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LA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AFFIDATA AGLI ANIMALI - LA STRATEGIA DEL TOPO ...

Lezione N.: 
6

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

La sapienza poetica e filosofica dalla seconda metà del ‘600 al secolo dei Lumi

La sapienza poetica e filosofica affidata agli animali

Prof. Giuseppe Nibbi

QUARTO ITINERARIO [in attesa di tornare a viaggiare in presenza] ...   24 febbraio 2021

LA STRATEGIA DEL TOPO ...

     Care compagne e cari compagni di Scuola, nell’attesa di riprendere il cammino in presenza sul Percorso canonico di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura sulla via che dalla metà del Seicento porta verso il secolo dei Lumi, su consiglio di Jean de La Fontaine [che resta in attesa di poter comparire dal vivo negli spazi fisici della nostra Scuola], abbiamo cominciato a leggere una favola dove “la Sapienza poetica e filosofica” è affidata agli animali perché, come sappiamo, fin dalla notte dei tempi “la favola”, con la voce degli animali, parla agli umani per invitarli a riflettere sulla loro condizione esistenziale [de te fabula narratur, ci ricorda La Fontaine], ma, purtroppo, gli umani - a causa della loro debolezza cognitiva e del loro istinto predatorio - hanno dimenticato che sono proprio gli animali, attraverso la fabula, a raccontare in metafora la realtà delle cose di questo mondo. E Jean de La Fontaine, in proposito, ci ha consigliato di utilizzare La Favola Selvaggia [riscritta in lingua corrente] di un umanista rinascimentale di nome Filelfo e, di conseguenza, abbiamo portato il testo di questo scritto nella nostra Officina dell’apprendistato cognitivo per poterlo interpretare facendo emergere i riferimenti letterari in esso contenuti, in modo che questa operazione di carattere ermeneutico ci consenta di tenere attivo nella nostra mente il funzionamento delle principali azioni mediante le quali si apprende [conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare].

     La Fontaine ci ha ricordato, inoltre, che la vera lettrice e il vero lettore è una persona che sa come “andare incontro al pensiero scritto” in modo da far muovere la mente per sostenere “il carico della scrittura” tanto nelle sue forme quanto nei suoi contenuti. La lettura - come tutte le persone dovrebbero sapere - è un’arte difficile da praticare, e sono capaci a leggere nel vero senso della parola solo le persone che sanno conoscere il significato delle parole-chiave, che sanno capire la rilevanza delle idee-cardine, che si sanno applicare metodicamente, che sanno analizzare i pensieri che il testo contiene, che sanno sintetizzare il contenuto del testo e che sanno valutare il grado di soddisfazione che hanno provato leggendo.

     Nello scorso itinerario, come ricorderete, abbiamo letto e commentato il terzo capitolo della favola di Filelfo intitolata L’assemblea degli animali. Nel luogo dove si sta tenendo questa grande assemblea i rappresentanti più autorevoli degli animali stanno per prendere la parola per proporre una strategia efficace per reagire di fronte alla minaccia portata alla Terra da parte del suo più giovane e intemperante colono: l’essere umano, che si è dimostrato il predatore più efficace e più nocivo di tutti tanto da mettere a repentaglio la vita sul pianeta. E noi, ora, leggiamo il quarto capitolo della favola e, nel corso della lettura, ci fermeremo più di una volta a riflettere perché leggere un testo corrisponde a un esercizio di ermeneutica, di interpretazione, di spiegazione, di chiarimento, di complicazione, di analisi, di sintesi, di esegesi [una competenza, l’esegesi, che in greco significa “di lettura attenta”], e un testo va sempre letto con grande attenzione portandolo nell’ambito di un’Officina di apprendistato cognitivo.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo IV. La strategia del topo

