezza] ma la meta sta nel percorrere, senza perdere mai la volontà di imparare, la via dell’Apprendimento permanente e, quindi, per compito - consapevoli del fatto che il Natale si salva da sé - dobbiamo leggere con attenzione i testi dei primi due capitoli del Vangelo secondo Matteo e dei primi due capitoli del Vangelo secondo Luca.
Il Natale di Gesù di Nazareth appare in questi testi soprattutto come modello di “peregrinazione”: Gesù nasce peregrinando [in un contesto di generale peregrinazione], e questo modulo evangelico propone di riflettere sul fatto che tutte e tutti noi, nascendo, non siamo le proprietarie e i padroni del Pianeta ma siamo “pellegrine e pellegrini sulla Terra” perché non è la Terra che appartiene agli umani ma sono gli umani che appartengono alla Terra, e appartiene alla Terra perfino “quel bambino che, pur essendo divino, viene deposto in una mangiatoia”, un gesto che rende il Natale inequivocabilmente consustanziale alla sobrietà e, quindi, salvifico per il Pianeta che ci ospita, e che è sempre più in sofferenza.
E, a proposito di sofferenza…
Care compagne e cari compagni di Scuola, per ora, abbiamo potuto dar corso in presenza solo alla prima Lezione del Percorso di quest’anno e, in questa occasione, in seguito alla tradizionale richiesta di un contributo utile per sostenere l’attività dell’Associazione Articolo 34, sono stati raccolti ben 1791 €.
Sapete che la quasi totalità della somma raccolta [dopo la stipula dell’Assicurazione obbligatoria e la produzione dei REPERTORI...] viene devoluta in beneficenza e la prima donazione, di 500 €., è stata fatta presso la Coop di Ponte a Greve per sostenere la Ricerca italiana sugli anticorpi monoclonali per trovare terapie efficaci contro il Covid-19 [maggiori informazioni in proposito le trovate su www.coopfirenze.it e sulle prime pagine del numero di dicembre dell’Informatore-coop]; poi è stata devoluta la somma di 200 €. a favore dell’Associazione messicana delle donne dei forni [Mexiquemos] che soffrono per la pandemia più di noi perché nel loro paese non possono usufruire di “ristori”; inoltre viene devoluta la somma di 250 €. all’Associazione AISLA per sostenere la ricerca di una cura per la sclerosi laterale amiotrofica; e, prossimamente, verrà effettuata una donazione a favore della Scuola “Francesco Redi” presso la quale come sapete produciamo i nostri REPERTORI ... [e questo nei limiti del possibile perché una certa somma - pari al costo dell’Assicurazione per il prossimo anno - deve rimanere in cassa come patrimonio dell’Associazione].
E, infine, siccome non sappiamo ancora, purtroppo, quando potremo riprendere il nostro cammino in presenza, penso che, nel frattempo, sarebbe opportuno intraprendere un Percorso - con i testi degli itinerari da leggere e da ascoltare registrati sui nostri siti - che ci possa accompagnare nell’attesa che l’attività didattica possa tornare ad essere condotta dal vivo, un periodo che, probabilmente sarà ancora lungo.
Come sapete il nostro Viaggio è fermo al tema della “favola” e, a forza di pensarci [con animo sconsolato], l’altra notte mi è capitato di sognare Jean de La Fontaine [che tutte e tutti voi conoscete] il quale - mentre meditava nella chiesa di Saint-Étienne-du-Mont a Parigi sulla tomba di Pascal - mi ha ricordato che de te fabula narratur, la favola parla di te, da sempre [ci ricorda La Fontaine]: la favola parla di chi l’ascolta e, quindi, questo personaggio mi ha suggerito che, di questi tempi, dovremmo leggere “una favola selvaggia” dove la Sapienza poetica e filosofica è affidata agli animali perché, purtroppo, gli esseri umani - a causa della loro debolezza cognitiva e del loro istinto predatorio - hanno dimenticato che sono gli animali, perso il ricordo che è il mondo mitico degli animali, a raccontare in metafora la realtà delle cose che accadono. Quindi, a questo proposito siete invitate ed invitati ad attendere nuove proposte di studio in funzione della didattica della lettura e della scrittura.
E per concludere, anche quest’anno, scenda su di voi l’augurio di un buon Natale di studio, perché lo studio è il vaccino necessario contro un’ulteriore pandemia in atto: la pandemia che procura “la debolezza cognitiva”, una malattia che colpisce l’85% delle persone adulte che vivono sul nostro Pianeta, una malattia che [complici gli uomini del diniego] ci si ostina a non voler riconoscere e a non voler combattere.
Care compagne e cari compagni di Scuola, a voi - che animando tre officine di apprendistato cognitivo potete essere definite a pieno titolo “persone della speranza” - giunga in mio abbraccio affettuoso.
Buon Natale di studio a tutte e a tutti voi, perché lo studio è cura e il Natale si salva da solo!