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SULLA VIA CHE PORTA VERSO IL SECOLO DEI LUMI SI EVIDENZIANO LE QUATTRO AZIONI FONDAMENTALI DELLA VITA UMANA: STUDIARE, LAVORARE, MEDITARE E ACCORDARSI

Lezione N.: 
12

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica sulla via che porta verso il secolo dei Lumi III    

20-21aprile 2022 a Bagno a Ripoli e Tavarnuzze

a Firenze il primo gruppo il 22 aprile 2022 e il secondo gruppo il 29 aprile 2022

SULLA VIA CHE PORTA VERSO IL SECOLO DEI LUMI

SI EVIDENZIANO LE QUATTRO AZIONI FONDAMENTALI DELLA VITA UMANA:

STUDIARE [PER ACQUISIRE LA SAPIENZA], LAVORARE [PER ACQUISIRE LA TEMPERANZA],

MEDITARE [PER ACQUISIRE LA FORZA DI VOLONTÀ

E ACCORDARSI [PER LA REALIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA] ...

     Questo è il dodicesimo itinerario del nostro viaggio sulla via che porta verso il secolo dei Lumi, e prima della pausa pasquale abbiamo fatto conoscenza con Baruch o Benedetto Spinoza. Spinoza muore il 21 febbraio 1677 [345 anni fa] e nell’autunno dello stesso anno i suoi discepoli fanno pubblicare tutte le sue opere [che circolavano manoscritte], e l’Ethica [L’Ethica di Spinoza] - che è il suo capolavoro filosofico, una delle opere più interessanti della Storia del Pensiero Umano - suscita, da subito, un grande interesse perché in quest’opera si configura un itinerario che indica alla persona un modo per avvicinarsi alla felicità, che è un’aspirazione non da poco [che nel secolo successivo, il secolo dei Lumi, entrerà - il diritto della persona a essere felice - tra i diritti sanciti dalle Costituzioni]. Come si configura l’itinerario filosofico di Spinoza? Nel porci questa domanda non si può negare che il tema riguardante “l’itinerario filosofico di Spinoza” sia un argomento piuttosto complesso anche perché è necessario sgombrare il campo dalle leggende “romantiche” che sono fiorite attorno a questo personaggio che si è distinto per essere: una persona “normale” che ha saputo essere coerente con il suo pensiero.

     Nel 1670 Baruch [o Benedetto] Spinoza va ad abitare in un quartiere periferico dell’Aja e lì inizia a comporre, scrivendo in latino, il suo capolavoro filosofico, una delle opere più importanti nella Storia del Pensiero Umano che, pubblicata postuma nel novembre del 1677, viene comunemente chiamata Ethica [L’Ethica di Spinoza] ma il suo titolo completo è piuttosto complesso e lo vogliamo ancora una volta trascrivere tutto intero: Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico e distinta in cinque parti nelle quali si tratta I. Di Dio, II. Della natura e dell’origine della mente, III. Della natura e dell’origine degli affetti, IV. Della schiavitù umana e delle forze degli affetti, V. Della potenza dell’intelletto e della libertà umana. Questa titolazione ci fa capire che Spinoza mira a creare una mediazione tra il finito [la materia] e l’Assoluto [il Pensiero] e se il pensiero scaturisce dalla materia c’è un problema di “sostanza” che riguarda la materia e il pensiero da affrontare, e Spinoza aspira a costruire un rapporto tra l’etica e la metafisica [«Più si realizza il Bene più cresce la qualità della vita»].

     Spinoza inizia il suo itinerario filosofico tornando a riflettere sul tema, fortemente dibattuto, del dualismo di Cartesio il quale sostiene che tutta la realtà non è un unico blocco di materia, come sostengono gli empiristi, ma la realtà è composta, oltre che da Dio, da altri due elementi: uno di natura spirituale, il pensiero [res cogitans] e uno di carattere materiale, la materia [res extensa]. Infatti, sostiene Cartesio, ogni fenomeno materiale è causato da un altro fenomeno materiale, e ogni fatto spirituale [ogni moto del pensiero] dipende da un fatto spirituale. La materia e il pensiero sono quindi, nel sistema di Cartesio due elementi indipendenti fra loro e non comunicano vicendevolmente ma sono nettamente separati; di conseguenza, nella visione cartesiana della realtà, si produce un dualismo irriducibile tra la materia e il pensiero che comporta la scissione della persona la quale si trova a essere spezzata, a essere divisa, e si crea un dilemma insolubile: come fa il pensiero a comunicare con il corpo e lo spirito con la materia?

     Spinoza riflette su come si possa risolvere questa separazione affermando che esiste un elemento, una categoria che unisce tutto, e che Spinoza chiama: “Sostanza”. La Sostanza, per Spinoza, è ciò che esiste di per sé ed è concepito di per sé, e se la Sostanza è ciò che non ha bisogno d’altro né per esistere né per essere pensato possiamo affermare, sostiene Spinoza, che la Sostanza è autosufficiente, è “causa sui” e, quindi, la Sostanza è il fondamento di Tutto ciò che è reale e di Tutto ciò che è pensabile e, di conseguenza, Tutto ciò che esiste ed è pensato ha la sua causa nella Sostanza, e si intuisce, scrive Spinoza, che il pensiero e la materia sono della stessa Sostanza, e se ne intuiscono anche gli attributi.

     Adesso, sulla scia di questa affermazione, dobbiamo aprire una parentesi che contiene una breve e complessa riflessione: perché oggi le studiose e gli studiosi di Fisica e di Filosofia considerano Spinoza un maestro? Perché Spinoza ha intuito ciò che, a cominciare dai primi del ‘900, gli studi e le relative sperimentazioni [sulla relatività generale, sulla meccanica quantistica e sulla termodinamica] hanno messo in evidenza [e mi auguro che strada facendo - fra qualche anno - si possano prendere in considerazione questi temi anche solo a titolo informativo]. Oggi si studia e si sperimenta per trovare una risposta convincente alla domanda su come si formi la coscienza umana [e le studiose e gli studiosi sono sulla buona strada]. Come mai “io posso pensare di essere io” e che cosa significa che io sono libera e sono libero di prendere delle decisioni se il comportamento umano - come è stato dimostrato e come ha intuito Spinoza quando ha elaborato il concetto di “Sostanza” - non fa che seguire le leggi della natura? Non c’è forse contraddizione fra la sensazione umana di libertà e il rigore con cui, come è stato dimostrato, si svolgono le cose del mondo? Può la persona sfuggire alle regolarità della natura con il suo libero pensiero? No, non c’è nulla che possa sfuggire alle regolarità della natura, non c’è nulla nella persona che possa violare il comportamento naturale delle cose, e tutta la scienza moderna [dalla fisica alla chimica, dalla biologia alle neuroscienze] non fa che rafforzare questa osservazione: quando la persona afferma di essere libera - ed è vero che possa esserlo - significa che i suoi comportamenti sono determinati da quello che succede dentro di lei, nel suo cervello, in quanto le leggi della natura non agiscono solo all’esterno [come poteva sembrare finora] ma agiscono pure del suo cervello - e Spinoza ha intuito che la materia e il pensiero sono della stessa Sostanza - e, quindi, le libere decisioni della persona sono liberamente determinate dai risultati delle interazioni fugaci e ricchissime fra i miliardi di neuroni presenti nel cervello e, di conseguenza, le decisioni sono libere quando è l’interagire dei neuroni che le determina. La persona [l’Io] è libera di decidere perché non può fare qualcosa di diverso da quello che decide di fare il complesso dei suoi neuroni.

