Autorizzazione all'uso dei cookies

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE NASCE E SI SVILUPPA LA QUESTIONE DEL RAPPORTO TRA VOLONTÀ E NECESSITÀ ...

Lezione N.: 
24

Prof. Giuseppe Nibbi    La sapienza poetica e filosofica dell’età medioevale  15-16-17  aprile  2015

Giovanni da Salisbury

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE

NASCE E SI SVILUPPA LA QUESTIONE DEL RAPPORTO TRA VOLONTÀ E NECESSITÀ   ...

 

   Questo è il ventiquattresimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale”.

   Abbiamo potuto constatare che nell’ambito della Filosofia scolastica, dalla metà del XII secolo, si vanno delineando due diverse linee di pensiero: quella “mistico-devozionale” che privilegia la Fede e considera diaboliche le Opere di Aristotele [questa è la linea di pensiero dei cistercensi che si sentono nani e, per avvicinarsi alla Verità, vorrebbero potersi arrampicare sulle spalle di quel gigante onnipotente che è Dio indirizzando l’intelletto verso la contemplazione]; poi c’è la linea “scientifico-naturalistica” che dà spazio alla Ragione e considera provvidenziali le Opere di Aristotele [questa è la linea tracciata dai maestri della Scuola di Chartres - quattro di loro li abbiamo incontrati la scorsa settimana, questa sera ne incontreremo un quinto - che si sentono nani e, per avvicinarsi alla Verità, ritengono utile arrampicarsi sulle spalle di quei giganti che sono i classici latini e greci]. Anche nel mondo della Scolastica arabo-islamica emergono e si sviluppano due simili linee di tendenza: il mondo della Scolastica arabo-islamica era dominato dal sistema di Avicenna, un personaggio che abbiamo incontrato nella seconda metà di gennaio e del quale abbiamo studiato le opere e il pensiero, ma questo sistema è destinato dopo un secolo ad essere messo in discussione tanto dal lato religioso quanto da quello storico-filosofico.

   Prima però di entrare nel territorio della Scolastica arabo-islamica dobbiamo fare ancora una sosta a Chartres. La scorsa settimana abbiamo frequentato la Scuola di Chartres: abbiamo incontrato quattro maestri di questa Scuola: Bernardo, Gilberto, Teodorico e Guglielmo. Il programma della Scuola di Chartres si può [come sapete] sintetizzare in una celebre affermazione programmatica di Bernardo di Chartres: «Siamo nani sulle spalle di giganti», e i “giganti” sono i Classici greci e latini nelle Opere dei quali [di cui sono piene le biblioteche] si possono trovare gli insegnamenti utili per creare una società più “umana”. Per questo la Scuola di Chartres è il laboratorio dove entra in incubazione quel movimento che poi verrà chiamato “umanesimo”.

   E ora dobbiamo fare ancora una sosta a Chartres per incontrare un significativo personaggio: Giovanni di Salisbury, un inglese trapiantato in Francia. Chi è, e che importanza ha il quinto magister di Chartres che stiamo per incontrare?

   Giovanni di Salisbury [Salisbury 1110 circa - Chartres 1180] nasce in una piccola città [oggi Salisbury ha quasi 37 mila abitanti] ma situata in posizione davvero strategica per la visita del sud-ovest dell’Inghilterra. Salisbury è sicuramente uno dei centri urbani più significativi dal punto di vista architettonico di tutto il Regno Unito, in particolare per la sua cattedrale, la cattedrale di Santa Maria, ultimata all’inizio del XIII secolo, che è considerata, per unità di stile, eleganza delle proporzioni e finezza dei particolari, uno dei capolavori dell’arte gotica in cui spiccano il chiostro e la famosa torre gugliata, la più alta di tutta la Gran Bretagna, con i suoi 123 metri. La cattedrale poi è attorniata da una straordinaria successione di edifici storici di grande interesse.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida della Gran Bretagna e navigando in rete fate una visita a Salisbury, buon viaggio...

 

   Giovanni di Salisbury, fin da ragazzo, viene mandato a studiare in Francia ed è stato un allievo di Abelardo a Parigi [la fama di Abelardo come magister travalicava i confini della Francia], e poi frequenta la Scuola di Chartres. Nel 1150 torna in Inghilterra e diventa il segretario dell’arcivescovo di Canterbury, Teobaldo, e anche del suo successore, Thomas Becket, un personaggio che  incontrando Anselmo d’Aosta abbiamo già citato, in particolare per il risvolto letterario che ha avuto la sua morte violenta. Giovanni di Salisbury diventa testimone delle lotte tra il re Enrico II e Thomas Becket che si chiudono come ben sapete con il celebre e drammatico “assassinio dell’arcivescovo nella cattedrale di Canterbury”. Sembra che Giovanni avesse consigliato al suo superiore una maggior prudenza ma l’arcivescovo era intransigente nel difendere l’autonomia della chiesa inglese nei confronti della corona britannica: dopo l’assassino di Becket, per prudenza, Giovanni se ne va dall’Inghilterra e si stabilisce definitivamente in Francia dove viene assunto come magister alla Scuola di Chartres e poi ne diventa cancelliere. Nel 1176 viene nominato vescovo della città e, per la prima volta, il cancelliere della Scuola di Chartres è un ecclesiastico il quale dal pulpito, come vescovo, predica la prudenza nell’avvicinarsi alla cultura “pagana” greca e latina mentre, in quanto cancelliere della Scuola attigua alla cattedrale, invita i maestri a non essere troppo prudenti nello studio dei classici perché nelle loro Opere emerge in primo piano il concetto della “humanitas” che, secondo Giovanni di Salisbury, è senza dubbio una virtù che il cristianesimo deve fare propria con tutti i valori che il mondo classico gli attribuisce [bontà d’animo, mitezza, pietà, benevolenza, indulgenza, generosità].