Seduto sotto un ponte si annusava il re dei topi. Forse, pensava che, dopo tanti secoli il suo momento era finalmente arrivato. Pensava che i topi sono le bestie che più delle altre non supplicano, non chiedono pietà, non si danno per vinte e vivono tenendosi lontane dalle illusioni come dal mare aperto. Si sa che, quando un’assemblea è ammutolita, ed è assorta in pensieri contrastanti, basta poco a infiammarla se si sanno usare le parole giuste. E lui, il re dei topi, le parole le sapeva usare da milioni di anni. Non aveva niente da imparare dal linguaggio ridondante degli umani. Lo aveva studiato, e nessuno tra gli animali conosceva la specie umana quanto lui. Per generazioni i topi avevano osservato e aspettato. Erano scesi di notte dalle cappe dei camini e si erano affacciati ai bordi delle culle. Erano saliti dalle cantine e avevano spiato le cene al lume incerto della candela, aspirando l’odore del lardo su cui veniva strusciata la polenta. Erano sbarcati dalle navi per conquistare gli stessi mondi che conquistavano gli umani, e in questi mondi avevano quasi sempre portato la peste: l’epidemia. Ma erano sempre stati sconfitti e relegati nel mondo sotterraneo, tra i rigagnoli delle fogne, nelle fosse di scarico, nei bidoni dell’immondizia. Sempre scacciati dal trono che per intelligenza, rapidità, adattabilità sarebbe loro spettato. …

     E adesso ci fermiamo a riflettere su ciò che emerge dal testo che stiamo leggendo: sappiamo che la scrittura si presta ad essere esaminata per potersi “manifestare in tutta la sua pienezza” [in greco questa situazione corrisponde alla parola “alfabetofanìa”, un termine che non vi è nuovo]. Puntiamo, quindi, l’attenzione sulla frase iniziale del Capitolo IV della Favola di Filelfo: «Seduto sotto un ponte si annusava il re dei topi.».

     Si sa che la comparsa dei topi porta sempre scompiglio ma, in questo caso, l’immagine del re dei topi dovrebbe anche far risuonare nella nostra mente brani musicali, ma procediamo con ordine facendoci carico della scrittura: l’espressione “il re dei topi” la si trova nel titolo di una fiaba, Schiaccianoci e il re dei topi [e prevedo che questo titolo faccia emergere segmenti di conoscenza nella vostra mente]. Questa fiaba è inserita in una raccolta che, a suo tempo, ha avuto molto successo tra le lettrici e i lettori [e oggi sembra caduta nell’oblio sebbene in Italia sia stata ritradotta e ristampata nel 2020] e questa raccolta - pubblicata per la prima volta in quattro volumi a Berlino fra il 1819 e il 1821 - s’intitola I fratelli di Serapione [o I confratelli di San Serapione] e contiene racconti e fiabe composte da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, un personaggio che avrete senz’altro sentito nominare per diverse ragioni [e lo abbiamo anche incontrato qualche anno fa sul territorio del Romanticismo].

     E.T.A. Hoffmann - che è nato a Königsberg nel 1776 [nella città di Kant, dove ha seguito anche un corso universitario tenuto dal grande filosofo] ed è morto a Berlino nel 1822 all’età di appena 46 anni - al di là del suo lavoro di giurista, sebbene non continuativo, nell’amministrazione prussiana è stato un critico musicale, un prolifico compositore che aggiunge ai suoi nomi quello di Amadeus in onore a Mozart. Hoffmann ha scritto undici opere delle quali quella che dal 1816 ha avuto più successo s’intitola Ondina tratta dal racconto omonimo del suo amico Friedrich de la Motte Fouqué, e forse ne avrete ascoltato qualche brano. Inoltre Hoffmann è stato un regista teatrale, un pittore, un disegnatore satirico e un fecondo scrittore, un esponente di spicco del Romanticismo. La figura di Hoffmann è veramente poliedrica e, dal punto di vista letterario, benché come scrittore sia stato attivo solo negli ultimi anni della sua vita, si rivela un artista particolarmente creativo diventando famoso in tutta Europa, non ricco perché, coerente con l’atteggiamento romantico, muore in assoluta povertà. Il tema fondamentale della  produzione artistica di Hoffmann - tanto come scrittore quanto come compositore - è quello dello sdoppiamento tra il mondo dell’interiorità e quello dell’esteriorità, è quello della dissociazione fra il mondo della realtà e quello del sogno: Hoffmann nei suoi Racconti e nelle sue Fiabe descrive minuziosamente la realtà concreta fino a farla risultare qualcosa di inconcepibile, di assurdo, di artificioso mentre i sogni e le magie appaiono come aspetti assolutamente naturali e ovvi dell’esperienza umana [la persona vive trasfigurando costantemente la realtà, aprendo la propria mente al sogno] e, quindi, il suo stile incarna perfettamente lo spirito romantico, influenzando molte scrittrici e scrittori e filosofi sia tedeschi che francesi che russi: il particolare umorismo di Hoffmann è stato utilizzato largamente anche da Luigi Pirandello nel comporre le sue novelle teatrali.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Per avere un quadro più ampio della vita e dell’opera di E.T.A Hoffmann potete – rendendo operative le azioni del conoscere, del capire e dell’applicare - consultare l’enciclopedia e navigare in rete in modo da analizzare, sintetizzare e valutare il carico dei dati e delle notizie a vostra disposizione...