     Baruch Spinoza ha intuito con lucidità che non c’è l’Io e i neuroni nel cervello della persona ma si tratta della stessa cosa, Io e neuroni sono la stessa Sostanza. Spinoza, con la sua opera, ha messo in condizione le studiose e gli studiosi [di Fisica e di Filosofia] di trasformare un impervio sentiero in una bella strada da percorrere [e tuttora, come vedremo a suo tempo, fra qualche viaggio a venire, questa strada viene percorsa] ma lui, Spinoza, non avendo strumenti d’indagine, non può che procedere ancora sull’impervio sentiero che ha deciso di percorrere, e noi continuiamo a seguirlo.

     La Sostanza, sostiene  Spinoza, si rivela come: assoluta, autonoma, infinita, unica, acronica [fuori dal tempo], e se questi sono i suoi attributi, afferma  Spinoza, allora la Sostanza non può che identificarsi con Dio [e questa è la sua risposta, visto che non ha altri strumenti di ricerca a disposizione]. Cartesio aveva ammesso tre sostanze: Dio, il pensiero, il mondo [la natura], Spinoza supera questa tripartizione e pone Dio come unica Sostanza. Ma se Dio è l’unica Sostanza, si domanda Spinoza, come fa a esistere la diversità, come può esserci la molteplicità? Spinoza risponde [e qui ci si accorge che Spinoza ragiona secondo la Logica negativa della Teologia di tradizione scolastica, secondo cui, come abbiamo studiato a suo tempo - per quanto riguarda i temi della Metafisica a partire da quella di Aristotele - è logico, piuttosto che reputare «ciò che può essere», considerare «ciò che non può non essere»], ebbene, di fronte alla domanda come possano esistere le diversità, come possa esistere la molteplicità se Dio è l’unica Sostanza, Spinoza risponde che nel Tutto non possono non esserci le diversità, in quanto non può non esistere la molteplicità nel Tutto, perché la molteplicità, afferma Spinoza, è formata dagli infiniti attributi di Dio, e anche il pensiero e le cose materiali sono attributi di Dio, e ognuno di questi attributi si esprime in molteplici modi: attraverso i corpi e attraverso le idee e, di conseguenza, afferma Spinoza, si intuisce che «Deus sive natura, Dio si identifica con il Mondo, Dio è tutt’uno con la Natura». Baruch Spinoza arriva, quindi, a concepire l’essenza di Dio allo stesso modo in cui l’ha concepita frà Tommaso Campanella nella sua Metafisica e, soprattutto, come l’ha espressa Giordano Bruno nel suo secondo dialogo cosmologico intitolato De la causa, principio et uno, opera scritta da Bruno a Venezia e pubblicata a Londra nel 1584.

     Spinoza, nella prima parte dell’Ethica, sostiene che i singoli esseri, materiali e spirituali, derivano da Dio «more geometrico» nel senso che «Dio è Sostanza che possiede in sé un ordine geometrico »[esatto, preciso, logico, regolare, coerente, rigoroso], come dire che “Dio è sostanzialmente l’ordine geometrico dell’Universo” e, di conseguenza, afferma Spinoza, non può non essere “necessario” e l’attività divina non può non essere “necessaria” in quanto Dio agisce secondo la propria natura, che è “geometrica [come potrebbe l’Universo non avere le misure che Dio gli ha dato?] e, quindi, non può che contenere il presupposto della Necessità. E non c’è nulla che possa impedire a Dio la sua attività necessaria per cui in Dio la Necessità e la Libertà non possono che coincidere e se ne deduce che nel sistema universale le cose e le idee non possono che corrispondersi perfettamente, anzi non possono non coincidere, in quanto, le cose e le idee, sono due attributi della stessa Sostanza divina.

     E la persona [l’essere umano] in questo sistema universale quale destino ha? In questo sistema universale il destino della persona non può che essere orientato in modo positivo perché non può non avvicinarsi necessariamente alla felicità. E a uno stato di felicità, afferma Spinoza, la persona giunge attraverso un itinerario di studio che coincide con un percorso di carattere morale e spirituale corrispondente a un processo di conoscenza che consta di tre gradi.

     Il primo grado è quello della conoscenza sensibile che avviene attraverso i sensi [con l’esperienza sensoriale], ed è un sapere utile perché, con i sensi, la persona sperimenta le passioni e, di conseguenza, non può non rendersi conto di quanto i risultati delle passioni siano schiavizzanti [se ci appassiona al denaro, al potere, al successo si finisce per appassionarsi alla guerra, alla predazione, all’odio].

     Il secondo grado di conoscenza è quello razionale, e la ragione è utile perché fa capire alla persona che deve liberarsi dalla schiavitù che le procurano le passioni, e il programma ragionevole di studio che la persona deve utilizzare, afferma Spinoza, è, in primo luogo, quello proposto dagli Stoici e dagli Epicurei, un programma di studio  utile per imparare a coltivare l’imperturbabilità, in modo che la persona possa liberare il proprio animo dai turbamenti psichici e dai timori, una situazione virtuosa che in greco corrisponde al termine “ataraxìa” [l’imperturbabilità].