   È curioso il fatto di come Giovanni di Salisbury giochi con la parola “prudenza” che apparentemente potrebbe presentarsi come un freno mentre in realtà questo termine è anche ricco di significati che spingono a prendere un’iniziativa [soprattutto sul piano intellettuale] perché “essere prudenti” significa predisporsi ad alzare il proprio livello di attenzione, di riflessione, di giudizio, di accortezza, qualità necessarie per lo studio.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di queste parole - attenzione, riflessione, giudizio, accortezza - mettereste per prima accanto al termine “prudenza”?...

In quale situazione avete dovuto agire con prudenza?...

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   Quindi Giovanni di Salisbury dà ancor di più rilevanza al programma contenuto nell’espressione “siamo nani sulle spalle di giganti” ed accentua maggiormente quello che veniva già identificato come “l’umanesimo chartriano” per cui il tema metafisico passa in secondo piano e in primo piano assurge il concetto dell’humanitas modellato sul pensiero dei classici [dei giganti] e, quindi, oltre a Platone e ad Aristotele, Giovanni mette al centro della sua attività didattica [così come aveva già fatto a suo tempo Gerolamo nel V secolo] soprattutto l’opera di Cicerone del quale egli adotta l’ideale etico-letterario dell’eloquenza [chi parla bene - secondo la “rotunditas ciceroniana”, con un uso corretto della logica - pensa bene, e chi pensa bene favorisce lo sviluppo del bene comune].

   Giovanni di Salisbury è stato testimone diretto delle aspre polemiche tra Abelardo e Bernardo di Clairveaux, tra Bernardo di Clairveaux e Gilberto Porrettano e, nell’assistere a queste dispute, si rafforza in lui la convinzione che la Ragione umana, per i limiti che ha, deve rassegnarsi ad acquisire, non tutta la conoscenza nel suo insieme, ma alcune opinioni più probabili delle altre e questo suo pensiero - definito “scetticismo moderato” - è simile a quello di Cicerone e degli Eclettici per cui è necessario studiare bene ogni sistema filosofico per trarre ciò che in esso c’è di utile in modo da codificare una morale umana più aderente possibile ai dettami della Letteratura dei Vangeli. In Giovanni di Salisbury è forte il sentimento socratico dei limiti del sapere [e questo è il modo in cui interpreta l’espressione programmatica “siamo nani sulle spalle di giganti”] e in una delle sue opere più celebri intitolata Metalogicon [In difesa della Logica] fa un’affermazione importante che diventa il manifesto della Scolastica nella sua pienezza: “Philosophus amator Dei est”. Leggiamo questo frammento dal Metalogicon di Giovanni di Salisbury.

 

LEGERE MULTUM….

Giovanni di Salisbury, Metalogicon

Tre sono le fonti della nostra conoscenza: i sensi, la ragione, la fede, o meglio l’intelletto che per via intuitiva attinge le cose divine. Tutto ciò che è fuori della portata di questi tre organi conoscitivi non può diventare oggetto di disputa, se non si vuole ripetere la confusione di Babele. La vera filosofia non è nell’indagine teorica, è nel tradurre in vita ciò che si conosce e il filosofo è colui che ama Dio [Philosophus amator Dei est]

 

   Giovanni di Salisbury esalta la possibilità che la persona ha di coltivare “la saggezza umana e filosofica” e questo suo pensiero lo sviluppa soprattutto in due sue opere intitolate Policraticus e il Metalogicon, considerate due capolavori che sembrano già scritti da qualche umanista del 1400 per l’eleganza con cui sono composte.