C’è un oggetto presente in casa vostra che vi accompagna nel tempo [magari fin dall’infanzia] e che, come se si animasse, vi parla stabilendo con voi un dialogo?...  

Scrivete quattro righe in proposito: noi [ci ricorda Hoffmann] siamo in grado di trasfigurare la realtà e di aprire la nostra mente al sogno, approfittatene...

     Ma torniamo a “il re dei topi” per dire che la raccolta di racconti e di fiabe [trenta in tutto] di Hoffmann intitolata I fratelli di Serapione [o I confratelli di San Serapione] porta questo titolo particolare e curioso perché l’autore costruisce una cornice in cui inserisce i suoi testi immaginando di far narrare le novelle e le fiabe da lui composte da sei suoi amici che si riuniscono ogni tanto a questo scopo, e che hanno preso come protettore San Serapione [L’eremita Serapione è il titolo del primo racconto della raccolta, e merita di essere letto] perché si sono riuniti per la prima volta nel giorno della sua festa. Quale giorno? Non si sa.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Vi starete domandando che santo sia San Serapione... e se fate una piccola ricerca sull’enciclopedia e sulla rete potete scoprire che i santi di nome Serapione sono un certo numero: Serapione di Alessandria, Serapione di Thmuis, Serapione di Antiochia, Serapione di Catania, Serapione il Sindonita... ebbene, a quale di costoro si rifanno i confratelli dell’eremita Serapione?... Questo non lo sappiamo ma ciò che conta è un’idea virtuosa che dobbiamo coltivare: dobbiamo allargare le nostre conoscenze agiografiche [sulla vita delle sante e dei santi] perché se ne trae vantaggio in funzione dell’esercizio della lettura in quanto molte figure di sante e di santi ricorrono spesso in ambito letterario ed è utile non lasciarsi cogliere impreparate e impreparati ...

     Tre dei sei confratelli di San Serapione [Ottomar, Vincenz e Sylvester] sono amici reali di Hoffmann che lui trasforma in tre personaggi simbolici: Ottamar diventa l’appassionato musicofilo Theodor, Vincenz l’incontentabile Lothar, creatore di favole fantastiche, e Sylvester il bizzarro Cyprian, che colleziona casi umani che escono dal normale, e Hoffmann li usa per evidenziare tre diversi aspetti della sua complessa personalità.