   E il raggiungimento di una ragionevole imperturbabilità non può che permettere alla mente della persona di lasciare spazio all’intuizione che è il terzo grado della conoscenza, e con la conoscenza intuitiva la persona capisce i legami che intercorrono tra le cose e le idee, e intuisce l’esistenza di una Sostanza che tiene unite insieme tutte le cose e le idee: Spinoza afferma che «intuire la Sostanza in Tutto significa percepire la presenza di Dio in Tutto» e da questa percezione sublime nasce la necessità di conoscere, una necessità che si trasforma in amore intellettuale per le cose, per le idee e quindi per Dio.

     L’amore intellettuale di Dio, afferma Spinoza, è uno slancio mistico in cui, amando Dio, la persona impara ad amare anche se stessa, e la mente umana si avvicina alla mente divina e si crea una coincidenza, e per Spinoza “la vera religione” consiste nel sentire la necessità intellettuale [l’attrazione per lo studio] che coincide con il percepire l’amore di Dio. La vera religione, afferma  Spinoza, è “lo studium” [la filosofia] ed è attraverso “l’esperienza dello studio, sinonimo di cura” che la persona impara anche e soprattutto ad amare il prossimo [l’obiettivo esistenziale per eccellenza], e l’amore per il prossimo, afferma Spinoza pensando al versetto 18 del capitolo 19 del Libro del Levitico] è il comandamento fondamentale per tutte le religioni storiche e per tutte le persone che sanno riflettere. L’amore per il prossimo è, quindi, una ragionevole scelta di carattere intellettuale e le virtù, afferma  Spinoza, devono essere costruite investendo in intelligenza.

     È interessante constatare come nell’Ethica di Spinoza [in piena cultura secentesca] emerga anche il pensiero mistico ma profondamente laico contenuto nelle Enneadi di Plotino: per Spinoza «Tutto procede da Dio» così come per Plotino «Tutto emana dall’Uno »[che è la metafora della sintesi assoluta] con un processo spontaneo, libero e necessario e poi, con un itinerario di ritorno [l’epistrophé], «Tutto torna all’Uno», ma c’è da dire [come vedremo tra poco] che l’Uno non è un’entità divina come Dio. Per Spinoza «Tutto procede da Dio e la persona, attraverso un itinerario di studio fatto di conoscenza sensibile, razionale e intuitiva giunge ad amare il prossimo e questo è come un tornare a Dio».

     Spinoza viene accusato di ateismo [scomunicato dall’ebraismo, dal cristianesimo cattolico, luterano e calvinista] perché afferma che la persona può e deve tendere a essere sostanzialmente come Dio: buona e misericordiosa [se è vero che la persona è fatta a immagine di Dio!] Quindi, per Spinoza l’Uomo non è, come per Hobbes, «homini lupus »[un lupo per gli altri uomini], bensì, per Spinoza l’Uomo non può non essere che «homini deus» in quanto non può che aspirare a essere come Dio per l’altro Uomo: come «un Dio necessariamente, ragionevolmente e logicamente buono e misericordioso così come la mente umana intuisce che Dio sia» per cui la persona diventa autonoma e Dio va amato e adorato e non costretto nel recinto di alcuna religione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Sul volume della Bibbia presente nella vostra biblioteca domestica andate a leggere il versetto 18 del capitolo 19 del Libro del Levitico e scrivetevelo, sono poche parole da ricordare contenenti l’obiettivo esistenziale per eccellenza …

     Spinoza subisce la scomunica da parte di tutti gli apparati clericali [ebraici, cattolici, luterani, clavinisti] anche perché denuncia “il fenomeno religioso” quando diventa uno strumento di distrazione di massa perdendo il suo valore e la sua necessaria laicità: la laicità, scrive Spinoza, prevede che «la persona non si qualifichi se non come credente, senza nulla di più, senza obblighi esterni, regole e gerarchie aggiuntive». Spinoza afferma che la persona, amando Dio con uno slancio mistico, impara ad amare anche se stessa, e per Spinoza “la vera religione” consiste nel sentire la necessità intellettuale [l’attrazione per lo studio] che coincide con il percepire l’amore di Dio. La vera religione [afferma Spinoza, in linea con la tradizione classica neoplatonica, come constateremo nel corso di questo itinerario] è “lo studium” [la filosofia] ed è attraverso “l’esperienza dello studio, sinonimo di cura” che la persona impara anche e soprattutto ad amare il prossimo: e l’amore per il prossimo è, quindi, una ragionevole scelta di carattere intellettuale e le virtù, afferma Spinoza, devono essere costruite investendo in intelligenza, coltivando la laicità.

     Su questi concetti [che abbiamo ripetuto] riflette anche una mistica eremita contemporanea che ormai conoscete, Adriana Zarri, che ci sta accompagnando in questo viaggio, ed è interessante ascoltare, in proposito, la sua voce.

Adriana Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca

La laicità è fatta di tante cose: è soprattutto una collocazione istituzionale (o forse sarebbe meglio dire scolasticamente una «non collocazione», una «dislocazione» rispetto alle strutture: un non volersi qualificare altro che come credenti, senza nulla di più, senza obblighi esterni, regole e gerarchie aggiuntive); ma è anche una situazione esistenziale, un clima, un linguaggio, uno stile di vita. Per permanere in questo stile ho dato la preferenza a una cascina più che a una sagrestia, un santuario, un edificio annesso a luoghi di culto. Non perciò una canonica, ma una casa: una casa dove abitano tutti.

... continua la lettura ...

     E adesso, come abbiamo annunciato nell’itinerario precedente, stiamo per incontrare un personaggio che si chiama Gottfried Wilhelm Leibniz, il quale, attraverso un’analisi stringente, cerca di disegnare un pensiero che possa superare le contraddizioni [le aporie] presenti tanto nel sistema di Cartesio quanto in quello di Spinoza.

     Gottfried Wilhelm Leibniz nel 1676 [mentre si trova in missione diplomatica in Olanda] incontra a l’Aja Baruch Spinoza nel suo piccolo laboratorio di pulitore di lenti perché ha bisogno di farsi fare un paio di occhiali ma, soprattutto, perché vuole conoscere questo personaggio che si è guadagnato la fama di “santo laico”: i due iniziano a chiacchierare e la loro chiacchierata si trasforma in una proficua conversazione di carattere filosofico al termine della quale Spinoza regala a Leibniz una copia manoscritta dell’Ethica che Leibniz comincia subito a leggere e a studiare con grande attenzione.