   Senza dubbio una delle opere più interessanti del XII secolo e che hanno avuto più successo in Età medioevale, moderna e contemporanea è Policraticus di Giovanni di Salisbury. Nel 1159 Giovanni di Salisbury termina di scrivere un’opera intitolata Policraticus sive de nugis curialium et vestigiis philosophorum [Policratico ovvero sulle frivolezze dei cortigiani e sulle vestigia dei filosofi]. In quest’opera Giovanni, in modo molto spregiudicato, narra le esperienze della vita di corte e le tensioni fra la politica e la religione di cui è stato testimone in Inghilterra e dedica questo testo all’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket, del quale, come sappiamo, è stato segretario. Giovanni offre non solo un quadro sarcastico della corte utilizzando lo stile del Satyricon di Petronio [un’opera - il primo romanzo della Letteratura latina composto prima del 66 d.C. - che abbiamo studiato a suo tempo] ma, soprattutto, formula una teoria del giusto e buon governo. I primi tre libri del Policraticus mostrano il carattere folle della società di corte, schiava della caccia, del gioco, della superstizione e prigioniera nel cerchio diabolico dell’orgoglio e dell’adulazione. Giovanni stabilisce che è impossibile essere al tempo stesso cortigiani e filosofi e che una corte insaziabile, nella quale s’incarnano i sette peccati capitali, è solo lo specchio del suo signore, il tiranno. E, prendendo le distanze dalla figura del despota, Giovanni, nel libro IV, delinea l’immagine del “giusto governante” che deve la sua autorevolezza all’ordine divino, ai cui rappresentanti [alla Chiesa] si sottopone, così come si sottomette alla Legge [all’aequitas, l’equità giuridica, in opposizione alla iniquitas del tiranno].

   Il “giusto governante”, scrive Giovanni di Salisbury, non conosce la caparbietà se non nell’obbedienza alla Legge e nella preoccupazione per il Bene comune, dato che «non appartiene a se stesso, bensì ai suoi concittadini». In conformità con questa visione, nel libro V Giovanni spiega il microcosmo della comunità umana concependolo a immagine del corpo umano: l’anima [è la Chiesa], la testa [è il giusto governante], il cuore [è il senato], il volto [sono i magistrati], le mani [sono i militari], i fianchi [è la corte], lo stomaco [è il commercio] e i piedi [sono i contadini e gli artigiani]. Mentre il “giusto governante” si prende cura che ciascun membro della comunità compia la propria opera e riceva ciò che gli spetta, il tiranno è un traditore del corpo sociale e, di conseguenza, la teoria politica di Giovanni di Salisbury giustifica il tirannicidio: non solo è legittimo, ma addirittura obbligatorio trattare il tiranno come un nemico pubblico ed eliminarlo [tyrannum licet occidere], e «chi non lo denuncia commette peccato contro se stesso e contro tutto lo Stato».

   La fortuna di quest’opera, nella quale Giovanni sviluppa un umanesimo di tipo socratico, si estende dai suoi contemporanei [attraverso Tommaso d’Aquino] fino al Rinascimento e a tutta l’Età moderna. Le parole-chiave che Giovanni di Salisbury mette al centro della sua opera sono “aequitas” [equità]e il suo contrario “iniquitas”[ingiustizia].

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quali di queste parole - imparzialità, onestà, correttezza, rettitudine - mettereste per prima accanto al termine “equità”?… 

Scrivetela...

Di fronte a quale situazione vi siete trovate e trovati a dover agire con equità?...

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   Giovanni di Salisbury, mentre nel testo del Policraticus descrive in modo sarcastico il carattere dei cortigiani, avrebbe anche potuto definirli utilizzando l’ossimoro “nani-giganti” che mette bene in evidenza la loro presunzione frutto dell’adulazione, del servilismo e della ruffianeria: per giunta si presume che Giovanni di Salisbury contesti il fatto che Bernardo di Clairveaux usi, in modo denigratorio, l’ossimoro “nani-giganti” contro i filosofi di Chartres e, a questo proposito,  Giovanni afferma che è impossibile essere al tempo stesso filosofi [nani sulle spalle dei giganti] e cortigiani [nani-giganti].

   Ed ecco che Giovanni di Salisbury ci permette di riaprire [così come abbiamo anticipato la scorsa settimana incontrando “La Madonna dei Filosofi” di Carlo Emilio Gadda] la parentesi in funzione della didattica della lettura e della scrittura sul tema dell’ossimoro “nani-giganti” perché c’è un romanzo contemporaneo che porta questo titolo e non può [in un Percorso di alfabetizzazione come questo] sfuggire alla nostra attenzione.