     Schiaccianoci e il re dei topi è una delle fiabe più celebri della raccolta I fratelli di Serapione [e probabilmente ne conoscete anche la trama, o parte di essa]. Hoffmann racconta che in casa della famiglia del dottor Silberhaus è tutto pronto per il cenone di Natale, e lo zio Drosselmayer - un ometto molto dotato per la meccanica - arriva alla festa con i regali, in particolare, per i due bambini di casa: Fritz e Marie. Fritz riceve in dono i soldatini di piombo e Marie uno schiaccianoci a forma di ussaro dallo sguardo malinconico. Quando, finita la festa, tutti vanno a letto, Marie indugia nella camera dei giocattoli e, allo scoccare della mezzanotte, i giocattoli prendono vita e, condotti da Schiaccianoci - che dimostra di essere di più di un semplice giocattolo - ingaggiano una battaglia con una legione di topi, guidati dal loro re e, di conseguenza, la storia si amplia e si complica.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Se non ricordate la trama [accattivante e complessa in tutti i suoi particolari] della fiaba Schiaccianoci e il re dei topi potete leggerne il testo che trovate in biblioteca nel volume della raccolta I fratelli di Serapione, e così potrete prendere atto di come Hoffmann sia abile a far entrare una fiaba dentro l’altra...  Prendere atto – portando un testo all’interno di un’Officina di apprendistato cognitivo - dei meccanismi della narrazione ci permette di diventare lettrici e lettori più competenti...

Ma più si legge e più l’esercizio della lettura rivela interessanti paesaggi intellettuali…

     Questa fiaba di Hoffmann [come probabilmente avete intuito] ha ispirato a uno scrittore che tutte e tutti voi conoscete, Alessandro Dumas padre [1831-1870], uno dei suoi racconti per bambini intitolato Histoire d’un casse-noisette [La storia di uno schiaccianoci, che non mi risulta sia mai stato tradotto in italiano], ed è da questo racconto che il musicista russo Pëtr Il’ijč Čajkovskij [1840-1893] ha tratto ispirazione per comporre le musiche del ballo in due atti e tre scene intitolato Schiaccianoci [Casse-Noisette]: ecco perché all’inizio di questa riflessione abbiamo detto che l’immagine del re dei topi avrebbe dovuto far risuonare nella nostra mente, attraverso le opere di Hoffmann, brani musicali sia molto conosciuti come quelli dello Schiaccianoci di Čajkovskij che meno conosciuti, sebbene degni di attenzione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Le opere di Hoffmann hanno ispirato la composizione di un ciclo di pezzi per pianoforte dal titolo Kreisleriana di Robert Schumann [indagate in proposito sull’enciclopedia e sulla rete: da che cosa deriva il titolo Kreisleriana?], e poi le opere di Hoffmann hanno favorito la composizione di un’opera fantastica in cinque atti di Jacques Offenbach intitolata I racconti di Hoffmann [c’è anche un film da vedere in proposito, girato nel 1951, con lo stesso titolo] e, inoltre, un racconto omonimo di Hoffmann, tratto dalla raccolta I fratelli di Serapione, ha ispirato la composizione dell’opera teatrale Il sorteggio della sposa da parte di Ferruccio Busoni...

Quando ci si fa carico della scrittura essa si manifesta in tutta la sua pienezza tanto che spesso finisce per sciogliersi in musica, e la musica richiede ascolto, e voi non rinunciate a mettervi in ascolto...

     E ora riprendiamo a leggere il testo del quarto capitolo della Favola di Filelfo: sentiamo che cosa ha da dire il re dei topi quando - con uno squittio che sembra un ruggito - comincerà a parlare in assemblea.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo IV. La strategia del topo

Uomini e topi: questo, da che le due specie erano comparse sulla terra, era stato il vero duello. Ora il re dei topi aveva l’occasione di vincerlo questo duello. Il suo esercito era il più grande, i suoi generali erano accanto a lui, proprio in quel momento.  Le guerre portano la peste e, in passato, il popolo dei topi aveva avuto molte occasioni per assecondare questo fenomeno.  Nel ruscello torbido le loro sagome plumbee affioravano appena dal pelo dell’acqua, le loro code sottili come baionette si rizzavano nervose, i loro denti affilati come pugnali nel fodero delle bocche serrate erano pronti a mordere l’occasione. Legioni e legioni. Scattò velocissimo il topo regale e, prima che chiunque potesse fermarlo, raggiunse il seggio e nel silenzio generale il suo squittio parve un ruggito. - Peste. Ci vuole la peste. Ne abbiamo di ogni tipo. Nera, bubbonica, polmonare, per limitarci a quelle cui gli umani hanno dato propriamente questo nome. Ma sapete tutti che noi, il popolo dei topi, disponiamo di un vasto catalogo, e ben sperimentato. La nostra rete mondiale assicura serietà e rapidità. Da millenni diffondiamo epidemie con efficienza ed efficacia. Abbiamo sempre garantito un significativo decremento della comunità umana. Con la peste antonina, solo per citare un esempio di cui siamo ancora particolarmente orgogliosi, abbiamo diminuito del quaranta per cento - secondo le stime più caute - la popolazione e causato, lo dico senza falsa modestia, la caduta dell’Impero romano. Abbiamo con rigore e metodo ridotto la demografia del Medioevo occidentale a un’accozzaglia di manieri e catapecchie, senza dare agli umani di quelle regioni la possibilità di ricreare uno Stato. Le nostre gesta sono state descritte dai loro massimi storici, cantate dai loro più grandi poeti, hanno ispirato le trame dei loro più celebri romanzi. …