     Leibniz, prima di tutto, è affascinato dallo stile di vita di Spinoza [dal suo ammonimento a cercare la felicità liberandosi dagli idoli imposti dal sistema di distrazione di massa] ed è attratto dal suo pensiero perché ammira il tentativo di Spinosa di dare - in piena Età moderna, nel momento in cui si manifesta una tendenza alla frammentazione del sapere - una visione unitaria della realtà dove Tutto possa rientrare in un unico e organico disegno universale. Ma Leibniz ammira anche il pensiero di Cartesio di cui ha già studiato le Opere il quale ha una visione spezzata della realtà, che risulta contrapposta alla visione di Spinoza.

     Leibniz, quindi, conduce un rigoroso studio analitico mettendo a confronto i due sistemi antitetici di Cartesio e di Spinoza, e noi dobbiamo molto pazientemente seguire la sua riflessione  [su questo tema i manuali scolastici fanno solo qualche accenno, e nei Saggi degli specialisti si allude al tema dando per scontato che chi legge abbia già una preparazione in materia: noi adesso cerchiamo di affrontare la questione con gli strumenti che abbiamo a disposizione nella nostra officina di Apprendistato cognitivo].

     Ebbene, Leibniz mette puntigliosamente a confronto i due sistemi antitetici di Cartesio e di Spinoza. Per Spinoza [come sappiamo, e come ci ricorda Leibniz] tutta la realtà è concentrata in un solo punto indivisibile: la Sostanza, un’entità che, per Spinoza, si identifica con Dio e alla quale Spinoza fa assumere caratteristiche simili a quelle dell’Uno di Plotino, ma Leibniz su questa scelta di Spinoza non può non mettere in evidenza una contraddizione [un’aporia, in greco, quando la contraddizione è intellettualmente fruttuosa] che innesca una produttiva, anche se piuttosto complessa riflessione sulla quale, con la guida di Leibniz, tra poco, ci soffermeremo. Per Cartesio invece [come sappiamo, e come ci ricorda Leibniz] la realtà non ha un assetto unitario ma si diversifica in tre elementi fondamentali: Dio, il pensiero [la res cogitans] e la materia [la res extensa] - tre elementi che si collocano in ordini diversi tra loro e ognuno dei quali ha le sue Leggi particolari -: mentre per Spinoza, ci ricorda Leibniz, i tre elementi proposti da Cartesio [Dio, il pensiero e la materia] si identificano “l’Uno con l’Altro” perché non possono che essere composti da una sola e indivisibile Sostanza che ne garantisce comunque la pluralità e l’autonomia, per Cartesio questi tre elementi, essendo di natura diversa, sono separati e risultano non comunicanti tra loro ma pienamente autonomi per cui, nel sistema di Cartesio, le persone si trovano [almeno apparentemente, allude Leibniz] in uno stato di “contingenza” cioè libere di scegliere i loro comportamenti, mentre nel sistema di Spinoza, puntualizza Leibniz, le persone [essendo tutt’Uno con la Sostanza che, a sua volta, è tutt’Uno con Dio] sono condizionate dalla “necessità” e, di conseguenza, quel che succede è destinato a succedere [è necessario che succeda] indipendentemente dalla volontà della persona.

     Dopo aver letto con attenzione le Opere di Cartesio e di Spinoza, Leibniz deve quindi constatare che nel pensiero di Cartesio la mancanza di unità della realtà costituisce indubbiamente un limite insormontabile [si tratta del tradizionale e insuperato dualismo cartesiano] in quanto i singoli individui sono solo apparentemente liberi e autonomi perché vengono a trovarsi calati in un sistema formato da elementi separati che non hanno la possibilità di comunicare tra loro: di conseguenza, come può la persona comunicare con se stessa e come possono le persone comunicare tra di loro se il pensiero [la res cogitans] è separato dalla materia [dalla res extensa], e come fa la persona a comunicare con Dio, o meglio, come fa Dio [il Dio biblico dell’alleanza, della berit, il Dio che chiama Abramo] a comunicare con la persona in questo mondo di “corpi separati”?

     Leibniz poi, dopo aver constatato che nel pensiero di Spinoza, a differenza di quello di Cartesio, l’unità del sistema è assicurata, deve però riscontrare il fatto che i vari elementi [le cose e le persone] non si distinguono più l’Uno dall’Altro e ciò costituisce un limite invalicabile in quanto la proclamazione della assoluta “Unità sostanziale della realtà” procura l’annullamento della pluralità, ma, secondo Spinoza, l’unità del sistema è data dalla Necessità che lo governa e che garantisce l’esistenza della molteplicità delle cose e delle persone; però in un sistema governato dalla Necessità, ci ricorda Leibniz, l’autonomia e la libertà delle persone viene a mancare perché ciò che accade è determinato da un’esigenza che trascende la volontà umana. Ma la contraddizione più evidente [ma anche più intellettualmente produttiva, l’aporia generatrice] nel sistema di Spinoza, afferma Leibniz, è data dal fatto che lui vuole omologare Dio [che, a sua volta, come sappiamo, si identifica con la Sostanza] al concetto neoplatonico dell’Uno senza tenere conto del fatto che nelle Enneadi di Plotino l’Uno non possiede alcuna prerogativa divina, ma Spinoza, afferma Leibniz, ritiene troppo affascinante [intellettualmente produttivo] il sistema elaborato da Plotino nelle Enneadi [e come dargli torto!]: un sistema che sta tuttora alla base di ogni “misticismo laico” sviluppatosi nella Storia del Pensiero Umano, e Spinoza, come sappiamo, conforma la sua esistenza di uomo di fede ai principi del misticismo laico ricusando le forme religiose che considera alienanti [e si deve a Spinoza l’aver fatto entrare le Enneadi di Plotino nell’ambito della cultura moderna].

     Leibniz è implacabile [perché lo ritiene un compito molto utile per esercitarsi a investire in intelligenza] nel mettere in evidenza nel sistema di Spinoza “la madre di tutte le contraddizioni” puntualizzando che Plotino, nelle Enneadi, afferma che il Tutto [tutta la realtà universale] deriva da un principio supremo: l’Uno. L’esistenza dell’Uno deriva da un avveduto ragionamento logico, da un’intuizione [e Spinoza - che considera l’intuizione la forma più alta di conoscenza - segue con convinzione questo ragionamento condotto con fine intuito, in modo perspicace]. L’Uno, afferma Plotino, è la suprema sintesi della trascendenza, e la persona che sa riflettere non può che intuirne l’esistenza risalendo gradualmente [operando delle sintesi] nella scala dei valori e arriva in modo logico a pensare un Unico concetto supremo, ineffabile, che trascende Tutto: sia la quantità che la qualità, sia l’anima che il pensiero, sia la volontà che il giudizio, e anche Dio stesso.