   Il romanzo intitolato I nani giganti è stato scritto da Gisela Elsner nel 1964 e le è stato assegnato, in quell’anno, il premio Formentor all’unanimità dagli editori europei riuniti a Salisburgo. Gisela Elsner è nata a Norimberga il 3 maggio 1937 in una famiglia facoltosa della borghesia tedesca e fin da ragazzina comincia ad osservare con spirito critico e sarcastico le presunte virtù e soprattutto i vizi capitali della classe sociale a cui appartiene. Dal 1957 studia filosofia, germanistica e scienze teatrali all’università di Vienna, e nel corso della sua vita è sempre stata in movimento: ha soggiornato a Francoforte sul Meno, a Roma, a Londra, a Parigi, ad Amburgo, a New York, ed è morta [un suicidio, eutanasia?] a Monaco di Baviera il 13 maggio 1992. Nel 1956, in collaborazione con Klaus Roehler, suo futuro marito dal 1958, ha pubblicato un volume di «storie brevissime» dal titolo Triboll, vita di un uomo sorprendente. Nel 1963 aderisce al “Gruppo 47”, un movimento culturale [letterario, artistico] nato a Monaco di Baviera nel 1947 [si è sciolto nel 1967] del quale hanno fatto parte tutte quelle scrittrici e quegli scrittori tedeschi, tra cui Heinrich Böll tanto per fare un nome che conosciamo, che auspicavano una risurrezione culturale della Germania dopo la tragedia del nazismo [quasi subito rimossa] e della guerra.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Fate una ricerca - navigando in rete - sul “Gruppo 47”, si tratta di un argomento [culturale, sociale e politico] molto significativo che merita di essere conosciuto, quindi, andate ad indagare in proposito...   

 

   Gisela Elsner, come abbiamo appena ricordato, emerge a livello letterario quando nel 1964 esce il suo primo romanzo, I nani giganti, e si capisce che la sua scrittura è influenzata tanto da Kafka quanto da Gadda. Lo stile della Elsner si basa, per quanto riguarda la forma, su una descrizione fredda, tagliente, al limite del grottesco, con cui rappresenta i caratteri e i modi di vivere ritenuti tipici della piccola borghesia che si concretizzano - con una sorta di comicità che lascia l’amaro in bocca - a imitazione dei comportamenti deleteri dell’alta borghesia che ha una buona dose di responsabilità, con la sua condotta ipocrita, per quanto riguarda il degrado morale della società nel suo complesso: la Elsner analizza come la borghesia agiata abbia un ruolo pedagogico negativo sulle classi subalterne che, paradossalmente, ne assorbono le cattive abitudini favorendo la creazione di gerarchie tra i poveri [la contraddizione dei nani-giganti] i quali, facendosi guerra tra loro, rendono ancora più squallida la propria quotidianità.

   Negli anni ’70 e ’80 la carica satirica della Elsner si è evoluta nel segno dell’ironia e del realismo e la maggior parte delle sue opere [se ho ben capito] - a parte I nani giganti e Non commettere atti impuri - sono ancora in attesa di essere tradotte in italiano e voi potete accertarvene scandagliando meglio la rete ed investigando in biblioteca.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Per capire meglio lo stile letterario di Gisela Elsner si possono andare ad osservare - utilizzando la rete o un catalogo che potete richiedere in biblioteca - le opere del periodo satirico-espressionista del pittore tedesco [poi trasferitosi negli Stati Uniti] George Grosz [Berlino 1893 - New York 1959]: approfittate del fatto che spesso l’arte pittorica risulta utile per cogliere il senso della scrittura...

 

   Noi, che siamo al corrente del significato e dell’evoluzione dell’ossimoro “nani-giganti”, capiamo perfettamente come la scrittrice Gisela Elsner voglia sintetizzare con questa dicitura una contraddizione che si manifesta nei personaggi che mette in scena, i quali appartengono al mondo piccolo borghese, un mondo dominato da una pedissequa organizzazione e dalle sue ferree gerarchie. I personaggi descritti si sentono “giganti” finché pensano di essere sorretti dal sistema di convenzioni cui devono la loro presunta importanza, ma diventano “nani” quando qualche mossa imprevista li fa cadere dai trampoli e li rivela quali sono, nella loro “stupida e feroce animalità”.  Questo romanzo è scritto come se fosse la cronaca surreale della vita dei “nani-giganti” e la Elsner s’ingegna ad utilizzare uno stile che assomiglia, a tratti, a quello di Franz Kafka e, in diversi punti, a quello di Carlo Emilio Gadda e poi la sua scrittura ricorda anche [nei temi] le “atroci assurdità” di Samuel Beckett e i “sarcasmi amari” di Bertolt Brecht.

   Il romanzo I nani giganti è composto da dieci racconti - sono scorci narrativi in cui solo eccezionalmente riappaiono gli stessi personaggi - che tuttavia vengono tenuti insieme dal medesimo narratore che è un bambino, si chiama Lothar Leinlein, il quale guarda le persone e le cose [i genitori, i parenti, i fatti e i personaggi della vita cittadina] con un occhio né divertito né critico ma del tutto spassionato, come se attraverso le sue notazioni prendesse contatto con il mondo assurdo che lo circonda, e non per conoscerlo e per giudicarlo, ma soltanto per registrarlo, sicché i particolari più assurdi [drammatici] vengono inventariati in modo impassibile come se fossero ovvi [anche tutte e tutti noi ci siamo assuefatti a guardare i telegiornali all’ora di pranzo e cena mentre vengono trasmesse spesso scene agghiaccianti, e siamo diventati anche noi dei piccoli Lothar, addestrati a ritenere ovvie le cose più assurde]. Le descrizioni assai minuziose della Elsner servono spesso per amplificare il senso di grottesco che si annida nei particolari, e poi pagine intere sono dedicate all’atto del mangiare che ritorna come simbolo mostruoso di una società sempre satolla e pur sempre affamata. Leggere la prosa della Elsner è un esercizio che richiede impegno ma è interessante seguire una scrittrice che, con la sua carica di gelida rivolta e con il suo implacabile rigore stilistico, ha indagato la mentalità dei benpensanti: una mentalità pericolosa perché troppo accondiscendente nei confronti dei luoghi comuni, come se fossero i luoghi comuni [quasi sempre “ricettacoli di ignoranza”] a dover dare una giusta misura alle cose e ai gesti delle persone e invece “i luoghi comuni sono mangime per nani-giganti”.