     E ora - prima di continuare ad ascoltare l’intervento drammatico del re dei topi - la coppia di parole «Uomini e topi» ci porta ancora nel territorio della Letteratura [e prevedo lo abbiate intuito]. A causa degli avvenimenti che, ultimamente, hanno caratterizzato la vita politica e sociale degli Stati Uniti d’America le commentatrici e i commentatori hanno spesso evocato il ruolo che ha avuto la Letteratura nel dare un senso alla storia di questo grande paese, e molte sono state le citazioni che hanno riguardato anche un autore che sembrava quasi dimenticato, John Steinbeck, uno scrittore legato alla coppia di parole «Uomini e topi» perché questa dicitura corrisponde al titolo di uno dei suoi romanzi più significativi. John Steinbeck è nato in California nel 1902 ed è morto a New York nel 1968 ed è stato uno scrittore molto noto nel secolo scorso, autore di molti romanzi e racconti il testo dei quali è stato spesso reso in sceneggiature teatrali [da lui stesso] e cinematografiche [da noti registi]. A John Steinbeck nel 1962 è stato conferito il premio Nobel per la Letteratura ed è considerato uno dei principali esponenti della cosiddetta “Generazione perduta” alla quale appartengono quelle scrittrici e quegli scrittori che hanno raccontato una crisi sociale drammatica che ha avuto il suo epicentro nella grande depressione economica del 1929, che oggi evochiamo spesso di fronte alla grave emergenza mondiale che stiamo vivendo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Per saperne di più della vita e dell’opera di John Steinbeck potete – utilizzando le azioni del conoscere, del capire e dell’applicare - consultare l’enciclopedia e navigare in rete in modo da analizzare, sintetizzare e valutare il carico dei dati e delle notizie a vostra disposizione per poterle utilizzare al meglio, e poi in biblioteca trovate i romanzi di Steinbeck che - per i messaggi trasmessi, per i simboli rappresentati e per la filosofia umanitaristica che mettono in evidenza – sono tornati di attualità ...