     A questo punto, afferma Leibniz, il pensiero di Spinoza si diversifica da quello delle Enneadi perché Spinoza identifica l’Uno con Dio continuando però, con convinzione, a seguire il ragionamento di Plotino perché ne condivide pienamente l’impianto logico. Spinoza [che - come abbiamo detto - considera come forma più alta di conoscenza l’intuizione] condivide l’idea che la persona [come afferma Plotino] intuisce la presenza dell’Uno al di sopra di Tutto perché è convinto che, allo stesso modo, la persona può intuire l’esistenza di Dio e l’esistenza di un’unica Sostanza, e condivide il fatto che l’Uno sia un principio dinamico universale il cui funzionamento si può paragonare al pensiero individuale di ogni singola persona che emana pensieri in continuazione e, difatti, l’Uno ha la capacità di “emanare, di effondere”: «L’Uno [scrive Plotino], per emanazione naturale e necessaria, produce l’Intelletto universale [il Noùs, il Logos, il mondo delle Idee, il Pensiero], e poi l’Uno, attraverso l’Intelletto, emana [quella che Plotino chiama] l’Anima del Mondo [l’energia intellettuale che vivifica ogni persona e cosa], ed ecco [scrive Plotino nelle Enneadi] come si presenta, come è pensabile, la realtà universale: formata da l’Uno, l’Intelletto e l’Anima legati insieme in una suprema sintesi, e la realtà dell’Universo è, quindi, “un mondo intelligibile”, conoscibile con l’esercizio della ragione »[e Spinoza condivide questa affermazione]. La Materia, di cui sono fatte le cose, come viene descritta nelle Enneadi di Plotino? «La Materia [il Non-essere, scrive Plotino] è il prodotto della lontananza dall’Uno perché senza un’anima intelligibile la Materia è assolutamente inerte e questo fatto le persone lo intuiscono perché pensano che è necessario dare sempre un’anima alle cose per farle esistere». E l’essere umano come si configura in questa realtà? «La persona [scrive Plotino] possiede l’ultima propaggine dell’Uno imprigionata nella materia: l’Intelletto individuale, l’intelligenza. E l’intelligenza fa sì che si manifesti nella persona una ragionevole inquietudine, e questo avviene perché la persona intelligente prova un desiderio profondo di realizzazione di se stessa che corrisponde al desiderio di tornare al supremo principio dell’Intelligenza, l’Uno e, quindi, per dare un senso alla propria esistenza la persona deve intraprendere un percorso di liberazione dalla materia [la via mistica], deve incamminarsi su un itinerario intellettuale che conduca all’Uno [verso la sintesi suprema della conoscenza]. La persona deve vivere la propria vita in funzione del suo “ritorno all’Uno [l’epistrophé]” cioè alla fonte che ha emanato l’Intelletto [il Pensiero] e l’Anima del mondo [l’energia vivificante]».

     Plotino descrive il “ritorno all’Uno” come un viaggio che chiama “epistrophé” proprio perché, in greco, questa parola significa “il ritorno alle origini”, e l’azione del “ritornare” [epistrèphò] non è per Plotino un atto di carattere sacrale ma, bensì, è un evento che ha una valenza intellettuale: l’epistrophé [il ritorno all’Uno] è un percorso che avviene sulla scia dell’investimento in intelligenza, e ogni passo in avanti è dato dall’acquisizione di un nuovo apprendimento, di un’ulteriore competenza culturale che la persona fa propria. Plotino fissa con coerenza i principi di una morale laica, e l’epistrophé [il percorso di Apprendistato cognitivo che favorisce il ritorno all’Uno] non è un annuncio [o un progetto] di carattere religioso ma è un concreto programma scolastico: è un piano di studio, e Spinoza considera il risultato di questa riflessione [data dalle affermazioni di Plotino provenienti dalla saggezza classica neoplatonica del III secolo] pienamente condivisibile come potenziale garanzia che avvalora il suo pensiero.

     Spinoza condivide completamente la riflessione di Plotino su come si realizza nella vita quotidiana l’epistrophé [il viaggio verso la fonte dell’Intelligenza]. E per Spinoza, uomo di fede, l’epistrophé equivale a “lo slancio mistico” attraverso il quale, amando Dio, la persona impara ad amare meglio se stessa e a far coincidere la propria mente con la mente divina ammantata di bontà e di misericordia: per Spinoza “la vera religione” [come sappiamo] si manifesta quando la persona avverte la necessità intellettuale cioè quando sente l’attrazione per lo studio che [secondo lui] equivale alla percezione dell’amore di Dio. La vera religione, afferma Spinoza, si manifesta con “lo studium” [con la filosofia] ed è attraverso “l’esperienza dello studio, sinonimo di cura”, che la persona impara anche ad amare il prossimo, e l’amore per il prossimo è il comandamento fondamentale per tutte le religioni storiche e per tutte le persone che sanno riflettere. L’amore per il prossimo è, quindi, una ragionevole scelta di carattere intellettuale, e le virtù [afferma Spinoza, in pieno accordo con le Enneadi di Plotino] devono essere costruite investendo in intelligenza.

     Plotino, nel testo delle Enneadi, costruisce un programma - che Spinoza non può non condividere pienamente - e delinea un percorso che ha le sue radici nella didattica della Scuola di Ammonio [del fondatore del Neoplatonismo, alla cui Scuola - come sapete - Plotino ha studiato ad Alessandria nel III secolo]: per prima cosa la persona deve educare la propria Anima [il proprio Carattere] a prendere le distanze dalla Materia coltivando quattro virtù che Plotino chiama “cardinali”: la sapienza, la temperanza, la fortezza e la giustizia [che sono entrate pari pari nella dottrina del cristianesimo]. Le quattro virtù cardinali corrispondono a quattro azioni fondamentali della vita umana: studiare [per acquisire la sapienza e far crescere le competenze intellettuali della persona], lavorare [per acquisire la temperanza in modo che la persona possa gustare le gioie di una vita frugale], meditare [perché la persona acquisisca la forza di volontà] e accordarsi [perché la persona impari a venire sempre a patti per garantire la realizzazione della giustizia].