   E ora leggiamo qualche pagina dal primo racconto di questo romanzo che s’intitola Il pranzo e dove incontriamo un personaggio, il padre di Lothar, al quale la scrittrice affida la dimostrazione di come l’atto del mangiare appaia come il simbolo ributtante di una società sazia ma pur sempre affamata perché insicura: quest’uomo - che è un insegnante ed è anche un brav’uomo [noi ora non possiamo rendercene conto perché leggiamo solo l’incipit di questo racconto] - non è il vero padre di Lothar perché Lothar è orfano e sua madre si è risposata e quest’uomo si prende cura di questo bambino, gli vuole bene, e vorrebbe sembrare “grande in tutti i suoi ruoli” ma, in realtà, è uno dei tanti piccoli, insignificanti e ubbidienti “nani-giganti”.

 

LEGERE MULTUM….

Gisela Elsner, I nani giganti

IL PRANZO

Mio padre è un buon mangiatore. Egli non si fa pregare. Egli si siede a tavola. Egli si caccia la cocca del tovagliolo nel colletto. Egli appoggia i palmi delle mani sulla tavola, a destra e a sinistra del piatto, a destra e a sinistra del coltello e della forchetta.

Egli solleva un poco il deretano dalla sedia. Egli si piega sulla tavola, così che il tovagliolo penda sul piatto vuoto, e ispeziona il contenuto delle scodelle. Quindi abbassa il deretano sulla sedia. Quindi si serve. Si riempie il piatto col forchettone, col mestolo, forchettone dopo forchettone, mestolo dopo mestolo, fino a che ha sul piatto un grosso mucchio.

... continua la lettura ...

 

   Leggeremo ancora alcune pagine di questo romanzo osservando insieme a Lothar le peripezie dei “nani-giganti”.         

   E adesso torniamo ancora a Chartres perché dobbiamo, seppur brevemente, conoscere anche il contenuto della seconda importante opera [che abbiamo già citato] di Giovanni di Salisbury che s’intitola Metalogicon [In difesa della Logica]. In questo testo Giovanni narra le origini e lo sviluppo del pensiero della Scuola di Chartres mettendo in evidenza come questa “comunità intellettuale laica [non monastica]” abbia dimostrato come la disciplina della Logica - una materia fortemente denigrata dai mistici integralisti - sia invece lo strumento formatore per eccellenza della mente umana e il fatto che sia un vescovo a fare queste considerazioni assume un valore assai significativo: la Logica diventa la disciplina principale che permette alla Filosofia scolastica di svilupparsi nella sua pienezza e “parlare di Logica” significa puntare decisamente l’attenzione su Aristotele, sulle Opere [l’Organon] di Aristotele non più interpretate attraverso il pensiero di Platone, ma lette ed utilizzate nel loro spirito originario e questo fatto cambia i connotati della Filosofia scolastica.

   E adesso lasciamo che sia Giovanni di Salisbury a spiegarci, con la sua viva voce, il valore della Logica: una disciplina sulla quale molte e molti di noi abbiamo iniziato anche inconsapevolmente ad esercitarci fin dalla scuola elementare. Leggiamo questo frammento dal Metalogicon.

 

LEGERE MULTUM….

Giovanni di Salisbury, Metalogicon [In difesa della Logica]

Bisogna che i maestri si schierino in difesa di questa disciplina perché la Logica - fortemente denigrata da tutti coloro i quali pensano che la Fede non abbia bisogno dell’apporto dell’Intelletto, dono di Dio -, ebbene, la Logica ha l’eminente funzione di formatrice delle menti e di maestra dell’arte di pensare. Tutte le scienze sono debitrici della Logica perché suggerisce loro i metodi di investigazione e indica loro il retto procedere nelle dimostrazioni. L’analisi logica, ma prima ancora l’analisi grammaticale, benché non sia qualche cosa di naturale ma un ritrovato intellettuale, pure imita la Natura, conduce al Bene, ed è di somma utilità.

 

   Tutte e tutti noi che ci siamo esercitati nell’analisi grammaticale e nell’analisi logica dobbiamo ritenerci soddisfatte e soddisfatti di averlo fatto.