     Noi adesso - fedeli al dettato testuale della favola di Filelfo - ci occupiamo brevemente del romanzo intitolato Uomini e topi. Un romanzo breve che, sebbene scritto in modo narrativo, possiede la struttura di una tragedia e il testo sembra suddiviso in atti teatrali e, difatti, lo scrittore ne ha fornito anche una trasposizione per le scene [c’è anche un omonimo film girato una prima volta nel 1939, riproposto nel 1992 e ancora nel 2015]. Questo romanzo è stato pubblicato a New York nel 1937 nel corso di un decennio caratterizzato negli Stati Uniti da una presa di coscienza sul tema dell’ingiustizia sociale, dalla fioritura di una cultura di sinistra e da una vasta produzione narrativa, in chiave  realistica, di denuncia e di impegno politico. John Steinbeck è stato capace di creare un genere al quale è stato dato il nome di “realismo poetico”, uno stile che lui utilizza per rappresentare una provincia che non era ancora entrata nella tradizione letteraria americana: la California dei contadini e dei braccianti costretti a viaggiare in cerca di lavoro accettando condizioni di sfruttamento pur di sopravvivere. Questo ambiente caratterizza quasi tutti i romanzi di Steinbeck anche perché, da giovane, è stato il terreno della sua esperienza personale che emerge nella storia dell’adolescente Jody nel romanzo Il cavallino rosso o nella storia corale della vita dei poveri in California narrata in quella che viene considerata la sua opera più significativa: il romanzo intitolato Furore. Naturalmente anche la storia di Uomini e topi è ambienta in una fattoria della California centrale dove sono venuti a cercare lavoro due braccianti, George e Lennie. Lennie è un gigante dal cervello infantile, è affetto da un ritardo mentale che lo ha reso non cosciente della propria forza sebbene sia provvisto di un animo molto buono e remissivo. Con la pressione delle dita Lennie uccide spesso involontariamente piccoli animali, topi o cagnolini, che lui ama accarezzare e poi soffre per non essere stato capace di misurare la propria forza. George lo assiste, lo tutela, e s’impegna a compensare lo svantaggio dell’amico guidandolo e cavandolo dai guai che spesso, senza volere, Lennie si procura a causa della sua forza incontrollata, e soprattutto lo conforta col miraggio d’una piccola fattoria tutta loro che potranno avere un giorno lavorando sodo, e Lennie ha nel compagno una fiducia cieca e deferente, e obbedisce sempre ai suoi ordini e ne ricorda a memoria ogni parola. Così George e Lennie, aggrappandosi l’uno all’altro, resistono allo sfruttamento che subiscono nel duro mondo californiano del lavoro bracciantile, ma un giorno la provocante e inquieta moglie del prepotente figlio del padrone della fattoria decide di attirare l’attenzione di Lennie su di sé, e qui la narrazione si avvia verso una tragica conclusione che potete scoprire leggendo il testo di questo romanzo fino in fondo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Il romanzo Uomini e topi di John Steinbeck si legge [magari nella storica traduzione di Cesare Pavese del 1938]  non solo per conoscere una storia che si svolge secondo i ritmi della tragedia ma anche per capire come un racconto - reso mediante una scrittura poetica - possa diventare un simbolo idoneo a denunciare un sistema che procura sofferenza e ingiustizia, rendendo degradata la condizione umana [ed ecco perché la scrittura di John Steinbeck è tornata in auge durante i quattro anni di presidenza di un irresponsabile]...  

     E ora torniamo sul testo del Capitolo IV della Favola di Filelfo per continuare ad ascoltare l’intervento drammatico del re dei topi a nome del suo popolo.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo IV. La strategia del topo

Nel silenzio generale il re dei topi continuò il suo intervento consapevole del fatto che gli endemici conflitti tra gli umani hanno sempre favorito la missione del suo popolo. Le guerre portano la peste, e di questo il popolo dei topi ne aveva memoria e, in passato, infatti, aveva avuto molte occasioni per assecondare il fenomeno.

- Le nostre gesta, disse il re, sono state descritte dai massimi studiosi di storia, sono state cantate dai più grandi poeti, e hanno ispirato le trame dei più celebri romanzi. Tutti sanno bene che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valige, nei fazzoletti e nelle cartacce e che verrà il giorno in cui, sventura e insegnamento degli umani, la peste sveglierà i suoi sorci per mandarli a morire in una città felice. -

Il re dei topi, che ormai sentiva di avere l’assemblea in pugno, si avviò alla conclusione - Io vi dico fratelli: lasciateli a noi. Ci avete impedito negli ultimi secoli di agire, lasciandoci diffondere non senza frustrazione, solo malattie minori, umilianti, come la leptospirosi o la salmonella. È tempo di darci pieni poteri. Io vi garantisco un umano morto per ogni animale morto. Come dicono loro occhio per occhio, - concluse strizzando il suo - dente per dente, - sorrise, scoprendo i suoi denti, robusti e taglienti …