     Poi Plotino, nel testo delle Enneadi, scrive che la persona deve imparare a coltivare tre vie: la musica [per dare armonia alla vita], l’amore solidale [per creare fratellanza nel mondo] e la filosofia che è la disciplina che insegna a trascendere la materia perché la persona possa imparare a contemplare l’essenza ideale delle cose in modo da poterne valutare la qualità [senza conoscere la valenza qualitativa delle cose come può la persona utilizzarle per edificare il Bene?]. Il percorrere queste vie [l’armonia, la solidarietà, l’essenzialità], che conducono verso la fonte dell’Intelligenza, produce uno stato di calma, di piacere intellettuale che Plotino chiama “Estasi” e che Spinoza - in pieno accordo con Plotino - chiama “Felicità”.

     Sebbene Spinoza nel testo dell’Ethica, per prudenza, non ammetta di trovarsi in consonanza con le Enneadi di Plotino, tuttavia, non è stato difficile per i sistemi censori [ebraici, cattolici, luterani e calvinisti] avvalersi di questa “contraddizione” per condannare Spinoza con l’accusa di avere omologato Dio all’Uno neoplatonico e per aver fatto coincidere la Sostanza con Dio, ed è stato facile per i censori dichiarare che l’Uno è un concetto che trascende anche Dio e, di conseguenza, affermare che il sistema di Spinoza conduce inevitabilmente verso l’ateismo e, quindi, merita la scomunica. Ma nel lavoro, nello studio, nello stile di vita frugale, e persino nella malattia, Spinoza ha sempre trovato una gratificazione attraverso il suo pensiero.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Di fronte a quale situazione avete potuto dire: «Mi sono sentita, sentito in estasi o, per lo meno, mi sono sentita gratificata o gratificato»?…

Scrivete quattro righe in proposito…

     E allora - dopo aver analizzato puntigliosamente il pensiero di Cartesio e quello di Spinoza [e non è stata certo una passeggiata seguire Leibniz sul suo cammino] - che cosa vorrebbe fare Leibniz? Leibniz vorrebbe costruire un sistema nel quale sia garantita tanto l’unità della realtà quanto la pluralità degli elementi che la compongono. Intanto però, prima di tutto, Leibniz dichiara che lui nella vita avrebbe potuto pensare poco se non avesse avuto a disposizione le aporie [le fruttuose contraddizioni intellettuali] di Cartesio e di Spinoza su cui esercitarsi a riflettere.

     Ma noi non ci siamo ancora domandate e domandati: chi è Goffredo Guglielmo Leibniz? Dobbiamo, quindi, fare conoscenza con questo personaggio.

     Gottfried Wilhelm Leibniz è nato a Lipsia - nella regione della Sassonia in Germania - il 21 giugno 1646 [secondo il calendario giuliano, che corrisponde al 1° luglio secondo il calendario gregoriano]; suo padre Friedrich è un giurista e professore di etica all’Università di Lipsia, sua madre, Caterina, proviene anch’essa da una famiglia di giuristi, e Leibniz, fin da bambino, potendo utilizzare la ben fornita biblioteca di famigli, è talmente dedito allo studio che a quindici anni, dopo aver superato un difficile esame d’ammissione, può già frequentare l’Università e, nel 1666, appena ventenne, è già docente nella facoltà di Filosofia. Per parlare di Lipsia [dallo slavo “Lipzk”, che significa “luogo presso i tigli”] - di questa città di 450mila abitanti famosa per le Fiere [dal 1165], celebre come culla della Musica e come capitale del Libro [a Lipsia nel 1481 viene stampato il primo Libro] - ci vorrebbe tutta la notte.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della Germania e navigando in rete fate una visita alla città di Lipsia, nella regione della Sassonia, buon viaggio …

     Però il giovane Leibniz, nel 1667, preferisce lasciare l’insegnamento per immatricolarsi all’Università di Jena per studiare matematica, fisica e astronomia e per comporre alcune opere importanti a carattere scientifico: Sullo sviluppo del calcolo infinitesimale, Sul concetto di integrale e Su una macchina calcolatrice [un trattato che illustra l’invenzione della “Macchina di Leibniz”, una calcolatrice ancor più perfezionata rispetto a quella costruita precedentemente da Pascal]. C’è stata una disputa - a suo tempo molto amplificata - sulla priorità nell’invenzione del calcolo infinitesimale se sia stato Newton o Leibniz a concepirlo per primo ma questa controversia è stata promossa da alcuni personaggi di secondo piano che l’hanno esasperata e strumentalizzata ai loro fini [Leibniz e Newton sono entrambi meritevoli per quanto riguarda i progressi della Matematica].

     Per fare una sintesi sull’importanza di Leibniz nell’ambito della Storia del Pensiero Umano c’è da dire che questa persona ha coltivato talmente tanti interessi per cui è stato: un filosofo, un matematico, uno scienziato, un teologo, un linguista, un glottoteta [un creatore di linguaggi], un diplomatico, un giurista e uno storico e che si è distinto in ciascuno di questi ruoli [la sua volontà e il suo gusto per lo studio lo hanno reso una sorta di genio universale].

     Nel 1672, dopo essere stato segretario dell’arcivescovo di Magonza [che rivestiva la dignità di Gran Cancelliere dell’Impero], Leibniz riceve l’offerta di entrare nella carriera diplomatica da parte del principe Elettore del Palatinato Renano e, di conseguenza, comincia a vivere una vita pubblica molto intensa portando a termine delicate missioni diplomatiche e complicati negoziati politici. La professione diplomatica permette a Leibniz [ed è per questo che ha accettato di buon grado questa mansione] di viaggiare in Francia, in Inghilterra, in Olanda e in Italia. Paragonata a quella del “solitario” Baruch Spinoza la vita di Leibniz si configura in modo molto diverso, anche perché vivono in mondi diversi: Spinoza è figlio della società olandese, prospera, governata da una borghesia affarista e intraprendente, ma anche colta e, sebbene spesso incoerente, però attenta ai problemi posti da “la condizione umana” [al tema dei diritti], e anche se vive frugalmente appartato, ha molti discepoli intorno a sé; mentre Leibniz vive nella Germania impoverita e spopolata a causa della guerra dei Trent’anni [un avvenimento di cui abbiamo avuto occasione di parlare a suo tempo], una terra frantumata - a causa dei Trattati stipulati con la pace di Vestfalia del 1648 - in ben trecentocinquanta piccolissimi Stati che, solo in teoria, sono soggetti all’autorità dell’Impero perché, in realtà, ognuno di questi Staterelli si autogoverna in modo ancora feudale, e questo fatto impedisce la nascita in Germania della borghesia, della classe sociale che costituisce la solida ossatura dello Stato inglese, di quello francese e di quello olandese.