   Inoltre Giovanni di Salsbury nella sua opera intitolata Metalogicon ci fa capire come ad allargare l’orizzonte della Scuola di Chartres abbia contribuito il fatto di aver aperto le porte, nel recinto della cultura latina medioevale, agli apporti della scienza arabo-islamica e a quelli della medicina di Ippocrate e di Galeno, divulgati dalla Scuola di Falerno, che abbiamo frequentato a suo tempo. Quindi, sostiene Giovanni, i monaci cistercensi [molto pii, dediti alla contemplazione e coerenti nella povertà, come Bernardo di Clairveaux] finiscono però per tacitare il loro intelletto e per pensare anche alle crociate mentre ormai gli intellettuali scolastici cristiani laici guardano al mondo arabo-islamico con ammirazione e con spirito di emulazione e allora, a questo punto [torniamo all’introduzione di questo itinerario] e guardiamo anche noi [torniamo a guardare] al mondo della Scolastica arabo-islamica. Anche nel mondo della Scolastica arabo-islamica, abbiamo detto all’inizio, emergono e si sviluppano due simili linee di tendenza: il mondo della Scolastica arabo-islamica era dominato dal sistema di Avicenna, personaggio che abbiamo incontrato nella seconda metà di gennaio e del quale abbiamo studiato le opere e il pensiero, ma questo sistema è destinato [dopo un secolo] ad essere messo in discussione tanto dal lato religioso quanto da quello storico-filosofico.

   L’ortodossia religiosa islamica [e anche l’ortodossia cristiana] non poteva accettare le tesi “neoplatoniche” di Avicenna a cominciare da quella sul carattere necessario della creazione [come può Dio onnipotente essere soggetto alla Necessità! Se Dio è soggetto alla Necessità - se crea perché è un atto necessario - perde l’onnipotenza] e poi dall’ortodossia religiosa islamica [e anche da quella cristiana] non era accettabile la tesi sull’eternità del mondo [solo Dio è eterno mentre il mondo creato è soggetto alla contingenza, alla finitezza]. E, inoltre, dal punto di vista filosofico, la cosmologia [la forma e la dinamica dell’Universo] di Avicenna tutta impostata sul pensiero di Platone aveva una base molto fragile che andava sgretolandosi a mano a mano che cresceva la conoscenza diretta delle Opere [la Fisica e la Logica] di Aristotele.

   Ebbene, la polemica nei confronti del sistema di Avicenna viene condotta sul piano dell’ortodossia religiosa derivante dalla Letteratura del Corano da un certo al-Ghazāli [o Algazel, come si diceva nell’occidente latino], mentre la polemica sul piano filosofico, in nome dell’autentico aristotelismo, viene condotta da un certo Abu ibn Rushd un nome che [come voi ben sapete] nell’occidente latino diventa “Averroè” [e lo incontreremo la prossima settimana, ci ha invitate e invitati a prendere un caffè da lui, a Cordova].

   Chi è al-Ghazāli e che importanza hanno le sue opere nello sviluppo della Storia del Pensiero Umano? Al-Ghazāli critica in nome della supremazia della Fede il pensiero di Avicenna e dei [cosiddetti] falāsifa [i filosofi arabo-islamici che s’ispirano al naturalismo-scientifico per osservare e studiare il funzionamento del mondo-creato] ma al-Ghazāli diventa il protagonista di una situazione dai contorni paradossali.

   Al-Ghazāli [1058-1111] è un dotto maestro mussulmano che ha insegnato diritto e teologia-islamica a Bagdad ed è stato consigliere del primo ministro persiano Nizām al-Mulk: quando questa persona viene assassinata durante un tentativo di colpo di Stato, al-Ghazāli, che si ritiene responsabile di non averla sufficientemente messa in guardia, subisce una profonda crisi interiore che lo porta verso la vita contemplativa ed aderisce al movimento del sufismo [in arabo sūf è il pelo di cammello del quale era fatto il saio dei Sufi], un movimento dedito all’ascesi mistica da raggiungersi oltre che con lo studio e la meditazione anche con la musica e la danza vorticosa.

   Al-Ghazāli lascia Bagdad e peregrina per nove anni tra la Mecca e gli eremi della Siria e poi, nella seconda parte della sua vita, fonda una comunità monastica e il suo sufismo intellettuale ha esercitato una grande influenza nella religiosità islamica, un’influenza non sempre considerata ortodossa. Al-Ghazāli ha scritto molte opere di carattere giuridico [di commento alla Letteratura del Corano] e filosofico [di commento al pensiero di Aristotele per confutarlo]. Il destino storico di al-Ghazāli è davvero curioso e un po’ paradossale: tra le sue tante opere ne ha scritto una intitolata La distruzione dei filosofi [Tahāfut al-falāsifa] per confutare il pensiero di Avicenna, del suo predecessore al-Farabi e di tutti i falāsifa, ebbene, è successo che nella prima parte di quest’opera [nel primo Libro] lui svolge una puntuale esposizione delle tesi che vuole confutare [e, quindi, questo testo diventa un vero e proprio trattato celebrativo della filosofia che lui avversa] e quando la seconda parte [il secondo Libro], contenente la confutazione del pensiero dei falāsifa, viene staccata dalla prima parte [c’è chi vuole a sua volta distruggere la confutazione di al-Ghazāli nel territorio iberico dove dominano le Scuole dei falāsifa], rimane in circolazione la prima parte da sola che - con il titolo di Le intenzioni dei filosofi [Maqāşid al-falāsifa] - penetra in Occidente dove al-Ghazali [o Algazel, come veniva chiamato] è passato alla storia come un prosecutore dei pensatori [dei falāsifa] che lui avrebbe voluto “distruggere”.