     Nel corso della sua testimonianza il re dei topi fa sì che emergano due concetti legati a un tema drammatico e molto trattato nella Storia della Letteratura: il tema dell’epidemia di peste. «Le guerre portano la peste e i guerrieri non se ne ricordano mai se non in seguito, quando anche i vincitori si sono contagiati e fanno la fine degli sconfitti» e «il bacillo della peste non muore né scompare mai». Ebbene, queste due citazioni presuppongono - in funzione della didattica della lettura e della scrittura - una lunga riflessione alla quale noi ora possiamo solo dare l’avvio per il poco tempo e l’esiguo spazio che in questo itinerario abbiamo ancora a disposizione, ma prossimamente [fra quindici giorni] potremo ampliare questa riflessione in modo che possa fungere da vaccinazione intellettuale altrimenti come potremmo dire, dal cuore della nostra Officina di apprendistato cognitivo, che: lo studio è cura?

     Voi sapete che Lucrezio alla fine del VI Libro del De rerum natura [un’opera che abbiamo già citato in questo percorso e studiato in questi anni] descrive con uno straordinario realismo le conseguenze della spaventosa epidemia di peste che colpisce Atene e così facendo presenta per la prima volta uno scenario a cui è stato dato il nome di “trionfo della morte”. Questa dicitura - che investe la Storia della Letteratura, della Musica, delle Arti figurative e del Pensiero Umano - è stata più volte utilizzata per descrivere il panorama pandemico contemporaneo. Lucrezio mette in versi un avvenimento - l’epidemia di peste che ha colpito Atene nel 430 a.C. - già raccontato dallo storico Tucidide [460-400 circa a.C.] nel II Libro della sua Storia della guerra del Peloponneso [un’opera che abbiamo incontrato più volte in questi anni di Scuola], ma Lucrezio pone la sua scrittura al di fuori di qualsiasi collocazione cronologica [scrive anche per noi, per l’esperienza che stiamo vivendo? Volete che la risposta a questa domanda non sia affermativa?] perché non è tanto il resoconto storico che a Lucrezio interessa quanto far uso della “sapienza poetica” a scopo educativo.

     Come lettrici e lettori attenti [esegeti, ermeneuti] dobbiamo sapere che non è possibile fare un confronto tra la grandiosa tragica descrizione del poeta latino Lucrezio e l’asciutto ed essenziale resoconto in prosa dello storico greco Tucidide: i generi letterari con cui Tucidide [storico di età antica] e Lucrezio [poeta ellenistico] trattano questo tema sono diversi ma c’è congruenza su una serie di elementi trattati da questi due grandi autori che accompagneranno sempre il tragico racconto di ogni epidemia, compresa la pandemia che stiamo vivendo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Le biblioteche sono funzionanti e potete quindi - se non è già presente nelle vostre librerie domestiche - procurarvi il volume del De rerum natura [La natura] di Lucrezio in modo da leggere 48 versi del Libro VI del poema: dal verso 1138 al verso 1286...

Lucrezio ha portato il drammatico argomento dell’epidemia [descritto in 150 versi] nell’ambito della Storia del Pensiero Umano mettendo in evidenza tutti i temi di carattere esistenziale che scaturiscono dal procedere di questo evento che diventa una grande metafora dell’impotenza umana e una straordinaria allegoria del trionfo della morte…

     Il realistico racconto lucreziano dell’epidemia [di cui siete invitate e invitate a leggere almeno i 48 versi iniziali] si colloca fuori dalla cronologia perché, allora come oggi, l’umanità è vittima di questa tragedia in modo simile: oggi, come allora, di fronte allo scatenarsi delle forze della natura la persona si trova inerme con le stesse paure, con le stesse viltà, con gli stessi atti di eroismo di cui è solita dar prova quando è chiamata a far fronte alle necessità più gravi. Con lucido realismo Lucrezio passa in rassegna i vari momenti della malattia, i suoi sintomi e le sue conseguenze, non trascura la visione dei corpi straziati in cui è scomparsa ogni traccia di umana dignità. Per Lucrezio è nei momenti di estrema gravità che, caduta la maschera [dal punto di vista letterario i termini “peste o epidemia” e “maschera” sono spesso associati], si può vedere il vero volto dell’essere umano e, quindi, la sua diagnosi della situazione tende sempre a spostarsi dall’esteriorità all’interiorità per cogliere quelle che sono le reazioni della persona di fronte a un tremendo flagello e, dal punto di vista letterario, mette in evidenza come anche i termini “peste o epidemia” e “corruzione” siano sempre associati.