     Quindi Leibniz cresce in questo clima, ma quando si reca a Parigi per una missione diplomatica gli si presenta l’occasione di entrare in contatto con quella fitta e solida “rete culturale” [che abbiamo imparato a conoscere in questi anni]che continua ad avere il suo centro nel Circolo Mersenne [anche se padre Mersenne è morto nel 1648 l’istituzione da lui fondata, l’Accademia Parisiensis, funziona ancora e continuerà a funzionare facendo entrare in comunicazione - in rete - tra loro le intellettuali e gli intellettuali europei]. Leibniz, che fin da bambino ha imparato bene il latino e il greco, ora impara alla perfezione anche il francese di cui si serve per comunicare internazionalmente e anche per scrivere la maggior parte dei suoi Saggi contribuendo a far diventare il francese la lingua filosofica per eccellenza: il tedesco non è ancora una lingua filosofica, ma,  come vedremo a suo tempo, lo diventerà.

     Nel 1676, durante una missione diplomatica in Olanda, con la scusa di farsi fare un paio di occhiali, Leibniz [come abbiamo già detto] si reca all’Aja con l’intenzione d’incontrare Spinoza [ne ha sentito parlare e lo vuole conoscere] dal quale riceve in dono una copia manoscritta dell’Ethica, un’opera che [come sappiamo, lo abbiamo studiato poc’anzi] contribuisce - insieme alle opere di Cartesio - alla sua formazione intellettuale. Tramite le conoscenze fatte a Parigi presso il Circolo Mersenne, Leibniz comincia a occuparsi anche, con impegno, della questione riguardante l’ecumenismo, cioè delle trattative [che non si sono mai interrotte, e sono proseguite sotto traccia oltre la chiusura del concilio di Trento] per tentare di ricomporre l’unione delle Chiese cristiane: la cattolica e la protestante. Un piccolo gruppo di intellettuali cattolici e protestanti - tra i cattolici ci sono i francesi Jacques Bossuet e François Fénelon - si riunisce per studiare la questione di una possibile ricomposizione dell’unità della cristianità ma questa iniziativa non va a buon fine perché i vertici clericali delle varie confessioni non sanno né soprattutto vogliono cogliere questa opportunità.

     Dobbiamo sapere che il papa in carica quando viene a conoscenza di questa iniziativa s’incuriosisce e si vuole informare meglio: si fa inviare e tradurre i verbali delle riunioni tenute dai membri di questo gruppo di studio sul tema dell’ecumenismo che sono stati redatti e commentati da un certo [il papa non sa chi sia] Gottfried Wilhelm von Leibniz, e rimane talmente soddisfatto dall’avvedutezza delle conclusioni di questo lavoro collegiale - risoluzioni che smussavano le differenze dottrinali tra la riforma e la controriforma rendendole superabili - che, riunita la curia, manifesta la sua intenzione di dare il cappello cardinalizio a questo signor Leibniz ma i membri del Sant’Uffizio, assai ben informati, gli fanno notare, scandalizzati, che questo Leibniz è un filosofo protestante, ed è un ammiratore di [dell’eretico] Spinoza! Questo papa [e voi sapete che quando s’incontra un papa nel corso di un viaggio di studio non bisogna mai lasciarselo scappare!] - il quale ritiene che il problema dell’unità della Chiesa lo avrebbero risolto meglio gli intellettuali piuttosto che i clericali [ha ragione il papa attuale a dire che la piaga di tutte le chiese - religiose e laiche che siano - è il clericalismo] - è Innocenzo XI, Benedetto Odescalchi di Como [1676-1689] il quale vuole trovare un accordo con i protestanti per urgenti ragioni politiche. Innocenzo XI è uno di quei papi che, ancora una volta, si scontra con il re di Francia, e in questo caso il contendente è nientemeno che Luigi XIV, il Re Sole, che vuole naturalmente contare e comandare e pontificare più del papa. Innocenzo XI - nel momento di maggior frizione con la monarchia francese - si fa difensore, in Francia e in Inghilterra, perfino dei Calvinisti [i protestanti più arrabbiati con il papato] pur di contrastare il Re Sole. Altro serio problema che Innocenzo XI affronta con impegno riguarda l’avanzata dei Turchi in Europa, i quali [come sapete] nel 1683 arrivano ad assediare Vienna, che diventa il baluardo dell’Occidente cristiano, e Innocenzo XI si sente in dovere di animare la resistenza cercando di far alleare [cosa per niente facile] i principi europei cristiani, cattolici o protestanti che siano, contro il nemico comune.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Fate una piccola ricerca sull’enciclopedia [che è in tutte le case], su un Libro di Storia [basta un manuale di Storia moderna della Scuola media], e navigando in rete su “l’assedio di Vienna da parte dei Turchi”... Sappiate che quando i Turchi sono stati costretti a ritirarsi hanno lasciato un enorme deposito di caffè: i Turchi non hanno conquistato l’Europa mentre il caffè, gradualmente, si è imposto in tutto l’Occidente fino a raggiungere [come vedremo] l’apice del successo nel secolo dei Lumi...   Come, dove, quando, con chi preferite gustare un caffè, prendere un caffè insieme?...    

Scrivete quattro righe in proposito...    

     Quando Leibniz torna in Germania i duchi Brunswick-Luneburgo di Hannover [si deve sapere che il Grande Elettore Giorgio I di Hannover viene chiamato a regnare in Gran Bretagna perché il parlamento inglese ha trasferito i diritti al trono dagli Stuart cattolici ai loro cugini protestanti dell’Hannover; Giorgio I è un pessimo re, non conosce neppure la lingua del paese che deve governare e s’interessa all’Inghilterra solo per le rendite che gli vengono offerte con le quali gratifica parenti, amici e le sue numerose amanti], ebbene la casata dei duchi di Hannover offre a Leibniz, con un buon appannaggio, la carica di bibliotecario della città [un posto molto ambito pari a quello di un ministro], e lui, senza farsi troppi scrupoli, accetta perché pensa, rivestendo questo ruolo, di potersi meglio dedicare ai suoi numerosi studi, anche se i duchi di Hannover lo hanno assunto per fargli svolgere delle ricerche storiche sulla loro casata [e Leibniz sa approfittare di questa richiesta a suo vantaggio]. A questo proposito, dopo aver dato alle stampe un po’ di materiali che ha raccolto sulla storia della casa di Brunswick, - con la scusa di dover fare delle importanti ricerche d’archivio riguardanti gli Hannover - se ne viene in Italia, a Roma [dove ha un appuntamento segreto con una persona della quale non si conosce l’identità].