   Però noi conosciamo l’autentico pensiero di al-Ghazali il quale, com’è nella natura di tutti i mistici [sufi o cistercensi che siano], coltiva una posizione scettica nei confronti della Ragione [condannata dai suoi limiti a non fare affermazioni che non siano dimostrabili] e questo atteggiamento alimenta una visione che serve a rendere più ampi gli spazi della Fede. Al-Ghazāli vuole contrastare la visone naturalistica [scientifica] allora dominante tra i filosofi [gli scienziati] dell’Islam [simile a quella dei maestri della Scuola di Chartres]. Scrive al-Ghazāli: «I falāsifa sostengono che tutto è mosso dalla Necessità e che la catena dei fenomeni fisici sembra continua ma non lo è perché la materia si divide in atomi e il tempo in istanti, ma se così fosse, se l’Onnipotente dovesse sottostare alla Necessità, nulla potrebbe funzionare nell’Universo se non ci fosse, a sovrastare la Necessità, la Volontà di Dio che interviene, istante dopo istante, a dare continuità alla vita del mondo creato».

   Ma, c’è da dire che, senza un corretto uso della Ragione, questa bella riflessione sulla supremazia della Volontà divina rispetto alla Necessità al-Ghazāli non avrebbe potuto formularla.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La Filosofia scolastica pone un bel problema su cui riflettere: quello del rapporto tra la Volontà e la Necessità ... Quando, come e perché [secondo voi] la Necessità stimola la Volontà e quando, come e perché [secondo voi] è la Volontà che fa sorgere la Necessità      ?

“Scrivere quattro righe” [per esempio, secondo voi] corrisponde più ad un buon proposito [la volontà] oppure ad un reale bisogno [la necessità]?...

 

   E i “nani” diventano “giganti” per volontà o per necessità? Leggiamo queste pagine nelle quali sembra che si possa trovare una risposta ma è solo un miraggio che serve a stimolare ulteriormente la riflessione perché “riflettere” è necessario e bisogna sempre avere la volontà di farlo.

 

LEGERE MULTUM….

Gisela Elsner, I nani giganti

IL PRANZO

Mia madre passò di corsa e tossendo per il corridoio, più corto e più stretto, si fermò sulla soglia della porta della nostra camera da pranzo, più piccola, in cui non c’era posto per un canapè.

- È bruciato tutto, - disse.

Il vapore fiottava dalla cucina per il corridoio in camera da pranzo. Il mio padre più piccolo ed io sedevamo alla tavola apparecchiata.

- E allora andremo a mangiare fuori, - disse mio padre. - Preparati. Io ti precedo con Lothar.

Mi portò giù per le scale e mi depose sul marciapiede. Ogni due passi mi precedeva per lo spazio di un gran passo.

... continua la lettura ...

 

 

   E noi il caffè adesso lo andiamo a prendere a Cadice a casa di un personaggio che ce lo offre ben volentieri.

   Dobbiamo prendere atto che, anche dopo gli attacchi di al-Ghazāli, i falāsifa, e in particolare Avicenna, non solo non vengono “distrutti” ma la loro autorevolezza aumenta e tra questi si distingue un seguace del pensiero di Avicenna [ricordiamoci che Avicenna era morto nel 1037, quindi da più di cinquant’anni rispetto ad al-Ghazāli ma la sua influenza continua e continuerà a lungo]. Questo intellettuale che ci ha preparato il caffè [lo so che questa non è l’ora, ma si tratta di caffè leggero e non si può rifiutare] si chiama: Abu Bakr ibn Tofay, conosciuto tra i latini come Abubacer.

   Abu Bakr ibn Tofayl, chiamato dai latini Abubacer, è nato a Cadice agli inizi del secolo XII e morto nel 1185 ed è autore di un commento al De anima di Aristotele e soprattutto è l’autore di un “romanzo filosofico” - scritto a imitazione di un’opera analoga di Avicenna - che è rimasto ignoto agli Scolastici europei perché è stato tradotto in latino solo nel XVII secolo col titolo di Il filosofo autodidatta e, in Età moderna, quest’opera ha avuto molto successo.