     Lucrezio racconta l’epidemia per compiere una realistica riflessione sul rapporto tra la disgregazione sociale e la solidarietà umana, e vuole ammonire le lettrici e i lettori perché, anche di fronte ad un fatto ineluttabile come la pestilenza, non perdano la loro ragionevolezza, e la prudenza e l’assennatezza e l’equilibrio. Lucrezio vuole spronare la persona a riflettere su come si debba reagire quando l’umanità è vittima di un destino che sembra volerla schiacciare e, soprattutto, vuole spingere la persona a riflettere sul fatto, ben più tragico, che molti membri di quella che dovrebbe essere la comunità umana non sanno deporre, neppure in momenti così nefasti, la propria perfidia e la propria meschinità senza volersi aprire alla solidarietà.

     Non sappiamo se il poema di Lucrezio doveva concludersi in questo modo, ma oggi, il fatto che il sipario si chiuda su questo scenario, con la grandiosa descrizione dell’epidemia, assume un significato straordinario: forse Lucrezio, arrivato a questo punto della composizione, si è reso conto che il suo poema poteva risultare completo proprio attraverso il gioco poetico dell’antitesi e, se così è stato, lui deve essersi rallegrato.

     Che cosa significa che il De rerum natura risulta completo attraverso il gioco poetico dell’antitesi? Significa - e lo ha capito bene l’eclettico Cicerone che ha pubblicato l’opera per primo - che è possibile vedere nel racconto conclusivo dell’epidemia un’antitesi nei confronti della scena iniziale del poema: il poema di Lucrezio [forse non ve lo ricordate, ma potete accertarvene] inizia con un episodio dedicato a Venere [dea dell’amore e della fecondità], come se all’iniziale inno alla potenza fecondatrice, il fenomeno che è alla base della vita, dovesse corrispondere questo terribile canto sulla pandemia dedicato alla morte. Lucrezio ama questi parallelismi, questi contrasti tra prologhi ed epiloghi perché così [ci ricorda spesso nei suoi versi] funziona l’umana esistenza.

     E ora leggiamo la parte finale del quarto capitolo della Favola Selvaggia di Filelfo.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo IV. La strategia del topo

Il topo non fece in tempo a godersi gli applausi che stavano cominciando a levarsi da alcuni settori dell’assemblea, ed ecco che una grande ombra roteante si proiettò sul parlamento degli animali, oscurando a tratti il sole. Planando con grazia antica scese dal cielo turchese la feroce aquila reale. Il topo ebbe un riflesso di terrore e, dimenticando il decreto di sospensione della Legge di natura, si nascose, ratto come il suo nome, dentro una felce.

Stringendosi con gli artigli alla pietra del seggio, l’aquila ruotò il capo guardandosi attorno, aspettando che, tornato il silenzio, potesse prendere la parola. …

     Per ascoltare l’intervento dell’aquila, della regina dei cieli, non perdete la prossima tappa di questo Percorso.

     Vi invito ad esercitarvi rileggendo il testo del quarto capitolo della Favola di Filelfo, e poi vi esorto a fare il compito come è richiesto da ogni punto del REPERTORIO ...  perché il desiderio di apprendere stimola il sistema immunitario e corrobora, rinfranca e ritempra lo spirito.

     Ci risentiamo prossimamente [presumibilmente fra quindici giorni] per compiere il quinto itinerario di questo Percorso e per continuare a studiare insieme in attesa di poter riprendere a viaggiare in presenza perché lo studio è cura.

     E, infine, un abbraccio a tutte e a tutti voi, nell’ambito di quel significativo paradosso che consiste nel mantenere le distanze restando uniti…


 

Lezione del: 
Mercoledì, Febbraio 24, 2021