     Leibniz - giunto a Roma nel 1686 per consultare documenti di archivio riguardanti la storia della casata dei duchi Brunswick-Luneburgo di Hannover [ma naturalmente non li consulta perché non esistono] - ha appuntamento con un suo amico gesuita [del quale Leibniz non ha mai rivelato l’identità per non comprometterlo] che lo mette a conoscenza delle meraviglie della Cina, e gli fornisce, perché la legga, l’opera del padre gesuita Matteo Ricci [un personaggio che abbiamo incontrato recentemente e che ricompare sul nostro cammino perché Leibniz ne rimane affascinato e anche noi dobbiamo ristabilire un contatto con questa figura straordinaria].

     I Commentari della Cina del gesuita Matteo Ricci costituiscono un materiale ghiottissimo per le intellettuali e gli intellettuali occidentali [la Cina è veramente un altro mondo tutto da scoprire!] ma quest’opera è considerata eretica dal tribunale dell’Inquisizione e, di conseguenza, circola clandestinamente [naturalmente questa situazione non può sfuggire a un curiosissimo diplomatico come Leibniz]. Leibniz si appassiona moltissimo alla lettura e allo studio dell’opera di Matteo Ricci e scrive un opuscolo intitolato Recenti notizie sulla Cina che circola in tutta Europa, e il suo pensiero filosofico [come vedremo] viene influenzato dal pensiero cinese.

     Del pensiero filosofico di Leibniz e dell’influenza che ha avuto sulla sua riflessione intellettuale la cultura cinese, contenuta nell’opera del gesuita Matteo Ricci, ce ne occuperemo nel prossimo itinerario perché per affrontare questo interessante tema abbiamo bisogno di tempo e di spazio e noi ora siamo in conclusione.

     Leibniz [che non condivide il comportamento di Giorgio I Hannover né come monarca né come uomo] non porta a termine alcuna ricerca sulla dinastia degli Hannover ma preferisce studiare altro e dedicarsi a incontrare persone che stimolano il suo desiderio di investire in intelligenza e, per esempio, nel 1697 Leibniz, a Berlino, incontra lo zar di tutte le Russie Pietro il Grande che lo invita a San Pietroburgo per fondare un’Accademia delle Scienze come quella che Leibniz aveva fondato a Berlino dopo aver collaborato a fondare con i membri del Circolo Mersenne l’Accademia delle Scienze di Parigi. Giorgio I di Hannover è assai contrariato nei confronti di Leibniz il quale si è premurato di fargli sapere di non essere interessato a portare a termine la ricerca storica riguardante la dinastia degli Hannover perché considera questo lavoro un atto di servilismo, e Leibniz preferisce esprimere il suo parere sul tema della servitù volontaria scrivendo ai governanti europei dichiarando di essere politicamente schierato per l’abolizione della servitù della gleba e dello schiavismo. Nel 1714 il re d’Inghilterra Giorgio I di Hannover compie la sua vendetta nei confronti di Leibniz che vorrebbe andare a Londra per incontrare Newton al quale era stata concessa la priorità sulla scoperta del calcolo infinitesimale: Leibniz voleva spiegare e mostrare a Newton che questo tema aveva iniziato a studiarlo prima di lui, ma Giorgio I, non solo vieta a Leibniz di andare a Londra, ma scatena una campagna denigratoria nei suoi confronti e lo fa sorvegliare dagli agenti dei servizi segreti perché non sbarchi [come avrebbe tentato di fare] clandestinamente in Inghilterra.

     Leibniz muore il 14 novembre 1716 ad Hannover in uno stato di emarginazione per aver criticato la casata che governa la città [naturalmente col passare del tempo è avvenuto un processo di riabilitazione nei suoi confronti e sono comparse anche le statue di Leibniz nelle città dove ha studiato e ha vissuto].

     Leibniz ci ha lasciato in eredità un’immensa produzione di materiali: nella biblioteca di Hannover si conservano più di duecentomila pagine manoscritte [o dettate] di Leibniz [delle quali solo una piccola parte è stata pubblicata] che contengono studi di matematica, di scienze, di metafisica, di fisica, di pedagogia, di filosofia.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della Germania e navigando in rete fate una visita alla grande città [con più di 500mila abitanti] di Hannover, che è il capoluogo della Bassa Sassonia ed è ricca di monumenti...  

In una chiesa del centro – la chiesa luterana di San Giovanni – c’è la tomba di Leibniz: andate a fargli visita visto che al suo funerale ha potuto partecipare solo il suo copista...

     Nei suoi scritti Leibniz dimostra una grande apertura mentale che supera il particolarismo feudale delle corti europee e il dogmatismo che ha causato tutte le sanguinose guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa. Leibniz è un traghettatore del pensiero dell’Umanesimo [dell’Umanesimo di Erasmo da Rotterdam, di Giordano Bruno, di fra’ Tommaso Campanella, di Cartesio e di Spinoza] in Età moderna, e propone soluzioni teologiche unitarie tra la varie confessioni, cerca di unire il lavoro degli scienziati nelle Accademie, creandone di nuove [facendo proseguire il lavoro di rete del Circolo Mersenne in Età moderna]. Leibniz propone ai politici progetti di unificazione, non solo della Germania, ma dell’intera Europa: unità da realizzarsi con trattative indirizzate al bene comune e alla cooperazione [qui ci cadono le braccia di fronte all’arretratezza in cui versa ancora oggi la politica internazionale!].

     Del pensiero filosofico di Leibniz e dell’influenza che la cultura cinese, contenuta nell’opera del gesuita Matteo Ricci, ha avuto sulla sua riflessione intellettuale ce ne occuperemo fra quindici giorni [nel penultimo itinerario di questo viaggio] consapevoli che bisogna sempre procedere [come afferma Spinoza] con lo spirito utopico che lo studio porta con sé perché non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare.

     Leibniz ha scritto: «Il percorso che deve intraprendere l’intelletto per arrivare al cuore è lungo e va affrontato con determinazione»: ebbene, per affrontare con determinazione il Percorso che deve intraprendere l’intelletto per arrivare al cuore, la Scuola è qui, e il viaggio continua [Viva il 25 aprile e Viva il 1° maggio!]…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Aprile 29, 2022