   Che cosa racconta questo romanzo? Il racconto è ambientato su due isole: la prima è abitata da una popolazione che segue una Legge la quale impone comportamenti e atti religiosi totalmente esteriori [domina l’esteriorità]. Ci sono però due uomini diversi dagli altri che ritengono non si possa vivere senza coltivare l’interiorità. Ma il primo dei due, di spirito pratico [anche perché è tra chi governa], si rassegna ad accettare che il popolo di quest’isola viva in conformità alle sue tradizioni, mentre il secondo, che si chiama Absal, decide di andarsene da un posto in cui si sente estraneo, da una società di cui non condivide lo stile di vita. Absal emigra su un’altra isola, non lontana dalla prima, che lui crede deserta e, invece, su quest’isola vive un individuo [una specie di Robinson Crosue] che è nato, per via eccezionale, dalla terra, si chiama Havey, ed è cresciuto allevato tra gli animali e poi, illuminato soltanto dalla luce interiore dell’intelligenza, ha inventato per suo conto tutti gli oggetti che rendono civile la vita e, soprattutto, ha scoperto, una dopo l’altra, le fondamentali verità filosofiche e religiose. Absal incontra Havey e, superate le difficoltà linguistiche, i due arrivano a capire che per vie diverse hanno raggiunto la medesima verità. Avendo saputo dell’altra isola Havey chiede ed ottiene di esservi accompagnato dal nuovo amico ma i due, per quanto si diano da fare, non riescono a scuotere le coscienze degli abitanti della prima isola, anzi si guadagnano una tale ostilità che decidono di tornarsene nell’isola disabitata: nell’unico luogo adatto alla sapienza.

   Questa singolare parabola filosofica contiene due interessanti significati: il primo è che la verità, sostiene Abubacer, si raggiunge non per una predicazione che viene dall’esterno ma per l’illuminazione interna dell’Intelletto agente [secondo la Logica di Aristotele interpretata attraverso il pensiero di Platone temperato dalla riflessione di Avicenna];  il secondo significato della parabola di Abubacer è che “la persona che studia la filosofia [avendo una mentalità dinamica]” può capire “la persona religiosa” ma “la persona religiosa [avendo una mentalità statica]” non è in grado di corrispondere con “la persona che studia filosofia”. Quindi, sostiene Abubacer, la Religione si può capire attraverso il linguaggio della Filosofia mentre il linguaggio religioso non è adatto a favorire l’analisi filosofica. Questa affermazione di Abubacer è in linea con il pensiero di Averroè, di cui Abubacer è amico, e ora ci prendiamo questo caffè a Cadice e, la prossima settimana, andremo a prenderne uno, tutte e tutti insieme, a Cordova a casa [nella bella casa, secondo Jorge Luis Borges] dell’ospitale Averroè.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Voi come lo preferite il caffè: caldo, freddo, basso, alto, lungo, macchiato, dolce, amaro, corretto, o come?...  

Scrivete una riga in proposito...

 

   Perché questa domanda? Dopo che - per concludere - avremo letto questo ultimo frammento da I nani giganti credo che un caffè sia gradito.

 

LEGERE MULTUM….

Gisela Elsner, I nani giganti

IL PRANZO

Una volta l’anno, sempre quando mio padre è a lezione, ci viene a far visita mia nonna. Arriva con due valige e ha l’aria di una viaggiatrice che arriva di lontano, nonostante non viva più distante di un quartiere.

- Tu sei diventato ancora più magro, - grida, - bambino mio! - Depone le valige in terra e batte in ritardo le mani una contro l’altra.

- Ma com’è carino qui da voi, - dice e si guarda attorno in camera da pranzo. Poi vuota le sue valige, depone la sua marmellata fatta in casa barattolo per barattolo sulla tavola.

... continua la lettura ...

 

   Abubacer è stato consigliere dell’emiro del Marocco che gli ha chiesto di ritradurre le Opere di Aristotele in arabo più moderno [rispetto a quello della Scuola di Toledo di un secolo e mezzo prima], ma Abubacer si sente vecchio [non ci vede più molto bene] e quindi chiama in aiuto il suo amico Averroè e fa passare a lui l’incarico: Averroè traduce, e comincia a commentare, le Opere di Aristotele, e così ha inizio “l’aristotelismo arabo” nell’ambito della Scolastica islamica: in che cosa consiste questo movimento che influenza in generale il mondo della Scolastica e, soprattutto, che tipo di caffè ci preparerà Averroè?

   Averroè dichiara di sentirsi “un nano sulle spalle di quel gigante che è Aristotele [che combinazione!]” e questa affermazione c’invita a coltivare lo spirito utopico che lo studio porta con sé camminando sulla via dell’Alfabetizzazione culturale e funzionale, consapevoli del fatto che non si deve mai perdere la volontà d’imparare.

   L’appuntamento è ancora una volta a Cordova, e il viaggio continua, la Scuola è qui [l’acqua è sul fuoco]. Accorrete visto che poi, la settimana successiva, ci sarà la pausa del 1° maggio…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Aprile 17, 2015